Edoardo Ventimiglia: "Vi racconto il Ciliegiolo di Maremma e d'Italia!"


Domenica 7 e lunedì 8 maggio la Fortezza Orsini di Sorano, in provincia di Grosseto, ospiterà la manifestazione "Ciliegiolo di Maremma e d’Italia" all'interno della quale stampa e operatori del settore avranno la possibilità di degustare i vini delle aziende produttrici di questo speciale vitigno che, in questa due giorni, saranno a disposizione alla mescita presso banchi d’assaggio.  
Per comprende al meglio la filosofia della manifestazione e, perchè no, per scoprire ulteriormente i segreti di questo vitigno, ho intervistato Edoardo Ventimiglia, proprietario assieme alla moglie Carla Benini dell'azienda Sassotondo, che già in tempi non sospetti aveva capito le potenzialità del ciliegiolo creando con questa uva un vero e proprio "Cru" aziendale ovvero il San Lorenzo

Edoardo e Carla

Ciao Edoardo, il 7 e 8 maggio arriva la manifestazione "Ciliegiolo di Maremma e d'Italia", un evento dedicato interamente al vitigno autoctono. Ci racconti come è nata l’esigenza di organizzare una manifestazione di questo tipo?

Buongiorno Andrea. La coltivazione del ciliegiolo in Maremma ha subito un forte incremento negli ultimi anni, inoltre, e inaspettatamente per alcuni, è stato molto apprezzato in una degustazione di Monica Larner lo scorso giugno a Grosseto e questo ha sciolto le riserve che fino ad ora avevano impedito la realizzazione di questo evento. Credo che nel ciliegiolo la denominazione Maremma toscana possa trovare un alfiere in grado di farla competere ai massimi livelli nel palcoscenico mondiale. Quindi da una idea di Ciliegiolo Academy, che mi onoro di presiedere, e della Fisar delegazione colline maremmane coordinata e diretta dal consorzio di tutela vini della Maremma toscana è nato quello può essere considerato il numero zero di questo evento maremmano, in piena continuazione con Ciliegiolo d’Italia di Narni, una ripartenza dopo lo stop dovuto al covid.


Nel comunicato stampa di presentazione c’è scritto che è la prima edizione ma di eventi sul ciliegiolo sono stati fatti anche negli anni passati a Narni dove veniva organizzato Ciliegiolo d’Italia. Ci sono differenze tra le due kermesse?

È un errore, mi scuso a nome di tutti. Come detto prima, Ciliegiolo di Maremma e d’Italia nasce come continuazione di Ciliegiolo d’Italia a Narni, nato nel 2015 per la volontà e l’impegno di Leonardo Bussoletti produttore e animatore dell’associazione produttori ciliegiolo di Narni. Allora ci accordammo per alternare un’edizione in Umbria a Narni e una in Maremma a Sorano o Pitigliano. Narni è andata avanti per varie edizioni e si è fermata a causa del covid. In Maremma non si è mai riusciti ad organizzarla fino a che oggi, nel 2023, i tempi sono maturati. Di fatto la Maremma e Narni sono le due aree viticole che più contano produzioni e produttori impegnati con questo vitigno. Il format tra le due manifestazioni è simile con la differenza che abbiamo pensato ad una edizione rivolta soprattutto alla stampa di settore e al commercio senza i banchi di assaggio gestiti dai produttori.

Il Ciliegiolo è stato recentemente riscoperto anche grazie ad aziende come la tua che ha puntato in tempi non sospetto su questo vitigno. Ci racconti le sue caratteristiche, sia in vigna che in cantina, e perché, in passato, non era così valorizzato?

La riscoperta del ciliegiolo la dobbiamo prima di tutto ad un enologo, Attilio Pagli che alla fine degli anni 80 lo vinificò in purezza nell’azienda Rascioni e Cecconello a Fonteblanda nella Maremma costiera e con il vino Poggio Ciliegio lo portò all’attenzione della stampa nazionale. Noi abbiamo conosciuto Attilio nel 1996 e dal 1997 abbiamo iniziato a collaborare con lui e a puntare sul ciliegiolo come progetto principale della nostra azienda abbandonando l’idea in voga in quegli anni di piantare vitigni internazionali.


In vigna il ciliegiolo è molto generoso e va tenuto in equilibrio per evitare produzioni eccessive. I terreni poveri come i nostri, tufo vulcanico, e il regime di agricoltura biologica facilitano il compito. Il ciliegiolo non teme il caldo e resiste alla siccità meglio del sangiovese. Non ama le piogge eccessive perché l’acino tende a gonfiarsi troppo. Matura una settimana o due prima del sangiovese ma con il cambiamento climatico le differenze tendono ad attenuarsi. In cantina ha un comportamento simile al sangiovese, fino a qualche anno fa tendeva a ridursi quindi necessitava di frequenti travasi nei primi mesi di affinamento. Anche qui probabilmente a causa del cambiamento climatico la tendenza alla riduzione si è attenuata, per questo motivo dal 2009, per i cru, abbiamo sostituto l’affinamento in barrique con quello in legni più grandi (10Hl).
Quando siamo arrivati qui, una parte rilevante dei vecchi vigneti di rosso era costituita da ciliegiolo, conosciuto, con vari nomi saragiolo, dolciume ed anche erroneamente montepulciano, ma soprattutto in Toscana è stato abbandonato come tanti vitigni minori che rappresentano il grande patrimonio di biodiversità del nostro paese. Le ragioni sono varie e possono risalire alla seconda metà dell’Ottocento con i numerosi e spesso fallimentari tentativi dei vini toscani di competere con i francesi sui mercati internazionali. I fallimenti furono attribuiti ai vitigni locali e non alle tecniche di coltivazione e vinificazione. Più avanti si provò, con successo, la strada dell’imitazione. Nacquero i supertuscans e il vino italiano, tutto, prese il volo. Ora il mercato cerca profumi e sapori nuovi con una maggiore aderenza ai territori di provenienza. Il ciliegiolo è un vitigno plastico capace di adattarsi ed esaltare le caratteristiche del terroir in cui viene coltivato e vinificato.

Il Ciliegiolo Viene coltivato in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Liguria e, in modo minoritario, in altre zone d’Italia. Ci sono differenze legate ai differenti cloni o, per questa uva, possiamo parlare di caratteristiche comuni?

