L'anima rock dei vini dell'azienda agricola Costa Archi


Se ci fosse Adriano Celentano a commentare i vini di Costa Archi direbbe inesorabilmente che sono “rock”. 
Gabriele Succi nel creare i suoi vini non bada a mezze misure e, da appassionato di hard rock, in cantina sembra imbracciare la Fender Stratocaster per creare dei riff di grande potenza, non per tutti i palati.

L’Assiolo 2009 (Sangiovese 100 %) nonostante il suo grande estratto quasi 15° alcolici è un vino fresco e beverino, di grande complessità fruttata, quasi croccante nella sua vena ciliegiosa (oddio mi sento Maroni). L’ho bevuto e ribevuto con grande piacere affianco alla regina della gastronomia romagnola: la lasagna. Nel suo essere popolare lo abbinerei al riff di 7 Nation Army dei White Stripes.


Il Beneficio 2008 (Sangiovese 60%, Merlot 40%) è forse il vino più “borghese” di Costa Archi, il merlot conferisce la giusta morbidezza ad un vino che è meno rustico e più profondo del precedente. Il bicchiere diffonde subito nell’aria gli aromi di frutta rossa sotto spirito, pepe, eucalipto, sandalo, sottobosco. In bocca l’attacco caldo è subito stemperato da grande freschezza. Tannini di buona fattura ed in evoluzione. Ottima lunghezza finale. Un vino  molto rappresentativo che sembra ispirarsi al riff di My Generation degli Who.


Il Monte Brullo 2007 (Sangiovese 97 %, Ancellotta 3 %) rappresenta l’assolo di chitarra che ti porta dentro il cuore della musica, bastano poche note (olfattive) e comprendi tutte le declinazioni della frutta rossa, delle spezie nere, dei fiori appassiti. L’assolo va avanti inesorabile col sorso che rimane avvolgente, succoso ed inesorabile nella sua grandezza strutturale. Mi vengono in mente le note di Back In Black degli AC/DC dove con tre semplici bicordi ripetuti (E5/D5/A5) si riesce ad esprimere potenza ed energia allo stato puro.


Il Prima Luce 2007 (Cabernet con un pizzico di Merlot) è una sorta di piccolo Frankestein creato da Succi che ha il merito di contenere tutti i pregi dei vini precedente. Non si gioca più con le tonalità dark del sangiovese, qua il cabernet si presenta monolitico, inscindibile, un tetragono di profumi densi e cangianti che man mano prendono le forme aromatiche del catrame, del pepe, della liquirizia, della frutta nera di rovo, del vegetale, del balsamico. La musica, inizialmente scura e gotica del vino, si trasforma al sorso dove il cabernet avvolge il palato saturando ogni poro gustativo con un tale equilibrio che i quasi 16° alcolici del vino sembrano inconsistenti come le parole dei nostri politici. Finale piacevolmente devastante, balsamico, speziato. Sul mio palco emozionale considero il Prima Luce alla stregua dell’assolo di Mark Knopfler in Sultan Of Swing: lungo, ipnotico e per intenditori.




La Nouvelle Vague del Lambrusco. Aggiornamento goloso!



Le prime ricette già stanno vedendo la luce anche se, per il termine, aspettiamo qualche ritardatario. Intanto metto i link dei vari blog che hanno già postato il loro abbinamento:












http://italianlinguini.blogspot.com/2011/03/mamma-figlio-in-cucina-per-un-lambrusco.html

http://www.paladar.it/2011/03/28/contest-la-nouvelle-vague-del-lambrusco-pizza-con-tosone-friarielli-napoletani-e-cotechino-di-finale-emila

http://lapanificatricefolle.blogspot.com/2011/03/lalbone-e-il-maiale.html

http://www.fiordifrolla.it/mini-hamburger-emiliani.html 


http://www.nelpaesedellestoviglie.com/archives/2011/03/29/mousse-di-mortadella-e-lalbone/

http://www.nelpaesedellestoviglie.com/archives/2011/03/30/il-signor-filetto-di-maiale-al-forno-e-lalbone-cena-parte-seconda/ 

http://blogewine.blogspot.com/2011/03/casa-fuschini-si-degusta-lalbone-di.html

http://www.papilleclandestine.it/2011/04/04/baccala-brandacujun-pastelinhos-frisceu/ 

http://www.dicotteedicrude.com/2011/04/04/quenelle-e-lambrusco/ 

In più Ilaria Gelati mi ha mandato questa ricetta:

BIGOLI AL LAMBRUSCO CON SALSICCIA

Ingredienti (x4persone)

- 500gr di bigoli
- 40gr di burro
- olio d’oliva
- mezza cipolla tritata
- 2 di salsicce sgranate grossolanamente
- mezzo bicchiere di vino rosso
- 2 cucchiai di conserva
- 2 mestoli di brodo circa
- 1,5 l di lambrusco secco
- alloro
- rosmarino
- sale
- pepe nero
- grana grattugiato a piacere

Imbiondire la cipolla in burro e olio, unire la salsiccia e rosolare per qualche minuto, bagnare con vino rosso, lasciar evaporare e unire la conserva di pomodoro.
Salare e speziare, aggiungere il brodo e lasciar cuocere per 15 minuti circa.
In una pentola mettere metà acqua salata e metà vino, portare ad ebollizione e
cuocere i bigoli. Scolare e condire con il ragù, aggiungendo il grana.

Gabriele Succi e il mondo Costa Archi


Gabriele Succi fa parte di quel ristretto gruppo di giovani vignaioli (vedi Podere il Saliceto) che sta cercando di cambiare le sorti della viticoltura romagnola. 

