Alla scoperta della Maison Trimbach

Lunedì 5 gennaio a Ribeauvillè è una di quelle giornate dove staresti volentieri a letto con una tazza di tè caldo: nevica copiosamente e fa un freddo della malora ma, nonostante tutto, ci facciamo coraggio e andiamo al nostro appuntamento.
Anne Trimbach ci aspetta puntuale davanti alla porta del bellissimo Domaine, ed è la prima produttrice che ci fa fare un giro della cantina di vinificazione: vasche di acciaio e grandi botti di affinamento, tra cui una datata 1700, sono sparse un po’ dappertutto all’interno di un vasto locale sotterraneo dove, a discapito delle milioni di bottiglie prodotte, sembra tutto un po’ artigianale.
Nonostante sia una delle aziende più grandi e importanti di Alsazia (e forse della Francia), Maison Trimbach mantiene ancora un carattere familiare la cui tradizione parte dal 1626 quando Jean Trimbach cominciò a produrre vino da vigne, e che vigne, di sua proprietà. La fama internazionale giunge nel 1898 quando Frédéric Emilie Trimbach presentò alla fiera internazionale di Bruxelles i suoi vini riscuotendo un enorme successo. Da quel momento in poi il nome Trimbach è diventato famoso in tutto il mondo.
Anne ci fa accomodare nella bella sala degustazioni e ci porta il prim
o vino, un Pinot Blanc 2006, una base dai bei toni fruttati e di fiori bianchi con un pizzico di minerale. Buona la corrispondenza al naso, media la persistenza gustativa e una chiusura leggermente ammandorlata. Ottimo come aperitivo. Col prossimo vino Anne ci introduce al mondo dei Riesling targati Trimbach: il 2007 base è un vino dai delicati profumi di frutta gialla e fiori e ha nella grande vena acida il suo carattere qualitativo principale. Bella la persistenza finale.
Con il Riesling "Cuvée Frédéric Emile" 2004 entriamo in una dimensione qualitativa diversa, qua siamo di fronte ad un gran vino da vigne di oltre 40 anni di età ancorate su un suolo marno-calcareo.
Al naso le eleganti nuance minerali con cui si apre il vino sono pure espressioni di terroir, poi toni di bergamotto e fiori freschi chiudono il quadro aromatico. Bocca di grande consistenza ed equilibrio per un vino dalla grande persistenza gustativa. Da aspettare per anni prima che si esprima al massimo.
Arriva il primo Pinot Gris della giornata, un 2005 “Reserve” che ci inebria con i suoi intensi profumi di miele di acacia e macedonia di frutta esotica. Vino di grande struttura perfettamente bilanciato da una acidità vibrante. Anne ci confida che il 2005 per il Pinot Grigio è stata la migliore annata del secolo.
Passiamo ad un altro Vin De “Riserve Personelle” con il Gewurtraminer 2001 “Cuvée des Seigneurs de Ribeaupierre”, un vino prodotto solo quando la famiglia Trimbach pensa che l’annata abbia prodotto grandi uve da vinificare. La qualità, infatti, si nota subito al naso che viene accarezzato da intense ed eleganti note di sottobosco, fungo porcino, frutta secca, miele di castagno con un leggero fumè finale. In bocca l’attacco è subito dolce, fresco, ma subito l’acidità e la grande struttura del vino riequilibrano il tutto e permettono al vino di espandersi completamente al palato. Grande persistenza e finale su ritorni di frutta secca e miele.
E l’ora dei vini da vendemmia tardiva e Anne ci porta il Riesling 2002 VT: splendido il bouquet aromatico fatto di uva passa, frutta secca, zucchero caramellato e croccante alle mandorle. Profumi sì dolci ma non stucchevoli. In bocca è denso, avvolgente, di corpo ma al contempo ben equilibrato. Da godere immensamente ora o lasciarlo invecchiare (e migliorare) per altri 20 anni.
Il vino successivo è un Pinot Gris 1997 VT, caratterizzato da un olfatt
o predominato da intensissime note di miele, frutta secca e agrumi canditi. Davvero un’emozione mettere il naso nel bicchiere. Alla gustativa è cremoso, intenso e persistente e chiude lunghissimo con un ottima rispondenza al naso.
Terminiamo la nostra degustazione con un Gewurtraminer 2001 Selection De Grains Nobles: colore dorato intenso per un vino dalla grande complessità olfattiva: albicocca disidratata, fico secco, mallo di noce, miele di castagno, frutta candita e una leggera nota di iodio tipica dei vini “botrizzati” fanno da quadro aromatico ad un vino che è velluto al palato, una eleganza che si esprime anche grazie ad una intensità ed a una persistenza da fuori classe. Da tenere stretto in cantina e donare ai nostri nipoti.
Ringrazio Anne Trimbach per la sua gentilezza e disponibilità, non era facile ospitarci in un giorno dove tutto era innevato ed arrivare a destinazione era un’impresa. A presto!

E in tema di rapporto qualità prezzo arriva la lite tra Marco Caprai e la rivista "Il Mio Vino"

Non so se la questione sia sfuggita ai più visto che non ho trovato articoli in merito in internet, però è molto interessante portare all'attenzione questa bella lite tra Marco Caprai, il re del sagrantino, e la rivista "Il mio vino", colpevole di aver attribuito in una comparata di Sagrantino di Montefalco, un punteggio misero al 25 anni di Caprai arrivato ultimo e per di più cazziato per il pessimo rapporto qualità prezzo. Per dare un giudizio personale sulla querelle dovrò leggere l'articolo incriminato, voi, intanto, fatevi la vostra idea..

CON RICHIESTA DI PUBBLICAZIONE

Caro Direttore. Il panico bancario-borsistico globale, la crisi economica che indubitabilmente morde tutte le tasche e gli elogi dell’austerità mirati a consolare i tanti che non arrivano alla fine del mese sembrano aver contagiato anche il vostro cronista, autore della rubrica “Davide e Golia”. Il fulcro in cui ruota infatti tutto il suo articolo comparativo sui “Sagrantini” (a partire dal titolo “Sei Sagrantino da 18 a 29 euro contro uno da 66) è il prezzo: la critica enologica su qualità e tipicità cede surrettiziamente il passo ad un’analisi del tipo costi/benefici o qualità/prezzo. Dove quest’ultimo gioca un ruolo determinante (“Sul 25 anni… - conclude Davide e Golia – c’è da discutere parecchio. A partire dai 66 euro che ci costringe a sborsare. Troppo anche per un vino che vuole andare oltre”). Le esigenze del portafoglio, la necessità di arrivare a fine mese, la crisi economica e la contrazione dei consumi, la recessione incombente sono, per carità, motivazioni sacrosante e serissime. In tempi duri e soprattutto magri, meglio un vino da 18 euro che da 66. Mi sta bene, anzi benissimo. In questa ottica, che è l’ottica forzata di tante famiglie, mi stanno bene sia i vini in offerta che il tavernello. Ma vivaddio, come avrebbe detto Pirandello, perché non dirlo subito, evitando di costruirci sopra un articolo che discetta e finge di basare le sue scelte in base a qualità e tipicità? Se da un antico vino locale contadino com’era il tannico Sagrantino si è evoluta una bottiglia come il “25 Anni”, la ragione sta nell’appassionato sforzo pluridecennale di ricerca, studio e lavoro di tanti tecnici che hanno saputo conservare, superandola ed esaltandola su un piano più elevato, la tradizione di quell’antico vitigno. La modernità del “25 Anni”, il suo “andare oltre”, è “l’andare oltre” la tradizione, pur mantenendone o alludendone alle peculiarità: che è proprio non soltanto dei vini, dei prodotti tipici e dell’enogastronomia in genere (che, se fossero rimasti com’erano, non avrebbero fatto nessun salto di qualità) ma anche di molte forme d’arte. Senza ambire a tanto, il “25 Anni” ha percorso questa strada raggiungendo, ad avviso mio e di molti, un risultato originale e non omologato. Meglio la trattoria sotto casa, invece dello chef rinomato e, ahinoi, purtroppo costoso? Per carità, va benissimo. Ma perché costruire fumisterie sulla tipicità quando il problema sono i cordoni della borsa? Purtroppo o per fortuna (a seconda dei gusti) la qualità ha un prezzo. Nel caso del “25 Anni” nemmeno troppo elevato. Ringraziandola per l’ospitalità nella sua bella rivista le invio cordiali saluti.