Prima di tutto direi che parlare di Toscana o anche di Maremma è un po' troppo generico. In altre regioni, come ad esempio l’Umbria, il ciliegiolo si concentra in un’area molto più ristretta, la zona di Narni e dei Colli Amerini.
La Maremma grossetana invece è un’area vastissima, in termini enologici un mondo. Si può dividere grosso modo in 4 macroaree: l’area costiera e collinare, le colline metallifere, l’area amiatina e infine l’area del tufo vulcanico, dove siamo noi. Nell’area del tufo vulcanico, a causa dell’origine esplosiva e dei depositi di rocce piroclastiche, i terreni sono molto ricchi di minerali quali magnesio e potassio. I vini sapidi, speziati si distinguono per eleganza e longevità. Le nostre viti provengono da una selezione massale della vigna di San Lorenzo piantata negli anni Sessanta. Inoltre, abbiamo qualche ecotipo proveniente dal Monte Amiata frutto di ricerca fatta dal compianto prof. Scalabrelli. In catalogo ho visto cloni di recente selezione, ma credo che le grosse differenze siano legate in particolar modo alle condizioni ambientali in cui cresce il ciliegiolo. Microclima e terreno ma anche la mano del vignaiolo in vigna e in cantina vuol dire parecchio. Sicuramente una caratteristica comune a tutti i ciliegioli si incontra nel profilo aromatico dove prevalgono “speziatura e fruttosità”.


Sassotondo, la tua aziemda, si trova a Sorano e, come detto in precedenza, te e tua moglie, in tempi non sospetti, avete puntato sul ciliegiolo creando un vero e proprio Cru come il San Lorenzo. Come ti è venuta l’intuizione?

L’intuizione non è venuta a noi bensì ad Attilio Pagli. Lui assaggiando il ciliegiolo del vigneto di san lorenzo nel 1997, nostra prima vendemmia da azienda autonoma, ci ha convinto a vinificarlo ed in imbottigliarlo in purezza senza fare il blend con le altre uve. Successivamente, nel 1998, dovevamo piantare circa 4 ettari di nuovi vigneti, allora il mantra erano i vitigni internazionali, incontrammo Attilio a Montalcino a febbraio in occasione di Benvenuto Brunello e nel parcheggio mentre ci mostrava le etichette del nuovo vino, Altos, che stava per produrre in Argentina ci disse “vi faccio una proposta che potrebbe sembrare oscena: perché di questi 4 ettari uno non lo piantiamo con il ciliegiolo e … invece di comprarlo in vivaio facciamo selezione massale dalla vigna di san lorenzo” E stato così che ci ha portato sulla “cattiva strada” del ciliegiolo. Ora gli ettari sono circa 7 in aumento perché stiamo reinnestando il merlot che avevamo piantato allora. È stata una scelta difficile e controcorrente che però si sta dimostrando vincente nel tempo.


La scelta del cru è venuta in modo naturale perché in tutti gli assaggi, anche da vasca, il ciliegiolo che viene dalla vigna San Lorenzo si sé sempre dimostrato il migliore che produciamo. Ma anche questa è stata una scelta anomala soprattutto in Toscana dove prevaleva la pratica del blend. Il San Lorenzo è stato prodotto e imbottigliato ininterrottamente dal 1997. Ora le menzioni geografiche e anche i cru stanno diventando un mainstream del mondo vitivinicolo italiano. Allora pochissime aziende vinificavano i cru… anche qui siamo stati un po' precursori. Da qualche anno abbiamo deciso di spingerci oltre e con la consulenza dell’agronomo Pedro Parra abbiamo fatto una microzonazione della nostra azienda che ha portato a definire alcune parcelle speciali da cui sono state vendemmiate le uve, sempre ciliegiolo 100%, per 2 vini il Poggio Pinzo e il Monte Calvo. Quest’ultimo in particolare è una parcella dentro la vigna di San Lorenzo, un cru al quadrato.

Sorano

Altra domanda: il ciliegiolo secondo la tua opinione può essere un vino attraente per il pubblico giovanile? E’ un vino “moderno”?

Penso di sì, l’eleganza e la piacevolezza di beva è nella sua natura. Il ciliegiolo buono nasce da una conduzione equilibrata della vigna e della cantina e le restituisce nel bicchiere, sia nei vini più giovani sia in quelli per il lungo invecchiamento. Come ha scritto il 25 agosto 2022 Monica Larner su wine advocate “I am perennially in search of W.I.R.W.T.D (wines I really want to drink) with the real foods I adore … Ciliegiolo fits the bill!” (sono sempre in cerca dei VINI CHE VORREI VERAMENTE BERE con i cibi veri che adoro. Ciliegiolo è quello giusto). Per questo è un vino moderno e mai banale!

Ultima domanda: come si abbina a tavola il Ciliegiolo?

Anche qui nella versatilità sta il grande pregio e la modernità di questo vino. Parlo dei miei che conosco meglio ma credo che queste considerazioni possano adattarsi a tutti i ciliegioli presenti sul mercato.
Il rosato ha corpo, struttura e grande sapidità si abbina a zuppe di pesce, formaggi caprini e carni bianche.
Il ciliegiolo classico d’annata, ma si può bere anche dopo 20 anni, ha note speziate che lo accostano sia alle carni di agnello che alla cucina etnica a base di spezie.
Il San Lorenzo invece vuole una cucina più invernale e ricca di salse, un peposo toscano, il cinghiale e in particolare l’antica ricetta dell’Artusi “in dolce forte” che prevede una salsa a base di cioccolato. Gli altri cru che si avvicinano anche i ciliegioli umbri, una cucina più delicata e raffinata con selvaggina di penna.
Alcuni ciliegioli rossi d’estate si possono abbinare freschi anche al pesce, in particolare le zuppe con il pomodoro come il cacciucco livornese.

InvecchiatIGP: Chateau Musar - Red 2011


di Lorenzo Colombo

Ci abbiamo pensato non poco prima di deciderci ad inserire questo vino nella rubrica settimanale InvecchiatIGP, infatti, anche se il vino ha ormai dodici anni d’età in realtà è in commercio unicamente da cinque, è infatti prassi consolidata di Gaston Hochar quella di immettere sul mercato il Chateau Musar Red sette anni dopo la vendemmia. Ma poi vista l’emozione che ci ha dato abbiamo deciso di procedere e trasferirla anche agli altri componenti dei Giovani Promettenti.