Prima di descrivere i suoi vini, cosa che farò in settimana, mi è piacerebbe che il lettore leggesse quanto scritto di seguito perchè, in poche righe, Gabriele ci apre il suo mondo, un universo fatto di tanto sudore e pochi lustrini. Alla faccia di chi vuole i giovani svogliati e bamboccioni!

Ciao Gabriele, parlami della tua passione per il vino...

E' insita nel mio DNA! Mio nonno materno, cominciò a vinificare le uve dei vigneti piantati nei terreni di mia nonna già nei primi anni ’60. Dopo la sua morte, nel 1981, la cantina chiuse e rimasero i vigneti che erano condotti dai braccianti sotto l’occhio vigile del “fattore” in quanto sia mia madre che mia zia erano insegnanti e di agricoltura non ne capivano molto, anche se durante la vendemmia erano quotidianamente in azienda ad aspettare il camion che caricava le uve e a compilare tutte le varie scartoffie.
Le uve quindi erano vendute ad altre cantine e/o conferite alla cantina sociale. Il vino che veniva fatto con le nostre uve per consumo familiare, dopo la morte di mio nonno, era orrendo al che mi allontanai completamente da questo mondo fino alla fine degli anni ’80 quando mio zio mi portò una bottiglia di Brunello di Montalcino della Tenuta di Sesta. Rimasi folgorato e mi chiesi: ”Ma perché anche noi che abbiamo il sangiovese non riusciamo a fare una cosa così?”.

Gabriele a lavoro

Era iniziata la sfida?

Sì, perché nel frattempo mi ero iscritto alla facoltà di Agraria e, terminati gli studi, comincia ad occuparmi dell’azienda (che si era rimpicciolita a causa di altre successioni) svolgendo un lavoro già visto: vendita di uve alle altre cantine e/o conferimento alla cantina sociale. Non c’era molta soddisfazione in questo (la qualità non veniva e tuttora non è premiata) e per tale motivo decisi di vinificare in proprio le mie uve migliori e iniziai un lavoro di studio preciso del terreno (ho anche fatto fare una ricerca geologica sull’origine dei terreni su cui sono piantate le mie viti), una serie di impianti nuovi impuntati sulla selezione di diversi cloni di sangiovese per cercare di capire la loro diversa attitudine e la miglior destinazione enologica e non ultimo ho rinnovato il parco macchine aziendale che era, a dir poco, obsoleto.

Qual è la tua filosofia di cantina?

La frase che per me vale come parola d’ordine (quanto mai assai scontata) è il “vino si fa in vigna”, in cantina non si fa niente che non sia semplice. Niente controllo della temperatura, travasi e non filtrazioni, in fase di vinificazione non uso pompe ma solo follature manuali e uso dei lieviti selezionati solo in caso di accumulo di zuccheri fuori controllo (a dire il vero le ultime annate, 2010 esclusa, sono tutte così).

Com’è il legame col tuo territorio?

Il mio scopo è quello di portare avanti un territorio (la Romagna) che non ha storia, che non ha un background culturale (dal punto di vista tecnico di viticoltura di qualità), dove gli uomini hanno sempre pensato di fare il vino in damigiana dai grandi numeri, venire pagati subito ma alla fine, senza promuovere nulla. La generazione di viticoltori romagnoli attuale è la prima vera generazione che ha qualcuno che cerca di studiare, sperimentare, provare, utilizzare tecniche in modo diverso per poter comunque giungere ad un fine comune: riconoscere il proprio lavoro, come un lavoro “fatto bene” che possa essere riconosciuto tale anche da persone che non risiedono qui.
Il problema però è che molte aziende locali famose e meno si sono affidate a consulenti esterni che hanno stravolto un po’ tutto seguendo quella che era la moda del momento. Oggi solo qualche piccolo viticoltore (fra cui credo di esserci anch’io) cerca di fare ciò che ho descritto sopra facendo esperienza sulla “propria pelle”.

Grazie Gabriele..

Giovedì o venerdì posterò le mie impressioni circa i suoi vini che, vi anticipo, sono molto rock!

Meglio una botte d'Ovum oggi che....


Dalla Francia arriva una botte pensata per i vini più pregiati, l’Ovum, dal costo di trentamila euro. Presentato al Bordeaux Vinitech, è una botte ovale, dalla forma caratteristica simile a un enorme uovo. Creato da Taransaud, una delle più note case di produzione di botti francese, Ovum è una piccola meraviglia. Questa speciale botte di rovere, sviluppata in gran segreto, ha una capienza di duemila litri di vino ed è stata lavorata dalle sapienti mani degli artigiani francesi per migliorare la micro-ossigenazione naturale del vino e donargli così un gusto più fine.


Per questo Ovum ha scatenato una gara tra i migliori produttori, pronti a scatenare una vera gara per avere questa botte speciale, unico pezzo al momento prodotto da Taransaud. Ovum è inoltre impreziosito da una chiusura in legno placcato oro.


La Francia è da sempre una regione vinicola che produce vini di altissima qualità. Nelle campagne francesi prendono vita alcuni dei nettari più noti al mondo. Uno dei segreti per la produzione di vini d’eccellenza è l’uso di botti speciali, in grado di dare al vino il gusto perfetto.
In attesa di scoprire quali novità nel settore saranno presentate a Vinitaly, il salone internazionale del vino al via il prossimo aprile a Verona, i produttori francesi hanno puntato la loro attenzione sul nuovo gioiello di casa Taransaud, pronti a scommettere sulla sua eccellenza.

