Rosso Calabria: tutti i colori del Cirò - Garantito IGP


Di Luciano Pignataro

Rosso Calabria per mettere i piedi sullo Jonio, dove si coltiva il gaglioppo per fare Cirò. Una bella manifestazione per tornare nella nostra amata Calabria, il gigante che si sta risvegliando e che, ne siamo sicuri, ci riserverà tante belle sorprese.
I presupposti a ben vedere, ci sono tutti. Ancora una volta la degustazione di rossi che ho condotto ha dimostrato alcune certezze inconfutabili.

Quali?

Primo, pur nella diversità di interpretazioni, il Cirò, soprattutto se ottenuto da gaglioppo in purezza, ha un profilo visivo, olfattivo e gustativo facilmente riconoscibile, ben delineato e leggibile anche da chi non ha mai fatto una sola lezione di approccio al vino. Questa caratteristica è propria di tutte le grandi aree vitivinicole e conferma, se pure ce ne fosse bisogno, della qualità di questo vino.

Secondo, pur nella diversità delle interpretazioni, i sei produttori non solo non hanno stravolto le caratteristiche proprie del Cirò da gaglioppo, ma hanno anche maturato una linea comune che decisamente in direzione del gusto moderno: legni ben bilanciati, nessuna dolcezza, tanta freschezza.

Terzo, il Cirò per i suoi accenni salini e salmastri, la sua spiccata acidità che lo rende praticamente immortale, è un bicchiere che ben si accompagna con il cibo.

Quarto, il Cirò in una sola parola riassume tutte quelle caratteristiche che i vini non dovevano avere dopo la parkerizzazione dell’Europa ed è per questo che a noi piace tantissimo, perché ci regala ricordi e tipicità di valore assoluto.

Quinto, bere Cirò significa dunque compiere un atto dovuto e giusto, esprimere un sentimento di gratitudine verso chi mantiene viva in modo moderno una tradizione antichissima senza arroccarsi in vacue ideologie, ma tenendo ben presente il risultato finale.


Ed ecco i vini provati in degustazione.

Fezzigna - Melissa Rosso "Caraconessa" 2016  
La DOC che fu rilanciata da Librandi in una memorabile cerimonia in cui era presente anche Gino Veronelli. L’unico vino con gaglioppo e greco nero. Colore appena appena un po’ più concentrato rispetto agli altri. Voto ***

Vulcano - Cirò Rosso "Cordone" 2016
Buona freschezza e tanto equilibrio al palato per un vino ricco di energia e piacevole. Voto ****

Dell’Aquila - Cirò Rosso Classico Superiore "Gemme" 2016 
Altro rosso in buon equilibrio, sapidità e acidità al palato. Voto ***

‘A Vita - Cirò Rosso Classico Superiore 2014
A quattro anni dalla vendemmia il rosso di Francesco De Franco inizia il suo lungo cammino per sfidare il tempo. Ricco di suggestioni olfattive, di buon corpo. Compagno di vita. Voto *****

Sergio Arcuri - Cirò Rosso Classico Superiore Riserva "Più Vite" 2012
Altro Cirò boys, stavolta in pista con un riserva che più giovane di così non si può. Beva magnifica e dissetante. Voto*****

Tenuta del Conte - Cirò Rosso Classico Superiore 2014
Altra piccola azienda, molto adesiva alla idea del Cirò classico e dunque decisamente moderna. Un bel sorso sapido e prolungato, chiusura netta e pulita. Voto *****


Conclusione? Beh, quello che mi piace del Cirò rosso, tra l’altro, è proprio il colore che rende possibile attraversarlo sino al fondo del bicchiere. Ecco, se non ha questo coloro, come diceva Totò, desisti.

De' Gaeta - Irpinia Campi Taurasini 2013 è il Vino della settimana di Garantito IGP

DI Luciano Pignataro

Riproviamo con piacere dopo un paio d'anni questo aglianico durante una "susciata". No, non una soffiata, ma una mangiata a un ristorante giapponese. Ci colpisce la vitalità, il colore ancora rosso rubino brillante, le note di frutta e la freschezza al palato. 


Un piccolo gioiellino, poco conosciuto, uno dei tanti che l'Irpinia è capace di regalare in silenzio a chi sa ascoltare le sue parole.

