Fattoria La Rivolta, Falanghina del Taburno doc 2006 – Garantito Igp


I vini sono come i libri, se hai una libreria, se  hai un cantina. Li dimentichi per anni, poi, improvvisamente, magari mentre stai cercando qualche urgenza, trovi un ricordo, una occasione per ripassare emozioni, rivedere un vecchio punto di vista forte della maturità degli anni che regalano esperienza.
Così, gironzolando nella mia cantina la sera di Natale trovo una vecchia casetta di legno di Fattoria La Rivolta, piccolla azienda creata da Paolo Cotroneo alle falde del monte Taburno in provincia di Benevento, recuperando una antica proprietà del nonno. Dentro una Falanghina di dieci anni.

Dei vini di Paolo, sia quelli di Angelo Pizzi con cui iniziò una quindicina d’anni fa che quelli con Vincenzo Mercurio che gli è subentrato, ho sempre preferito i bianchi. Non è una eccezione, sulla base di anni di frequentazioni ritengo il Taburno una terra vocata all’aglianico ma capace di regalare grandi emozioni proprio con la Falanghina.

Insomma, che sia Greco o Coda di Volpe, una delle mie preferite, ma anche Falanghina, abbiao dei vini che con il passare degli anni evolvono in maniera clamorosamente bene sviluppando sentori di idrocarburi, note di funghi, frutta sciroppata, spezie, balsamico.
Ecco perché quando stappo la Falanghina 2006, dieci anni per un vini pensato al massimo per la stagione successiva alla vendemmia, non sono curioso, ma certo del risultato.
L’aspetto più coinvolgente di questi vini è il palato. Se il colore infatti rivela l’età, il palato ci parla di una freschezza vibrante, una tensione nella beva incredibile, piacevole, con una chiusura amara e precisa.
Che dire, la Falanghina sta conoscendo un grande successo come bianco di consumo immediato, ma se aspettate non dico dieci, ma almeno un paio di anni, è un vino capace davvero di regalare grande piacevolezza.
E allora, un buon anno Igp con la Falanghina!

Sede a Torrecuso. Contrada Rivolta. Tel. 0824.872921 – Fax 0824.884907. Tel. ufficio commerciale 081.628325



Buon Natale da Percorsi di Vino

Natale 2016 con Percorsi di Vino

Natale, tempo di regali? Nooooo, basta, tanto tutti i vari blog vi avranno "rotto le scatole" con tutti i consigli per gli acquisti in materia di vino ed affini.

Percorsi di Vino, stavolta, non vi vuole consigliare nulla ma intende augurarvi Buon Natale con alcune immagini, trovate in Rete, che potranno esservi utili per creare o decorare il vostro albero di Natale in salsa alcolica.

Fatemi sapere se vi piacciono!!














Giovanni Cherchi - Cannonau di Sardegna 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Quelli che…il Cannonau è un vino rustico e difficile.

Quelli che…il Cannonau è un vino spesso “ammorbidito” per accontentare i palati continentali.
Poi c’è Cherchi e lui dice che il Cannonau è un gran vino. Lo dice da sempre e lo dimostra (anche) con questo 2014 da urlo. Da andarci a nuoto a comprarlo.



Viaggio al centro del grande Champagne: Perrier-Jouët

Avenue de Champagne, ad Épernay, è una rettilineo lungo oltre un chilometro fiancheggiato da bellissimi edifici del XIX secolo che prendono la forma di hôtels particuliers e sedi di grandi Maison di Champagne che, in maniera alternata, vanno a concretizzare quello che in molti chiamano "il viale più ricco del mondo" visto che i 110 km di cantine sotterranee situate sotto la strada sono il rifugio di oltre 200 milioni di bottiglie di Champagne.