Il buon vino quotidiano: la Pampanella della Masseria Vigne Vecchie


Dovrei parlare molto più spesso di vino quotidiano soprattutto quando quello che ho bevuto proviene da una piccola realtà cooperativa biologica di Solopaca.
La “Masseria Vigne Vecchie” è stata costituita pochi anni fa da alcuni agricoltori locali decisi a non essere solo meri conferitori ma, piuttosto, ad essere artefici del loro destino trasformando personalmente le loro uve in vino che provvederanno loro stessi a commercializzare. Un passo importante e coraggioso per una zona che sta vivendo una crisi profonda e che avrebbe bisogno di dieci, cento, mille progetti del genere.

Vigneti
L’azienda si estende per circa 20 ettari e i vigneti piantati, principalmente aglianico e falanghina, sono coltivati biologicamente secondo certificazione Icea (Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale) e vengono trattati con stallatico.
Contro la peronospora vengono utilizzati anticrittogamici a base di rame e contro l'oidio lo zolfo, così come facevano i vecchi contadini della zona 50 anni fa.
Masseria Vigne Vecchie produce diversi tipologie di vino a base di falanghina: Armonia, Meteora e Pampanella.
Quest’ultimo vino l’ho acquistato la scorsa estate tornando da Castelvenere
La sera era afosa e non c’era miglior rimedio che stappare una bottiglia di bianco fresco e senza troppe pretese. 
Al naso mi ha colpito per la sua leggiadria e i profumi piacevolissimi di pesca, succo di mela, camomilla, tiglio. 
Al sorso la falanghina è caratterizzata da un corpo snello e da una spiccata sponda acido/sapida. Finale non troppo lungo fruttato.


Un vino discreto, da bere nel quotidiano, che non ha nessuno scopo recondito se non quello di ridare dignità agricola a questo vitigno e a questa zona.
Se non ricordo male la Pampanella 2009 l’ho pagata circa sette euro. Che volete di più?

Angelo Gaja se ci sei batti un colpo!


Ho seguito con molto interesse l'articolo di Giulia Cannada Bartoli apparso poco tempo fa sul blog di Pignataro dove si legge di un Angelo Gaja in versione napoletana che dice la sua su Robert Parker, punteggi, artigiani del vino e mercato. 


L'articolo si fa estremamente interessante nelle ultime righe quando, riportando un pensiero del noto produttore, Giulia scrive che "le ultime battute Gaja le riserva ai cambiamenti del mondo della comunicazione, al fondamentale ruolo di internet, al prolificare del fenomeno bloggers che se da una parte,  può mettere in difficoltà i produttori e i ristoratori, costituisce dall’altra, una grande ventata di libertà. Io stesso – conclude Gaja – li utilizzo intervenendo qua e là e trovo, anzi, che i miei colleghi  produttori, dovrebbero essere più presenti, intervenire, aprire dibattiti, comunicare, interagire".

Sono tre anni che giro per i molti siti internet che parlando di vino e, tranne un raro caso in cui Gaja invitò in cantina un manipolo di lettori "arrabbiati" (anno 2008), non mi pare che l'Angelo nazionale commenti spesso nei vari blog.
Non si fa, non si fa. Predicare bene e razzolare male non è bello per cui io lancio il mio appello: "Dott. Gaja se legge sto blog si faccia vivo che un dibattito lo apriamo!!!"


Poggiotondo val bene un Chianti!


Da appassionato di vino cerco sempre di seguire le vicende di tutte le aziende vinicole che mi stanno più a cuore per cui, a distanza di un anno, eccomi a parlarvi di nuovo di Poggiotondo, importante realtà del Casentinese, costituita da 54 ettari di pura natura, asini sardi compresi, tra i comuni di Subbiano ed Arezzo.
E’ il 1973 quando, su terreni galestrosi, Lorenzo Massart e sua moglie Cinzia Chiarion decidono di piantare, per un totale di 4 ettari, i primi tre vigneti aziendali: Vigna Grande, Vigna Quercia e Vigna Aldo.

Le Vigne
Da quel momenti in poi sangiovese, canaiolo, trebbiano e malvasia bianca, tutti ricadenti della Docg Chianti, grazie anche al recente impianto del vigneto Tata (sangiovese) e di Vigna dei Meli ((sangiovese, canaiolo e malvasia), creeranno alchimie enologiche di forte impatto territoriale portando Poggiotondo ad essere un punto di riferimento per tutto il Casentino e non solo.

Poggiotondo e Le Rancole sono i due vini rossi di riferimento dell’azienda. 

Il primo, degustato nel millesimo 2007, è un sapiente blend di sangiovese e canaiolo che, nelle intenzioni di Massart e dei suoi collaboratori, rappresenta la tradizione e il carattere delle gente e dei prodotti della vallata. Maturato in vasche di cemento ed affinato in bottiglia per circa 12 mesi, è un vino che sia al naso che in bocca non tradisce la sua mission originaria perché sa essere rusticamente austero trasudando progressivamente col tempo passione e tradizione. La sua anima sapida e la freschezza di beva rappresentano i punti cardine di questo IGT affatto gridato che, proprio per questo, è un ottimo compagno di merenda, magari a base di prosciutto del Casentino.