Il Chateau Musar Red è prodotto con un blend tra Cabernet sauvignon, Cinsault e Carignan in proporzioni variabili dipendentemente dall’annata.
I vigneti sono situati nei dintorni dei villaggi di Aana e Kefraya nella Valle della Bekaa, su suoli calcarei ghiaiosi, l’età media delle viti è di quarant’anni anche se ci sono ancora alcuni ceppi risalenti agli anni Trenta del Novecento, la resa è bassissima e varia tra i 15 ed i 35 ettolitri per ettaro.


La Valle della Bekaa si trova a circa 30 chilometri ad Est di Beirut e si estende tra Libano e Siria ha una lunghezza di circa 120 chilometri ed una larghezza media di 16, in realtà si tratta di un altipiano con un’altezza media di 1.000 metri delimitato ad Est e ad Ovest da due catene montuose che si spingono sin oltre i 3.000 metri d’altitudine; vanta un clima di tipo mediterraneo e precipitazioni piuttosto scarse, soprattutto al Nord.


Gaston Hochar iniziò a produrre vino nella Valle della Bekaa nel 1930, allora i confini del Libano non erano ancora stati definitivamente tracciati, di conseguenza per essere sicuro che la sua cantina rientrasse nel territorio libanese la costruì a Ghazir, ad oltre due ore e mezzo di distanza dai vigneti.


Questo ancor’oggi, anche a causa della situazione politica del luogo è fonte di svariati problemi durante le fasi della vendemmia per poter portare in sicurezza le uve in cantina. Serge, il figlio di Gaston, dopo aver studiato enologia a Bordeaux sotto la guida di Emile Peynaud, rilevò nel 1059 l’azienda dal padre e gli diede la propria impronta sviluppando l’attuale ricetta del Chateau Musar Red nel 1970 e facendo conosce i suoi vini in tutto il mondo (Serge è morto annegato in Messico nel 2014).
L’azienda ora è gestita dai figli di Serge: Gaston, che si occupa della cantina e Marc che ne cura l’aspetto commerciale, e dai suoi nipoti.

L’annata 2011

Frutto di un’annata difficile ed atipica, caratterizzata da un inverno freddo e da precipitazioni abbondanti nei mesi di aprile e maggio, condizioni che hanno causato una fioritura assai tardiva ed una maturazione delle uve ritardata.
La vendemmia è infatti iniziata il 22 settembre con la raccolta di parte del Carignan ma è poi stata interrotta a causa delle piogge che hanno creato problemi soprattutto per il Cinsault e si è quindi conclusa il 13 ottobre. La fermentazione separata delle uve s’effettua in vasche di cemento tramite lieviti indigeni, dopo sei mesi il vino viene posto in barriques di rovere francese di Nevers dove s’affina per un anno, due anni dopo la vendemmia viene effettuato il blend e quindi il vino viene rimesso in vasche di cemento prima di essere imbottigliato, l’imbottigliamento è stato effettato nel 2014 ed il vino è stato messo in commercio nel 2018.

Il vino

Color granato profondo, compatto e luminoso. Intenso al naso, ampio, complesso ed elegante, note surmature, prugna secca, ciliegia matura, quasi sotto spirito, balsamico, legno dolce, caffè e cioccolato, speziato, pepe, vaniglia, cardamomo, leggeri accenni selvatici.


Dotato di buona struttura, succoso, presenta note piccanti che rimandano al pepe, vi ritroviamo la ciliegia sottospirito, il cioccolato ed il caffè, buona la sua vena acida, tannini morbidi e ben integrati, note di vaniglia, leggeri accenni selvatici ne snelliscono la beva, lunga la sua persistenza.

Monsupello - VSQ Spumante Brut Metodo Classico Cuvée "Ca’ Del Tava"



di Lorenzo Colombo

Non si fregia della Docg questo Metodo Classico, non raggiungendo la percentuale minima di Pinot nero (70%) ma rimane comunque una delle massime espressioni spumantistiche oltrepadane.


Gli oltre 70 mesi sui lieviti ci donano un vino dotato d’eleganza, finezza, sapidità, spiccata vena acida, persistenza.

Serafini & Vidotto e “Il Rosso dell’Abazia” alla prova del tempo


di Lorenzo Colombo

Tra le numerose Masteclass alle quali abbiamo partecipato in occasione del Paestum Wine Fest una delle più interessanti è stata quella dedicata ad una verticale di sei annate del Rosso dell’Abazia, pluripremiato vino prodotto dall’azienda Serafini & VidottoL’azienda, fondata nel 1986 da Francesco Serafini e Antonello Vidotto si trova a Nervesa della Battaglia, nella parte più orientale del territorio della Doc Montello-Colli Asolani dove dispone di 25 ettari a vigneto per una produzione annuale di circa 200.000 bottiglie.

La Doc Montello - Colli Asolani

La zona di produzione comprende, in provincia di Treviso, la fascia pedemontana della destra Piave, che dal Montello arriva alle pendici del Grappa.
Si tratta di due distinte fasce collinari che vanno da est ad ovest, inframmezzate da una striscia di pianura, l’altitudine varia dai 100 ai 350 metri slm ed i suoli sono in genere marnosi-argillosi e marnosi-sabbiosi.
La zona era conosciuta soprattutto per i suoi boschi, dai quali si ricavava il legname, da sempre utilizzato per la costruzione delle fondamenta delle case di Venezia.


Il vino

Il Montello Colli Asolani Doc “Rosso dell’Abazia” è stato il primo vino prodotto da Francesco Serafini e Antonello Vidotto, oltre 35 anni fa, si tratta di classico taglio bordolese composta da un blend tra Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot le cui proporzioni cambiano leggermente in base all’annata anche se solitamente la percentuale maggiore è riservata al Cabernet sauvignon e, negli ultimi anni sia cresciuto l’apporto di Cabernet franc. I vigneti sono situati a Nervesa della Battaglia ai piedi del Montello, sono situati tra i 100 ed i 150 metri d’altitudine su suoli drenanti e sono condotti a Guyot con densità d’impianto di 6.000-6.300 ceppi/ettaro. La vendemmia s’effettua verso la fine di settembre per quanto riguarda il Merlot e ad ottobre inoltrato per i Cabernet.
La fermentazione s’effettua in vasche d’acciaio e in botti di rovere mentre l’affinamento dei vini in barriques varia dai 15 ai 24 mesi in base al vitigno e all’annata, il vino comunque non viene commercializzato prima dei quattro anni dalla vendemmia.