La Storia della Maison

Proprio su questa bellissimo strada, visitata ogni anno da oltre 450.000 appassionati di vino, ha sede Perrier-Jouët la cui storia, pensate, iniziò nel lontano 1811, esattamente un anno dopo il matrimonio tra i due fondatori ovvero Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët.
Lui aveva 25 anni e lei 18 quando fondarono la loro Maison che fin da subito, grazie ai 10 ettari di vigna posseduti dalla famiglia Perrier tra Epernay, Aÿ, Avenay, Dizy, Pierry e Chouilly, divenne famosa per la produzione di ottimi champagne grazie anche alla lungimiranza di Pierre-Nicolas che, col tempo, acquisì alcuni appezzamenti di terra in quelle zone che sarebbero diventate celebri come Grands Crus della Côte des Blancs, ad Avize
e Cramant. “Mi sta molto a cuore soddisfare pienamente coloro che mi onorano con il proprio interesse e per questo produco vini di qualità superiore”, dichiarò Pierre-Nicolas nel 1821. La costante ricerca della perfezione lo guidò attraverso tutte le fasi di produzione dello champagne, partendo dalla raccolta delle uve, le quali non venivano utilizzate se ritenute mediocri. Allo stesso modo, come prevenzione contro le imitazioni, Pierre-Nicolas fu la prima persona a garantire la provenienza dei suoi vini aggiungendo il cru e l’annata sul tappo della bottiglia. Con la medesima passione per l’eccellenza, sua moglie Rose-Adélaïde riceveva clienti e ospiti ad Epernay realizzando, grazie ad un lavoro costante di valorizzazione del marchio, quella che per l’epoca poteva definirsi una delle migliori reti commerciali al mondo.

Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët
La costante ricerca della perfezione fu l'obiettivo anche di loro figlio Charles e, successivamente, di suo nipote Henri Gallice tanto che lo champagne Perrier-Jouët, nel corso del tempo, divenne popolare sia l’Europa (fu servito alla tavola di Napoleone III e della Regina Vittoria) sia negli Stati Uniti dove nel 1880 furono esportate un milione di bottiglie grazie all'opera dello stesso Henri che, inoltre, divenne uno dei membri fondatori dell’Association Viticole Champenoise (1898) coltivando, sempre in quel periodo, un notevole interesse per l’Art Nouveau tanto da chiedere ad uno dei suoi promotori, Emile Gallé, di decorare diversi magnum di Champagne. Questo maestro vetraio nel 1902 produsse per lui un vortice di anemoni giapponesi anche se sarebbe dovuto passare più di mezzo secolo prima che questo bouquet riemergesse grazie a Michel Budin che nel 1964, dopo essere diventato responsabile della Maison, riscoprì quasi per caso il fascino di quei magnum decorati da Gallé, ridestando così queste meraviglie addormentate. In controtendenza con le mode del momento, egli decise, insieme al suo direttore delle vendite Pierre Ernst, di utilizzarle per vestire la sua nuova cuvée, il cui stile brillante fu espresso dalla loro elegante unicità. Con un forte richiamo all’Art Nouveau, egli la chiamò “La Belle Epoque” e la sua prima annata fu lanciata sul mercato nel 1969.

Il presente di Perrier-Jouët

Oltre duecento anni di storia hanno portato il patrimonio ampelografico di Perrier-Jouët ad estendersi per più di 65 ettari, i quali sono stati classificati al 99,2% secondo i criteri di valutazione dello champagne AOC. Situati in modo ideale, le parcelle migliori fanno parte del vigneto della Côte des Blancs; piantati a metà dei pendii esposti a sud e sud-est, essi forniscono il terroir per lo chardonnay, l’emblematico vitigno dell’azienda. Le parcelle della Montagne de Reims sono per la maggior parte piantati a pinot noir mentre nella Vallée de la Marne, Perrier-Jouët vanta vigneti di pinot noir e di pinot meunier. Infine, per completare la sua produzione, Perrier-Jouët lavora da generazioni in collaborazione con altri viticoltori, selezionando le loro uve secondo i propri criteri rigorosi.


I vigneti
Le cantine Perrier-Jouët, situate come dicevamo prima ad Épernay proprio sotto Avenue de Champagne, composte da un dedalo di gallerie sotterranee lunghe chilometri, sono il luogo dove viene elaborato e riposa lo champagne e, per certi versi, rappresentano il regno di Hervé Deschamps, Chef de Cave, che proprio in questi luoghi, degustando il vino proveniente da ogni singola parcella, dà vita all’arte dell’assemblaggio andando a definire le caratteristiche di ogni cuvée.