Lorenzo Massart e sua moglie
Le Rancole, prodotto solo nella annate favorevoli, è il Chianti “vieilles vignes” dell’azienda provenendo da uve sangiovese e canaiolo dei tre vigneti storici dell’azienda. Matura per il 40% in barrique ed affina in bottiglia per un anno prima della commercializzazione. L’annata 2006 è la conferma che Le Rancole è un vino di grande saggezza, diretto, schietto, magnetico e scuro nelle suo profilo aromatico giocato su note di ciliegia scura, polposa come il Durone nero di Vignola, poi arriva la violetta appassita, la china, la lieve mineralità e un tocco di selvatico a ricordare i boschi di selvaggina del Casentino.
Bocca dinamica, fresca, sincera, dove colgo un grande equilibrio e nessuna traccia di legno. Chiude sapido di media persistenza. 


Il Vigna del Vassallo di Colle Picchioni: vecchio è bello!


Armando Di Mauro oggi è l’anima e il cuore di Colle Picchioni, storica azienda del Lazio che per anni è cresciuta in simbiosi con la mamma Paola, di cui ho parlato ampiamente qua, una delle prime donne a capo di un’azienda vitivinicola in Italia.
Armando lo si ama o lo si odia, troppo schietto ed onesto per un mondo spesso falso come quello del vino, difficile parlare di modernità in un contesto dove si stanno riscoprendo le antiche tradizioni contadine.

Filari di Colle Picchioni. Fonte: http://www.lucianopignataro.it
Colle Picchioni, come vedremo con un post ad hoc in futuro, è un’azienda che storicamente guarda al futuro e la scelta di passare da Giorgio Grai a Riccardo Cotarella, compiuta a metà anni ’90, testimonia le larghe vedute di Armando dopo che nel 1985 è passato al comando dell’azienda di famiglia.
Assieme a Slow Food Ciampino abbiamo calpestato le vigne e la cantina di Colle Picchioni fino ad arrivare alla sala di degustazione dove ci aspettava un’interessante verticale dei due vini di punta dell’azienda: Le Vignole, il bianco a maggioranza malvasia del Lazio con tocchi di trebbiano e sauvignon, e il Vigna del Vassallo, classico taglio bordolese.

Le Vignole 1998: odori e bevi questo vino e subito pensi:”Porca paletta, e questo da dove è uscito fuori?”. Già, perché questo bianco del Lazio, sconosciuto ai più, nessuno se lo aspetta così minerale, salmastro, di grande espressione fruttata. In bocca è vivo, vivissimo, dotato di grande freschezza e persistenza giocata su note di miele di acacia e frutta gialla matura. Da applausi. Botte grande da 20 Hl.

Le Vignole 2000: mmm, tre bottiglie e tre vini andati. Solo un caso?

Le Vignole 2003: è il primo anno di uso della barrique e il cambiamento di stile certo non è stato aiutato dall’annata calda che porta un profilo olfattivo morbido, vaniglioso, con tratti minerali e di frutta tropicale. In bocca il ricordo del 1998 è solo un lontano ricordo…

Le Vignole 2008: vino morbido e piacione, sa di miele e di albicocca. Bocca cremosa, estroversa, con un vino così non sbagli mai………


Vigna del Vassallo 1989: gli anni ’80 di questo vino continuano a fornire emozioni crescenti. Dopo una 1985 di grande impatto bevuta tempo fa, questa annata regala un taglio bordolese per certi versi ancora più appassionante fornendo un quadro olfattivo di forte impronta minerale, ematica, a cui seguono acuti di rabarbaro, terra umida, fiori rossi macerati, prugna secca. Bocca perfettamente integra dove tutto l’impalco strutturale è perfettamente fuso. A trovargli un difetto direi che forse è poco ampio e persistente in bocca.

Vigna del Vassallo 1990: subito ci accorgiamo di esser di fronte ad un grande vino. Questa annata, rispetto alla precedente, è meno minerale ma dona all’olfatto un frutto più giovane e vivo. Col tempo poi esce tutta la complessità e l’eleganza di un’annata che ai tempi prese i tre bicchieri: fungo porcino, humus, radici, carne, brace, macchia meditterranea, sono solo una parte dei descrittori che riesco a percepire. Gli applausi, però, sono tutti per la bocca che regala un vino ancora giovane, fresco, ampio, che entusiasma ancora per freschezza e fiera tannicità. Persistenza sfiziosamente sapida e terziaria. Chapeau!

Vigna del Vassallo 1993: tre anni in più regalano un taglio bordolese più materico, polposo, succoso, con le spalle grandi. Meno elegante e complesso della ’90, rimane comunque un vino giovanissimo, diretto, con un tannino ancora graffiante e una rusticità di fondo che lo legano indissolubilmente al territorio dei Castelli Romani.

Vigna del Vassallo 2008: ok, sono passati 15 anni dal precedente ma, a livello di stile, è come se fosse passata una vita. È un taglio bordolese moderno, segnato ancora molto dal legno, che seduce i neofiti per la decisa dotazione fruttata affiancata da toni speziati dolci. Al sorso il vino ha bisogno ancora di assestarsi, la struttura è ancora scissa tra la morbidezza dell’alcol ed un tannino che ancora litigano tra di loro. Da attendere con calma.


