InvecchiatIGP - Torre a Oriente - Campania IGP Falanghina "Liéo" 2017


di Luciano Pignataro

Che la Falanghina abbia possibilità di invecchiamento è una di quelle frasi che qualche anno fa il generale del “verso giusto” avrebbe inserito fra gli esempi del “mondo al contrario”. Se ne beveva tanta e con voluttà a pochi mesi dall’imbottigliamento e ancora oggi gran parte della produzione tende ad essere venduta prima che inizi la vendemmia successiva. Ma non sono pochi i produttori che si stanno dedicando al viaggio nel tempo con questo vitigno, al pari di quanto ormai si fa con il Fiano di Avellino e, in misura minore, con il Greco di Tufo. Il suolo vulcanico e le escursioni termiche sono comunque due precondizioni per ottenere vini capaci di affrontare questo tema.


Dopo Fontanavecchia a Torrecuso, ecco allora un’altra azienda, Torre a Oriente di Patrizia Iannella, siamo sempre nello stesso comune alle falde del Taburno in provincia di Benevento, che propone un Falanghina con tempi più lunghi. Per la verità lo fa da tempo con una etichetta, il Biancuzita, nome dialettale della stessa uva: viene infatti proposta a un anno dalla vendemmia. Adesso il salto di qualità, l’occasione per la presentazione è stato un progetto chiamato Triodiversità che ha messo insieme il tridente della nostra cultura gastronomica mediterranea: vino, grano e olio in collaborazione con Masseria Roberti e la Cantina Pietrefitte.


Ma torniamo alla nostra Falanghina. Partiamo dal prototipo chiamato 20+1+1 così chiamata perché parte da una vasca della calda vendemmia 2011 lasciata riposare a lungo in via sperimentale per vedere l’evoluzione nel corso degli anni. Noi l’abbiamo provata e dobbiamo dire che è semplicemente perfetta e pimpante come una persona che ha 11 anni che si affaccia al mondo. A parte il prototipo, il nuovo vino, chiamato Lieo, si affaccia in commercio con l’annata 2017: fresca, ricca, con sentori di frutta croccante e di note balsamica, al palato piena di energia, ampia, lunghissima e con una piacevole e precisa chiusura amarognola. Poco più di tremila in commercio per un bianco di sette anni e che sarà replicato solo in alcune annate particolarmente favorevoli.


Insomma, l’ultimo capitolo della bella avventura enologica di Patrizia Iannella, fortemente sorretta dal marito Giorgio Gentilcore, impegnato nel vicino Fortore nella la coltivazione di legumi e delle olive da cui ricava olii extravergine di oliva di pregevole fattura che rientrano nella produzione dell’azienda. Patrizia, agronoma è una donna tenace. E con tenacia oltre venti anni fa riuscì ad imporsi per dare una svolta alla storia di famiglia, decidendo di coltivare i vitigni storici Aglianico e Falanghina secondo le moderne forme di allevamento, riadattando anche gli antichi sistemi di coltivazione. All’inizio fu scontro, soprattutto con papà Mario. Quel papà che piano piano ha finito di abbracciare pienamente la nuova filosofia, continuando a prendersi cura delle vigne fino al giorno della prematura scomparsa.
Una tradizione che Patrizia ha deciso di rendere protagonista anche a tavola, affiancando alla cantina una bella struttura ricettiva che costituisce una tappa gastronomica sannita da non perdere.

G.R.A.S.P.O. con Slow Food Roma a tutela delle viti centenarie e dei vigneti storici


Potrebbe essere un caso che solo a qualche giorno della partecipazione di G.R.A.S.P.O. (Gruppo di Ricerca Ampelografica per la Salvaguardia e Preservazione dell’Originalità Viticola) al 45mo Congresso Mondiale della Vite e del Vino dell’O.I.V. a Digione in Francia, la stessa importante Organizzazione ritenga opportuno definire il concetto di vecchie viti e di vigneto storico, concetti che da sempre sono al centro dell’azione di G.R.A.S.P.O. come testimoniato nella relazione portata al congresso. L’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (O.I.V.) è un’istituzione intergovernativa a carattere scientifico e tecnico operante nel settore della vite e dei prodotti derivati, fondata nel novembre del 1924 da Italia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Tunisia, Ungheria, Grecia e Portogallo.


L’O.I.V. rappresenta oggi 50 Stati membri, non soltanto Paesi produttori di vino, ma anche Paesi consumatori, interessati a conoscere e comprendere quello che avviene nel mondo enologico. Nella sua recentissima risoluzione 703-2024 vengono infatti dati gli indirizzi agli stati membri per la definizione e la tutela di questo importane ed insostituibile patrimonio viticolo.


