InvecchiatIGP: Contrada Salandra - Falanghina dei Campi Flegrei DOC 2014


di Carlo Macchi

Giuseppe Fortunato è tranquillo come un fiore ben piantato nel suo terreno e operoso come un’ape. Non produce fiori ma vini che ti fanno rifiorire e li produce grazie anche alle api che “lavorano assieme a lui”. Naturalmente non le ha messe a libro paga ma in arnie ben tenute e le api ricambiano svolazzando e aiutando la microdiversità dei suoi vigneti.


Giuseppe ha le vigne su un terreno ballerino, quello dei Campi Flegrei, dove coltiva piedirosso e falanghina. Sono vigne su piede franco perché il terreno è composto da sabbia e cenere vulcanica e qui la fillossera non campa. Nella piccola cantina ha solo acciaio, dove fermenta e tiene i suoi vini prima di lunghi affinamenti in bottiglia, tanto che esce sempre almeno un anno dopo tutti gli altri.

Giuseppe Fortunato

Durante l’ultima visita da lui ha stappato una Falanghina dei Campi Flegrei 2014 per capire quanto un’annata non certo facile viene interpretata da quello che potrei definire “apiviticoltore”. Intanto sgombriamo il campo dalla sterile diatriba sulla 2014: per quasi l’85-90% della produzione si è trattato di un’annata tragica, per il resto il clima fresco e le giuste attenzioni in vigna, hanno spesso prodotto delle piccole opere d’arte. Adesso quell’85-90% non esiste più, ormai bevuto e digerito da tempo, ma è rimasta una parte di quel 10-15% che fa gridare al miracolo e porta a ribaltare i toni sull’annata da chi non riesce a capire le percentuali suddette.


La Falanghina di Giuseppe fa parte del 10-15% e lo dimostra con un colore dorato giovane e brillante e soprattutto con un naso floreale, fruttato, minerale, profondo e intenso che veramente riesce a “miracol mostrare” in bocca la freschezza è netta ma è ormai ingentilita dal corpo equilibrato, portando ad una chiusura sapida e molto lunga. Un consiglio finale, anche senza arrivare agli 11 anni di questa falanghina, qualsiasi bianco anche di livello inferiore a questo di Giuseppe, bevetelo almeno dopo 3-4 anni dalla vendemmia: farete un favore al vino e a voi stessi.

Bodega del fin del Mundo - Patagonia IG Blanc de Noir Extra Brut Fin del Mundo


di Carlo Macchi

Dalla Susi al Giardino delle Esperidi a Bardolino sei certo di bere bene e… strano: prendi questo metodo classico Pinot Nero e Chardonnay (80%-20%) che viene dalla fine del mondo e si chiama proprio così.


Dalla Patagonia una bollicina cremosa, piacevole di grande bevibilità, tanto che è finita in baleno.

Belvedere Roero: una certezza per cibo, vino, accoglienza e… prezzi più che giusti


di Carlo Macchi

Partiamo con un profilo basso: il Belvedere Roero è forse uno dei locali con il miglior rapporto qualità/prezzo del Piemonte, a cui si aggiunge una carta dei vini ampia, particolareggiata, praticamente mondiale, che può soddisfare qualsiasi appassionato. Mettiamoci anche il fatto non trascurabile di un’apparecchiatura da locale stellato e last but not least, un’accoglienza calda, amicale ma non invadente e il cerchio si chiude.


In realtà sono partito lancia in resta perché ormai questo locale è una delle mie tappe fisse quando vado in Langa (da Alba sono 25 minuti, da Barolo 35, da Barbaresco qualche minuto in meno) e naturalmente nel Roero, questa terra che in paesini come Monteu sembra staccata dall’ormai frequentatissima terra del Barolo.
Stiamo parlando di un locale di cucina tradizionale piemontese con alcune intelligenti rivisitazioni, che comunque, oltre alla carta, propone un menù Tradizione e uno Fantasia a soli 40 Euro: quattro portate “multiple” (l’antipasto ha sia il Vitello Tonnato che la Carne Cruda e c’è sempre un benvenuto dello chef) non solo cucinate bene ma con materie prime di alto profilo, cosa non sempre facile, adesso, da trovare in zona.