Antinori e il mercato globale del vino


In questi giorni in cui si parla tanto di Italia e di unità c'è un produttore che guarda all'estero e al suo mercato. 
Se il caso Montalcino vi ha lasciato la paura di una possibile internazionalizzazione del vino italiano, le seguenti parole di Piero Antinori, produttore e presidente dell'Istituto del vino italiano di qualita' Grandi Marchi, non lasciano ben sperare. "Quello della crisi dei consumi interni di vino e' un falso problema, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Il vino di qualita' e' il prodotto piu' globale in assoluto, non vedo perche' ci si debba focalizzare su una nicchia di 60 milioni di abitanti quando fuori c'e' un mercato di 6 miliardi di persone da conquistare. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare. "

Fonte: Il sole 24 ore
"Anche in Francia - ha proseguito Antinori - i consumi interni sono calati, ma questo non ha distolto dalla conquista di nuovi mercati di sbocco secondo una strategia comune e ben organizzata, ed e' quello in Italia non si riesce a fare, perche' manca una cabina di regia in grado di governare un settore fortemente parcellizzato. Per questo allarmarsi per un calo fisiologico dei consumi interni e' come guardare la pagliuzza per non vedere la trave". 

Per Antinori, che con le 17 aziende dei Grandi Marchi (Biondi Santi, Michele Chiarlo, Ambrogio e Giovanni Folonari, Pio Cesare, Tenuta San Guido, Ca' del Bosco, Umani Ronchi, Carpene' Malvolti, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Alois Lagender, Rivera, Jermann, Donnafugata, Marchesi Antinori, Tasca D'Almerita) rappresenta un fatturato di 500 milioni di euro l'anno (il 60% destinato all'export), il vino e' quindi un prodotto sempre piu' globale e per il made in Italy enologico questa e' un'occasione da non perdere


"Negli ultimi 10 anni - ha detto - gli Stati Uniti hanno visto raddoppiare i consumi interni, per non parlare dei Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), dove 3 miliardi di persone e centinaia di milioni di nuovi ricchi si 'occidentalizzano' attraverso i nostri status symbol, vino di qualita' in primis. In Cina - che e' gia' un mercato potenziale da un miliardo di bottiglie l'anno - ogni 100 litri di vino provenienti dall'estero solo 5 portano l'etichetta italiana. E ancora, a Hong Kong, hub principale per la distribuzione del vino in Asia, il vino italiano si colloca in settima posizione, con una quota di penetrazione del 2,3%, contro il 33% della Gran Bretagna - che distribuisce per lo piu' vino francese - o il 31% della Francia. 

Sono questi - ha aggiunto il presidente Antinori - i veri problemi del nostro vino, non tanto quelli legati ai consumi interni. I consumatori italiani sono senz'altro tra i piu' maturi e consapevoli al mondo: qui, negli anni, il vino si e' trasformato da alimento a piacere, da abitudine a scelta culturale. Certo - ha concluso Antinori -non giovano le campagne sempre piu' aggressive contro il consumo di alcoolici. Campagne dove il vino e' sul banco degli imputati e dove si rischia di fare di un'erba un fascio". 

Tutti pronti a piantare merlot e cabernet?

Fonte: AGI

E' morto Marco De Bartoli


Non ci credevo quando ho letto la notizia, ero stato da lui in cantina a Gennaio. Un altro faro del vino italiano è mancato. Porterò il suo Vecchio Samperi per sempre nel cuore. Condoglianze alla moglie e ai suoi splendidi figli che dovranno continuare il suo percorso, quel faro a Marsala non si deve spegnere.


I Superwhites 2011 ancora non sono finiti su Percorsi Di Vino!


Superwhites 2011 non mi ha, ovviamente, fatto scoprire solo il genio e la sregolatezza di Fulvio L. Bressan visto che, girando e selezionando, molto di buono i bianchi friulani hanno saputo donarmi. 

Damijan Podversic è un produttore biodinamico del Collio Goriziano che ha un protocollo di vinificazione molto semplice e in linea con la sua filosofia: fermentazione sulle bucce in tini di rovere per 60-90 giorni senza aggiunta né di lieviti selezionati né controllo delle temperature. Invecchiamento  in botti da 20 e 30 HL per 23 mesi e ulteriore affinamento in bottiglia. Durante il Superwhites mi ha colpito il suo Kaplja 2007, uvaggio di chardonnay (40%) friulano (30%) e malvasia istriana (30%) che tra sentori di mimosa, pesca, albicocca e pietra bianca, si conferma un vino di grande complessità. Sorso ampio, avvolgente, fresco e persistente. Davvero ben fatto. Da provare anche la sua Malvasia, un vino di grande carica aromatica che reputo ancora troppo giovane.


Edi Kante è una bandiera delle viticoltura del Carso e la sua Vitovska 2008 è una sorta di manifesto territoriale per quanta mineralità ci ho sentito. Come scrive la mia amica Rossella, forse a Roma dovremmo imparare più da questo vitigno.

Edi Kante
Marco Cecchini, promettente vignaiolo di Faedis (UD) ha stupito un po’ tutti col suo Riesling 2007 dalle note agrumate e minerali che, pur non raggiungendo le vette della Mosella, ha fatto capire che in Italia ci sono zone vocate per questo tipo di vitigno.

La sfida del picolit per me è stata vinta da La Sclusa che rispetto ai suoi “rivali” di Ermacora ha proposto un vino più aperto, emozionante, dove gli agrumi uscivano a profusione dal bicchiere insieme a pappa reale, pesche sciroppate e iodio. Bocca tenuta in grande equilibrio grazie ad una acidità sferzante. Finale dolce, interminabile.


Altre note sulla giornata le trovate su Ma che ti sei mangiato.

Buon Compleanno ad Armando Castagno


Oggi compie 42 anni un grande maestro per me. Armando è un amico ma soprattutto un talento dotato di umiltà rara. Lo ammetto, vorrei avere un decimo della sua conoscenza.

Grazie Armando!