La verticale

Sono due le cose che maggiormente ci hanno colpito di questa verticale, la prima è data dalla grande uniformità dei vini assaggiati, si sente che sono fatti dalla stessa mano e non hanno le variabili che spesso si ritrovano in degustazioni simili, con questo non vogliamo dire che non si sentono le diverse annate e le diverse percentuali dei vitigni, ma che lo stile produttivo, ormai consolidato da oltre 35 anni di produzione è ormai ben definito ed il vino risulta sempre riconoscibile. La seconda cosa che ci ha un poco sorpresi è che nelle nostre valutazioni lo scostamento tra un vino e l’altro è stato inferiore ai 2/100, altro segno dell’elevata qualità raggiunta da questo vino indipendentemente dall’annata.

2018 

Color rubino luminoso di discreta intensità. Intenso al naso, bel frutto, note balsamiche ed affumicate, leggeri e piacevoli accenni vegetali che rimandano al peperone, buona l’eleganza. Dotato di buona struttura, fresco e succoso, sentori affumicati e leggere note piccanti, con bella trama tannica e buona persistenza. Un vino diverso da tutti gli altri che seguono, in parte per la sua gioventù, ma soprattutto per la maggior presenza di Cabernet franc. Affinamento per due anni in barrique. 40% Cabernet sauvignon, 40% Cabernet franc e 20% Merlot.


2015 

Granato luminoso di buona profondità.
Intenso al naso, un poco più chiuso rispetto al precedente vino, balsamico, note affumicate, buona la complessità. Intenso e strutturato, asciutto, note piccanti, pepato, buona la trama tannica, lunga la sua persistenza su sentori di radice di liquirizia e di pellicina di castagne. Affinamento per due anni in barrique. 40% Cabernet sauvignon, 40% Cabernet franc e 20% Merlot.


2012

Profondo e compatto il colore. Mediamente intenso al naso, frutta rossa matura, prugna, note balsamiche, accenni di legno, leggere note evolutive. Strutturato, intendo, piccante, pepato, con buona trama tannica e lunghissima persistenza su sentori di radice di liquirizia. 


2011

Color granato profondo. Intenso al naso, note balsamiche e vanigliate, legno dolce, buona sia la complessità che l’eleganza. Strutturato, succoso, bel frutto, asciutto, note piccanti, bella trama tannica, lunga la persistenza su sentori di radice di liquirizia. Affinamento per due anni in barrique. 45% Cabernet sauvignon, 30% Merlot e 20% Cabernet franc.


2008

Granato profondo e compatto. Discretamente intenso al naso, balsamico, vanigliato, presenta leggere e piacevoli note affumicate. Succoso, con bella trama tannica, note di pepe, radici, bastoncino di liquirizia, lunga la sua persistenza. 50% Cabernet sauvignon, 30% Cabernet franc e 15% Merlot.


2005

Color granato di discreta profondità. Mediamente intenso al naso, note balsamiche e vanigliate, legno dolce, frutta rossa leggermente macerata, buona l’eleganza. Note piccanti, pepate, tannino ancora vivo, sentori di bastoncino di liquirizia, buona la sua persistenza.

InvecchiatIGP - Apollonio: Salice Salentino Bianco "Mani del Sud" 2013


di Stefano Tesi

Le certezze stavolta erano tre.

La prima è che questa bottiglia stava nella mia cantina certamente dal 2014, ma di preciso non riesco a rammentare al ritorno da quale viaggio in Puglia ci sia finita. La seconda è che, comunque, l’azienda (gloriosa: nacque nel 1870) me la fece conoscere l’amica Vittoria Cisonno ai tempi del leggendario Pellegrinaggio Artusiano di quel medesimo anno, sulle orme dei cavalieri della disfida di Barletta. La terza è che, al solito, essa giaceva dove non avrebbe dovuto stare, ossia in una cassa con miscellanea di Brunelli. Ed è per questo che fino a due giorni fa era ancora intonsa.

Infatti ieri l’ho trovata, messa in fresco e stappata.


Tappo del tutto integro, ma non sapevo che aspettarmi. Temevo, a dire il vero, un vinone un po’ appannato. Dalla controetichetta apprendo che il vino viene da uve all’80% Chardonnay e al 20% Sauvignon blanc coltivate sui terreni argilloso-calcarei del Salento. E che prima di finire in vetro si è fatto tre mesi di barrique. Il grado alcolico è rassicurante: 13°. “Vino non filtrato”, dice sempre la controetichetta, “decantazione raccomandata”.

Io in realtà l’ho fatto solo attendere un po’ nel bicchiere, ma nemmeno troppo perché la curiosità era tanta, la sete pure e la voglia di metterlo alla prova in una cena di mezza stagione, con dei gustosi e profumati spiedini di carne bianca molto speziati, anche di più.

Nel calice si è rivelato di un oro intenso, molto carico, quasi vitreo.

Al naso i sentori si sono srotolati invece lentamente, uno dietro l’altro, come le tinte di un tappeto rimasto a lungo dimenticato e di cui non rammentavi bene tutti i colori: l’attacco è quello della classica pietra focaia, dell’olio minerale, dell’acciarino e di certi robot-giocattolo metallici co le rotelle sotto, caricati a molla, che roteavano gli occhi e sputavano odorose scintille, alimentando la fantasia (e la futura memoria olfattiva) della nostra infanzia. Poi, col passare dei secondi, affiorano anche la polpa bagnata delle pesche mature e alcune note esotico-tropicali che fanno progressivamente capolino, senza tuttavia prevalere sul resto.


In bocca, anche dopo dieci anni, la struttura del vino si mostra il tutto il suo vigore, ma l’insieme è elegante, pacato, di un’ampiezza composta che si fa apprezzare. L’affianca una piacevole nota amarognola che accompagna a lungo il sorso aiutandolo a restare bello dritto, quasi impettito, preciso e tagliente come potrebbe essere il fisico di un tipo di mezza età, ormai saggio ma ancora aitante e nel pieno delle forze. Un connotato che non abbandona il vino nemmeno quando la temperatura sale un po’.