Dopo aver scelto il menù prendi la carta dei vini e ti immergi in un tour mondiale di etichette: da grandi a particolari, tutte proposte con ricarichi quasi da enoteca.
I ravioli del plin erano perfetti (questa volta e le altre) e lo stesso dicasi per il coniglio all’arneis, ma quello che stupisce di questo locale è la tranquilla bravura che vi regna. Sei in campagna in un ambiente bello ma non stellato, però trovi calici di alta gamma, esperti consigli sul vino (esiste anche una carta “per bere bene e facile” con poche e scelte etichette).

Ravioli del plin

Difficilmente ho mangiato 4/5 portate senza avere qualche calo qualitativo ma qui al Belvedere è praticamente una tradizione di famiglia: come detto questa è ormai la sesta-settima volta che ci vengo e ogni volta ho mangiato meglio della precedente.

Coniglio

In stagione più calda il Belvedere mostra il perché del suo nome con una terrazza da dove si può immaginare in lontananza Torino e che spazia sulle belle e verdi colline del Roero.


In definitiva un’esperienza che ogni volta che passo in zona non posso che ripetere e che vi consiglio vivamente. Non dico valga un viaggio di 300-400 chilometri, ma se sei in Piemonte e vuoi mangiare bene, bere meglio e spendere cifre molto ragionevoli il Belvedere è il posto che fa per te.

Trattoria Belvedere Roero
Frazione San grato 47, Monteu Roero
Tel. 3760867945

InvecchiatIGP: Cennatoio - Etrusco 1995


di Roberto Giuliani

In piena epoca di supertuscan, l’Etrusco nasceva come sangiovese in purezza, ma proponendosi nello stile in linea con questa tipologia di vino che tanto interesse aveva riscosso soprattutto all’estero. Ovviamente, quindi, era un vino estrattivo, concentrato, maturato in barriques, doveva colpire l’assaggiatore per struttura e profondità.


Cennatoio ha sede a Panzano in Chianti, è saldamente nelle mani della famiglia Alessi dal 1970, nel tempo è diventata anche azienda biologica certificata.
Il nome deriva da “cenno”, che è legato alla vicinanza con le Stinche Alte, carcere e avamposto della Repubblica di Firenze al tempo dei Medici, dove era abitudine fare “cenni” ai soldati medicei dal cortile della dimora. L’Etrusco è affiancato dal Chianti Classico nelle diverse versioni, da altri supertuscan e da un interessante Vinsanto Occhio di Pernice.


La bottiglia in mio possesso, purtroppo, ha l’etichetta particolarmente deteriorata, frutto di tre anni passati in una cantina interrata con umidità praticamente al 100%, che però non ha fatto male al vino. L’estrazione del tappo è stata difficile ma senza conseguenze, infatti si è spezzato in due, ma la parte rimasta nel collo della bottiglia è stata estratta senza sbriciolarsi. In ogni caso la tenuta era perfetta.
Versato nel calice è subito evidente che, nonostante i 30 anni di vita, il colore è tutt’ora profondo e quasi impenetrabile; mi ha subito colpito la riduzione appena accennata, mi aspettavo odori fastidiosi e coprenti, invece in pochi minuti di ossigenazione ha iniziato ad aprirsi.


Sono emerse note di cacao, prugna e mora in confettura, caffè, liquirizia, chiodo di garofano, sorprendente la quasi assenza di note più evolute, solo cenni di fungo, cuoio, tabacco; con sorpresa noto affiorare delicate sfumature agrumate e di rosa glassata.


Al palato trovo un vino ancora dinamico, con un’acidità viva e un’ottima armonia tra tannino vellutato e frutto maturo ma non marmellatoso. Sinceramente sorpreso da una simile tenuta, segno di quanto sia importante la buona conservazione di un vino ma anche di una materia indubbiamente elevata e ben gestita. Oggi lo apprezzo molto più di quando uscì in commercio.

Fuori Mondo - Toscana Bianco IGT d’Acco 2018


di Roberto Giuliani

Olivier Paul-Morandini, innamorato della Toscana, produce questo vino da coltivazione biodinamica in bottiglia da 1 l, alicante nera vinificata in bianco. 


Sorprendente, freschissimo, sa di mandarino ed erbe aromatiche, intenso e giovanissimo nonostante i 7 anni dalla vendemmia. Un litro ci vuole!