Vengono infatti evidenziati i vantaggi ambientali, sociali ed economici delle viti vecchie e dei vigneti vecchi, in particolare dal punto di vista culturale e del patrimonio, nonché in termini di immagine e di potenziale sviluppo dell’enoturismo, nonché per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità del settore vitivinicolo, tutti temi sviluppati da G.R.A.S.P.O. anche in occasione del convegno organizzato da MUVIM a Verona sui Musei internazionali del vino.


Per questo anche a Roma presso lo Spazio Fare in occasione di Incontri di Vini coordinati da Andrea Petrini per Slow food Roma, G.R.A.S.P.O. ha voluto sottolineare in premessa gli obiettivi che l’Associazione si è data. I particolare spiegando come le viti vecchie, esistenti in un’ampia varietà di contesti climatici e di terroir, dimostrano l’efficacia delle pratiche viticole sostenibili. Esse rappresentano un esempio di successo in termini di resilienza e adattabilità ai cambiamenti dell’ambiente circostante e contribuiscono anche alla conservazione dei paesaggi viticoli tradizionali e storici e preservano una identità genetica che può tornare molto utile in un contesto climatico in forte evoluzione.
Dato che solo pochi vigneti arrivano a invecchiare, gli studi che si concentrano sui fattori che determinano la longevità e le potenzialità produttive sono limitati, esiste quindi ampio spazio per ulteriori ricerche, specialmente al fine di indagare i fattori che favoriscono la longevità e un rapporto stabile tra resa e qualità sopratutto testando in campo le antiche varietà oggi dimenticate relegate solo in qualche vetusto campo di conservazione.


Così l’appuntamento romano di G.R.A.S.P.O. è stata un’occasione importante per ascoltare dal custode Gianmarco Guarise la cura della piantata ultracentenaria di Urbana vicino a Padova dove la Vernazola, antico vitigno veneto, è maritata al salice o della vecchia vite di Roter Hoertling che troneggia sulla piazza di Margreid in Alto Adige da 423 anni.


Solo alcune delle incredibili storie di vecchie vigne e dei loro testardi custodi che G.R.A.S.P.O. racconta nel suo ultimo libro: 100 Custodi per 100 vitigni. Un libro tutto da bere perchè per ogni vitigno raccontato è possibile finalmente anche degustarne il vino frutto delle tantissime microvinificazioni in purezza realizzate dall’Associazione. Ciò che oggi rende veramente emozionante partecipare a queste esclusive esperienze sono i legami, le connessioni, le parentele di fatto gli incroci naturali che in migliaia di anni la natura, il caso o la sensibilità dei vignaioli più attenti hanno concorso a realizzare.

Si tratta di storie a volte mai scritte e sicuramente mai finite, fino ad oggi, nei calici.

Così Uva Gatta, Cenerente e Gambugliana scorrono per la prima volta in successione raccontando i loro forti legami parentali quasi da nonna, madre e figlia, una effettiva verticale generazionale in chiave Berica. Per non parlare degli incroci pericolosi, ma naturali, che partono da due varietà molto antiche e prolifiche come il Liseiret e la Quaiara che rispettivamente sono storici genitori di due varietà importantissime come Chardonnay e Glera ma che la natura ha voluto casualmente combinare generando una varietà originalissima come la Piccola Nera ritrovata da G.R.A.S.P.O.a Muggia vicino a Trieste.


O il percorso di salvaguardia e tutela fatto da Edoardo Ventimiglia di Sassotondo per un antico vitigno toscano il Nocchianello lavorando in sinergia con il CREA di Arezzo coordinato da Paolo Storchi.


Questi solo alcuni esempi di come i grossi progressi di conoscenza maturati recentemente sulla biodiversità e sull’evoluzione varietale viticola si devono ai nuovi strumenti di analisi messi a disposizione della ricerca dallo studio del DNA. Questi importanti progressi sono frutto di un grande lavoro di squadra, in cui i viticoltori custodi e le collezioni di germoplasma rappresentano un tassello fondamentale dando oggi ai produttori informazioni preziose per rigenerare la storia dei vitigni italiani.

Testimonianze vive che GRASPO sta portando in tutta Italia.

InvecchiatIGP: Cantina Sociale Barbera Sei Castelli - Barbera d’Asti Superiore Nizza 2012


di Carlo Macchi

Le cooperative in Piemonte non hanno mai avuto vita facile e la Sei Castelli è veramente una mosca bianca, specie nel territorio dell’Astigiano. Stiamo parlando di una cantina che raccoglie migliaia e migliaia di ettolitri di vino, al 90% barbera, lo vinifica e poi lo vende sfuso a tantissime cantine, sociali o meno. Anche se lo sfuso riesce a far quadrare il bilancio da circa 20 anni è partito un progetto di selezione dei migliori cloni di barbera che oggi ha portato da una parte ad un’ottima Barbera dal nome evocativo di Risveglio della Vite e dall’altra ad un museo particolarissimo, dove le barbatelle prendono vita e colore e portano lo stupito visitatore a fantasticare su animali e mondi fantastici.