Marco Caprai, Montefalco (Pg)

La risposta del direttore:

Caro Caprai, la sua lettera che pubblico come richiesto mi costringe ad una serie di importanti precisazioni. La nostra rubrica Davide e Golia è nata nell’aprile del 2005 e quindi non può essere, per definizione, frutto di alcun contagio preso dalla attuale crisi bancario-borsistica. La nostra rubrica nasce dal desiderio di proteggere il danaro che i nostri lettori si guadagnano sudando non meno di quanto fa lei nel produrre i suoi vini. È danaro guadagnato con grande fatica e quindi meritevole di grandissimo rispetto, quel rispetto che secondo noi non viene prestato da chi chiede per i propri prodotti prezzi assolutamente fuori da ogni logica. Non è solo per arrivare a fine mese che si deve preferire un vino da 18 euro ad uno che ne costa 66. Se il vino da 18 euro è migliore di quello da 66 lo si deve comunque preferire per il sacro rispetto che ognuno di noi deve avere nei confronti del danaro guadagnato onestamente. Nel caso che lei cita, tanto per parlare in termini concreti, il Sagrantino che Novelli si fa pagare 18 euro ha preso un punteggio di 81 centesimi mentre il suo, che costa 66 euro, ha preso 72. I punteggi sono stati assegnati durante una degustazione rigorosamente cieca. Qui non è questione di crisi economica, contrazione dei consumi o di portafogli più o meno pieni. Se il mercato mi offre un vino migliore a un prezzo inferiore la scelta è di una semplicità assoluta. La cruda realtà è che nella degustazione cieca il suo Sagrantino “25 Anni” ha preso un punteggio nettamente inferiore a tutti gli altri. I suoi colleghi concorrenti faticano e sudano quanto lei per fare ottimi vini. Loro però si preoccupano anche di venderli in un rapporto qualità prezzo decisamente più conveniente. Finchè le cose saranno in questo modo la nostra opinione non potrà cambiare. È per questo che se volessimo bere un suo Sagrantino preferiremmo mille volte comprare il Collepiano che costa in enoteca 33 euro. Non è regalato ma costa la metà del “25 Anni”, non essendo certamente meno tipico e meno buono. In genere io preferisco sempre mangiare in una buona trattoria sotto casa invece che spendere una fortuna dallo “chef” rinomato. Non ne parliamo poi se lo “chef” rinomato, oltre a farmi spendere una fortuna, mi fa anche mangiare peggio.

Legge Anti babà: l'onorevole Sarubbi ci salverà?

Fino ad ora non ho scritto nulla sull'argomento perchè tra i vari blog e siti di riferimento si è detto già tutto e il contrario di tutto. Il mio amico Domenico, molto attento a ricercare ulteriori news sull'argomento, mi ha mandato questo link http://andreasarubbi.wordpress.com/2009/01/15/alcol-tasso-zero-guida-pdl dove si può vedere che non tutti i politici sono d'accordo nell'abbassare a zero il limite consentito di tasso alcolico, attualmente a 0,5 g/l. Ora, non so se questa sia la mossa dell'ennesimo politico in cerca di facile pubblicità tramite internet (la nuova frontiera della comunicazione politica) però, visto che tentar non nuoce, proviamo a dargli fiducia e cerchiamo di sostenerlo nella sua battaglia visto che la pensa come noi appassionati di vino. Non importa se a soccorrerci nella nostra battaglia sia un esponente del centrodestra o del centrosinistra, l'importante è non far passare sta legge che già così com'è non va bene perchè le stragi sulle strade si evitano in altri modi, a partire dall'abolizione della mini car che in mano a 14enni che guidano per le nostre strade senza una minima conoscenza del codice della strada.

I Capitelli 2006 - Grande vino dolce di Roberto Anselmi

Roberto Anselmi è uno dei grandi produttori del comprensorio viticolo veronese (e non solo) e insieme a Pieropan è stato l'artefice del rilancio qualitativo della zona del Soave. Infatti, stanco della bassa qualità dei prodotti che provenivano dalla sua terra, nel 2000, contestando apertamente i disciplinari di produzione, decide di produrre tutti vini IGT abbandonando del tutto DOC e delle DOCG locali. Una ricerca dell'eccellenza con la massima autonomia che Roberto Anselmi ha perseguito attraverso l'adozione di vigne ad alta densità per ettaro (6000 piante per ettaro), selezione di cloni di garganega meno produttivi e più aromatici, cordone speronato permanente anche per l’allevamento della garganega, riduzione del numero di grappoli per pianta (tre o quattro al massimo), vinificazione curata nei dettagli, macerazione a freddo, fermentazione a bassa temperatura, lungo affinamento.
Una ricerca della massima qualità che ho potuto toccare con mano quando ho bevuto I Capitelli 2006, un vino dolce che mi ha conquistato sin da quando mi è stato versato nel bicchiere grazie alla sua elegante cremosità e al bellissimo colore a metà strada tra il dorato e l'ambra che vedo in certi gioielli. L'impatto olfattivo del vino non è assolutamente banale: emergono subito avvolgenti note eteree di iodio e di smalto dovute alla botrytis che ha attaccato parzialmente l'uva. Successivamente il bouquet aromatico si arricchisce e si amplia ed escono note di frutta candita ed anche frutta secca, fiori gialli, miele di tiglio, spezie dolci e una nota minerale finale dovuta al terreno tufaceo dove sono piantate le vigne aziendali.
In bocca il vino è dolce, morbido, con una bella vena acida che bilancia elegantemente il residuo zuccherino lasciando la bocca pulita. Tornano coerentemente al palato le sensazioni olfattive e il finale è di grande persistenza. Vino di grande struttura che se la potrebbe battere tranquillamente con i migliori botrizzati del mondo. Grande l'abbinamento con i formaggi erborinati ed il fois gras.

