InvecchiatIGP: Lepore - Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Doc Riserva Luigi Lepore 1998


di Lorenzo Colombo

Quando sono state vendemmiate le uve per la produzione del vino che andiamo ad assaggiare mancavano ancora cinque anni al riconoscimento della Docg che arriverà solamente nel 2003 e che stabilirà uno specifico disciplinare di produzione ai vini che sin’allora - a partire dal 1995 - riportavano in etichetta “Colline Teramane” come sottozona della Doc Montepulciano d’Abruzzo, disciplinare che, rivisto nel 2016, ne va a cambiare il nome che ora è Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo Docg. La zona di produzione s’estende su una trentina di comuni della provincia di Teramo e comprende le colline della fascia costiera che da Martinsicuro, al confine con le Marche, s’estende a Sud sino a Silvi ed occupa ad Est la fascia collinare che si spinge sino a Teramo e Montorio al Vomano ai piedi del Gran Sasso. Unico vitigno ammesso oltre al Montepulciano -che dev’essere presente per almeno il 90%- è il Sangiovese.


Fondata nel 1992, l’azienda Lepore, situata a Colonnella, dispone attualmente di 14 ettari di vigneti per una produzione annuale di 250.000 bottiglie.

Il vino

Vino di punta dell’azienda ormai da molti anni viene prodotto con uve Montepulciano in purezza, fermenta in vasche d’acciaio e matura in botte per due anni ai quali segue un lungo periodo di sosta in bottiglia. Il colore è granato profondo con unghia che inizia a tendere leggermente all’aranciato.
 

Di media intensità olfattiva, ampio, balsamico, confettura di prugne, legno dolce, liquirizia, caffè solubile, note speziate, sentori terziari che rimandano alle foglie umide del sottobosco. Mediamente strutturato, tannino ancora vivo, buona la vena acida, radici di liquirizia, prugna secca, vaniglia, accenni piccanti e pepati uniti ad una leggerissima pungenza, lunga la sua persistenza. Un vino ancora in piena forma a 26 anni dalla vendemmia.

Il Roccolo - Riviera del Garda Classico Groppello 2022


di Lorenzo Colombo

Vitigno autoctono della Valtènesi, il Groppello, se utilizzato in purezza, dona vini freschi e succosi, con sentori di piccoli frutti rossi e di ciliegia e con leggere note speziate, mai troppo alcolici, e dal piacevole fin di bocca amaricante.


Questo sono le caratteristiche che ritroviamo nel vino appena degustato.

Agricola Vallecamonica - Valcamonica Bianco Igt “Bianco dell’Annunciata” 2021


di Lorenzo Colombo

La Valle Camonica è conosciuta in tutto il mondo per le Incisioni Rupestri dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Unesco, meno conosciuta, perlomeno presso il grande pubblico, è la sua vocazionalità per la viticoltura praticata da circa 500 viticoltori che si occupano, generalmente nel tempo libero, di gestire i circa 140 ettari di vigneti dell’Igt Valcamonica. La viticoltura in queste zone è attestata sin dall’epoca romana, si è poi sviluppata nel basso Medioevo, periodo nel quale esistono molti documenti che attestano la presenza della vite e, con alti e bassi, si giunge al periodo delle grandi malattie, fillossera anzitutto, che arriva in zona nel 1887 riducendo drasticamente la superficie vitata. Il parziale recupero inizia nel primo Novecento per poi vedere nuovamente crollare la viticoltura negli anni Settanta a causa dell’abbandono dei vigneti a favore di un più redditizio e meno oneroso lavoro in fabbrica. Negli ultimi trent’anni si assiste ad un rinnovo dell’interesse per la viticoltura, con un progressivo recupero dei vecchi vigneti e con la richiesta, seppur limitata, di reimpianti.


L’IGT Valcamonica creata nel 2003 s’estende sul territorio di 25 comuni situati nella valle che dal Lago d’Iseo s’inerpica sino a Edolo ed è, dal punto di vista viticolo, suddivisa in tre macroaree che partono da Piancamuno – a pochi chilometri dal Lago d’Iseo- e in una quarantina di chilometri si spingono sino a Berzo Demo nella parte più a Nord della valle. Il disciplinare prevede la produzione di cinque tipologie di vino: Bianco, Bianco passito, Rosso e con l’indicazione dei vitigni Merlot e Marzemino mentre le uve più diffuse, oltre ai già citati Merlot e Marzemino, sono il Riesling renano, l’Incrocio Manzoni 6.0.13 ed il Müller Thurgau.