Seduti accanto a queste “barbatelle di mondi e animali fantastici”, una bella serie di assaggi assieme all’enologo Enzo Gerbi ci avevano presentato un quadro molto positivo sul livello del loro imbottigliato (una minimale parte rispetto allo sfuso e quindi selezionato con grande attenzione), quando Enzo ha detto “Ma perché non proviamo un Nizza di qualche anno?”


Dovete sapere che tra me e il Nizza non è mai corso buon sangue: quasi sempre dosi pantagrueliche di legno nascondono delle ottime barbera e anche se negli ultimi anni le cose sono cambiate l’amore non è mai sbocciato. In più l’annata scelta è stata la 2012, tra le più calde degli ultimi 20 anni: tutto questo mi metteva in allarme ma come potevo dire di no?


Si stappa, lo mettiamo nel bicchiere e comincio a recitare il mea culpa: NON sento sentori cotti, NON sento legno mal dosato, ma anzi trovo prima note fruttate polpose e fresche e poi addirittura sentori floreali. In bocca spicca (e siamo nel 2012) la freschezza del vitigno ben amalgamata a tannini dolci e mai disturbata dall’alcol. Mentre parliamo lo teniamo nel bicchiere per una mezzoretta e più volte mi scopro a berne un sorso, così, per puro piacere. Un vino che, oltre a farmi capire che alla Sei Castelli lavorano bene da anni, mi ha tolto alcuni preconcetti sul Nizza. Quindi devo ringraziare questo Nizza 2012 e naturalmente Enzo Gerbi, che non solo l’ha fatto ma me l’ha fatto assaggiare!

Monsupello - Vino Spumante Metodo Classico Cuvée Ca’ del Tava


di Carlo Macchi

Questa cuvée di pinot nero (60%) e chardonnay per metà vinificato in legno non esce tutti gli anni ma uno vorrebbe berla tutti i giorni. 


Al naso il timbro del pinot nero è importante ma in bocca la finezza dello chardonnay dice la sua. Naso complesso, sorso pieno e suadente, una liquida goduria!

Greek Wine Day: alla scoperta del vino greco in Italia


di Carlo Macchi

Di solito delle manifestazioni si parla prima ma della terza edizione del Greek Wine Day, che si è svolto il primo novembre a Firenze nelle sale dell’Hotel Albani, è sicuramente meglio parlarne dopo per una serie di motivi che, come dicevano un tempo in televisione, vi vado a presentare.



Fegato

Chi organizza manifestazioni sul vino lo sa quanto sia difficile coinvolgere produttori, ancor di più se questi devono arrivare dall’estero. Se poi la nazione dove si svolge la manifestazione non è storicamente una importatrice dei vini di quei produttori gli organizzatori si trovano davanti, visto che si parla di Grecia, ad una mitologica serie di fatiche di Ercole. Ho detto organizzatori? Mi sono sbagliato, volevo dire organizzatore, cioè il nostro Haris Papandreou che di mestiere fa tutt’altro ma è un grande appassionato di vino e soprattutto grande sostenitore dei vini della sua terra. Per questo, per riuscire a portare in Italia 20 produttori greci credo gli siano serviti almeno altrettanti fegati. Lo posso testimoniare dopo ripetute telefonate in cui Haris si sfogava con me per una infinita serie di problemi, tutti poi brillantemente risolti.

Produttori

Fegati a parte il lavoro che ha fatto Haris è stato veramente notevole perché ha portato produttori da ogni parte della Grecia, partendo dalla Tracia a nord e, passando per Santorini, arrivando fino a Creta. Attenzione, a parte il caso di un produttore che si è dovuto operare di urgenza tutti gli altri erano presenti a Firenze, anche se molti non avevano importatori italiani. Abbiamo quindi potuto assaggiare vini mai visti e conosciuti.

Location

Oramai le manifestazioni sul vino sono eventi e si svolgono rigorosamente in una location: quella dove si è tenuto il Greek Wine Day era veramente adatta. Sala molto grande e ben illuminata a 100 metri dalla stazione centrale di Firenze. Un luogo perfetto per la degustazione, anche con spazi dove potersi rilassare e sedere.

Vini

Oltre 120 etichette in degustazione sono un numero troppo grande per poterle degustare tutte e quindi ognuno ha fatto le sue scelte. Personalmente mi sono concentrato sui bianchi con alcune digressioni finali sui rossi.