Bibenda Day 2009 - Luci ed ombre

Girovagando in rete ho trovato sul sito di Bibenda la lista dei vini che saranno presenti sabato 14 marzo al Rome Cavalieri per una nuova "puntata" dell'evento dell'anno targato AIS Roma - Bibenda. Ecco la lista:

Bollicine:
Champagne Brut L. d’Harbonville 1996
Ployez-Jacquemart
Champagne Brut Fuste Rosé Clos des Goisses 2000 - Philipponnat
Champagne Grand Cru Blanc de Noirs Brut Contraste - Selosse
Franciacorta Brut Sigillo Teatro alla Scala 2000 - Bellavista
Trento Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1993 – Ferrari

Bianchi Italiani e Stranieri:
Vallée d’Aoste Chardonnay Frissonnière Cuvée Bois 2002 – Les Crêtes
Trebbiano d’Abruzzo 1996 – Valentini
Gavi dei Gavi 1989 – La Scolca
Riesling Auslese Wehlener Sonnenuhr 1994 – Joh. Jos. Prüm
Montrachet Grand Cru 2004 – Domaine Bouchard Père & Fils
Ermitage Blanc Ex-Voto 2005 - Guigal

Vini Rossi Italiani:
Barbaresco Asili Riserva 1996 – Bruno Giocosa
Regaleali Cabernet Sauvignon 1988 – Tasca d’Almerita
Chianti Classico Riserva 1971 – Castell’in Villa
Langhe Nebbiolo Sperss 1988 – Gaja
Torgiano Rosso Rubesco Riserva Vigna Monticchio 1977 - Lungarotti

Vini Rossi Stranieri:
Château La Mission Haut-Brion 2001 - Château La Mission Haut-Brion
Ribera del Duero “Unico” 1987 - Bodegas Vega Sicilia
Beaune 1959 – Leroy
Château Angélus 2005 - Château Angélus
Chateauneuf-du-Pape Hommage a Jacques Perrin 2004 - Château de Beaucastel
Vini Dolci:
Vin de Costance 2001 – Klein Constantia
Acininobili 1993 – Maculan
Riesling Beerenauslese Erdener Treppchen 2006 – Dr. Loosen

Butto giù qualche riflessione:

  • fortunatamente all'AIS hanno capito che fare un pre-evento il giorno prima facendo cantare Mimmo Locasciulli e Büne Huber, leader e vocalist dei Patent Ochsner, famosissima (??) rockband bernese, equivale ad un karakiri al quale nemmeno il Barbaresco 2004 ha potuto rimediare;
  • aumenta sempre di più il costo dell'evento e le bottiglie diventano sempre di meno. L'altr'anno si pagavano 150 euro per 25 etichette (sempre divise tra bottiglie di grande qualità e rarità ad altre meno blasonate), oggi se ne devon pagare 180 per 24. E sapete nel 2005 quanto si pagava? Ben 100 euro (!!!) per 31 etichette. Capisco l'inflazione galoppante ma in tempi come questi sarebbe meglio non esagerare. Qualcuno mi dirà che la qualità dei vini è diversa, sta migliorando col tempo, ma dobbiamo tener presente che se si vuole fare cultura del vino non bisogna creare eventi più "popolari" e meno elitari;
  • bella la lista dei vini rossi, con la chicca del Beaune 1959 di Leroy di grande interesse. Peccato per i vini dolci la cui lista e importanza col passare del tempo sta perdendo di qualità. Belli i tempi in cui trovavamo l'Yquem!

Alsazia - Visita al Domaine Burn: il giro dei sensi in 14 vini

Arrivare nel piccolo paese di Gueberschwihr non è certo semplice soprattutto quando in Alsazia c’è la neve e il gelo e il mio navigatore satellitare ha la luna storta.
Francis Burn, figlio di Ernest, ci aspetta puntuale il quattro gennaio alle 14, prima domenica del 2009, un giorno altamente festivo da queste parti visto che nel paesino non si vede anima viva.
La storia di del Domaine inizia nel 1934 quando Ernest Burn, i cui antenati avevano prodotto vino per oltre 300 anni, recuperò la storica vigna del “Clos St Imer” (santo patrono di Gueberschwihr) ormai devastata dalle guerre e dalla fillossera. Non curante delle risa dei suoi colleghi, Monsier Burn acquistò col tempo parcella dopo parcella e, con l’aiuto della sua famiglia, risollevò le mura di cinta, ricostruì le strade di accesso e reimpiantò tutti i vigneti.
In generale Domaine Burn possiede circa dieci ettari di vigneto all’interno del territorio di Gueberschwihr. Dei sette ettari che fanno parte del celebre
Grand Cru Goldert, cinque sono posseduti dall’azienda all’interno del “Clos St Imer” la cui pendenza sfiora anche il 60% e il cui sottosuolo è in gran parte formato da calcare. Molto suggestiva, in tale ambito, è la piccola cappella che la famiglia Burn ha costruito in cima al clos il cui nome, “La Chappelle”, è ben impresso sui migliori vini del Domaine che sono costituiti da uve Gewurztraminer, i Musca d’Alsace, Pinot Grigio e Riesling.
La nostra degustazione in cantina è durata quasi un’ora e mezza visto che il gentilissimo Francis Burn ci ha fatto bere la bellezza di ben quattordici vini. Iniziamo la carrellata con un più che discreto Sylvaner 2004 AOC Alsace, un vino dai bei profumi floreali e fruttati che alla gustativa non tradisce con una ottima corrispondenza al naso. Uno dei Vini “base” dell’azienda che comprerei a bancali visto l’ottimo prezzo (circa 6.50 euro). Si prosegue con il Riesling 2005 AOC Alsace, caratterizzato da un naso di frutta tropicale e di albicocca e che alla gustativa stupisce per una ottima persistenza finale su ricordi di macedonia. Il terzo vino “base” che ci offre Francis è rappresentato dal Pinot Blanc 2004 AOC Alsace, dalla bella complessità aromatica dove si rincorrono le note di fiori bianchi e un sottile minerale. Bella l’acidità di questo vino che forse manca un po’ in lunghezza. Si va avanti con il Pinot Gris 2004 AOC Alsace al quale una leggera surmaturazione delle uve dona profumi di frutta esotica, mela cotogna e miele. Vino estremamente bilanciato in bocca e di media lunghezza.
Arriva il momento del Pinot Gris Vieille Vignes 2005 AOC Alsace. Da vigne di più di cinquanta anni di età, questo vino si presenta con un bel colore giallo dorato intenso ed un naso che esprime bellissime sensazioni di spezie orientali, frutta esotica, fiori gialli ed un accenno di mineraltà. Da brivido.
Passiamo ora ai Grand Cru del Domaine Burn andando a degustare il Riesling "La Chapelle" 2004 Grand Cru Goldert, un vino dalla forte nota minerale (idrocarburo) e fruttata. In bocca è ampio, equilibrato, fresco. Grande persistenza finale.
Il Muscat "La Chapelle" 2005 Grand Cru Goldert è una bella novità per me non avendo bevuto moscati non italiani. Grande è stata la sorpresa di trovarmi davanti ad un ottimo vino, dall’ottima aromaticità e dalla splendida complessità caratterizzata da fiori bianchi (biancospino), pesca gialla, agrumi e una leggera mineralità. In bocca lo zucchero residuo è decisamente bilanciato dalla grande vena acida del moscato. Ottimo sul loro panettone.
Il Pinot Gris "La Chapelle" 2004 Grand Cru Goldert ha profumi intensi che ricordano la frutta gialla caramellata, l'albicocca, la scorza di arancia e il miele di acacia. Bocca densa ed avvolgente per un vino estremamente equilibrato e persistente.