L’Agricola Vallecamonica di Alex Belingeri dispone di quattro ettari di vigna collocati su terrazzamenti su entrambi i versanti della bassa valle, i vitigni presenti sono Marzemino, Riesling renano, Incrocio Manzoni 6.0.13 oltre a vitigni PIWI, ovvero Bronner, Johanniter e Souvignier gris e vitigni antichi prettamente locali dai nomi dialettali: Ciass Negher, Baldamina, Valcamonec, Gratù e Hibebo. La produzione annuale è di circa 20.000 bottiglie suddivise su nove etichette.

Il vino in degustazione

Primo vino prodotto dall’azienda, prende il nome dal Convento della Santissima Annunciata nei pressi del quale, tra i 600 e gli 800 metri d’altitudine si trovano i vigneti di Incrocio Manzoni 6.0.13, il sistema d’allevamento è a Guyot basso con densità di 7.000 ceppi/ha e con resa di 60 ettolitri/ha, mentre il suolo è composto da sabbie con infiltrazioni d’argilla su un sottosuolo roccioso con presenza di fossili marini. Fermentazione e affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta sui lieviti per sette mesi. Le bottiglie prodotte sono 4.000.


Il colore è giallo-oro luminoso. Discretamente intenso al naso dove cogliamo note floreali e di frutta a polpa gialla, accenni di pera e mandorle uniti a leggeri sentori idrocarburici. Fresco, intenso e decisamente sapido, dotato di buona struttura e di bella verticalità, presenta accenni piccanti di zenzero, note fruttate dove emergono la mela e gli agrumi, buona la sua vena acida e lunga la persistenza.

Nota: L’azienda è conosciuta soprattutto per il VSQ Metodo Classico Nautilus Crustorico prodotto con l’utilizzo di oltre dieci vitigni a bacca rossa molti dei quali prettamente locali come i giù citati Ciass Negher, Baldamina, Valcamonec, Gratù e Hibebo, il vino s’affina per 48 mesi nelle acque del Lago d’Iseo.

InvecchiatIGP: Podere Marcampo - Toscana Rosso IGT "Giusto alle Balze" 2013


di Stefano Tesi

Di vite da romanzo (scusate l’enogioco di parole, non ho resistito) il mondo del vino è pieno. Si tratta poi di vedere quali siano il frutto di un abile storytelling e quali basate su fatti veri e non purgati ad hoc in favore di marketing. Quando si tratta di assaggi, la questione non cambia molto: contano quello che c’è nel bicchiere e magari le comparazioni con gli assaggi precedenti, mentre le chiacchiere stanno a zero.


Nel 2021 avevo già assaggiato il Giusto alle Balze 2013, un Igt Toscana al 100% Merlot, quando al Podere Marcampo c’era ancora Genuino Del Duca, fondatore e protagonista del romanzo in parola (a pensarci bene, un destino avventuroso già dal nome): carabiniere abruzzese stanziatosi in Toscana, andato in pensione, diventato ristoratore di successo e poi vignaiolo a Volterra, zona dove, secondo la vulgata, “il vino non ci viene”. L’ho riassaggiato qualche settimana fa, quando alla guida dell’azienda ho trovato la figlia Claudia, ma a far la guardia alle vigne è rimasto Genuino, immortalato nel bassorilievo di terracotta che oggi ospita le sue ceneri, murato sul muro della cantina ovviamente orientato sugli amati filari.


La storia dell’azienda in sé, nata un po’ per ostinata scommessa e un po’ per esigenze burocratiche - serviva la vigna per giustificare la creazione di un agriturismo dal rudere acquistato nel 2003 con vista sulle balze volterrane, su terreni di origine sedimentaria, con depositi marini e marne argillose - è e rimane familiare: gli ettari vitati sono cinque, certificati Bio dal 2021 e affidati dall’anno successivo all’enologo Luca Rettondini. Oltre al Merlot si coltivano Vermentino, Sangiovese, Pugnitello e un Ciliegiolo che, in purezza, ci anticipa Claudia, sarà il protagonista del nuovo vino del Podere Marcampo.


