Letture estive di vino


Tempo di letture d’estate su Percorsi di Vino, soprattutto il venerdì, quando già stiamo pensando al mare e al classico gossip da ombrellone. 
Se volete qualche notizia leggera tanto per fare chiacchiericcio “on the beach” non perdetevi le seguenti righe. 

La prima bomba estiva riguarda il mondo della moda e, in particolare, quel Roberto Cavalli che da un jeans e una maglietta è passato al vino. Già perché il nostro stilista possiede la Tenuta degli Dei, bella realtà chiantigiana all’interno della quale produce due rossi: un Toscana IGT chiamato “Tenuta degli Dei” da uve merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot ed alicante, il vino base dell’azienda, e il Cavalli Collection, il vino esclusivo, prodotto in quantità limitate ed avente la stessa tipologia di uve. 

Roberto Cavalli
Che c’è di strano? Semplice, che la bottiglia è in stile Cavalli, per cui, secondo me, mooooolto “tamarra”. La confezione regalo, in particolare, non si può vedere con quel ghepardato che fa molto “babbiona di alto rango che non capisce na sega di vino ma lo beve solo perché è Cavalli e fa fico tra le amiche”. Giudicate voi! Ah, ultima cosa. Il vino è stato recensito da un note giornale enologico: Playboy….. 

Confezione regalo
Parliamo ora di quello che sto ribattezzando “marketing champagnaro senza pudore”, ovvero come cercare di vendere più bottiglie di champagne turando il naso e non solo.
Questa settimana parliamo di Dom Perignon, storica Maison francese che ha deciso di rendere omaggio all'icona della pop art Andy Warhol con delle bottiglie che riprendessero lo stile e i colori che hanno reso celebri le opera dell'artista. 

Andy Warhol
L'omaggio a Andy Warhol rappresenta sicuramente un tentativo, da parte dei produttori di bollicine più amati al mondo, di rinnovare l'immagine dell'azienda dandole un tocco fashion e innovativo. 
L'edizione, ad edizione limitata, sarà disponibile solo fino alla fine dell'anno e unicamente in Spagna presso 4 rivenditori accuratamente scelti (Barcellona, Madrid, Ibiza e Marbella). 

Lo champagne "incriminato"
Abate Perignon e sig. Warhol, se da lassù ci vedete, potete mandare una folgore a chi si inventa ste cose? Ma subito però, il prossimo passo, in nome del trendy and fashion, potrebbe essere lo champagne tagliato con la tequila!

I vini monodose. Origine e sviluppo di un prodotto di (in)successo?


Oneglass non è altro che l’ultimo tentativo di introdurre sul mercato vino in confezione monodose.   

L’idea originale di chiudere il vino in buste di vario materiale forse è nata nel 2006 con “PocketWine”, progetto di Sara Lavagnoli, che si proponeva sul mercato con una confezione a forma di calice, con un apribottiglie posto nella parte superiore che sta a indicare il punto di apertura, che avviene a strozzo. 

Una confezione di PocketWine

Le differenze rispetto a Oneglass? PocketWine fornisce informazioni anche sulla cantina di produzione e viene (veniva?) venduto su scaffale o banco in confezioni di cartone contenenti 36 monodose da soli 5 cc (bicchiere scarso di vino).
Non ho trovato il prezzo per singola confezione ma è facile immaginare che sia più economico di Oneglass. 

Poi venne il Gruppo Coltiva con il suo QB, Quanto Basta, una minibottiglia di vetro che contiene l’esatta quantità di vino consentita per non incorrere in contravvenzioni per eccessivo uso di alcol. 
Il packaging, non certo esaltante, ricorda la caraffa delle osterie, a forma di clessidra, con tappo comodamente richiudibile (bonus). Sono previsti formati da 20 cc, per i vini frizzanti come Lambrusco e Prosecco, e da 25 cc per i vini fermi come Sangiovese di Romagna o Nero d’Avola. 

Quanto Basta

A prescindere dalla qualità del vino, l’unica differenza rispetto a Oneglass riguarda la confezione, in vetro, adatta a soddisfare anche le esigenze di due persone sedute a tavola.
Il vero concorrente di Oneglass però arriva dall’estero e si chiama Al Fresco Wine che, nel 2007 il Tulipak, un bicchiere in plastica resistente sigillato con un tappo in alluminio simile a quello dello yogurt riempito con Chardonnay e Shiraz australiano e  un rosè californiano sotto l’etichetta della Trencherman. 