Primosic - Collio Pinot Grigio “Skin” 2015 è il Vino della settimana di Garantito IGP


di Carlo Macchi

Il Macchi che parla di un vino macerato? Un vino con 3.8 di acidità e 3.8 di PH? Un vino incredibile con dati analitici incredibili? Un vino che si beve a guardarlo? 


Un vino profumatissimo, rotondo, armonico, di una piacevolezza stratosferica? Si, ne parlo. Provatelo e ne parlerete anche voi!

Ristorante Alla Borsa: a Valeggio sul Mincio c'è un approdo sicuro! - Garantito IGP


di Carlo Macchi

Sarà la vecchiaia, sarà la mia cronica disattenzione ai nomi o semplicemente la memoria che se ne sta andando, ma sbaglio sempre il nome di uno dei locali più concreti, affidabili e gastronomicamente ineccepibili del globo: La Borsa a Valeggio sul Mincio. La chiamo regolarmente La Posta e tutte le volte ci faccio una figura barbina perché naturalmente nessuno capisce a cosa mi sto riferendo.

Foto: ristorantivaleggio.it

Però una spiegazione me la sono data: per me il ristorante che Nadia Pasquali dirige con una gentilezza ed una bravura che sconfina verso la perfezione è una “Posta” nel senso antico del termine: un luogo sicuro, un approdo dove il viandante affamato può ristorare il corpo e la mente. E la Borsa (questa volta non sbaglio!) è un approdo sicurissimo con belle sale ariose ed un giardino che da solo, specie in estate, vale il viaggio.

Nadia

Siamo a Valeggio sul Mincio, tra Verona e Mantova, terre grasse e gustose per la gastronomia e la cucina della Borsa le rappresenta entrambe con però un “Must” che tutti conoscono ma a cui bisogna, inchinandosi, dare il giusto spazio: sto parlando del Tortellino di Valeggio, lo stesso che alla Borsa si chiama Nodo d’amore.
Questo nodo alla Borsa va sicuramente sciolto e ancora meglio per voi sarà sciogliere una serie di nodi, almeno tre: per primi arriveranno i tortellini di carne al burro e salvia, seguiti a ruota dai tortelli ricotta e erbette e dagli immancabili tortelli di zucca.

foto: Tripadvisor.it

Queste tre versioni, tenendo ferma la prima, possono variare ma non varierà assolutamente la bontà di un tris che da solo potrebbe essere un pranzo e spesso lo è perché le porzioni della Borsa non sono certo da nani anoressici.
Una menzione a parte valgono i tortellini “nodo d’amore” sposati al brodo di manzo e cappone: ve li consiglio anche con quaranta gradi all’ombra!

Tortellini “nodo d’amore - foto: Tripadvisor.it

Ma non di solo tortellino vive l’uomo e quindi la Borsa ha molti altri piatti: tra i primi troverete ottime tagliatelle, tra i secondi la faraona al cartoccio e l’anatra ripiena all’arancia ed un altro must del locale, le patatine fritte! Avete capito bene, patatine fritte: però come quelle che escono dalla cucina della Nadia non le avete mai gustate, fidatevi. 
Molto interessanti in estate sono anche le insalate sia di verdura che di frutta, mentre in inverno sarà il momento del baccalà con la polenta e se siete fortunati troverete un ottimo luccio in salsa, ma solo in determinati periodi dell’anno.

Insalata

Una buona carta dei vini, molto attenta alle realtà locali e con ricarichi più che giusti vi permetterà una scelta sicura. Insomma, il mio approdo sicuro è veramente un posto da non perdere, anche perché la Borsa non farà sicuramente male alla vostra borsa perché prendendo antipasto, primo e secondo starete comunque sotto ai 50 euro (vini esclusi).

Ristorante Alla Borsa
Via Goito 2,  Valeggio sul Mincio  (VR)
Tel.045 795 0093 
email: info@ristoranteborsa.it


Roagna - Barbaresco Pajè 2011 è il Vino della settimana di Garantito IGP


di Roberto Giuliani

I vini di Luca Roagna costano cari, come quelli di Roberto Conterno o di Mauro Mascarello. Ma se non ci fossero dovremmo inventarli, perché senza di loro un pezzo di storia fondamentale verrebbe a mancare. 