Succede così che, a questo desco familiare di una primavera che non si decide a diventare tale, in breve tempo se ne vanno due bicchieri e parecchi spiedini. Poi la bottiglia finisce e gli spiedini pure. Faccio scolare nel bicchiere le ultime gocce e mi ricordo dell’avviso in etichetta giusto per notare che, sedimenti, zero.

Diego Bosoni - Padre Figlio vino bianco


di Stefano Tesi

Sono uscito praticamente tramortito dall’assaggio di questo vino “one shot” di Diego Bosoni: una sintesi enoica, agronomica e stilistica di tempi e generazioni diverse, come dice il nome. 


Vermentino 100% con ampiezza, profondità, screziatura, succosità di un puledro scalpitante, domato ma non troppo.

"La Biodiversità Viticola, i custodi , i vitigni, i vini” è il nuovo libro di G.R.A.S.P.O. presentato al Vinitaly 2023


di Stefano Tesi

Nel mondo del vino tutti sanno chi è il sulfureo Aldo Lorenzoni, ex direttore di lungo corso del Consorzio del Soave, da qualche anno a riposo. A riposo per modo dire, però. Perché, conoscendolo, l’espressione “a riposo” gli si attaglia assai poco.



Ero infatti a conoscenza da tempo che più di qualcosa bolliva in pentola. Ma non immaginavo che fosse delle dimensioni che ho scoperto all’ultimo Vinitaly, quando mi è stato messo in mano il librone (grande formato, a colori, oltre 300 pagine) di cui vedete la copertina.

I fondatori di G.R.A.S.P.O.

E se già il titolo è tutto un programma, ancora di più lo è il nome dell’editore. Ossia G.R.A.S.P.O., acronimo del chilometrico “Gruppo di Ricerca Ampelografica per la Salvaguardia e la Preservazione dell’Originalità e della biOdiversità (sic!) Vinicola”. “E’ l’associazione del Terzo Settore, quindi senza finalità di lucro e con attività di riconosciuto interesse generale, formalizzata lo scorso marzo, che riunisce il gruppo di lavoro nato nel 2020 dall’idea di tre enologi (Aldo Lorenzoni, Luigino Bertolazzi e Giuseppe Carcerieri, ndr)”, spiega lui. “I quali, convinti dell’importanza che anche nel settore vitivinicolo la conservazione della biodiversità costituisca una risorsa importante non solo in chiave scientifico-culturale, ma anche in prospettiva commerciale, si sono messi a girare a spese loro l’Italia per trovare antichi vitigni abbandonati. Lo scopo iniziale era individuarli e ripropagarli. Ma ci siamo subito accorti che la loro sopravvivenza era legata al filo doppio a chi, spesso in tale solitudine, quella sopravvivenza l’aveva garantita per generazioni e ancora la garantiva: ovvero tanti viticoltori appassionati e lungimiranti. Ognuno con una sua storia, un proprio merito e una propria visione delle cose, che meritavano di essere raccontati. Li abbiamo nominati “custodi”. E quando si è trattato di raccogliere nel libro i risultati del nostro lungo peregrinare, ci è parso indispensabile inserire in primo piano anche loro”.


Ecco, allora: in estrema sintesi il volume in parola è il racconto, suddiviso per capitoli e dettagliate schede storiche, descrittive e ampelografiche, di quest’avventura durata (finora, perché il viaggio continua) la bellezza di 50mila km al volante dalle Alpi alla Sicilia, 150 incontri coi produttori, 250 prelievi di materiale vegetale, 150 analisi del Dna per stabilire l’identità dei campioni, la scoperta di 10 nuove varietà di uva e 62 microvinificazioni. Alcune delle quali, che quelli di Graspo hanno battezzato “i vitigni del cuore”, assaggiate anche dal sottoscritto alla fiera veronese. “Di certe varietà – sottolinea Bertolazzi – abbiamo individuato una sola pianta. Si tratta quindi di esemplari unici, da tutelare con la massima attenzione. E spesso solo noi, oltre ovviamente al loro custode, sappiamo dove si trovano”.

I casi interessanti sotto ogni punto di vista si sprecano.

A Sprea, in provincia di Verona, a 700 metri di altitudine e completamente abbandonato, è stato trovato un vigneto vecchio di un secolo e mezzo di Liseiret o Gouais Blanc, antichissima uva bianca, forse già coltivata all’epoca di Marco Aurelio, progenitrice di almeno un’ottantina di varietà moderne (compreso lo Chardonnay e il Gamay). “Era tra le più diffuse nella viticoltura medievale dell’Europa Centrale”, scrive nella scheda l’ampelografa del Cnr Anna Schneider, “ma oggi è assai rara”. Anche in Champagne, si viene a sapere, la stanno riscoprendo e studiando.

Gouais Blanc

In Alto Adige, nella zona di Magrè, è stato individuato invece forse l’unico produttore al mondo di Hortroete, alias Roeter Hoerling, vitigno rosso sul quale si sa pochissimo. Si tratta di una vite monumentale (e tale dichiarata dalla Provincia di Bolzano), “a muro”, piantata addirittura nel 1601, di cui però solo il ceppo originale produce uva, mentre le due viti vicine, da esso derivate, non fruttificano affatto. Il suo custode, Robert Cassar, l’ha vinificata l’ultima volta nel 1989, ottenendo un vino che, dicono i pochi fortunati che l’hanno assaggiato dopo oltre trent’anni, è risultato “assolutamente sorprendente”. Ora è toccato a Graspo ripetere l’esperimento e, ovviamente, le aspettative sono notevoli.

La bellissima vigna di Roeter Hoerling

Ma se il volume è un’autentica miniera di informazioni, supportate tra l’altro da un non indifferente e dettagliatissimo apparato iconografico (lodevole ad esempio l’idea di riportare per ogni scheda la foto del grappolo a tutta pagina e a dimensioni reali, affiancato da una scala in cm in modo da poter cogliere le affettive proporzioni), piace anche l’approccio “umile e attento”, come lo definisce Lorenzoni, alla materia. “Conservare la biodiversità – scrive del resto il professor Attilio Scienza nell’introduzione – non significa mantenere le varietà di vite in una collezione, ex situ, dove raccogliere come in un museo i genotipi a rischio di scomparsa ma, per le profonde connessioni tra vitigno antico e cultura del luogo che lo ha selezionato e coltivato fino ad ora, queste varietà devono tornare ad essere protagoniste dello sviluppo agricolo ed economico di quelle popolazioni”.