Francis Burn esce dalla sua cantina personale portandoci un piccolo gioiellino: il Gewurztraminer "La Chapelle" 2005 Grand Cru Goldert. Naso molto intenso dove spiccano elenganti naso sentori fiori gialli, spezie orientali e un bel tocco di frutta esotica, tra il fresco e l'appena maturo, e agrumi. Uno spettro aromatico coinvolgente come lo è il vino in bocca, concentratissimo e puro allo stesso tempo, con un'ottima corrispondenza al naso. La persistenza? Davvero infinita credetemi.

Per non farci mancare nulla Monsieur Burn ci fa degustare anche il 2004 che rispetto al precedente mantiene tutte le promesse con una vena di freschezza più accentuata. Forse meno persistente ma stiamo veramente spaccando il capello.
Proseguiamo con un vino premiato al primo posto al concorso "Pinot Gris du Monde" 2008: Pinot Gris "La Chapelle" 2005 Grand Cru Goldert. Mettendo il naso nel bicchiere sembra di essere catapultati a in Oriente: intensi gli odori di curry, zenzero, frutto della passione, litchi, mango e un piccola pennellata di fiori di ginestra. In bocca è ampio ed avvolgente con un grande equilibrio dovuto alla grande acidità che ben bilanca i quattordici gradi alcolici che non si percepiscono assolutamente. Chiude lunghissimo su note di frutta matura.
Aumentiamo ora il residuo zuccherino del vino degustando un Gewurztraminer VT "La Chapelle" 2003 Grand Cru Goldert, vino dall'ampio spettro olfattivo dove giocano profumi di miele di castagno, fico secco, dattero, frutta esotica stramatura e garrigue. Bocca morbida e soave per un vino ricco, equilibrato e di grande freschezza e persistenza.
Non poteva mancare il Pinot Gris VT "La Chapelle" 2002 Grand Cru Goldert: rispetto al precedente vino cambia compledamento il quadro aromatico: fungo porcino, sottobosco, tartufo, zafferano, miele e frutta secca sono le sensazioni che avvolgono i nostri recettori olfattivi. Stesso equilibrio e freschezza del precedente Gewurztraminer. Ottimo.
Terminiano questa lunga ma interessante degustazione con il Pinot Gris Selection de Grains Nobles Clos Saint Imer 2000: accattivamente nei suoi profumi di frutta esotica candita, miele di tiglio, mallo di noce oltre che dalla inconfondibile nota iodata fornita dalla muffa nobile. Nonostante l'elevato residuo zuccherino è un vino che si mantiene di grandissimo equilibrio grazie alla vena acida che bilancia l'estrema morbidezza del vino che a mio parere raggiungerà la piena maturità tra venti anni o più.
Concludendo vorrei ringraziare Francis Burn per l'estrema cordialità avuta nei nostri confronti e soprattutto per la ampia gamma di vini di elevata qualità ad un prezzo a dir poco conveniente. Peccato non abbia importatori in Italia...

Domaine Weinbach: tutta l'eleganza nel bicchere

La nostra prima tappa enologica alsaziana prevedeva la visita di uno dei produttori più importanti della regione (e non solo): Domaine Weinbach.
Colette Faller è una signora molto distinta e
d elegante e ci fa accomodare per la degustazione in una delle salette della sua splendida casa (foto a dx) all’interno della quale si possono ammirare così tante foto e dipinti, che si comincia subito a respirare tutta la storia del Domaine che inizia nel lontano 1612 quando un gruppo di fratti cappuccini fonda l’attuale tenuta Weinbach.
Madame Faller inizia a parlare della storia del Domaine, della filosofia produttiva, dedita alla ricerca del massimo rispetto della natura attraverso l’adozione di metodi biologici e biodinamici, e della composizione del terreno da dove nascono i loro magnifici vini.

In particolare il Domaine può contare su quattro Grand Cru:
  • Schlossberg: è il regno del Riesling. I vigneti, esposti a sud, sono terrazzati e possono contare su un suolo sabbioso e ricco di minerali che fornisce al Riesling estrema finizza, eleganza e bellissime sensazioni fruttate. Schlossberg è stato il primo terroir alsaziano ad essere stato classificato Grand Cru nel 1975;

  • Furstentum: è il regno del Gewürztraminer. Il suolo, ricco di calcare, conferisce al vino sia potenza (grazie alla presenza di carbonato di calcio) sia eleganza e complessità (grazie alla presenza di arenaria);

  • Mambourg: un altro grande suolo per il Gewürztraminer. E’ la collina gemella del Furstentum, dove i vigneti, esposti a sud, possono contare su un suolo principalmente marno-calcareo;

  • Altenbourg: situato a circa 250 metri di altezza, su un dolce pendio ai limiti del Furstentum, è il regno del Pinot Grigio e del Gewürztraminer, vitigni che possono contare su un suolo marno-calcareo-gessoso. In questo può essere comparato al Furstentum anche se presenta proporzionalmente più terreno sabbioso. L’Altenbourg grazie al suo terroir e alla sua esposizione garantisce maturità più precoci. Dai vitigni di questo Grand Cru nascono due vini importanti: il Gewürztraminer Cuvée Laurence e il Tokay Pinot Gris Cuvée Laurence.
E’ ora di bere e Madame Faller comincia ad entrare ed uscire dalla cantina portandoci le sue perle enologiche.
Iniziamo il percorso sensoriale con il Riesling Grand Cru Schlossberg Cuvée Sainte Catherine 2007. Proveniente dai vigneti più vecchi dello Schlossberg, il vino presenta al naso un bel mix di sensazioni fruttate e minerali. Grande acidità che equilibra i quattordici gradi alcoli del vino che sembrano non esistere. Finale fresco e fruttato, di media lunghezza. Come inizio niente male!
Secondo vino e secondo Riesling: Grand Cru Schlossberg Cuvée Sainte Catherine "L'Inédit!" 2006. Prodotto solo quand
o l’uva raggiunge una perfetta maturità, il vino, rispetto al precedente, ha decisamente una marcia in più. Naso caleidoscopico di frutta (mango, frutto della passione, litchi, albicocca), poi esce il minerale e una consistente nota di tiglio. Grande equilibrio, finezza ed eleganza per un vino che dovrebbe essere lasciato riposare altri dieci anni per tirare fuori il meglio di se.
Passiamo poi a degustare il Tokay Pinot Gris Cuvée Sainte Catherine 2007: da vecchi vigneti posti all’interno del Clos de Capucins (5 ettari di vigna circondata dal muro del vecchio convento dei frati cappuccini), questo pinot mi ha meravigliato per i deliziosi profumi di sottobosco e fungo porcino. Grande potenza ben bilanciata dall’acidità per un vino che non faticherei ad abbinare ad un risotto al tartufo.
E’ l’ora del mio primo Gewurztraminer alsaziano, l’Altenbourg Cuvée Laurence 2006: di un bel colore dorato, presenta un olfatto meraviglioso in quanto sembra di mettere il naso all’interno di un cesto di frutta esotica posto all’interno di un campi di fiori gialli. Ricco ma al tempo stesso elegante, chiude fresco e con grandissima persistenza.
Partiamo ora con la batteria dei vini VT (Vendanges Tardives). Il primo vino che ci viene proposto è il Riesling Grand Cru Schlossberg VT 2002: giallo dorato intenso per un vino che esprime al naso intensi profumi di miele, uva passa, fichi, mela cotogna e spezie. In bocca è cremoso, intenso, ampio, di buona acidità e grande persistenza. Ottimo con formaggi stagionati.
La seconda bottiglia di vendemmia tardiva riguarda uno splendido Gewurztraminer Grand Cru Furstentum VT 2005: naso molto “dolce” di frutta esotica candita, mandorla, mallo di noce e lievi accenni minerali. In bocca il vino entra inizialmente grasso, forse un po’ stucchevole, ma la grande acidità pulisce tutto in un attimo per un finale di grande equilibrio ed eleganza. Ottimo col foie gras.
Madame Colette ci porta l’ultima bottiglia in degustazione, una vera delizia questo Gewurztraminer Mambourg SGN (Sélections de Grains Nobles) 2005: vino che è una vera gioia per l’olfatto e per il palato con i suoi sentori di fiori gialli appassiti, miele, caramello e frutti tropicali in macedonia. Vino dalla persistenza immensa che può sostenere senza problemi almeno 30 anni. Una conclusione degustativa da applausi a scena aperta.