P.S.: cazzo na foto mejo non ce l'hai? :-)

Superwhites 2011: il mio "coup de coeur" si chiama Bressan Mastri Vinai


Non lo ha fermato nè la pioggia battente nè derby della capitale (grande Totti), il popolo del vino bianco friulano questa domenica si è mosso ancora una volta compatto verso il St. Regis alla ricerca della sua bottiglia preferita.
Sarà la vecchiaia, sarà che forse mi sto evolvendo come degustatore ma, all’interno di queste orgie enoiche fatte di caldo e ressa opprimente, non mi ci ritrovo più, faccio fatica a valutare, capire, parlare col produttore alla ricerca di qualche spunto che mi permetta di capire di più sulla sua filosofia. Tra una spinta e l’altra una luce su tutti si è accesa. 


Sotto il riflettore di Percorsi Di Vino metterei sicuramente Fulvio L. Bressan, dell’omonima azienda, che ritengo un vero e proprio “vinoverista” politicamente scorretto del mondo del vino. Sanguigno, diretto, schietto (anche troppo), mi ha rilasciato queste poche dichiarazioni che la dicono lunga sul suo credo.


I suoi vini sono davvero appassionanti, escono quando dice lui e come dice lui. Non è vittima del mercato visto che le ultime quattro annate, non ritenendole dignitose, non usciranno proprio. “Non lasciarti fregare da chi ti dice che sono grandi annate” mi dice in tono perentorio, “se lo fa ti sta prendendo per il c…”.

La sua filosofia è naturale quanto le sue parole:  

  • Selezione manuale massale delle viti ed uso preferenziale di ceppi autoctoni (vietata la clonazione e tutti gli O.G.M.) 
  • Potatura, spollonatura eseguite solo manualmente. 
  • Coltivazione personale del vigneto senza l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, rispettando la vite ed i suoi cicli naturali (esclusione totale di diserbanti e/o dissecanti e/o pesticidi) 
  • Utilizzo esclusivo di concimi naturali, cioè stallatici o vegetali, oppure nessuna concimazione. 
  • Vietata l’irrigazione, anche di soccorso, perché l’acqua, da sempre, diluisce il corredo aromatico e l’intensità del vino. 
  • Vendemmia fatta solo manualmente delle uve perfettamente sane e mature (no vendemmie anticipate). 
  • Fermentazione ottenuta grazie ai lieviti indigeni naturalmente presenti sull’uva, escludendo assolutamente l’uso di lieviti industriali sintetici. 
  • Nessuna aggiunta ai mosti di anidride solforosa o altri additivi / nessun intervento chimico (l’anidride solforosa potrà essere aggiunta solo in minime quantità al momento dell’imbottigliamento e comunque in quantità inferiore o uguale alla certificazione biologica). 
  • Vietato l’utilizzo di aromatizzanti biologici e/o chimici. 
  • Maturazione del vino sulle proprie “fecce fini” fino all’imbottigliamento. 
  • Nessuna filtrazione (pratica che, comunque e sempre, impoverisce e sterilizza il vino) 
  • Utilizzo esclusivo di tappi di sughero rigorosamente monopezzo naturale, affinché ogni vino abbia nel tempo il suo miglior alleato. 
  • Etichettatura rigorosamente manuale (…ogni bottiglia è una creatura unica…).
Tre i vini bianchi presenti, tutti annata 2006: Carat, Verduzzo Friulano e Pinot Grigio.

Il Carat, classico uvaggio ottenuto dall'unione di Tocai Friulano, Malvasia e Ribolla Gialla, si apre al naso con sentori di miele di castagno, albicocca, cotognata, mallo di noce, zenzero, pasta di mandorla. In bocca, la morbidezza fornita dal passaggio in legno, parte in barrique e parte in fusti di rovere da 2000 litri, ben equilibria una certa tannicità del vino. Finale delizioso su sentori di miele e frutta gialla matura.


Il Verduzzo Friulano è un altro vino estremo come il suo creatore visto che sia al naso che in bocca, a bicchiere coperto, può sembrare un rosso soprattutto per la sua tannicità che, anche in questo caso, viene stemperata da un passaggio in barrique per circa otto mesi. Finale abboccato su toni di mandorla, acacia e frutto tropicale appassito. Da provare sul Montasio.


Il Pinot Grigio, vinificato in acciaio, ha profumi di frutta matura, frutta secca ed erbe di campo ed essendo meno estremo dei precedenti è il vino di Bressan più facilmente abbinabile a tavola. Equilibrato al palato ha una persistenza di grande spessore giocata su note di frutta secca e fieno.


Chiudo questo post ringraziando tutti gli amici di Slow Food che ancora una volta hanno organizzato al meglio un grande evento come questo. Alla prossima!


L'Amarone della Valpolicella Classico "Checo" 2005 della Damoli Vini


Dedicato al nonno Francesco, da tutti chiamato Checo dei Merli, l’Amarone della famiglia Damoli proviene da uve leggermente surmature (Corvinone 45%, Corvina 30%, Rondinella 25%) raccolte nel mese di ottobre che vengono adagiate in cassettine e appassite in fruttaio per circa quattro mesi.

L'uva dopo 120 giorni di appassimento
Trascorso questo periodo avranno perso il 40% del loro peso e guadagnato una maggiore concentrazione. Pigiate e messe in vasche di acciaio, fermentano per circa 30-35 giorni. Durante il periodo di fermentazione, si eseguono rimontaggi e follature giornalieri e delastage. L'affinamento viene effettuato per il 70% del vino in botti di rovere di Slavonia da 8 e 12 ettolitri per circa 5 anni, mentre il 30% sosta in barriques usate di secondo e terzo passaggio.