Ca’ della Vigna - Colli Euganei Fior d’Arancio secco VinOrigo 2022


di Roberto Giuliani

Siamo sulla pianura da cui si eleva il colle della Montecchia, noto per la presenza della Villa cinquecentesca Emo Capodilista, nel Comune di Selvazzano Dentro (PV). Qui il territorio è di origine vulcanica e l’uva “Serprina” è stanziale da parecchi secoli, infatti nei Colli Euganei è molto diffuso questo particolare biotipo (clone ISV-VA 4 iscritto nel 2007 nel Registro Nazionale delle varietà di vite) di Glera, la varietà destinata alla produzione del Prosecco, per le sue caratteristiche dà il meglio di sé proprio nei suoli vulcanici. Fino al 2009 il vitigno era denominato Prosecco, ma con l’ingresso delle DOCG Conegliano-Valdobbiadene e Asolo (e per il fatto che in Friuli esiste il Comune di Prosecco da cui alcuni suppongono provenga questa varietà), il nome è stato modificato in Glera. Nei Colli Euganei, ovvero nella provincia di Padova, non c’è solo la Serprina, ma anche una particolare cultivar di Moscato giallo, qui denominata “Fior d’Arancio”, menzionata già in alcuni documenti agricoli del 1879.


Catia Bolzonella e Willem Brouwer, ambedue architetti, lei padovana e lui di Haarlem in Olanda, innamorati del vino e spinti da un profondo rispetto per l’ambiente, nel 2010 fondano l’azienda Ca’ della Vigna, tre ettari vitati e condotti in biologico, una produzione di poche migliaia di bottiglie tra le quali alcune a base di moscato giallo. Per la rubrica Garantito IGP ho scelto questa dal significativo nome “VinOrigo”, vino fermo, non filtrato e non chiarificato.


Come ci raccontano i produttori “L’uva vendemmiata viene trasportata in cantina entro due ore dalla raccolta, dove viene lavata, diraspata-pigiata e confluita in botte di ceramica di forma sferica. Il vino è stato lasciato a contatto con le bucce fino alla svinatura, avvenuta dopo 5 mesi. Prima dell’imbottigliamento viene travasato e deposita brevemente senza l’uso di solfiti. L’uso della botte sferica ha molteplici vantaggi: in fase di vinificazione sulle bucce mantiene il cappello a contatto con il mosto, facilitando l’estrazione del colore; in fase di fermentazione i moti convettivi non sono ostacolati, anzi contribuiscono al mantenimento di una massa omogenea e a un naturale rimescolamento delle fecce fini; i n fase di conservazione lo spessore della parete garantisce un ottimale inerzia termica ed uno scambio omogeneo, il materiale permette il passaggio di ossigeno, senza cedere alcuna sostanza aromatica”. Devo dire che il vino che mi trovo davanti ha una pulizia espressiva notevole, si sente la mano attenta e un lavoro meticoloso in ogni passaggio. Il colore è giallo paglierino intenso con venature oro. Il profumo richiama subito, guarda caso, il fiore dell’arancia, note di agrumi maturi, pesca gialla, mango, uva spina, susina, erbe aromatiche, zenzero.


Bocca freschissima, con una bella carica fruttata che gioca tra la parte fresca e agrumata e quella più matura che spinge leggermente sul tropicale senza ammiccarlo in modo spudorato. La sensazione finale è quasi salina, rinfrescante ma profonda e persistente, con un forte richiamo alla componente minerale, rocciosa. Un bianco dalla personalità coinvolgente, in grado di evolvere a lungo senza timore di cedimenti.

Cantine Lavorata – Bivongi Doc Rosso Riserva 2018

La poco nota DOC Bivongi cela gemme come questo rosso (Greco Nero, Gaglioppo, Calabrese) prodotto da vigneti piantati a Riace. 


Bouquet complesso: frutti rossi, macchia mediterranea, spezie. Trama elegante, freschezza vibrante e lunga persistenza. Un sorso che svela l'unicità di questo terroir calabrese.