Hervé Deschamps e l’arte dell’assemblaggio

Hervé Deschamps, che incontriamo nella sala degustazioni privata, è un uomo di mezza età, dal sorriso coinvolgente, e per molti appassionati di champagne è una sorta di leggenda visto che il suo mestiere, ovvero l'arte dell'assemblaggio, rappresenta per questa azienda un momento fondamentale i cui segreti si sono tramandati nei secoli attraverso soli sette Chef de Caves. “Mi dedico anima e corpo in ogni singolo progetto di cuvée, tutto in una volta, così come in una prima bozza fatta da un artista nella quale intuizione, sensibilità e competenza affiorano tutte insieme, senza che nessuno sappia spiegare esattamente come”, afferma Hervé Deschamps, Chef de Caves dal 1993 dopo un apprendistato durato dieci anni che gli ha insegnato non solo a conoscere i segreti della Maison, compreso l'inequivocabile "tocco" floreale che ne costituisce il tratto distintivo da sempre, ma anche a raggiugere quell’esperienza tale da prendersi in prima persona la responsabilità di giudicare quando si è alla presenza di un’annata eccezionale, che dovrebbe essere utilizzata per creare una cuvée millesimata.

Hervé Deschamps

La degustazione

Iniziamo il wine tasting Perrier-Jouët con un classico ovvero Cuvée Grand Brut che prevede l’assemblaggio di circa cinquanta cru provenienti dai migliori vigneti di chardonnay (20%), pinot noir (40%) e pinot meunier (40%) a cui vengono aggiunti un 12-20% di vini di riserva. Dopo tre anni di affinamento in cantina il vino si apre in tutto la sua espressività e il "gusto" Perrier-Jouët emerge prepotentemente con la sua eleganza floreale. Sorso caratterizzato da perlage soffice che accarezza il palato senza però trascurare equilibrio e nobile persistenza finale su toni di tiglio e pesca bianca.


Il Blason Rosé (50% pinot nero, 25% chardonnay, 25% pinot meunier), secondo Hervé Deschamps, è forse lo champagne più indulcente della Maison ed è concepito secondo il modello della Cuvée Grand Brut, poi leggermente arricchito con lo chardonnay (+5%) per compensare l’aggiunta di struttura fornita da un pinot nero di cui una parte viene vinificato in rosso. Dopo tre anni di affinamento in cantina questo champagne è dotato di un olfatto goloso che ricorda la pasticceria e i frutti di bosco le cui sinuosità ritroviamo anche al gusto che, fortunatamente, viene equilibrato da una persistenza quasi salina che rende la beva meno scontata di quanto si può immaginare.


La Cuvée Belle Epoque 2007 rappresenta un grande classico e questo vino, più di altri, rappresenta lo stile della Maison. Frutto di un assemblaggio di chardonnay (50%) proveniente dai Grands Cru di Cramant, Avize e Chouilly, pinot noir (45%) proveniente dalle terre di Mailly, Verzy e Aÿ e pinot meunier di Dizy (5%), lo champagne riposa almeno sei anni sui lieviti prima di uscire sul mercato. Hervé ci parla di un millesimo, il 2007, molto equilibrato e questa purezza la si riscontra anche al naso dove incantano gli aromi di magnolia, biancospino e sambuco che ben si fondono all’interno di un mosaico aromatico composto da lime, bergamotto e pesca bianca. Beva piacevolissima, lussureggiante, facilitata da uno straordinario equilibrio e da una tensione sapida che richiama irresistibilmente un nuovo assaggio.


Belle Epoque Blanc de Blanc 2004, ci confida Hervé, rappresenta un po' la quintessenza dello stile Perrier-Jouët perchè ci troviamo di fronte ad un grande champagne frutto non solo di una singola annata, ma anche di un unico vitigno ed uno specifico vigneto. La cuvée, infatti, è realizzata esclusivamente con lo chardonnay di due parcelle leggendarie: Bourons Leroy e Bourons du Midi, situati proprio nel cuore della Côte des Blancs, nella zona di Cramant.  Otto anni di permanenza sui lieviti nelle cantine completano questo grande vino il cui pregio principale è il suo essere understatement ovvero di avere un peso specifico di una farfalla nonostante abbia una forza e una complessità da rendere questo Champagne quasi da meditazione. 