Il Barbaresco Pajè 2011 ne è un perfetto esempio: sontuoso, profondo, infinito, puro, sussurrato.

Enrico Crola, Colline Novaresi Nebbiolo Giulia (Riserva) 2009 - Garantito IGP


di Roberto Giuliani

Enrico Crola non è più una sorpresa, a Mezzomerico, nel cuore delle Colline Novaresi, è diventato uno dei massimi rappresentanti della nuova generazione di viticoltori illuminati, capace di fondere al meglio l'esperienza del passato con le nuove tecnologie. La sua recentissima cantina è un esempio di efficienza e, allo stesso tempo, di attenzione all'ambiente, il concetto di "dispersione" qui non esiste, tutta la struttura è stata concepita per garantire un rapporto ottimale fra suolo, edificio, sole, energia. L'uva deve arrivare in cantina nelle migliori condizioni possibili e non subire alterazioni durante tutto il processo di lavorazione.

vigna

Il Nebbiolo Giulia 2009 è dedicato alla figlia, quindi prima annata in commercio, ma anche prima annata che ha subito un duplice percorso. Infatti una parte è maturata solo in acciaio ed è stata messa in commercio a partire dal 2011, mentre un'altra è stata trasferita in barrique di secondo passaggio dove è rimasta fino ad agosto 2016, ovvero 6 anni abbondanti, poi ha traslocato in botte grande dove ha sostato per un altro anno, a ottobre 2017 è stata imbottigliata.

cantina

Non c'è stata premeditazione al 100%, Enrico non aveva riferimenti quando ha fatto questa scelta, lo scopo era, tenendo conto dell'ottima qualità dell'annata, provare a vedere come si sarebbe comportato in legno; gli assaggi effettuati durante il trascorrere degli anni lasciavano ben sperare, ecco perché il vino è rimasto così a lungo. A tutti gli effetti è una riserva, ma in etichetta non può essere specificato perché la Doc Colline Novaresi non prevede la menzione. È il caso anche di ricordare che si tratta di un nebbiolo al 100%, visto che il disciplinare consente fino al 15% di altri vitigni autorizzati dalla Regione Piemonte.


Nel calice si offre di un classico colore granato caldo, come solo il nebbiolo sa dare; il bouquet mette subito in evidenza come il legno sia stato perfettamente assorbito, a tutto vantaggio di una complessità superiore, che si manifesta nelle note speziate di ginepro, cannella, liquirizia, pepe, cuoio, che si fondono a un frutto maturo e intenso, non mancano effluvi floreali, intarsi mentolati, richiami a foglie e muschio, con una chiusura che rivela le basi del futuro goudron.
Sorprendente la tenuta al palato, quella freschezza che ben si percepiva nella versione in acciaio, qui non ha perso grinta, mentre il tannino pur ingentilito rimane con il carattere da nebbiolo, nato per conquistare il tempo e piegarlo al proprio volere. Un vino eccellente, di grande eleganza e persistenza, che dimostra le notevoli potenzialità di casa Crola.

Il vino del Lazio tra speranze e naturalità

Il vino del Lazio, lo sappiamo un po' tutti, non gode di grande fama e questo lo possiamo facilmente desumere sia sfogliando le guide di settore, dove i premi sono ridotti al lumicino, sia parlando con la maggior parte dei ristoratori/enotecari di Roma e provincia che, non esenti loro stessi da colpe di carattere comunicativo e commerciale, ne vendono davvero poco e di non eccelsa qualità.