Insomma, sempre per dirla con scienza, sì ai vitigni-reliquia, purchè non si limitino a restare una curiosità biologica. Sul punto, del resto, Graspo non ha dubbi: ci interessano solo vitigni che diano uve vinificabili.

Il libro può essere richiesto scrivendo a luigino@graspo.wine e costa 25 euro, spedizione compresa.

InvecchiatIGP : Rivera - Moscato di Trani DOC "Piani di Tufara" 2016


Di Luciano Pignataro

L’anno prossimo la DOC Moscato di Trani compirà mezzo secolo di storia. Si tratta dell’unico marchio europeo dedicato ad un vino dolce che declina l’uva italiana per eccellenza in Puglia, su un territorio che ha per epicentro la bellissima Trani ma che si estende a Nord sino a Cerignola, in Daunia, e a Sud sino a Bitonto, praticamente alle porte di Bari. Un vino che col il passare degli anni diventa affascinante e complesso perché la potenza del vitigno aromatico si dispiega al massimo sino a quando è retta dall’alcol e dall’acidità.


Piani di Tufara è una delle etichette storiche di Rivera, una delle aziende più importanti in Puglia. Avevo la 2016 da un bel po’ di tempo riposta dentro un armadio a riposare al buio e di fronte alla pastiera napoletana di Pasqua ho deciso che era arrivato il momento dello stappo, passati ormai sette anni.


Qualche nota tecnica: l’uva viene raccolta in surmaturazione in genere alla fine di settembre e un quinto prosegue l’appassimento in cassette. Dopo la vinificazione in acciaio, si procede con l’affinamento per circa 3 mesi in barrique di rovere francese di secondo passaggio, poi il vino sosta in una vasca di cemento e infine imbottigliato. Nasce da vigneti su suolo tufaceo che ha ispirato il nome alla etichetta e a bassa resa per ettaro, in genere mai più di 60 quintali.


Avevamo già provato qualche altra vota Piani di Tufara, si è confermato un sorso perfettamente nelle nostre corde a partire dal naso, fine, elegante, con note ancora floreali, cenni balsamici,  rimandi fumé che ritroviamo al palato dove il sorso si distingue per freschezza e leggerezza, non stanca e non è neanche stucchevole. Insomma un vino sicuramente moderno nella sua concezione, che non si lascia andare agli eccessi come spesso accade al Moscato nel Sud.


Questa di Rivera, a nostro giudizio, resta un delle migliori interpretazioni di una denominazione che meriterebbe miglior fortuna e più ampia notorietà vista la passione e la serietà con cui i produttori ci si impegnano. Purtroppo nel Sud il discorso è sempre lo stesso: grandi individualità, rete scarsa e reciproca fiducia quasi nulla e i tanti pensano ancora che basti un buon prodotto per affermarsi. Ma oggi non è il caso di disquisire, bensì di berci tranquilli il nostro Piani di Tufara in modo rilassante e appagante.

Borgo diVino in tour ritorna con la terza edizione

 

Una costante e inarrestabile crescita per Borgo diVino in tour, l’evento itinerante dedicato alla promozione turistica e alle degustazioni delle migliori etichette enologiche territoriali e nazionali nel circuito dei Borghi più belli d’Italia.


Dopo le 10 tappe del 2022, Borgo diVino torna con ben
15 appuntamenti da aprile a ottobre 2023 per una terza edizione ancora più ricca e affascinante, in un viaggio all’insegna del Gusto e della Bellezza tra i gioielli della cosiddetta “Italia nascosta”.

Il tour permetterà al pubblico dei wine lovers di conoscere vini e vitigni dei vari territori, le loro storie e caratteristiche dal racconto diretto dei produttori, in contesti di particolare suggestione che regaleranno   un’esperienza senza dubbio indimenticabile.

Numerose le cantine provenienti da tutta Italia, per una proposta che si preannuncia assai più ricca degli anni passati e che potrà contare su centinaia di etichette, dai vini tipici dei territori a produzioni di nicchia come vini in anfora, macerati e rifermentati, vera e propria tendenza enologica degli ultimi anni. 

Ad accompagnare le degustazioni, verrà allestita anche un’area gastronomica dove il pubblico potrà deliziarsi con piatti tipici locali e altre specialità dei Borghi più belli d’Italia.

L’iniziativa, promossa dall’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”, è organizzata da Valica, la prima tourist marketing company italiana, in collaborazione con il Consorzio Ecce Italia. Sponsor ufficiali del ciclo di eventi sono Enel e Poste Italiane. Il Regionale di Trenitalia è Official Green Carrier del tour.

Le date dell’edizione 2023

Dopo il successo dello scorso anno, con oltre 30.000 visitatori e più di 300 cantine provenienti da tutta Italia, Borgo diVino è pronto a raggiungere ben 15 Borghi in altrettante regioni italiane.

Si parte dal Friuli Venezia Giulia con Valvasone Arzene (Friuli-Venezia Giulia) che ospiterà la prima tappa di Borgo diVino dal 21 al 23 aprile; a seguire Egna (Alto Adige, 30 aprile e 1 maggio), Neive (Piemonte, 12-14 maggio), San Giorgio di Valpolicella (Veneto, 19-21 maggio), Città Sant’Angelo (Abruzzo, 2-4 giugno), Montaione (Toscana, dal 9-11 Giugno), Altomonte (Calabria, 23-25 Giugno), Cisternino (Puglia, 30 giugno - 2 luglio), Borgo Santa Caterina (Lombardia, 7- 9 luglio), Grottammare (Marche, 21-23 luglio), Albori-Vietri sul Mare (Campania, 28-30 luglio), Oratino (Molise, 1-3 settembre), Nemi (Lazio, 8-10 settembre), Brisighella (Emilia Romagna, 6-8 ottobre) e infine Spello (Umbria,  13-15 ottobre).

Gli eventi

Ogni evento si svolgerà dal venerdì alla domenica (ad eccezione di Egna, calendarizzato su due giorni) in orari variabili a seconda della stagione.