Chiudiamo la degustazione con il Belle Epoque Rosé 2006 che nei piani dello Chef de Cave rappresenta la cuvée dove eleganza e ricchezza vanno giocare un ruolo preminente e paritario grazie alla delicatezza floreale dello chardonnay (45%) dei migliori vigneti di Cramant e Avize che, assieme alla struttura fruttata del pinot noir di Mailly e Verzy (50%, incluso il 10% di vino rosso da Vertuse Vincelle) e all'armonia del pinot meunier di Dizy (5%), donano a questo Champagne una cremosità e una polposità quasi irriverente assicurandogli al tempo stesso un lungo futuro.



Marco Capra- Dolcetto d'Alba Sireveris 2015 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Marco ama scherzare con il nome dei vini, questo si può leggere da sinistra o da destra.


Il Dolcetto però, vinificato e maturato in acciaio, lo prende sul serio, è una splendida interpretazione del vitigno: viola, lamponi e ciliegie; fresco, succoso, con un guizzo tannico che ne esalta il carattere.


Chianti Classico Riserva 1995 di Casa Emma - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani


Gli anni '90 erano ancora caratterizzati dagli effetti di quel cambiamento iniziato negli anni '70 in Toscana con il Vigorello di San Felice e, soprattutto, con il Sassicaia della Tenuta San Guido, che vedeva nel vitigno internazionale e nell'uso delle barrique, una possibile risposta alle "statiche" denominazioni di origine, accusate di non sapersi adeguare ai mutamenti del mercato, percorso abbracciato da un sempre maggiore numero di produttori e che ha visto nascere i cosiddetti "super tuscans".
 Fu un periodo di svolta profonda nel modo di fare vino, a partire dalla vigna, dove venivano rivisti i metodi di allevamento, le fittezze d'impianto, le rese per ettaro, si selezionavano i cloni più adatti allo scopo, mentre in cantina i piccoli legni prendevano sempre più piede, oltre a tecnologie che permettevano di ottenere maggiori estrazioni in tempi sempre più brevi, vini più strutturati, concentrati e colorati.

Anche nel Chianti Classico avvenne questo mutamento, stimolato dai sempre maggiori successi e riconoscimenti, che determinarono rialzi nei prezzi a volte in modo anche sfacciato, magari dopo aver ricevuto premi dalle guide di settore, una fase fatta di eccessi ma anche di sperimentazioni e passaggi importanti.
Ma questa è storia, una storia della quale ha fatto parte anche Casa Emma, l'azienda della famiglia Bucalossi che ha voluto ricordare nel proprio marchio la nobildonna fiorentina Emma Bizzarri, precedente proprietaria della storica tenuta. Nell'azienda di San Donato in Poggio, frazione di Barberino Val d'Elsa, a fianco del Chianti Classico nasceva il Soloìo, un merlot in purezza maturato in barrique, mentre la Docg ha continuato a mantenere un uvaggio tutto toscano.

Questa Riserva 1995 è composta da sangiovese al 95% e malvasia nera al 5%, maturata per 2 anni in rovere di Allier, se non ricordo male si trovava sugli scaffali delle enoteche attorno alle 40mila lire, un prezzo indubbiamente elevato a quell'epoca.
Conservata in cantina rivela un tappo in condizioni perfette e senza sorprese maleodoranti. Il vino ha colore granato con unghia aranciata, lasciato respirare a lungo si apre man mano, scalciando le iniziali note terziarie evolute e ossidative a favore di più nitidi rintocchi di humus, funghi, tabacco umido, cuoio, ciliegia e prugna essiccate, legno di liquirizia, cardamomo, goudron.

La bocca non riserva sorprese, ma mostra ancora un'ottima vena acida e una materia di una certa eleganza, con un frutto non ossidato, pur se qualche effetto evolutivo, soprattutto nella fase finale, lascia presagire l'inizio di un processo di inevitabile discesa; ma dopo oltre vent'anni ne ha anche il diritto, soprattutto da un'annata non proprio strepitosa come la '95.
Insomma tanto di cappello per una Riserva che ha ancora molto da raccontare e che consiglio, se ne avete qualche bottiglia da parte, di stappare senza ulteriori indugi.

Vinfusion ovvero il prossimo regalo di Natale per i nerd del vino

Siete mai stai delusi dal vino che avete acquistato in enoteca oppure ordinato al ristorante? Se la risposta, come suppongo, è Si' allora è probabile che questo aggeggio, denominato Vinsufionpotrebbe fare al caso vostro.