Eppure il vino del Lazio, tanto tempo fa, non era così male, evito di citare per la milionesima volta ciò scriveva Columella ma, senza scavare troppo nella notte dei tempi, è interessante soffermarsi su ciò che scriveva Salvatore Mondini* nel 1899:"Nel Velletrano e nei Castelli romani si coltivano le vigne intensamente, in terreni d’origine vulcanica. I vini che se ne ottengono sono robusti, sapidi e conservabili; e se ne aiuta la conservazione facendoli passare a primavera dalle cantine sopra terra, o tinelli, in ottime grotte sotterranee. (....) A questo primo gruppo di vigneti appartengono anche quelli del Suburbio di Roma, ora più estesi che nel passato; i quali danno prodotto meno pregiato di quello dei Castelli romani, principalmente a causa delle colture orticole che vi si intercalano in abbondanza. La natura vulcanica dei terreni impartisce ai vini dei Castelli romani caratteri speciali, che acquistano pregio con l’invecchiamento e li rendono ottimi anche pei buongustai più esigenti. 
Il secondo centro di produzione vinicola è costituito principalmente dal Viterbese, dove la coltura della vite non è così fitta ed intensiva come nei Castelli romani, ma è quasi sempre a palo secco; e le strisce di terreno, che si lasciano tra un filare e l’altro, sono assai strette. Prevalgono le uve bianche; le cantine sotterranee sono meno numerose, ma tuttavia i vini ben fatti si conservano facilmente. 
Il terzo gruppo è costituito dal circondario di Frosinone, confinante colla provincia di Caserta, dove le viti sono principalmente coltivate maritate agli alberi. I vini, che se ne ottengono, sono ordinariamente buoni e conservabili nell’inverno. (…) un notevole aumento nelle piantagioni di viti nella provincia di Roma, si è verificato in questi ultimi anni lungo il litorale marittimo e specialmente presso Civitavecchia, Nettuno e Terracina. 
I vini del Lazio in generale si possono classificare in vini secchi e in vini pastosi o alquanto dolci. Il più importante mercato pei vini di questa regione è la città di Roma, dove sono ancora preferiti, ed un tempo erano anche molto ben pagati, i vini dolci, volgarmente detti pastosi o sulla vena.»


Qualche anno prima, Camillo Mancini nel testo "Lazio Viticolo e Vinicolo" descriveva così alcune gemme del Lazio:
  • il Cesanese, specie quello castellano, che regge il confronto con il pinot nero da cui si possono ottenere vini comparabili alle migliori produzioni del Bordeaux
  • l’Aleatico di Gradoli
  • discreti anche i moscati
Inoltre, proseguiva, “già qualcuno si industria di fabbricare dello champagne”, non con grande successo a parere dell’autore, e “Interessante anche la produzione di vermouth che potrebbe diventare un’ottima industria per molti paesi del Lazio”.

E allora, perchè nel Lazio ci siamo persi? Beh, la risposta la fornisce lo stesso Mondini che, a termine delle sue disquisizioni, già al tempo potrebbe aver capito un problema nascente: "(....) se i vini del Lazio fossero fabbricati bene ed accuratamente conservati, non vi è dubbio che la loro composizione ed i loro caratteri organolettici li farebbero classificare fra i migliori prodotti in Italia. Disgraziatamente però, tanto la fabbricazione che la conservazione del vino lasciano molto a desiderare, e tranne alcune eccezioni, la massa dei produttori è ancora assai lungi dall’avere adottato quelle pratiche, che altrove hanno fatto ottima prova".


Per uscire da queste sabbie mobili c'era bisogno di una scossa, probabilmente di un cambio generazionale che portasse con sé nuove idee e voglia di rischiare. Non è stato facile e, ancora oggi, parliamo di una nicchia, ma c'è un gruppo di produttori, spesso giovani, che sta cercando di dare nuovo impulso alla viticoltura della Regione cercando, in maniera "naturale", di rispettare in cantina quanto di buono ha dato la Terra. Per capire a che punto siamo arrivati è stata Palazzo Tronconi, assieme a Sandro Sangiorgi, hanno organizzato un seminario dove sono stati invitati dieci vignaioli della "nouvelle vague" del vino del Lazio. Dieci i vini degustati, cinque bianchi e cinque rossi, rigorosamente alla cieca. 