Ero però molto curioso di risentire il Giusto alle Balze 2013, l’ultima annata affinata in barrique (oggi si usano i tonneaux). Curioso sia per la mia nota, scarsa simpatia per il Merlot in generale e sia perché, viceversa, quell’assaggio mi aveva incuriosito parecchio per le sue (rileggo gli appunti) “note balsamiche e di erbe selvatiche o officinali, con un punto di rabarbaro e, in bocca, una certa acidità, tannino ben definito e una piacevole nouance amaricante”. In pratica, mi era piaciuto.


E mi piace ancora oggi, con undici anni sulle spalle e, quindi, un’età che può anche essere critica per vini di questo tipo. Alla vista il colore è scurissimo, quasi impenetrabile. Al naso il vino è maturo ma non evoluto, con note complesse e varietali, che poi virano in sentori di liquirizia. La parte migliore è però in bocca: il sorso è integro, vivo, profondo e quasi pungente, con una bella ampiezza e un nerbo al palato perfino inaspettato per vigore e agilità. In poche parole: una gradita conferma.

Fattoria I Veroni - Chianti Rufina Riserva DOCG Terraelactae "Vigneto Quona" 2021


di Stefano Tesi

La bontà del progetto Terraelectae (solo Sangiovese da unico vigneto) varato anni fa dal Chianti Rufina non ha bisogno di riprove, ma le conferme fanno sempre piacere e questo vino dal colore intenso, sentori di frutto maturo e accenni salmastri, ricco, composto ed asciutto in bocca ne offre in abbondanza.


L'identità di Carmagnini del '500, luogo del cuore a Calenzano


di Stefano Tesi

La cucina, anzi la tavola, è una brutta bestia. Da un lato ti sobilla e ti acceca con lo star-system pompato dai social e dal marketing, dall’altro ti blandisce con la camomilla della memoria e la tradizione. Ma, in entrambi i casi, spesso si tratta di bubbole. Mangiare oggi infatti è diventato come il sesso: se ne parla troppo e lo si pratica poco e male.
La trappola del tipico, del resto, è insidiosa, perché tende a ingessare la cucina nella fissità di un’ortodossia innaturale o a tramutarla nel suo opposto, ossia nell’inseguimento della novità a tutti i costi, con risultati non di rado patetici e – vogliamo dirlo? – spesso assai costosi. Perché cucinare, in fondo, non è un’arte, come sovente si tenta di far credere, ma una forma di artigianato molto creativo, che comporta la necessità di replicare all’infinito cose buone con quello che passa il convento, in una sorta necessitato adattamento destinato alla fine a diventare una lenta evoluzione.


Forse è per questo che, chi mangia per mestiere, quando non lo fa per lavoro bensì per puro piacere va a cercarsi certe nicchie capaci di regalare certezze collaudate, piatti solidi e gratificanti, assaggiati tante volte ma mai noiosi, venati di ricordi senza nostalgia. Frutto di un’idea anche un po’ antica, ammettiamolo, dei piaceri della tavola, intesi come appagamento del palato e dello spirito, dove l’”esperienza” c’è già stata e si cercano, casomai, conferme. Quella cucina insomma che qualcuno, prima di mettere il naso dentro al piatto, chiama polverosa. Ma poi lo spazzola bene bene e ci fa pure la scarpetta.
Uno di questi posti rassicuranti, da pranzo della domenica (nel senso dello spirito che lo accompagna) o da cena in fraterna compagnia, è il Carmagnini del ‘500, ultracentenario ristorante lungo la boscosa strada che da Calenzano, nella piana tra Firenze e Prato, sale verso Barberino del Mugello. Luogo d’altri tempi. Non per l’architettura, che anzi è ariosa, ma per l’atmosfera che vi aleggia.

Ci sono tornato qualche tempo fa. Troppo fa, lo ammetto.

Ho ritrovato subito, però, la familiarità che cercavo, i sapori non banali e l’equilibro rassicurante di certe ricette assaggiate mille volte, eppure difficili da trovare così centrate e così godibili. Abbondanti ma non tracimanti. La sapidità dei crostini di fegato al vinsanto, ad esempio, si sposava con una consistenza e una misura rara ormai a trovarsi in una portata così abusata nei vicini mangifici cittadini, rivelando una mano sapiente.