All’interno di ciascun borgo ospitante verrà tracciato un percorso di degustazione che toccherà i luoghi di maggiore interesse turistico, con stand dedicati alle cantine e un originale percorso formativo sul mondo del vino, raccontato in circa 20 pannelli espositivi.

Uno spazio importante sarà riservato anche all’esperienza gastronomica, con proposte street food e piatti della tradizione locale. Un’area, in particolare, sarà dedicata alle produzioni tipiche del territorio con alcune delle specialità gastronomiche dei Borghi più belli d’Italia. L’iniziativa rientra nell’ambito del “MIB – Mercato Italiano dei Borghi”, progetto in cooperazione istituzionale tra l’Associazione “I Borghi più belli d’Italia” e “BMTI – Borsa Merci Telematica Italiana”, finalizzato alla valorizzazione delle produzioni tipiche e di qualità dei territori annessi all’Associazione.

Inoltre, ogni evento potrà proporre contenuti ad hoc per la promozione dell’offerta turistica del luogo ospitante. Obiettivo di Borgo diVino in tour, infatti, è sin dall’inizio quello di contribuire ad incentivare l’indotto economico dei territori ospitanti, “generando nuove opportunità per le destinazioni e diventando amplificatore di realtà belle da scoprire e buone da gustare”, come sottolinea Luca Cotichini di Valica.

Attraverso la degustazione di vini e di prodotti tipici particolari – dichiara Fiorello Primi, Presidente dell’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”Borgo diVino si propone di valorizzare i territori e il lavoro dei sapienti agricoltori e degli artigiani che sono una delle colonne portanti dell’economia nazionale. La Bellezza dei Borghi e la Bontà dei prodotti sono una grande opportunità che si offre ai viaggiatori interessati a scoprire tipicità e cultura in luoghi dove il fascino dell'antico si sposa perfettamente con la contemporaneità. Un’occasione unica nel suo genere, che vale la pena sfruttare per passare un fine settimana all'insegna del buon vivere, del buon bere e del buon mangiare”.

“L’obiettivo del tour – conclude Luca Cotichini, Marketing Manager di Valica e ideatore di Borgo diVino – vuole essere proprio la promozione turistica ed enogastronomica e il suo consolidamento.  Puntiamo a crescere e a far crescere gli splenditi territori, che sono poi i veri protagonisti di Borgo diVino in tour, trasformandoli in una sorta di polo fieristico diffuso. Nel 2022 abbiamo raddoppiato le tappe e quest’anno tocchiamo altre 5 regioni; per il 2024 ci proponiamo di coprire tutto il territorio nazionale da Nord a Sud”.

Ticket degustazione

Borgo diVino è un appuntamento aperto a tutti. 

Per la degustazione dei vini, è necessario acquistare alle casse un voucher del costo di €18 che dà diritto a 8 degustazioni a scelta. Assieme al voucher verrà consegnato un kit composto da sacchetta e calice degustazione. È possibile acquistare i kit degustazione online sul sito www.borgodivino.it (alla pagina-evento di ciascuna tappa) o direttamente in loco.

È possibile acquistare online oppure sul posto anche i Ticket Food e il biglietto d’ingresso per le Masterclass (ove previste).

I promotori

L’Associazione “I Borghi più belli d’Italia” è nata nel 2001 in seno alla Consulta del Turismo dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), con l’obiettivo di valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi del turismo di massa. Ne fanno parte ad oggi 348 Comuni, espressione dell’Italia più autentica in quanto custodi di atmosfere, profumi e sapori capaci di elevare “la tipicità” a un modello di vita da “gustare” con tutti i sensi.

Gli organizzatori

Valica è la prima società in Italia per “suggerimenti” turistici ed enogastronomici. Un vero Travel & Food data developer, con oltre 60 siti che compongono un network di 10 milioni di utenti unici, 25 milioni di pagine viste ogni mese, 4 milioni di follower sui social e 4,5 milioni di contatti diretti. Da 15 anni Valica è in continua espansione, in termini di business e di relazioni e si propone come “tourism market company” leader sul mercato italiano.

Ecce Italia nasce nel 2013 come Rete delle aziende operanti nel circuito dei Borghi più belli d’Italia per valorizzare il patrimonio produttivo ed enogastronomico di questi territori. Opera con il marchio I Borghi più belli d’Italia per la creazione di nuove opportunità commerciali e di visibilità a favore di piccole e medie aziende dei Borghi – le cui produzioni sono sinonimo di qualità, tradizione, sostenibilità ambientale e cultura dei territori – e in ambito enogastronomico per la promozione delle cucine tipiche dei Borghi.

Per informazioni e acquisto voucher, è possibile consultare il sito ufficiale https://www.borgodivino.it/ oppure rivolgersi ai seguenti contatti:

·       Valica: Alessandra Panza- alessandra.panza@valica.it – 349 597 1079

·       Ecce Italia: Anna Lisa Serafini - info@ecceitalia.com – 349 2851522

Tenuta Scuotto - Taurasi DOCG 2017


di Luciano Pignataro

Scuotto e Lapio sono famosi per il Fiano, ma il paese rientra nella DOCG Taurasi e questo del difficile 2017 è di una eleganza assoluta, fine, piacevole. 


La sua vera forza? Essere veramente gastronomico!

Luigi Moio e il suo Vigna Quintodecimo 2018


di Luciano Pignataro

Gli anniversari sono sempre un momento topico per i bilanci, soprattutto quando siamo in presenza di numeri tondi come il trentennale del Taurasi che coincide con il ventennale di Quintodecimo.
Siamo di fronte ad un vero e proprio gioiello vitivinicolo, con la cantina narrata millemila volte nei dettagli che ho visto nascere sia su carta, quando la disegnò un giovanissimo Luigi Moio in occasione della sua tesi di laurea, sia materialmente quando furono poste le prime pietre quando, assieme a mia moglie, visitai il sito durante una bellissima domenica pomeriggio di tanti anni fa.
Il bilancio di 30 anni è presto fatto, dopo Mastroberardino, intendo sia Antonio che Piero, Luigi Moio è il personaggio che più di tutti ha contribuito alla diffusione del Taurasi in Italia e nel Mondo.