In generale, i bianchi greci non hanno niente da invidiare a quelli italiani, specie per quanto riguarda ciò che adesso va più di moda, cioè freschezza, sapidità, aromaticità netta ma non eccessiva. Il primo vino/vitigno che viene in mente è l’assyrtiko che fa rima con Santorini, ma durante la degustazione ho assaggiato degli ottimi bianchi a base di vidianò e malagousia. La media, specie per gli assyrtiko è indubbiamente alta, come purtroppo è alta l’incidenza della “voglia di strafare per mettersi in evidenza”, cosa che accade pure in Italia. Quindi bianchi ovattati da dosi inutili di legno, anfore utilizzate solo per poterlo dire, fermentazioni troppo spinte con risultati risibili, facevano da contorno a tanti ottimi bianchi, fatti con grazia e semplicità. 


Ma le eccezioni alla voglia di strafare c’erano e proprio di una queste è giusto parlare, il Blanc des Coteaux 2022 di Thymiopoulos, un uvaggio tra assyrtiko, malagousia, vidianò e aidani maturato in anfora. Un vino finissimo e complesso, di rara pienezza e austerità, che mi ha lasciato veramente a bocca aperta. Sul fronte dei rossi, fermo restando l’importanza dello xinomavro che però trovo quasi sempre con tannini un po’ troppo rustici, voglio parlarvi di quello che potrei definire il pinot nero della Grecia, il Limnio, in particolare nella versione 2019 della cantina Anatolikos. Naso con bel frutto ma soprattutto corpo setoso, equilibrato, rotondo ma con giusta freschezza. I tannini ci sono ma non si sentono e l’insieme sprizza eleganza da tutti i pori. Un rosso moderno e godibilissimo.

Ressa

Uno dei pregi della manifestazione, che ha avuto come importante partner FISAR, è stata la creazione del numero chiuso per i biglietti; quindi, in sala c’era gente ma la ressa di manifestazioni come Merano è stata evitata fin dall’inizio. Quindi tanti buoni motivi a posteriori anche per sperare (fegati di Haris permettendo) in una quarta edizione.

InvecchiatIGP: Mila Vuolo - Colli di Salerno IGT Aglianico 2010


di Roberto Giuliani

Per un certo periodo sono stato in bilico tra preferire l’olio o i vini di Mila Vuolo, vignaiola salernitana che da alcuni anni presenta i suoi prodotti a Terre di Vite.
Poi mi sono reso conto che certe derive mentali me le potevo risparmiare, poiché quei due frutti della terra così diversi, raccontano lo stesso linguaggio, sono figli della stessa mano e quando li assaggi te ne rendi subito conto.


Mila Vuolo ha iniziato a produrre vino con l’annata 2003, la prima veramente siccitosa e difficile da gestire, tanto più con piante davvero giovani. Per primo arrivò l’aglianico, poi il fiano, sotto il controllo dell’enologo Guido Busatto; erano tempi in cui regnava ancora la concezione del rosso opulento, carico di colore e intenso nel gusto. C’è da dire, però, che già il Montevetrano di Silvia Imparato aveva dimostrato ampiamente che si può fare un vino corposo ma anche elegante, facendo da apripista nel territorio cilentano e non solo (anche se in questo caso l’aglianico era presente all’inizio per il 30%, affiancato dal cabernet sauvignon al 70%, in seguito ridotto al 10% per fare spazio a un 20% di merlot).


Mila ha scelto da subito la strada del monovitigno, concentrando l’attenzione sull’aglianico, cercando di farlo emergere con le proprie caratteristiche e lavorando per renderlo il più possibile armonico. La versione 2010, prodotta in soli 6200 esemplari, mostra un pedigree ancora integro, i 14 anni dalla vendemmia non svelano cedimenti preoccupanti, è un aglianico aperto, dal colore granato di buona intensità e dal bouquet che rivela un frutto maturo ben sorretto dall’acidità e da un tannino perfettamente integrato. Narra di prugna e tabacco scuro, cuoio, viole macerate, un velo di carne affumicata, tracce agrumate, in un contesto vivo che si schiude con decisione man mano che si ossigena nel calice.


Impressionante la freschezza che restituisce, una vena balsamica che cancella qualsiasi pesantezza al sorso, lasciando una sensazione ariosa, una bellissima interpretazione del più noto vitigno a bacca rossa campano. Da goderselo con dei saporiti fusilli alla cilentana.

Aganis - Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso 2023 Po’ Folc


di Roberto Giuliani

Aganis è un progetto della famiglia Cecchetto, già proprietaria di Ca’ di Rajo nel Trevigiano. 


Questo Refosco Po’ Folc (poi il fulmine) è decisamente riuscito, profuma di viola, iris, ribes, liquirizia e in bocca tira calci (acidità e tannino) e abbracci (frutto tornito) in perfetta sintonia.