InvecchiatIGP: Tenuta Luce – Toscana Rosso IGT “Luce” 1995


Luce, il vino simbolo di Tenuta Luce, quest’anno celebra una prestigiosa ricorrenza: i 30 anni dalla prima vendemmia, datata 1993. Per festeggiare questo importante anniversario, Frescobaldi, proprietario della Tenuta, ha pianificato una serie di iniziative, come ad esempio coinvolgere la Casa d’Aste Christie’s per la creazione di lotti unici da mettere all’incanto oppure – e questo mi riguarda più da vicino – organizzare una serie di degustazioni in tutta Italia, durante le quali far assaggiare a stampa e professionisti del settore alcune delle vendemmie più iconiche di questo vino, , concepito fin da subito come un blend di Sangiovese e Merlot, al fine di associare l’eleganza e la struttura del primo alla rotondità e all’avvolgenza del secondo.


Luce rappresenta per me molto più di una semplice bottiglia di vino” racconta Lamberto Frescobaldi, Presidente Marchesi Frescobaldi, che continua “È un’esperienza, un viaggio personale nella vinificazione, che mi ha permesso di esplorare nuove tecniche e metodi, sia in vigna che in cantina e durante l’affinamento, valorizzando un terroir unico. Ogni vendemmia è stata un’avventura e un’opportunità per approfondire le mie conoscenze e arricchire la mia passione. Luce ha segnato profondamente il mio percorso di vita e di lavoro: è stato il mezzo attraverso cui ho scoperto il mondo, incontrando persone accomunate dalla stessa attenzione per il vino, con cui ho condiviso anche storie e culture.”

Lamberto Frescobaldi

Prima di parlarvi di Luce 1995, degustato all’interno di una verticale che arrivava fino alla 2022, ultima annata prodotta, è bene ricordare ai nostri lettori che la storia di Tenuta Luce ha inizio nei primi anni Novanta ed è segnata dall’incontro di Vittorio Frescobaldi con un altro grande personaggio del vino, Robert Mondavi. Due uomini lungimiranti, che scelsero Montalcino, terra nota per la sua vocazione enologica, per avviare insieme un progetto visionario, mossi dal desiderio di fare un vino che andasse oltre i confini della tradizione, senza tuttavia rinnegarla. A fianco di Vittorio e Robert furono coinvolti sin dall’inizio anche i rispettivi figli, Lamberto e Tim, allora giovani enologi, entusiasti di fare parte del progetto.


Le prime due annate di Luce, 1993 e 1994, vennero presentate insieme nel 1997 stimolando da subito grande curiosità e interesse: Luce venne immediatamente percepito come un prodotto innovativo, dal respiro internazionale e, vendemmia dopo vendemmia, anche dopo la fine della partnership con i Mondavi (2004), il vino ha continuato ad affermarsi sulla scena enologica mondiale tanto da essere esportato oggi in 80 Paesi.


Tornando a Luce 1995, la prima cosa che mi ha impressionato di questo vino è stata la sua inaspettata freschezza figlia di una annata tutt’altro che calda a Montalcino che, in un certo senso, ha esaltato (vivaddio) le caratteristiche uniche del sangiovese tenendo in una sorta di cono d’ombra il merlot la cui morbidezza, stavolta, apportando sfumature preziose senza stravolgere l’identità territoriale del vino. 

Il colore di Luce 1995

Dal punto di vista sensoriale la 1995 mi ha incantato perché il suo naso è un viaggio olfattivo attraverso il tempo, con profumi terziari che si esprimono in tutta la loro complessità: dalla macchia mediterranea all'affumicatura sottile, fino alle note evocative di viola appassita e di frutta rossa matura ma non declinata alla confettura. In bocca, la sua vitalità sorprende, con una succosità che esalta il frutto e una dinamicità che lo rende agile e piacevole. 


La struttura è solida ma elegante e dotata di una bella tensione acida che ne ravviva il sorso. I tannini si sono ammorbiditi con il tempo, fondendosi armoniosamente con gli altri elementi del vino, per un finale lungo e persistente, dominato da una piacevole sensazione balsamica che ne sottolinea la classe. Il vino, per chi vuole informazioni più tecniche, affina per 12 mesi in barrique di rovere francese (66% nuove, 33% di primo passaggio) e per 6 mesi in botti di rovere di Slavonia. Viene imbottigliato dopo 18 mesi.