Di seguito le mie note di degustazione:

Inizialmente è pungente poi col tempo e la giusta ossigenazione si apre sferzando il naso con ventate di frutta gialla estiva e succosa contornata da sensazioni di fiori di camomilla. Si beve senza problemi grazie ad una freschezza e una sapidità decisamente corroboranti. Un vino centrato e diretto che, scoperto, si è rivelato essere il Convenio "Malvasia Puntinata" 2017 di Casale Certosa

Dal colore, un giallo quasi ambrato, capisco che lo stile di questo vino tende all'ossidazione e il corredo olfattivo, tutto frutta secca, terra e fiori gialli secchi, non fa che confermare, spero, le mie aspettative che sono superate alla gustativa dove il vino si fa apprezzare per grande equilibrio, sostanza e deciso allungo sapido. Un vino che, scoperto, si è rivelato essere Arcaro 2016 dell'azienda D.S. Bio (100% maturano).

Col terzo vino non ci siamo proprio, è scomposto, inespresso, con sensazioni aromatiche "perose" che fatico a comprendere. Lo bevo e se non sapessi che è vino direi che, forse, è una buona birra artigianale sperimentale. Una volta rivelato ci sono rimasto male perchè l'etichetta era quella del Ribelà Bianco 2017 (malvasia, trebbiano, bombino) Fortunatamente è un vino non ancora in commercio e, fossi stato nei produttori, non lo avrei portato in degustazione visto quanto ancora è indietro. P.s.: di Ribelà ho degustato in passato ottimi vini e questa, fortunatamente, è solo un'eccezione!

Foto: Sara Hoehn

Il quarto vino mi ha messo in difficoltà appena messo il naso nel bicchiere per via di una volatile decisamente sopra le media che, a mio giudizio, tendeva a mettere un coperchio piuttosto pesante alla complessità olfattiva di questo nettare che, scavando scavando, si componeva di tante sfumature fruttate e vegetali. Sorso molto rustico, qualcuno direbbe "buccioso", ma la tanta materia a disposizione viene ben gestita da una carica acido/sapida davvero interessante. Un vino anch'esso giovane che promette bene. Trattasi del Costa Fredda 2016 (100% passerina) di Carlo Noro.

Il quinto bianco parte anch'esso con una carica olfattiva sulfurea che, inizialmente, tendeva a sopraffare ogni altro aroma del vino che, fortunatamente, col tempo si apre svelando tutta la sua carica meterica composta da sensazioni di cera e agrumi che si fondono con soffi minerali e di erbe aromatiche. La bocca è graffiante, tesissima e ricca di sapidità. Forse il miglior bianco della batteria. Trattasi del Donna Rosa 2015 (100% passerina) di La Visciola.

La batteria dei rossi si apre con questo vino gioviale grazie alle sua carica aromatica di fruttini rossi leggermente surmaturi che, leggermente freddo come ci è stato servito e mancando quasi totalmente di tannino, tende all'irresistibilità di beva. Probabilmente nessuna guida avrà il coraggio di recensirlo ma, vivaddio, questo è un vino che sa di festa, amici e tanti taglieri di salumi. Trattasi, una volta svelato, del Zitore 2016 (100% lecinaro) di Palazzo Tronconi.

Il rosso successivo, appena lo versano, lo riconosco alla cieca almeno per quanto riguarda la zona. E' color granato, sa di erbe aromatiche, terra nera, radici, macis, piccoli frutti rossi. Al gusto fa venire i brividi per gusto, carattere, equilibrio e profondità. Un rosso stupendo fatto da chi ha trovato la quadratura del cerchio. Non poteva non essere il Cirsium 2015 (100% cesanese) di Damiano Ciolli. Nota: vino ancora non in commercio.


Foto: Sara Hoehn

Terzo rosso e terza sorpresa positiva. Davanti a me un vino straordinariamente espresso, almeno inizialmente, e dotato di un corredo aromatico di rara eleganza dove ad un attacco ciliegioso seguono note di viola, erbe aromatiche fresche e profonde sensazioni minerali. Al sorso mi scompiglia i sensi grazie ad una bocca fresca e succosa, ad un corpo apparentemente snello ma gustoso, tannini di buona estrazione e finale lungo e sapido. Se dovessi trovargli proprio un difetto riguarda la tenuta nel bicchiere: dopo un'ora il vino mi è sembrato sedersi leggermente ma siamo di fronte ad un (quasi) capolavoro. Trattasi del Rosso 2016 (sangiovese e grechetto rosso) di Podere Orto.