Uscendo dal Domaine non ho potuto che pensare a questo: i vini spesso sono lo specchio di chi li produce e, nel caso di Colette Faller, devo dire che nulla è più vero di questo. Domaine Weinbach, l’eleganza al prima di tutto.

Di ritorno dall'Alsazia, terra di grandi vini bianchi

Ciao a tutti, eccomi tornato da un breve ma intenso viaggio in terra francese. L'Alsazia è una bellissima regione, forse un pò troppo fredda in questi giorni (-10°), ma ricca di grandi vini provenienti da vitigni che solo in quest'area trovano la giusta dimensione qualitativa.
Il programma del viaggio prevedeva una serie di visite in cantina molto interessanti: Domaine Weinbach, Domaine Burn e Domaine Trimbach con qualche piccola sosta presso Josmeyer e Marcel Deiss.
Ora devo solo sistemare i miei appunti per scrivere qualcosa di più dettagliato, ma in anteprima vi posso dire che in questi cinque giorni ho scoperto un vitigno estremamente interessante e spesso sottovalutato in Italia, il pinot gris. E' stata una vera sinfonia per il mio palato degustare il Pinot Gris Vieille Vignes 2005 del Domaine Ernest Burn. Da vigne di più di cinquanta anni di età, questo vino si presenta con un bel colore giallo dorato intenso ed un naso che esprime bellissime sensazioni di spezie orientali, frutta esotica, fiori gialli ed un accenno di mineraltà. Da brivido.
Al palato il vino è denso, quasi masticabile e trova nel grande equilibrio gustativo il suo punto di forza. Finale di bellissima lunghezza su note speziate e fruttate. Un piccolo capolavoro a soli, e dico soli, undici euro!

AUGURI DI BUON ANNO

Andrea Petrini e tutto Percorsi Di Vino vi augura un fantasmagorico 2009.
Intanto per festeggiarlo al meglio il primo Gennaio insieme alla mia compagna (ormai sommelier fino alle ossa) partirò per L'Alsazia per un bel tour di varie cantine tra cui Trimbach, Weinbach e Domaine Burn. Spero di fornire dei report in tempo reale. A presto!

Pubblicità (non) occulta del vino....

Leggevo ultimamente di Mara Venier che forse verrà multata dall'Autorità Garante perchè durante l'Isola dei famosi metteva in mostra dei gioielli da lei creati. In generale, spesso durante le trasmissioni TV si vedono prodotti il cui marchio viene coperto con un pezzetto di nastro nero per evitare che si capisca la marca.
Ora, se questo è vero, allora non capisco quello che ho visto in questi giorni: ben due trasmissioni TV (EAT Parade e Domenica In) dove "eminenti" esperti di vino e sommelier professionisti, senza che passasse in sovraimpressione la scritta "Messaggio Pubblicitario", elogiavano le virtù di alcuni vini mostrando in maniera molto diretta l'etichetta della bottiglia oppure menzionando, senza troppi giri di parole, esplicitamente
il produttore.
E questa non è una forma di pubblicità? Perchè questa forma promozionale può passare in TV e altre no? Non dovrebbe esistere nel mondo del vino e della sommelierie una deontologia atta a limitare ste "marchette" che tutto fanno meno che fornire credibilità a questo o quel produttore? Fortunatamente qualcuno è più serio e, proprio l'altro ieri sera, al TG5 durante l'ennesimo servizio su come brinderanno gli italiani, un sommelier ha parlato di spumante italiano facendo vedere bottiglie....rigorosamente senza etichetta. Scemo lui o scemi gli altri?

E' possibile comunicare il vino senza vendersi l'anima, yes we can!

Proviamo ad abbinare il cioccolato Amedei?

Tempo di Natale, tempo sicuramente di tanti dolci sparsi sul tavolo delle feste. Tra i vari panettoni, pandori e torroni, ogni tanto, soprattutto a casa di amici gourmet, mi capita di trovare qualche tavoletta di cioccolato o pralina Amedei, storica e pluripremiata azienda toscana che produce prodotti di altissimo livello (più volte è stata premiata come meglior produttore di cioccolata del mondo).
Ma come degustare ed abbinare il cioccolato? Se andiamo sul sito di Amedei (http://www.amedei.com/jspamedei/segreti.jsp) ci renderemo conto che anche nel caso del cioccolato siamo di fronte a fasi di degustazione: visiva, olfattiva, uditiva e gustativa. Innazi tutto dovremmo dotarci del c.d. napolitan, un cioccolatino quadrato, dal peso di 4,5 gr. Il cioccolato va prima di tutto esaminato visivamente perchè solo un cioccolato "sano" di qualità ha un colore brillante e privo di opacità e patine. Alzi la mano chi non ha mai mangiato i gianduiotti patinati di bianco che ci ha dato la vecchia nonna.. Il napolitan deve essere poi "inspirato", per percepire i profumi e gli aromi tipici di ciò che staremo per mangiare. Così come ogni vitigno avrà i suoi aromi tipici, anche il cioccolato, a seconda della sua provenienza, avrà le sue caratteristiche. Anche l'udito è fondamentale perchè quando il napolitain viene spezzato, produce un suono limpido, indice di una buona cristallizzazione del burro di cacao. La gustativa è la parte più "interessante" e golosa. In tale ambito bisogna ricordarsi che mentre il cioccolato si scioglie in bocca, è importante introdurre dell'aria nella cavità orale, in modo che il sapore del napolitain possa estendersi ed allargarsi. Nel cioccolato l'equilibrio dei profumi e dei sapori si manifesta quando l'amaro non è l'elemento dominante ma il suggello di una completezza espressiva.
Tutto molto interessante ma che ci beviamo col cioccolato? Lasciamo stare lo spumante rosato (vedi articolo precedente) o altri abbinamenti strampalati, col cioccolato, data la sua grassezza, per pulire la bocca ci vuole alcol, e non poco. Ecco come abbinare al meglio i vari cioccolati Amedei:

Toscano Black 70%: si abbina alla grande al Banyuls, un vino dolce naturale, ottenuto a partire da Grenache al 75% per il Banyuls Grand Cru e al 50% per il Banyuls;

Toscano Black 66%: si abbina ottimamente a vecchi moscati o, meglio ad uno Sherry Pedro Ximenez;

Toscano Black 63%: grandissimo con un Porto Tawny;

Toscano Brown: un cioccolato al latte di grande spessore qualitativo trova la sua dimensione ideale con un bicchiere di Porto Bianco

Venezuela: ottimo l'accompagnamento con un Porto Tawny invecchiato 10 o 20 anni;

Trinidad: esaltazione pura dei sensi con un cognac invecchiato, magari un Martell Cordon Bleu;

Grenada: da abbinare senz'altro ad un Porto Ruby o ad un Calvados Père Magloire;

Jamaica: non vedo altro abbinamento se non con un vecchio rum;

Madagascar: i sensi saranno strabiliati se lo degustiamo insieme ad un whisky non troppo vecchio (12 anni);

Porcelana: sposalizio perfetto con un Madeira di 10 anni di età;

Chuao: un cioccolato venezuelano fantastico non può che avere il miglior accompagnamento col re dei vini dolci italiani, un Vin Santo Occhio di Pernice.

Krug Clos du Mesnil 1996. Almeno una volta nella vita..

Su questo ho pochi dubbi: Clos du Mesnil sta allo Champagne come la Romanée-Conti sta al Pinot Nero. Una volta nella vita 1000 euro si potrebbero anche spendere, magari dividendo tra amici, per acquistare una bottiglia unica nel suo genere, vino anzi Champagne che dà pure, vero, grandi emozioni.
Oggi parliamo di Francia, parliamo di Krug e del suo prodotto di punta, il Clos du Mesnil,un blanc de blancs millesimato che ha la caratteristica specifica di esser prodotto da un singolo storico vigneto, il Clos du Mesnil appunto, che copre appena 1,85 ettari all'interno del piccolo villaggio di Mesnil-sur-Öger, nella celebre Côte des Blancs. Racchiuso da un muro di pietra (il c.d. clos) risalente al 1698, come testimoniato da una lapide su una delle sue mura, il Clos du Mesnil e,in particolare, lo Chardonnay qui piantato, è benedetto da un microclima ideale essendo situato a sud-est e al riparo dalle intemperie grazie al suo muro e alle case circostanti.
Il Clos du Mesnil, quando venne acquistato nel 1971, era un vecchio vigneto alquanto trascurato e da ciò dipese la scelta della Maison di reimpiantare nuovi vitigni di Chardonnay. In tale ambito, Henri Krug, che da subito aveva capito le potenzialità del cru, decise di reimpiantare le viti in fasi successive, sapendo bene che uno champagne ha più carattere quando è fatto con uve raccolte da vigneti di età diverse. Tutto il Clos du Mesnil fu reimpiantato in otto anni e il 1979 fu l’anno zero per il Krug Clos du Mesnil in quanto è stata la prima vendemmia ritenuta in grado di soddisfare le elevate aspettative della Maison. Quando il vino fu degustato tutte le speranze e la lungimiranza di Henri Krug si concretizzarono in un baleno: si era di fronte ad uno Champagne splendido e fu deciso che non vi sarebbe alcun assemblaggio.
Il Clos du Mesnil 1996 da me degustato rappresenta una superba interpretazione di un millesimo storico in Champagne, uno dei migliori del secolo, e fa capire al mondo quanto potenziale può avere l’uva Chardonnay se vinificata e “spumantizzata” come si deve.
Al palato si capisce subito che siamo di fronte ad un grandissimo Krug, i suoi segni distintivi sono evidenti: sensazioni di miele, agrumi canditi, croccante, sottobosco, a cui si aggiunge una stupende vena minerale, tipica espressione del terroir. Nel Clos du Mesnil, rispetto agli altri Champagne, c’è molto di più, c’è una freschezza quasi tagliente nonostante l’età, c’è potenza, c’è complessità, c’è una persistenza infinita dopo averlo deglutito. E’ un peccato, un vero infanticidio berlo ora visto che ha ancora tanti anni di fronte a sè e con un potenziale ed una evoluzione ancora tutta da scoprire.
Il Krug è per me lo Champagne. Il Clos du Mesnil è un’esperienza mistica.
Foto tratte da http://www.wineterroirs.com

Sergio Mottura - Magone 2006: un Pinot nero che mi piace!!

Ho avuto il piacere e l'onore di ospitare Giuseppe Mottura in una delle tante cene col produttore che il mio Enoclub Roma organizza mensilmente al fine di cercare di ridurre le distanze tra chi produce e chi beve il vino. Tra i tanti vini presentati durante la serata, oltre ai sempre ottimi Latour a Civitella e Muffo, quello che mi ha colpito di più è stato il loro pinot nero, il Magone 2006. Strano a dirsi visto che reputo questa uva degna di esser coltivata solo in Borgogna, ma questo pinot, soprattutto rispetto a quello bevuto recentemente di Fontodi, l'ho trovato molto elegante, pulito, con una sua precisa personalità che, a mio giudizio, cerca di evitare inutili scimmiottamenti con "cugini" francesi.
Il vino si presenta con un bel rosso rubino trasparente (finalmente un colore adeguato al pinot....) e al naso esprime in maniera netta e decisa tutte le caratteristiche varietali dell'uva con bei ricordi di ribes, lampone, mirtillo, viola, chiodi di garofano e leggera cannella. In bocca la peculiarità principale del vino è il suo estremo equilibrio, l'alcol (siamo sui 13,5%) è controbilanciato adeguatamente dall'acidità e il tannino, grazie al magistrale lavoro di affinamento svolto sia dal legno, mai invadente, sia dalla bottiglia, è perfettamente integrato. Discreta la persistenza finale su ritorni di frutta rossa di bosco e spezie. Concludendo, siamo di fronte ad un bel pinot nero, elegante e deciso al tempo stesso, per nulla banale, che si beve facilmente a tavola e trova un perfetta armonia su una millefoglie di manzo in crosta di patate.

Che Civitella d'Agliano sia un pezzetto di Borgogna? Ai sommeliers l'ardua sentenza...

A Natale se ne vedono di tutte, anche l'abbinamento tra Franciacorta e cioccolato

Girovagando per la rete (http://www.alimentapress.it/dblog/articolo.asp?articolo=2898) mi sono imbattuto in questo articolo. All'inizio non volevo credere ai miei occhi, però poi leggendo bene l'incubo si è trasformato in realtà: stanno davvero abbinando lo spumante, Franciacorta che sia, al cioccolato, alimento che, data la sua grassezza lo vedo abbinanato solo ad un ottimo distillato, ad esempio un rum agricolo. E questi invece che fanno? Sfruttando l'ignoranza delle persone, enologicamente parlando, ci stanno facendo credere che possa reggere questo tipo di abbinamento. Provare per credere? No grazie! A voi il giudizio dell'articolo:

Quando due piaceri s’incontrano nasce un abbinamento sublime e insolito. Questo il pensiero alla base della proposta che, per la prima volta, fa incontrare il Franciacorta Rosè e il cioccolato goloso.
Una proposta unica di Bersi Serlini, cantina in Franciacorta dal 1886, e di T’a - sentimento Italiano, il nuovo Brand di Tancredi e Alberto Alemagna. Una Magnum Rosé (Chardonnay 70% and Pinot Noir 30% ) e 15 cioccolatini (latte 40% con aggiunta di Gianduia) sono racchiusi in una seducente confezione che comunica attraverso un contrasto di colori che esaltano le caratteristiche dei due prodotti: un caldo e voluttuoso marrone cacao con inserti di un acceso e dirompente rosa fucsia. L’effetto del Franciacorta Bersi Serlini Rosè su questo cioccolato, a lungo studiato dai maestri cioccolatieri di T’a – sentimento italiano, è sorprendente: morbido cioccolato, solleticato da delicate bollicine che liberano un piacere profondo.
Un regalo originale che parla di piacere e di gusto a chi durante le feste vuole per sé e per i propri cari un momento unico, nella migliore tradizione delle famiglie Bersi Serlini e Alemagna. Cioccolato&Rosè è distribuito in scatole limited edition nelle migliori enoteche, gastronomie e boutique del cibo goloso.
Bersi Serlini, in Franciacorta dal 1886, è una storica azienda che si contraddistingue per la forte vocazione alle bollicine DOCG e produce vini con immutata passione da tre generazioni. Otto i Franciacorta prodotti, otto le tipologie di questo straordinario vino che raccontano l’unicità e l’originalità di un’azienda che ha saputo coniugare tradizione e modernità, territorio e innovazione, passione e cultura. Arricchiscono e completano la gamma dei prodotti le piccole produzioni di Curtefranca DOC, bianco e rosso, e quella delle grappe. Le bollicine Bersi Serlini sono quasi interamente prodotte con uve Chardonnay, il vitigno per eccellenza, che dona eleganza e finezza, finissimo perlage e profumi floreali nel bicchiere. Energia elegante, bollicine finissime, danza nel bicchiere, piaceri intimi ed eleganti nel palato. Energia pronta a festeggiare. I vigneti, 35 ettari interamente di proprietà dell’azienda, sono coltivati applicando i principi della Coltura Ecoambientale, con un ridotto utilizzo di trattamenti e quindi un maggiore rispetto per l'ambiente. T’a - Sentimento Italiano è un brand nuovo e giovane che combina tradizione e creatività. Il cioccolato T’a – Sentimento Italiano, fatto a regola d’arte, nato dal desiderio di Tancredi e Alberto Alemagna, giovanissimi e appassionati, di raccogliere un’eredità familiare votata alla qualità e all’innovazione, è proposto come lusso goloso da concedersi soli o da condividere in ogni occasione.

Aiutiamo l'AMREF regalando Rosso di Natale

Attraverso l'acquisto di queste splendide bottiglie Etikè Italia SRL sostiene il progetto vaccinazioni di Amref. Ti offriamo la possibilità di regalare queste uniche bottiglie di vino da collezione con etichetta in ceramica fatta a mano, in più ogni bottiglia è confezionata singolarmente. Un regalo prestigioso e di sicuro effetto, perfetto per la tavola natalizia. Non solo un regalo eccezionale ma un aiuto a sostenere il progetto vaccinazioni di Amref attivo in Nord Uganda a favore dei bambini sotto i 5 anni contro le malattie infettive più pericolose.
Saremo lieti di offrirti maggiori informazione, se fosse necessario puoi contattarci attraverso il numero verde (dalle 9:30 all3 13:00 e dalle 15:30 alle 19:00 tutti i giorni tranne il Sabato e la Domenica).


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Sassicaia 2000 oppure Ornellaia 2000?

Stesso millesimo e due "miti nel bicchiere". Degustati all'ultima asta romana di Gelardini & Romani la comparazione è stata oggetto di discussione tra i "sassicaisti" (che brutto termine ho coniato) e gli "ornellisti" (pure quest'altro....).
Secondo me sono vini ben diversi, il primo molto fine, elegante e forse molto più pronto di un Ornellaia a cui gioverebbe un altro pò di bottiglia visto il tannino ancora non troppo digerito.
In particolare, ho trovato il Sassicaia 2000 di un bel colore rubino intenso con unghia leggermente granata, al naso i classici sentori del cabernet sono abbastanza nitidi, esce subito la belle nota di peperone seguita da più eleganti sensazioni di frutta rossa matura, caffè, sottobosco, cacao, che si fondono con un bella vena balsamica e speziata. Al palato si capisce subito perchè il Sassicaia è un gran vino in quanto armonicità, eleganza e consistenza si fondono perfettamente originando tannini setosi e un finale che non finisce mai. Lo comparo ad una ballerina étoile della Scala.
L'Ornellaia 2000 già al naso è un vino più maschio, forse è il merlot gli aggiunge quella componente di vigoria, chi lo sa. Resta il fatto che anche questo vino ha un colore ancora molto vivo, giovane, un rosso rubino intenso che promette e mantiene, differenziandosi con il sassicaia, un naso molto più fruttato, qua c'è sia frutta rossa matura che frutta nera di rovo e solo in un secondo momento escono profumi di cioccolato fondente, liquirizia e un leggero vegetale. La bocca non mi ha convinto molto: sicuramente un vino di grande corpo ed equilibrio, ma i tannini li ho trovati ancora in fase di evoluzione, non perfettamente integrati nonostante siano passati otto anni. Finale lunhgissimo che chiude con una leggerissima scia amarognola. Lo paragono ad un pugile con un grande futuro davanti.

I Vini delle Sabbie

Per "Vini delle Sabbie" si intendono quei vini prodotti con uve allevati su "terreni sabbiosi", cioè un suolo la cui tessitura preveda almeno l'85% di sabbua; se poi un "terreno sabbioso" ha anche meno del 6% di argilla, dal pundo di vista agronomico viene definito "non fillosserico", vale a dire è possibile teoricamente piantare la vite "franco piede", cioè senza portinnesto, che è invece prerogativa della viticoltura europea per le vicende a tutti note.

Durante una delle degustazioni guidate ad Eat-Alia, sono stati presentati alcuni "vini delle sabbie", provenienti da varie zone d'Italia, ciò a dimostrare che tali terreni sono sparsi nel nostro paese da nord a sud. In particolare sono stati presentati i seguenti vini:

Vermentino Li Pastini 2007 - Cantina Li Seddi

Da vigneti della bassa gallura, a 200 metri dal mare, è un vermentino che gioca tutte le sue carte su una splendida nota sapida (e non poteva esser altro) e su eleganti sentori di frutta gialla (susina e pesca) e fiori bianchi. Bevuto fresco la nota alcolica del vino, ben 15°, è ben equilibrata dalla vivace acidità. Buon finale dal tipico retrogusto ammandorlato.


Grecomusc' 2007 - Contrade di Taurasi
Contrade di Taurasi”, una piccola azienda agricola a conduzione familiare di 5 ettari, produce questo particolare vino da uve grecomusc' (che non è un clone del greco), prodotte da vigneti di età media di oltre 70 anni sparsi nel territorio di Taurasi e che Sandro Lonardo ha nel corso degli anni contribuito a salvare dall'oblio e dall'estinzione. Il vino nel bicchiere si presenta all'olfattiva un pò monocorde sulla frutta bianca e un bel minerale di pietra focaia. In bocca troviamo la vera sorpresa perchè il vino ha un grande equilibrio, freschezza e alcolicità si fondono insieme in un caldo abbraccio dando vita ad un vino dalla grande beva nonostante i suoi 15°.