Il Tulipak

Tappandomi per un minuto il naso vediamo di trovare qualche vantaggio: velocità di servizio, peso ridotto, riciclabilità totale del contenitore, uso in luoghi affollati (centro di Roma) dove il vetro non è consentito, possibilità di fuoriuscita del liquido e di rottura del bicchiere ridotte al minimo. 
Svantaggi? Bere un vino in un bicchiere di plastica preconfezionato rappresenta per me la morte civile della bevanda. Ma si sa, io non faccio parte del loro target…
Voi che ne dite? Quale idea vi stuzzica di più?

Ma quale tasting....oggi è tempo di "tapping panel"!!!


Ormai il marketing ha scoperto da tempo che internet rappresenta uno strumento efficace per compiere indagini di mercato a basso costo ed alto valore aggiunto per cui oggi, tra i vari blog e social network, c’è tutto un proliferare di giudizi su un’ampia gamma di prodotti, anche tappi di sughero. Avete capito bene.
Il sugherificio veneto qualche tempo fa ha lanciato su Vinix un’iniziativa, chiamata “tapping panel", con la quale si dovrà valutare, dal punto di vista tattile e visivo, il tappo dello Shiraz Mount Avoca 2007, un vino australiano del cui contenuto mi occuperò in seguito.
Ma perché lanciare un’iniziativa così per un tappo in sughero? Perché dicono che  è speciale, forse rivoluzionario.

Dal sito internet leggo che il tappo è prodotto dalla Procork ed è dotato ai due lati di una membrana protettiva formata da cinque strati ognuno con uno scopo preciso: regolazione dell’ossigeno, ritenzione dell’umidità, prevenzione delle contaminazioni e mantenimento del gusto. La membrana lascia passare una quantità controllata di ossigeno e contemporaneamente blocca il passaggio d’umidità. In questo modo riesce a evitare fenomeni ossidativi e riduttivi, che pregiudicano il gusto dei vini, e prevenire le contaminazioni da TCA, che provocano il fastidioso sentore di tappo senza la percentuale di irregolarità organolettiche che causa il sughero.

La membrana
Veniamo alla parte pratica. 

Analizzando la bottiglia la prima cosa che noto è la capsula, in materiale adesivo (!!!), che nella parte superiore riporta la scritta "nonsaditappo.it", il blog ufficiale del sugherificio veneto. Sicuramente tutto benaugurate anche se spero per loro che sia scritta che adesivo siano là solo per questo panel.

Una volta aperto il vino, la cosa che salta subito agli occhi è chiaramente il tappo in sughero che, diversamente dagli altri, ha alle sue estremità questa pellicola protettiva lucida che, se non conosci la filosofia Procork, potrebbe creare nel consumatore medio reazioni poco entusiasmanti nei confronti del vino che, per via dello strana chiusura lucida, potrebbe essere rimandato indietro.


Altra cosa che salta subito all’occhio è che il mio tappo, nella parte inferiore, era macchiato dal vino, in maniera uniforme, per circa 3-4 mm fornendo un effetto non del tutto naturale, comunque diverso dagli altri tappi in sughero di elevata qualità. Era, come dire, tutto troppo perfetto, sembrava disegnata quella macchia di vino. 
Ora non so se questo è un bene o un male, non sono affatto un esperto, però la sensazione era di un qualcosa che aveva bloccato artificialmente, come una barriera, il vino. Il sughero è un materiale poroso e questa cosa, ripeto, mi è sembrata forzata.

Il tappo colorato
Altra piccola considerazione finale: il tappo sembra di buona fattura, mi è stato confermato che trattasi di sughero monopezzo, però esteticamente, e parlo della parte non trattata con la membrana, non mi convince totalmente. 
E' troppo patinato, e il fatto che le due estremità abbiano una pellicola dello stesso tipo rende il tutto troppo artificiale. Il sughero è un materiale naturale ma quel tappo, non solo a me, è sembrato un pò "bionico".

Tappo sezionato
Magari la Procork starà pensando che non ci capisco una mazza di tappi e che quello che sto scrivendo era esattamente il fine ultimo di produzione, per cui abbiate pietà di me :-))

Ah, un consiglio: cambiate il vino che c'è dentro, una vera spremuta di legno...

Dalla Cantina Cremisan nasce il vino che unisce Betlemme e Gerusalemme


Bellissimo articolo tratta da Affari Italiani che vorrei condividere con voi. Il vino può essere anche speranza di pace.