Il quarto rosso anch'esso è inconfondibile una volta che avvicini il naso al bicchiere da cui emergono, emozionanti, toni di confettura di visciole, gelso, pepe, viola sotto spirito, cioccolato bianco. Piacevolissimo all'assaggio, mai banale o seduto grazie ad una acidità sferzante che rende la beva irrefrenabile grazie anche ad un finale gustoso e pulito. Anche alla cieca non potevamo non riconoscere l'Alea Viva (100% aleatico) 2016 di Andrea Occhipinti

L'ultimo rosso della giornata è probabilmente quello più "crudo" della batteria, c'è un mare molecole odorose che aspettano solo il tempo per districarsi da questa matassa aromatica che promette ma, al tempo stesso, sembra abbandonarti. Al palato è ancora esuberante, graffiante, distratto ma il degustatore attento non può non accorgersi di questa materia gustativa affascinante ma al tempo stesso adolescente che sembra dirti "ciao, ci vediamo tra qualche anno se vuoi uscire con me". Il vino è un altro grande Cesanese di Olevano Romano ovvero è il Calitro 2015 (100% cesanese) di Cantine Riccardi Reale.


Foto: Sara Hoehn

Dovendo tirare le somme direi che, limitatamente a questa serata dove alcuni vignaioli hanno giocato non presentando i loro vini di punta, il Lazio che in tanti vedono come una Regione bianchista mi ha invece sorprese per i suoi rossi che ho trovato più inquadrati da un punto di vista aromatico e, soprattutto, di maggiore lettura territoriale. Il risultato comunque è abbastanza convincente e io, pur toccando ferro, comincio a crederci veramente....

*Salvatore Mondini, Produzione e commercio del vino in Italia, Ulrico Hoepli, Milano 1899

Tenute Cuffaro - Sicilia Bianco Doc "Euphrasía" 2016

di Andrea Petrini

A due passi dalla Valle dei Templi ed a pochi chilometri dalla Riserva naturale Torre Salsa nasce queste inzolia in purezza dal carattere mediterraneo i cui ricordi di fiori d'acacia, timo, muschio e salsedine non possono non riportare alla mia amata Sicilia e alle prossime vacanze estive. 


Rapporto q/p decisamente ok! Bella scoperta.

www.tenutecuffaro.it

La riscossa del Vino Nobile di Montepulciano passa anche per l'Associazione Terra Nobile - Garantito IGP

Diciamoci la verità, se tra noi amanti del vino facessimo un sondaggio per capire quanto Nobile di Montepulciano abbiamo comprato e bevuto nel 2017, più o meno, che risposta daremmo? Provo ad azzardare: sguardi estraniati e voci balbettanti sarebbero i riscontri maggiori.