Grecomusc' 2006 - Contrade di Taurasi

Rispetto al fratello minore, questo vino si caratterizza per sensazioni olfattive più fruttate e floreali. La lieve malolattica effettuata, rispetto alla versione 2007, determina una minore acidità che comunque è ancora una volta bene bilanciata dall'alcol che per questo millesimo si attesta attorno ai 14°.

Duna della Puja 2007 - Azienda Vitivinicola Mariotti

Giorgio Mariotti produce i suoi vini sui terrreni sabbiosi e salmastri del Bosco Eliceo, divenendo uno dei promotori della DOC nel 1989. Il cuore dell'azienda è il Fondo Luogaccio situato a San Giuseppe di Comacchio: all'interno del vigneto si trovano i resti della "Duna della Puja, che fornisce il nome al cru aziendale che abbiamo degustato. Da 100% uve Fortana, il vino di un bel colore rosso rubino, si presenta al naso con sentori di ciliegia, lampone, spezie dolci, rosa passita. In bocca il vino, come ben si presumeva dall'esame olfattivo, risulta morbido (forse troppo), caldo, vellutato. Finale di media persistenza su ritorni di frutta rossa matura. Un vino tecnicamente ineccepibile ma che non lascia particolari emozioni.

Serra della Contessa 2004 - Benanti

Un vino dell'etna, da terreni sabbiosi ricchissimi di minerali, il Serra della Contessa, da uve nerello mascalese e nerello cappuccio, si presenta di un colore rubino intenso con un naso dove si rincorrono le sensazioni di frutta nera di rovo, minerale e selvatico. In bocca è caldo, intenso, con un attacco leggermente tannico ben equilibrato dall'alcol. Finale persistente dove tornano i ricordi di mora e lampone. Vino ben fatto che a mio parere manca di personalità. L'Etna propone decisamente vini migliori e più emozionanti!

Fontodi Pinot Nero "Case Via" 2006: perchè?

Ammetto che sono di parte, io AMO alla follia il Pinot Nero della Borgogna, AMO la sua eleganza, il suo fascino, la sua potenza sempre misurata e mai eccessiva. Certo, per bere bene in Borgogna bisogna spendere qualche decina di euro, però superata quella soglia avremo sempre di fronta grandissime bottiglie di Pinot Nero, uva che considero personalmente Autoctona della zona. Pertanto, ogni tentativo di vinificazione in altre aree significa adattare il pinot e non farlo esprimere come dovrebbe e meriterebbe. Quanto detto assume rilevanza e significato quando ci si trova, e spiegherò il motivo, davanti ad una bottiglia di Pinot Nero "Case Via" 2006, vino prodotto da Fontodi, storica azienda del chiantigiano che produce, tra i suoi vini, il Flaccianello della Pieve, uno dei primi grandi supertuscan prodotti unicamente con uve Sangiovese.
Il "Case Via", degustato insieme ad altri sommelier, già al colore non lo riconoscerei come pinot nero in quanto cromaticamente si presenta rosso rubino di buona intensità e non quasi trasparente come dovrebbe. Al naso presenta principalmente sentori selvatici, di humus, cuoio. Solo dopo, timidamente, cominciano a uscire i frutti rossi e un lieve floreale. Se all'olfattiva il vino può anche passare, e alla gustativa che perde, e non pochi, colpi. L'ingresso in bocca è caldo ma subito si avverte l'irruenza del tannino così straripante, polveroso, che rende il vino abbastanza scomposto. Cavolo ma stiamo bevendo un Pinot Nero o un Chianti Classico? Finale di media persistenza su ricordi di ciliegia matura e sottobosco.
Conclusioni: un vino che sembra quasi un Chianti, forse si dovrebbe migliorare l'uso del legno oppure ritardare l'uscita del vino aumentando il periodo di affinamento in bottiglia che ora è di almeno sei mesi. Ma non si accorgono in azienda che il vino così commercializzato li penalizza? Se dovessi essere un neofita che assaggia per la prima volta un pinot nero, dopo questa esperienza sensoriale, cambierei tipologia di vino. E non dimentichiamoci che costa oltre venti euro sullo scaffale.....

Non potevamo certo dormire senza la classifica del Wine Enthusiast Magazine: la top cellar selection of 2008

Wine Enthusiast, così come è di prassi in questi ultimi tempi, ha anch'esso pubblicato la sua classifica ufficiale dei migliori 100 vini del 2008. Una lista che, a prima vista, risulta più equilibrata e meno sensazionalistica rispetto a quella redata da Wine Spectator, e che pone come fattori determinanti per l'inserimento o meno di un vino, oltre al punteggio, anche il suo prezzo e la sua reperibilità. Questo è il motivo per cui non trovere inserito Chateau Petrus 2005 che pur avendo 100 punti ha un prezzo superiore ai 6000 dollari con una scarsa reperibilità in commercio.
La parte del leone della classifica (che trovate su http://www.winemag.com/Media/PublicationsArticle/Cellar%20Selects_0.pdf) la fa la Francia con 38 vini e l'Italia con 16 vini. In tale ambito particolare enfasi è stata data al millesimo 2005 dei Grands Crus de Bordeaux e al millesimo 2004 dei vini toscani.
Numero uno della lista è lo Chateau Leoville-Barton 2005 Saint-Julien, un vino che viene descritto come potente ed elegante al tempo stesso e che avrà grandi margini di miglioramenti futuri.
E gli italiani in classifica? Due toscani nella top 10: il sempre più american oriented Fattoria Petrolo - Galatrona 2004 e l'immenso Avignonesi - Occhio di Pernice 1995, uno dei migliori vini dolci del mondo a cui la rivista ha attribuito un più che meritato 100. Gli altri italiani, cioè toscani, in classifica sono: Tenuta dell'Ornellaia - Masseto 2004 (15° posto con 99 punti), Bibi Graetz - Testamatta 2004 (21° posto con 96 punti), Le Macchiole - Paleo 2004 (27° posto con 96 punti), Tenuta San Guido - Sassicaia 2004 (32° posto con 97 punti), Tenuta Poggio al Tesoro - W Dedicato a Walter 2005 (36° posto con 95 punti), Antonio Caggiano - Vigna Macchia dei Goti 2004 (37° posto con 94 punti), Marchesi Antinori - Solaia 2004 (40° posto con 96 punti), Fattoria Le Pupille - Saffredi 2004 (47° posto con 95 punti), Castello del Terriccio -Castello del Terriccio 2004 (52° posto con 95 punti), Feudi di San Gregorio - Piano di Montevergine Riserva 2001 (74° posto con 93 punti), Biondi Santi - Brunello di Montalcino Riserva 2001 (77° posto con 96 punti), Masi - Amarone della Valpolicella Classico Mazzano 2001 (84° posto con 94 punti), Tua Rita - Redigaffi 2005 (87° posto con 95 punti).

Piccola considerazione finale: e i Barolo 2004? e il Piemonte??? Signori avete tralasciato un pezzo di grande enologia italiana. Vabbè, meglio così, ce lo berremo noi alla faccia degli americani che sorseggiano solo Toscana...