La delicata, profumata, densa cremosità della carabaccia (la zuppa di cipolle rinascimentale toscana), con il suo pane secco un po’ abbrustolito e quel gusto inconfondibile in bilico tra intensità e carezza, la morbida tenacia della pasta dei tortelli mugellani (quelli col ripieno di patate) intrisi in un sugo robusto e tirato a dovere, il petto d’anatra all’arancia intriso, questo sì, di reminiscenze e un peposo coerente, quadrato, quasi filologico nella sua esecuzione fatta di semplicità e gran cura, mi hanno regalato un’ora e mezza di puro relax, anzi di otium latino, direi. 


Il tutto accompagnato ovviamente dall’amabile conversazione con lui, il cavalier Saverio Carmagnini, appassionato ciclista, oste, patron, sommelier, nel locale di famiglia dal 1968 (l’attività risale al 1912), memoria storica della ristorazione fiorentina e della sommellerie toscana. Uomo, per anagrafe e soprattutto per carattere, assai lontano dal glamour frou-frou della gastronomia contemporanea.


No, stavolta non gli ho chiesto di accompagnarmi a visitare la leggendaria cantina (ma consiglio caldamente di chiederglielo), che poi è lo specchio della sua cucina e del suo stile: ho preferito inframmezzare i copiosi bocconi con amarcord, aneddoti, discettazioni sulle ricette rinascimentali (una delle missioni di Saverio e di sua moglie Giulietta) e non, inevitabili quanto salaci battute. E per l’intero convivio, però, ho frugato nella mente alla ricerca di un aggettivo che avevo sulla punta della lingua, ma che lì per lì proprio non mi veniva, per descrivere quei cibi e quella sensazione di pacioso appagamento quasi letterario, o forse esistenziale, che stavo provando. Ora che scrivo, l’ho trovato. Ed era semplice, perfino banale, addirittura abusato ma in questo caso semplicemente veritiero: “identitario”. 
Devo tornarci presto.


Carmagnini del ‘500
Via di Barberino 242, Calenzano (FI)
055 8819930
www.carmagninidel500.it

Terre di Vite: seicento vini artigianali da assaggiare


Oltre centrotrenta produttori di vino artigianale, degustazioni, laboratori, food truck, musica, performance artistiche e un contesto affascinante. Sono i seducenti ingredienti della tredicesima edizione di Terre di Vite, in programma sabato 26 e domenica 27 ottobre a Bomporto via Gorghetto n. 92/100, in provincia di Modena, all’interno della storica Villa Cavazza – Corte dalla Quadra.


La manifestazione offre la rara opportunità di assaporare un migliaio di varietà di vini prodotti con metodi artigianali. Barolo, Traminer Aromatico, Vernaccia, Cesanese, Aglianico, Cirò, Ribolla Gialla, Chardonnay, Albana, Barbera, Dolcetto, Merlot, Pinot Bianco, Pinot Nero, Nebbiolo, Aleatico, Moscato, Botticino, Vermentino, Schiava, Sauvignon, Bonarda, sono solo alcuni dei vini tra cui scegliere.

Protagonista assoluta della manifestazione sarà una nutrita e qualificata rappresentanza di vignaioli che alla qualità del prodotto uniscono il rispetto delle tradizioni contadine e dei ritmi della natura, applicando metodi di coltivazione tradizionali e sostenibili, rifiutando l’impiego di prodotti chimici di sintesi come pesticidi o diserbanti, e valorizzando i vitigni autoctoni e le antiche pratiche agronomiche.

Filo conduttore della tredicesima edizione è la creatività come espressione naturale del territorio di provenienza dei vini, del paesaggio che si racconta con i suoi contorni e colori: un trait d’union che accomunerà i seminari, le degustazioni guidate, le mostre e le performance artistiche che animeranno le due giornate. I vignaioli presenti arrivano da tutta Italia, in rappresentanza di diciotto regioni, con alcuni sconfinamenti in Francia e Germania, e proporranno i loro vini artigianali in assaggio libero.

“Sin dalla prima edizione, in stretta collaborazione con Roberto Giuliani, direttore della rivista online Lavinium www.lavinium.it, abbiamo selezionato produttori che hanno scelto di privilegiare il prodotto artigianale e, anche quest’anno, abbiamo sviluppato questo percorso. Si tratta di un evento che valorizza scelte produttive basate sulla tradizione e sul rispetto di tutto ciò che ci circonda. Non a caso tra gli ospiti più prestigiosi abbiamo il giornalista Sandro Sangiorgi, il maggior esperto italiano di vini naturali. Nostro obiettivo è anche creare un clima di festa, relax e condivisione, col piacere di andare alla scoperta di sapori nuovi” sottolinea Barbara Brandoli, organizzatrice dell’evento.