Vigna Quintodecimo nasce proprio attorno alla cantina, è un cru a 450 metri di altezza. Questi i nudi dati tecnici spiegati da Luigi in persona:"il suolo è costituito da rocce argillose espandibili, molto ricche in calcare. la vigna, a 420 metri di altitudine con una pendenza del 25% ed esposizione nord/ovest, è coltivata a controspalliera con potatura a cordone speronato ed ha una densità di impianto di 5.000 ceppi per ettaro”.


Il tema è un altro: il Taurasi di Luigi è in perfetta controtendenza rispetto alla maggioranza delle etichette in circolazione, va in direzione della bevibilità, il tannino setoso e piacevole, lunghissimo al palato. Il suo Taurasi, e anche quello del 2008 di Antoine Gaita, mi hanno letteralmente illuminato da un lato perché sono sulla scia delle etichette di Madtroberardino che non ha mai ceduto alla moda della surmaturazione, della concentrazione e dell’uso smodato del legno.


No, il Vigna Quintodecimo ha come elemento centrale il frutto, il chicco dell’Aglianico, lavorato singolarmente con una pignoleria maniacale in cantina lungo la pista rossa distinta da quella dei bianchi anche sul piano visivo. Ecco, dunque, che Vigna Quintodecimo 2018 è sicuramente un vino che può vivere decine di anni ma che, al tempo stesso, è anche buono da bere subito grazie alla perfetta maturazione dei grappoli. La vera ossessione di Luigi che inizia il suo progetto di vino sempre dalla terra, non appartiene alla schiera degli enologi che correggono i danni fatti in campagna ma che li esaltano. Perfetta maturazione significa nè troppo e né poco, ma, appunto, perfetta. Come un uomo al massimo della sua espressione vitale, anche tenendo conto che ogni età ha il suo fascino. Così è anche per l’uva, dipende sempre cosa si vuole.


Lo scopo di Luigi Moio è stato quello di avere un Taurasi leggibile anche da chi beve Bordeaux, chiaro e cristallino nella sua pulizia, ampio nella sua profondità, lungo e in piena capacità evolutiva nel corso del tempo. Ricordo le stupide polemiche sollevate dai neopauperisti sul prezzo che non tenevano conto che era in realtà il prezzo di un Aoc di Borgogna che pagavano senza fiatare, meno di un Sassicaia che per quanto buonissimo, non ha la storia secolare del Taurasi ma solo un moderno ed efficace storytelling.

A tutto dire, il rapporto qualità prezzo è tutto a favore, ancora oggi, di chi compra e non di chi vende.

A me dispiace sempre aprirne una bottiglia perché sono un po’ tirchio su questo versante, penso sempre che si sia un momento migliore. Ma una comitiva di amici raccolta a Pasquetta a casa, una meravigliosa genovese napoletana (che non è pasta e cipolle), la competenza di chi poteva apprezzarla mi ha spinto allo stappo.
In questo trentennale mi auguro che il Taurasi sia la festa di tutti e questo calice fatto da un amico a cui mi lega un profondo sentimento di stima, non può che esserne l’augurio migliore.

InvecchiatIGP: Le Berne - Vino Nobile di Montepulciano 2001


di Carlo Macchi

Egisto Natalini, che fondò l’azienda Le Berne nei lontani anni ’60 assieme al figlio Giuliano, era ormai anziano e camminava lungo la strada di Cervognano un po’ ingobbito dagli anni e dai lavori agricoli. Si ferma accanto a lui una autovettura. Era guidata dall’allora titolare di una cantina a Montepulciano, famoso per essere anche proprietario di un gruppo alimentare molto importante e di una squadra di calcio di Serie A. Si era perso e così apre il finestrino e chiede a Egisto “Scusi, qual è la strada per Corte alla Flora. Sa, mi sbaglio sempre.” Egisto lo guarda e gli dice “Se l’avesse zappate tutte queste colline, la strada la saprebbe!”


Andrea mi raccontò questa storiella ridacchiando ma sotto sotto era orgoglioso del nonno, che assieme al padre Giuliano gli hanno tramandato la rustica e semplice filosofia del bravo vignaiolo, che Andrea porta avanti con vini concreti, schietti, che poco concedono alle mode.


Questo Nobile di Montepulciano 2001 si era perso nella mia cantina in una zona piuttosto umida e l’etichetta lo dimostra. Avevo quasi paura ad aprirlo e infatti il tappo si è spezzato a metà e ho dovuto fare varie operazioni per toglierlo senza sbriciolarlo. Non vi nascondo che con un’etichetta e un tappo del genere ero titubante a versare il vino nel bicchiere. Lo verso e il colore, ambrato con unghia aranciata, mi sembra il terzo indizio che fa una prova. Poi però penso che il colore in un sangiovese di 22 anni dovrebbe essere più o meno quello e così metto il bicchiere sotto il naso e le cose cambiano, non di poco.


All’inizio è cupo, concentrato, con china, liquirizia, noci, carrube e sentore balsamico di sottofondo. Poi esce una nota di erbe officinali, buon legno e poi il motore del maturo sangiovese di razza entra in moto, con note di fiori secchi, timo, maggiorana. Montano sempre più le sensazioni balsamiche ma comunque su note austere, come l’annata importante prescrive. Dopo un’ora che è nel bicchiere la nota balsamica è affiancata da una sensazione di frutta matura che rende il tutto ancora più complesso, piacevole ma con un sottofondo di freschezza ancor più accentuata. Altro che vino vecchio!


In bocca freschezza, tannicità ancora viva e un po’ rustica ti accompagnano con equilibrata armonia al lungo finale, che lascia la bocca pulita con un tono sapido, aumentando così la soddisfazione del sorso. Sinceramente, con questa pienezza, freschezza e importanza non si pensa ad un vino base ma ad una Riserva. Questo è il bello dei piccoli-grandi vini: se fatti bene hanno l’equilibrio per dare grandi soddisfazioni nel tempo, che spesso quelli più concentrati e impegnativi promettono ma non portano a compimento.  Un vino figlio dell’annata e di un modo classico di fare Nobile di Montepulciano che dovrebbe avere più seguaci. Un grazie ad Andrea per aver prodotto un “vino base” che potrà dire la sua per altri anni e un grazie anche alla vendemmia 2001, sicuramente se non la prima, la seconda grande annata del nuovo secolo.