Diciamoci la verità, tranne qualche rara eccezione, a lume di naso la denominazione non è che negli ultimi tempi goda di ottima salute nonostante le enormi potenzialità di un territorio, come quello di Montepulciano, dove si fa vino fin dai tempi degli Etruschi. 
E allora, dove sta il problema? Tirando le somme, a mio giudizio, i grattacapi, tra ipotesi più o meno realisstiche e dati oggettivi, possono essere così riassunti:
  • può sembrare una banalità, soprattutto per gli esperti di vino, ma la confusione tra Montepulciano città e il vitigno montepulciano d'Abruzzo di certo non aiuta e questo soprattutto quando devi spiegare che il Nobile di Montepulciano è a base sangiovese;
  • la forte rivalità con Montalcino e il suo Brunello che, soprattutto negli ultimi anni, è una denominazione che ha conquistato sempre di più più le luci della ribalta, anche mediatica, a sfavore proprio del Nobile di Montepulciano relegato al ruolo di "figlio di un dio minore". Faccio due esempi per capire meglio: durante le Anteprime Toscane di febbraio, vuoi per una migliore organizzazione, vuoi per un mero discorso di "brand identity", non si fa altre che parlare, soprattutto in Rete, di Benvenuto Brunello, grazie anche al carrozzone mediatico che lo segue mentre l'Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano è relegata, anche dagli stessi giornalisti, in un angoletto schiacciata anche dalla Chianti Classico Collection e, a seguire, dalla Vernaccia di San Gimignano. 
  • il Vino Nobile annaspa nei confronti del Brunello anche, e soprattutto, in termini di prezzo. Il Consorzio del Vino Nobile Nobile di Montepulciano riporta un prezzo medio franco-cantina di € 7.50 per bottiglia mentre per il Brunello di Montalcino è stimato di € 20. Anche per acquistare un vigneto le differenze sono enormi: a Montepulciano un ettaro lo si acquista attorno ai 100.000 euro mentre a Montalcino si deve spendere almeno cinque volte di più per acquistare una vigna iscritta a Brunello;
  • la realtà dei grandi imbottigliatori (90 in tutto dei quali 76 associati al Consorzio dei produttori) che, assieme alla cantina sociale, rappresentano oltre la metà della produzione di Vino Nobile che sta invadendo supermercati e discount, soprattutto esteri, con prodotti di scarsa qualità e dal prezzo che fa fatica ad oltrepassare i cinque euro. Come fare, allora, a giustificare un grande Vino Nobile da 20 euro a scaffale in enoteca quando la stessa tipologia la si può trovare al market sotto casa ad un quarto del prezzo? Il consumatore finale può dirsi davvero garantito da queste logiche di mercato che, giustamente, non è tenuto a conoscere fino in fondo?
A tutto questo va aggiunto, forse, il problema maggiore ovvero l'assoluta mancanza di identità territoriale del Nobile di Montepulciano grazie alle recenti modifiche di un disciplinare che permette la produzione del vino, a base di sangiovese (prugnolo gentile), con la possibilità di aggiungere un 30% di vitigni complementari idonei alla coltivazione nella Regione Toscana purché la percentuale dei vitigni a bacca bianca non superi il 5%. In totale, basta scaricare il disciplinare, si possono usare come taglio ben 81 vitigni tra cui, ovviamente, merlot e cabernet sauvignon.
Questa logica, stabilita tutta a vantaggio dei grandi industriali del vino, oltre che a portare a quella che è stata definita "supertuscanizzazione" del Vino Nobile ha contribuito, fatto per me fondamentale, ad avere sul mercato tanti "stili" differenti di vino che, esulando dal territorio, hanno creato quella che ho definito mancanza di identità del Nobile di Montepulciano soprattutto a scapito del concorrente Brunello di Montalcino che ancora oggi, pur lottando, è un sangiovese in purezza.



Diciamoci la verità, le difficoltà, che in maniera anche superficiale ho cercato di sintetizzare precedentemente, sono ben conosciute da tutti gli attori della denominazione tanto che da qualche tempo alcune aziende stanno cercando di dare una scossa creando alleanze ed associazioni complementari al Consorzio. E' il caso, ad esempio, di Alliance Vinum (La Braccesca, Avignonesi, Boscarelli, Dei, Poliziano e Salcheto) che si pone l'obiettivo di dar vita ad un Nobile (senza ulteriori menzioni geografiche) da sangiovese in purezza e, soprattutto, di Terra Nobile che è un'associazione composta da ben 10 aziende (Casale Daviddi, Croce di Febo, Fassati, Il Molinaccio, Metinella, Montemercurio, Podere Casanova, Romeo, Talosa, Tiberini) nata ponendosi obiettivi e regole ben più restrittive rispetto alla precedente avendo sempre come riferimento il ritorno alla tradizione e alla qualità eccelsa del Vino Nobile di Montepulciano.



In particolare Terra Nobile si prefigge i seguenti obiettivi e regolamenti interni che così possiamo sintetizzare: esclusivo utilizzo di vitigni autoctoni minimo 85% di Sangiovese e/o  Prugnolo gentile, 15% di vitigni autoctoni toscani, riduzione del 10% delle rese rispetto all'attuale disciplinare. Eliminazione dei superi, cioè l'aumento del 20% delle di uve, in annate particolarmente favorevoli. Progressivo e rapido indirizzo verso una produzione eco sostenibile entro il 2020, per chi non è già certificato biologico, adesione al protocollo della “Lotta Integrata” così come previsto dalla Regione Toscana. Nessuna pratica di cantina finalizzata a snaturare la qualità di partenza delle uve con tecniche invasive tanto dal punto di vista meccanico che chimico (dealcolizzazione, trattamenti termici shock, concentrazione ad osmosi, acidificazione e disacidificazione, elettrodialisi, scambiatori di cationi e l’eliminazione della solforosa attraverso procedimenti fisici). Imbottigliamento esclusivamente nella zona di produzione.
Interessante è anche l'impegno nella determinazione di pratiche tecniche molto restrittive nella produzione di una o entrambe le menzioni particolari individuate in aggiunta al Nobile di Montepulciano rosso e rosso Riserva. Tali menzioni sono “Nobile di Montepulciano Tradizione” e “Nobile di Montepulciano Vigne vecchie” (il nome non è definitivo perché sarà necessario verificarne la possibilità legale d’uso).