L’offerta è arricchita dalla presenza di una trentina di spazi espositivi collocati sotto i portici di Villa Cavazza, dedicati prevalentemente al buon cibo, con la presenza di alcuni artisti che realizzano gioielli a mano e candele artigianali. I più golosi potranno completare la propria esperienza culinaria approfittando dei truck presenti che, oltre a proporre gelato artigianale, prepareranno piatti tipici emiliani.

UN RICCO PROGRAMMA

Accanto alle degustazioni, durante la due giorni, a partire dal primo pomeriggio, saranno proposti otto Laboratori del Gusto, opportunità da non perdere per assaporare prodotti tutti da scoprire, sotto la guida di esperti e comodamente seduti all’interno di splendidi spazi.

Sabato 26, alle 13, si inizia con “Finger Food and Wine” dedicato all’abbinamento tra cibo e vino per un aperitivo perfetto, si prosegue alle 14.30, parlando di “Cucina Vegetale e vino”, per poi passare, alle 16, a un incontro ravvicinato con una delle eccellenze modenesi, il salame di San Felice. La chiusura della prima giornata è dedicata all’Oro Nero di Modena: in collaborazione con il Consorzio Produttori Antiche Acetaie, guidati dall’Associazione Esperti Degustatori Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. i partecipanti potranno conoscere la storia e il gusto del prezioso condimento in abbinamento con diverse marmellate.

Il giorno successivo, domenica 27, sempre alle 13, il primo protagonista sarà il lievito madre ingrediente del pane da assaggiare con olio extra vergine di oliva e un ottimo bicchiere di vino; si prosegue alle 14.30 con l’arte dell’abbinamento tra dolci e vino, mentre alle 16, con “Modena e gli altri”, si esploreranno percorsi meno frequentati e si parlerà di pairing tra piatti tipici della tradizione modenese e vini di altre regioni. Decisamente fuori dagli schemi, infine, l’ultimo laboratorio durante il quale, a partire dalle 17.30, si terrà una masterclass dedicata alle possibili contaminazioni nell’ambito della mixology contemporanea tra il gin, peraltro di produzione modenese, il Ghirlangina, il vino e la pasticceria.

Cinque laboratori sono organizzati in collaborazione con Modena con Gusto e a guidare i partecipanti durante la degustazione dei vini selezionati saranno i sommelier Alessandra Caroni e Alessandro Ticci. La partecipazione a due Laboratori del Gusto, fino ad esaurimento posti, è compresa nel biglietto d’ingresso: 20 euro in prevendita sul sito www.terredivite.it fino al 25 ottobre, 25 euro durante i giorni della manifestazione con acquisto diretto al botteghino.

A loro si aggiungono due speciali seminari con degustazione tenuti da Sandro Sangiorgi, giornalista esperto di cultura del cibo e di vino, fondatore della rivista indipendente Porthos, convinto sostenitore dell’idea che parte integrante della cultura del vino siano la sua storia e la custodia del territorio e del benessere. Sabato 26, alle 13, il noto divulgatore condurrà una degustazione di sei vini diversi nell’ambito dell’incontro “La piccola poesia: il vino e la delicatezza impalpabile che può lasciare un ricordo indelebile.” Domenica 27, alla stessa ora, Sangiorgi si soffermerà, invece, su “Vino e mediterraneo: la generosità e il vigore, la partecipazione e il sapore” dando anche in questo caso l’opportunità di apprezzare sei vini differenti serviti a bottiglie coperte. In questo caso la partecipazione, previa prenotazione via mail info@terredivite.it, ha un costo di 50 euro e comprende anche il biglietto d’ingresso.

Alla riuscita della manifestazione contribuiranno anche le scuole alberghiere Nazareno di Carpi e I.A.L. di Serramazzoni. Diversi studenti che frequentano i due istituti saranno impegnati a garantire un servizio accurato, mettendo in atto quanto stanno imparando nell’arte dell’accoglienza.

Per info: www.terredivite.it, mail info@terredivite.it, cellulare 338 5474185