Progettato dalla britannica Cambridge Consultants sulla base di una serie di test posti in essere su un campione preliminare di circa 20 vini rossi, Vinfusion si avvale di una serie di tubi, pompe e sensori che possono essere inseriti sotto al bancone di un wine bar o sotto il tavolo della vostra cucina da dove sbuca un rubinetto collegato ad un tablet a cui è stata installata una apposita APP la quale ti permetterò di scegliere o il vino adatto al vostro menù oppure, rullo di tamburi, di personalizzare il vino che bere.


Come? Semplicemente l'APP vi mostrerà una serie di opzioni che vi consentiranno di stabilire se volete un vino "leggero" o "corposo", più "secco" o più "dolce". Una volta parametrato il vostro vino il meccanismo, grazie ad una centrifuga conica, realizzerà il sapiente mix attingendo da quattro serbatoi di vino rosso contenenti: pinot nero, shiraz, merlot e moscato rosso (per la dolcezza). Pochi secondi e il vino dei vostri desideri potrà essere bevuto.


Tutto chiaro no? Se ancora non siete convinti di come funziona ecco un breve video di presentazione


Se non sbaglio è in vendita a circa 500 sterline e attualmente stanno sviluppando anche una versione che potrà aggiungere anche un bel sapore di LEGNO. 

Vabbè, io l'idea per Natale ve l'ho data. O no? :)

Azienda Agricola Maria Ernesta Berucci – Passerina del Frusinate 2015 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

di Andrea Petrini

Maria Ernesta è giovane e caparbia e respira vino fin da quando è nata. La sua Passerina del Frusinate 2015, nata senza aggiunta di lieviti selezionati e senza aggiunta di solforosa, ha equilibrio e personalità da vendere. Il Lazio, dal punto di vista enologico, ha una stella in più.


www.anticacasamassimi.it

I 5 vigneti più insoliti al mondo

Non amo le classifiche per cui questa che sto scrivendo non è una top five delle migliori vigne al mondo ma solo una piccola raccolta (potrebbe essere sicuramente maggiore) delle vigne più insolite al mondo per le caratteristiche "non ordinarie" del terroir di riferimento. 

Bodega Colomé - ArgentinaColomé non è solo la più antica cantina di Argentina (fondata nel 1831), ma gestisce quello che, forse, è il vigneto più alto del mondo. Situato a Salta, si estende fra i 1.700 e i 3.111 metri s.l.m. e le viti, come facile pensare, sono piantate in un microclima assolutamente unico.

Foto: www.winerist.com

ilha do Fogo - Capo Verde: la viticoltura dell'ilha do Fogo, a 500 km dalle coste senegalesi, si sviluppa attorno Chã das Caldeiras, sulle pendici del vulcano Pico do Fogo e nella zona di Achada Grande. In queste terre Padre Ottavio nel 2002, grazie al supporto della cantina Adega de Monte Barro, ha piantato la Vinha de Maria Chaves, realizzata su un terreno di circa 36 ettari donato in comodato d’uso dal Governo di Capo Verde per 50 anni, al fine di dar vita ad un un programma vitivinicolo a Capo Verde con lo scopo di fornire supporto economico al popolo capoverdiano.

Foto: Repubblica

Sahara Vineyards - Egitto:  Karim Hwaidak, proprietario del Sahara Vineyards, gestisce vicino a Il Cairo un vigneto di circa 600 acri che comprende oltre trenta varietà di uva. La sfida col deserto, le enormi escursioni termiche tra giorno e notte, la quasi totale mancanza di pioggia e il terreno sabbioso che non contiene sostanze nutritive è davvero impervia ma, con la passione, tutto si vince.


Foto: www.winerist.com

Domaine Dominique Auroy - Tahiti: nella Polinesia Francese, sull’atollo di Rangiroa, nell’Arcipelago delle Tuamotu, nascono grazie all'enologo francese Sébastien Thepenier i vini che vanno sotto il marchio Vin de Tahiti grazie ad un vigneto di circa 8 ettari dove sono piantati carignan, muscat de Hambourg, italia e grenache. Perchè Rangiroa è un posto unico al mondo ? Beh, perchè la vite, che si pianta nei detriti del corallo, ha un solo grande nemico: lo tsunami...