Da un punto di vista strettamente organolettico, il vino conferma la linea generale dei prodotti della famiglia Damoli: grande pulizia, equilibrio e bevibilità. 
Pur essendo molto lontani dai mostri sacri come l'Amarone di Quintarelli o Dal Forno, il Checo inebria i sensi con ampie note di prugna secca e lamponi macerati a cui si alternano note di fiori rossi, cacao, china e liquirizia.
Bocca elegante, ancora una volta i quasi 16° di alcol sono ben supportati da una freschezza di beva encomiabile. Lungo e fruttato il finale. Non è un campione di complessità e profondità ma, per me, rimane una delle poche bottiglie di Amarone che potrei finirmi senza problemi.


Superconduttori al vino rosso


Un bicchiere di "quello buono", si sa, aiuta a sciogliere i la lingua, ha effetti positivi sulla circolazione sanguigna e anche sul colesterolo. E secondo un team di ricercatori giapponesi può anche indurre la superconduttività nei materiali ferrosi.
La superconduttività è un fenomeno fisico per il quale alcuni materiali, in particolari circostanze e al di sotto di una certa temperatura, assumono resistenza nulla al passaggio di corrente elettrica. Si tratta di una proprietà importante sia dal punto di vista scientifico che industriale perchè permette, per esempio, il trasporto su cavo di corrente elettrica con dispersioni nulle o comunque molto basse.


Yoshihiko Takano e sui colleghi del National Institute for Materials Science di Tokyo hanno immerso per 24 ore delle barre metalliche in differenti bevande alcoliche riscaldate e hanno osservato un notevole aumento nei loro di livelli di superconduttività.
Il ferro solitamente diventa un superconduttore dopo diversi mesi di esposizione all’aria: la ricerca di Takano dimostrerebbe che questa proprietà può essere indotta in appena un giorno di trattamento.
L’esperimento è stato condotto utilizzando diversi tipi di alcolici riscaldati a 70°C: vino rosso e bianco, birra, sake, whisky e shochu, un distillato di orzo, patata o riso molto comune nel Sol Levante. Il miglior induttore di proprietà superconduttive si è dimostrato il vino rosso. Ma bevande diverse, pur con la stessa concentrazione alcolica, hanno dato risultati diversi: probabilmente non è l’alcol a modificare le proprietà del materiale, ma qualche altro elemento.

Quale sia il meccanismo che permette a Bonarda, Brunello e Grignolino di trasformare gli elementi ferrosi in superconduttori non è ancora chiaro, ma si tratta sicuramente di qualcosa che interferisce con l'ordine magnetico del metallo. Le molecole del ferro sono infatti disposte secondo uno schema rigidamente ordinato ma per raggiungere lo stato di superconduttività questo ordine deve essere rotto. Secondo i ricercatori gli alcolici potrebbero alterarlo favorendo l’inserimento di particelle cariche o di ossigeno tra gli strati che formano il materiale.

Fonte: Focus.it

Superwhites 2011 a Roma. Io ci sarò!

 

SuperWhites a Roma
una domenica con i grandi vini friulani
Domenica 13 marzo 2011
St. Regis Roma Hotel

Siamo alla undicesima edizione di SuperWhites, l'evento che consente di conoscere i grandi vini bianchi del Friuli Venezia Giulia.
Frutto di una selezione accurata fra i vini bianchi di un territorio noto agli intenditori del mondo per la produzione vitivinicola di alta qualità, i Superbianchi friulani possono essere degustati e apprezzati in questo appuntamento organizzato nelle meravigliose sale dell'Hotel St. Regis Grand d i Roma da Slow Food Lazio, Slow Food Roma e Slow Food Friuli Venezia Giulia, grazie al supporto dell'ERSA della Regione Friuli Venezia Giulia.

Domenica 13 marzo, dalle 14,30 alle 19,30, nelle affascinanti sale Ritz e Danieli del St. Regis Roma si tiene la manifestazione: una grande degustazione collettiva, alla presenza dei produttori, per conoscere i vini bianchi di eccellenza del Friuli.
L'evento offre un'occasione unica per confrontare le caratteristiche dei vini bianchi, che costituiscono il 55% della produzione enologica regionale, a partire dal Friulano, la varietà che è presente su quasi ogni banco, in purezza o in assembaggio, proseguendo con altre varietà autoctone - ribolla gialla, malvasia, vitovska, verduzzo friulano, ramandolo, picolit - fino ai vitigni internazionali, come pinot grigio, pinot bianco, chardonnay e sauvignon. In particolare i visitatori potranno confrontarsi quasi sempre direttamente con i produttori, sentire dalle loro parole la genesi di questi piccoli capolavori. 45 sono le cantine presenti con oltre 130 vini.

In abbinamento ai SuperWhites il pubblico può assaggiare alcune eccellenze gastronomiche della regione: prosciutto crudo del Consorzio di San Daniele, salame del Collio friulano e prosciutto Praga con osso di Morgante e il formaggio Montasio del Consorzio che ne tutela la tipicità.
Sull'evento sovraintende l'Ente Regionale per lo Sviluppo Rurale, ERSA, che ha voluto fortemente l'evento all'interno della campagna di valorizzazione del Friulano.