Nell’ultimo anno, avendo lavorato costantemente insieme, i produttori si sono potuti confrontare sul piano tecnico e stanno affinando le idee e gli obiettivi produttivi che già avevano in comune. L’anno zero sarà quindi la vendemmia 2018, ma fin da ora è chiaro che si è partiti da basi comuni che ho avuto il privilegio di testare attraverso una degustazione di Vino Nobile di Montepulciano 2015 delle sole aziende aderenti all'associazione.

Azienda Agricola Casale Daviddi - Vino Nobile di Montepulciano 2015 (sangiovese 90%, mammolo e canaiolo nero 10%): diretto ed essenziale, fruttato e di buona freschezza. Gli manca solo un po' di complessità ma  la premesse ci sono tutte.

Croce di FeboVino Nobile di Montepulciano 2015 (sangiovese, mammolo, ciliegiolo e canaiolo): vino biologico che si esprime su sentori di spezie, amarena ed essenza di viole. Sorso dinamico, succoso, finale suadente.

RomeoVino Nobile di Montepulciano 2015 (sangiovese, colorino e mammolo): altro vino biologico ed altra grande vino territoriale che si caratterizza per un substrato di sentori fruttati e floreali con tipici riconoscimenti di amarena e spezie scure. Buona trama tannica e viva freschezza.



Montemercurio - Vino Nobile di Montepulciano "Messaggero" 2015 (sangiovese in purezza): grande struttura e bagagli olfattivo improntato su frutti selvatici, pepe in grani, ciliegia nera e terra rossa. Giovane al sorso, dal tannino in assestamento. Chiude su note sapide.

Fassati Vino Nobile di Montepulciano "Gersemi" 2015 (sangiovese e canaiolo): ottima complessità giocata su aromi di rosa canina, agrumi, frutta selvatica e spezie. Al sorso è pieno, intenso, fruttato e lungo nel finale sapido.

Talosa Vino Nobile di Montepulciano Riserva Chiusino 2015 (sangiovese in purezza): dal naso arrivano bordate sapide di alga e sale marino e smaccate sensazioni di timo, chiodi di garofano e frutta nera. Sorso equilibratissimo, tannino sartoriale, sapido il finale.

Podere CasanovaVino Nobile di Montepulciano Riserva 2015 (sangiovese in purezza): naso brioso grazie da una verticalità olfattiva derivante da sensazioni agrumate e di frutta rossa croccante. Al sorso di conferma di vivida freschezza e sapidità e dal finale pulito e lineare.

Il MolinaccioVino Nobile di Montepulciano "La Spinosa" 2015 (sangiovese in purezza): olfatto che richiama in sequenza sensazioni di prugna, more e ciliegie sotto spirito accompagnate da lievi soffi di spezie rosse ed erbe aromatiche. In bocca sguaina corpo e tannino polputo, finale corroborante e pulito.



Metinella Vino Nobile di Montepulciano "142-4" 2015 (sangiovese in purezza): fresco e godibile all'olfattiva dove ritrovo effluvi di viola mammola, ribes, fragoline di bosco e ricordi di pepe e papavero. Sorso scorrevolissimo, senza impuntanture, va via che è una bellezza...

Podere Le Gaggiole Vino Nobile di Montepulciano (sangiovese, canaiolo e mammolo): ottima complessità aromatica dove emergono suadenti sensazioni aromatiche che spaziano dalla frutta rossa matura alla rosa canina seguite da bordate olfattive di spezie rosse, richiami balsamici e minerali. Al sorso ha identità territoriale ed intensità.