Foto: www.winerist.com


Blaxsta Vingård - Svezia: situata all'interno di una vecchia stalla del 1600, la Blaxsta Vineyard  rappresenta la prima cantina fondata in Svezia e oggi è dotata di un vigneto di circa tre ettari dove sono presenti varietà come vidal (90% del totale), chardonnay, merlot e cabernet franc piantate tutte a partire dagli anni 2000. Molto apprezzati, come ovvio pensare, i loro Ice Wine.

Foto: Blaxta Vineyard

Vini da scoprire di Castagno, Gravina e Rizzari è la mia idea regalo per Natale!


E’ ormai uscito da qualche mese e, visto il successo di critica, non c’è dubbio che “VINI DA SCOPRIRE”, scritto a sei mani da Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari, sia il fenomeno editoriale dell’anno per quanto riguarda le pubblicazioni enogastronomiche. Sono giunto a questa conclusione non tanto per l’autorevolezza indiscussa dei tre autori, quanto piuttosto per l’idea alla base del libro che, con tutte le cautele del caso, potrebbe diventare un vero e proprio punto di partenza per una rivisitazione della seriosa critica enologica italiana troppo spesso impomatata in tecnicismi e fazioni che non fanno altro che allontanare il consumatore medio italiano che spesso e volentieri ha come obiettivo quello di capire se un tale vino è buono oppure no. Stop.

Per leggere l'articolo completo cliccare qua e sarete indirizza su VINIX!


Istine - Chianti Classico Vigna Istine 2014 è il Vino della Settimana di Garantito IGP


Di Angelo Peretti

Dice Angela Fronti che con questa vigneto ci litiga ogni anno, ché è caparbio e fa quel che gli pare (e figurarsi cos’è accaduto nel difficilissimo 2014), ma il vino che ne viene fuori è di quelli che mi fanno svuotare la bottiglia. Chiantigiano fino all’osso, ha frutto, terra, freschezza, austerità, beva.
www.istine.it

Cantina Margò e la quadratura del cerchio - Garantito IGP

di Angelo Peretti

Con Carlo Tabarrini ci siamo presi a randellate virtuali su Facebook e non ricordo bene per quale motivo. Sta di fatto che poi ci eravamo dati appuntamento a Vini di Vignaioli, a Fornovo, per conoscerci di persona e bere un bicchiere di vino. A Fornovo, però, non sono riuscito ad andarci, ma almeno ho avuto chi mi ha acquistato e portato un paio di bottiglie sue, e benedetta quella volta che mi sono preso a randellate con lui, sennò rischiavo di non averli mai nel bicchiere i suoi vini. Perché, sissignori, mi sono proprio piaciuti.
Ora, va precisato, per chi non lo conoscesse, che Carlo Tabarrini ha una cantina piccina picciò che si chiama Margò, che sta in Umbria (Perugia, località Casenuove) e che milita nel variegato mondo dei produttori “naturali” e che è uno che sa perfino quadrare il cerchio, producendo vini di notevolissima finezza e contemporaneamente di consistente e irruente personalità. Se vi par poco un curriculum del genere…
Adesso i vini.

Umbria Bianco Fiero 2015 Margò
Grechetto, a quel che ho capito. Ma quel che più importa è che si tratta d’un bianco irresistibile. Nel senso che te ne versi un bicchiere e dici: “Buono”. Poi te ne versi un altro e ridici: “Buono”. Poi fai il terzo assaggio ed è sempre più convinto quel: “Buono”. Finché la bottiglia è finita. Ha una freschezza e un sale che t’invitano alla beva, ed è quel che cerco in un bianco sulla mia tavola, ed ha poi quel frutto che è profondo senza eccessi, macerativo senza andar sopra le righe. Chapeau.
(89/100)

Umbria Margò Rosso 2009 Margò
La retro dice che vien fatta la selezione di singoli acini e che poi si fanno follature manuali e che la vinificazione avviene, da tradizione, a tino aperto e poi l’affinamento è in legno. Sangiovese, mi pare. Io dico che comunque questo è uno di quei rossi che vorrei avere in cantina, e vorrei averne più d’una bottiglia di quest’annata, la 2009, e la stapperei alle prossime feste di Natale, ché credo sia all’apice della gloria sua, con quell’incedere terroso e speziato e quell’austerità convincente e avvincente. Un gioiellino.
(91/100)

www.cantinamargo.com