SuperWhites, nato dalla collaborazione tra produttori friulani di qualità e Slow Food Friuli Venezia Giulia, ha l'obiettivo di promuovere nel mondo l'immagine dei vini locali, testimoni di un territorio particolarmente vocato alla produzione enologica di altissimo livello, cui si affiancano specialità alimentari di pari valore.
A ogni manifestazione partecipano le cantine annualmente selezionate da Slow Food fra quelle presenti nella nuova guida Slow Wine per rappresentare il vino bianco friulano, secondo criteri legati alla qualità del prodotto enologico.

Orario: dalle 14.30 alle 19.30; (dalle 14.30 alle 15.30 orario riservato agli operatori).
L'ingresso ha un costo di 15 Euro per i soci Slow Food e 20 Euro per i non soci.

Aziende Partecipanti:

Borgo delle Oche
Bressan
Casa Zuliani
Castello di Buttrio
Castello di Spessa
Castelvecchio
Cecchini Marco
Collavini Eugenio
Colle Duga
Coos
Di Lenardo
Drius Mauro
Ermacora Dario e Luciano
Gigante Adriano
Gradis'ciutta
Jermann
Kante  Edi
Keber Edi
La Sclusa
La Tunella
Le Vigne di Zamò
Lis Neris
Livon
Muzic
Petrucco
Podversic Damijan
Polencic Isidoro
Primosic
Raccaro Dario
Rocca Bernarda
Rodaro  Paolo
Russiz Superiore - Marco Felluga
Schiopetto
Sgubin Renzo
Skok Edi
Specogna
Subida di Monte
Tenuta di Angoris
Teresa Raiz
Toros  Franco
Torre Rosazza - Poggiobello
Venica & Venica
Vie di Romans
Villa Russiz
Zuani

Per informazioni:

- Slow Food Friuli Venezia Giulia - Tel e Fax 0432.523523 - 333.2392392 - info@slowfoodfvg.it

- Slow Food Lazio - Matteo Rugghia - ruma48@libero.it

- Slow Food Roma - Franco Fancoli - fiduciario@slowfoodroma.it

Josko Gravner e il vino naturale


C'è troppa confusione nel mondo del vino e ad aumentare il caos ci si mettono anche coloro che, nel loro piccolo, stanno dando una mano al nostro pianeta.
Troppe frammentazioni attorno al concetto di biologico e biodinamico: Vini Veri, VinNatur, Renaissance Italia sono solo parte dei movimenti che stanno alla base del vino naturale. Quale scegliere e perchè?


Come al solito la saggezza sbroglia le matasse più contorte. Josko Gravner, rispondendo ad una domanda di un giornalista riguardo la necessità di adottare un disciplinare per garantire la qualità dei vini naturali, ha risposto così: 

Gentile Signore, 

non è il primo e visto come stanno andando le cose, credo che non sarà neppure l’ultimo che mi chiede quanto da lei scritto, spero di essere chiaro e di non essere frainteso. Credo che il problema che ha scaturito tutta questa confusione nel mondo del Vino, sia lo stesso che ha stravolto tanti altri mondi… il problema sono i soldi! Guardi il calcio come è stato ridotto, e così anche il mondo del Vino non è stato risparmiato, infatti da quando sono entrati gli interessi degli industriali cioè la nuova generazione dei contadini, delle banche, delle assicurazioni… la semplice passione per la Terra ha dovuto lasciare spazio alla complicata passione per il business! 

Ed è così che un mondo semplice come quello del Vino è dovuto diventare complesso, io vengo da una famiglia di contadini per noi il Vino è sempre stato Vino, buono o cattivo, l’enologia moderna ha soppiantato una enologia di migliaia di anni… e oggi il vino non è più solo Vino, ma ci dicono che può essere: Vino biologico, Vino naturale, Vino non filtrato, Vino filtrato, Vino vero, Vino biodinamico, Vino senza solforosa, eccetera.
Lei mi chiede cosa ne penso dei Vini naturali, se sia giusta o meno una certificazione… 

Non so quale sia la risposta, perché io faccio il Vino, il mio Vino, e non quello dettato da un disciplinare o da una tendenza! E per fare il mio Vino cerco di rispettare al massimo la mia Terra, rispettando tutto l’ecosistema.
In tutti questi anni ho visto l’inutilità dei disciplinari, delle certificazioni, perché alla base di ogni vino prima ancora dell’uva ci dovrebbe essere l’onestà del produttore e questa non la si impara andando a scuola o aderendo ad un disciplinare di produzione… e tanto meno la si può certificare. 

Josko
Fonte:  Bibenda.it

16 Marzo 2011. Slow Food Roma presenta: Wine Music di Mirco Mariotti


Cibo, vino e musica

Il progetto Wine Music ha come obiettivo l'accostamento del cibo e del vino alla musica attraverso un persorso conoscitivo incentrato sulla risonanza sensoriale, ovvero la capacità dei nostri sensi di trarre il massimo del piacere nel corso di una degustazione.


Mirco Mariotti, invetore del metodo, durante la cena parlerà del suo progetto e ci mostrerà come tre grandi piatti della cucina tipica laziale, accompagnati da altrettanti vini, possano regalarci sensazioni uniche e crescenti se associati a brani musicali.
Appuntamento al Ristorante Larys in Via Basento 54, ore 20:30

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Rigatoni alla carbonara, abbinato con Malvasia IGT dell'Emilia "Le Dune Bianche"
Bucatini all'amatriciana, abbinato con Fortana dell'Emilia IGT "Surliè!", spumante sui lieviti
Saltimbocca alla romana, abbinato con DOC Bosco Eliceo Fortana "Duna della Puia"

Costo 35€ soci Slow Food (40€ non soci)

Prenotazioni & info: info@percorsidivino.com