Nell'area tra Betlemme e Gerusalemme, s'incontra Cremisan: qui da 125 anni anni c'è chi unisce passione e competenza per dare un sapore di pace a una terra in cui da decenni non scorre latte e miele, ma violenza e divisione.

Vigneti terrazzati e la Cantina Cremisan

Immerso nella collina, all'ombra di ulivi secolari e di una grande pineta, Cremisan ha una storia più antica del conflitto israelo-palestinese. Nel 1863 don Antonio Belloni, sacerdote ligure missionario in Terra santa, inizia la sua opera di cura e aiuto di ragazzi orfani a Beit Jala, nell'area di Betlemme. Don Antonio riesce ad acquistare quattro grandi terreni a Betlemme, Beit Jemal, Cremisan e Nazareth. 
Sono gli anni in cui cresce nel mondo la presenza della famiglia religiosa fondata da don Bosco e dedicata ai giovani. Don Belloni ne approfondisce il carisma e decide di diventare salesiano, donando alla congregazione anche le terre in cui aveva cominciato la sua opera. 
A fine Ottocento a Cremisan viene aperto un centro di formazione che nel 1957 diverrà istituto teologico internazionale, attivo fino al 2004. Ma oltre alla cultura, don Belloni ha distillato anche vino, creando una cantina e iniziando la produzione vinicola. 

Una scommessa che potrebbe sembrare azzardata in una terra a larga componente islamica. Il progetto, invece, ha richiamato in questo secolo esperti e coltivatori locali e internazionali, permettendo di dare lavoro a numerose famiglie. 
La Cantina Cremisan
Lo spiega don Luciano Nordera, sacerdote veneto che da 24 anni vive e lavora a Cremisan: “Perché in un centro di spiritualità c’è una cantina? Don Belloni stesso l'ha fondata nel 1885, nelle grotte naturali della zona, e dopo quattro anni la trasferì dov’è oggi. Essa doveva finanziare la costruzione della casa di Cremisan e dar lavoro ai palestinesi, aspetto sociale sempre mantenuto. A Betlemme il sacerdote costruì anche un forno che ancora oggi garantisce ogni giorno il pane a famiglie in difficoltà”. “All'interno della cantina -  continua don Luciano - lavorano in modo stabile circa 25 operai cristiani e musulmani. Altre 25 famiglie collaborano nelle fasi di realizzazione di grandi progetti, come il terrazzamento di nuovi vigneti, la raccolta della nostra uva, delle olive e la rivendita del vino”.

Lavoratori qualificati, ottimi vitigni, selezione accurata dell'uva sono i tre segreti con cui don Luciano spiega la qualità dei vini Cremisan, che alla base hanno la scelta di una “coltivazione biologica, non chimica”. 
La selezione dei vitigni Hamdàni-Jàndali, Daboùki e Bàladi e il lavoro dell'enologo Andrea Bonini e dell'agronomo Roberto Paglierini, insiema ai coltivatori locali, hanno prodotto ottime annate di vini e creato una rete di distribuzione internazionale. 
Attraverso il sostegno del VIS, della provincia di Trento e di vari sponsor, alcuni giovani palestinesi hanno studiato nuove tecniche di coltivazione nelle cantine di san Michele all'Adige. I vini bianchi e rossi, da tavola e da dessert (David’s Tower, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Malvasia), insieme al brandy e al succo d'uva – a Cremisan si producono anche olio d'oliva, aceto, noci e mandorle –  sono stati presentati con successo all'ultima edizione di Vinitaly nel mese di aprile.

Etichetta

Grazie alla cooperazione italiana e all’associazione tedesca per la Terra Santa sono stati fatti grandi lavori di terrazzamento, che devono ancora essere completati. 
Tra i progetti in cantiere, la sostituzione delle attrezzature ormai obsolete. Cremisan non è però un'oasi nel deserto: il monastero è collocato all'interno della Green Line, i confini dei Territori palestinesi stabiliti dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967. L'area è però stata annessa giuridicamente alla municipalità israeliana di Gerusalemme. 
Nel mese di marzo l'esercito ha avviato la costruzione del Muro nella zona di Beit Jala, lambendo i vigneti di Cremisan e centinaia di ettari dell'area. Un comitato popolare che riunisce centinaia di palestinesi, israeliani e attivisti internazionali organizza ogni settimana manifestazioni nel vicino villaggio di al-Walaja, di fronte ai bulldozer al lavoro. Le proteste internazionali potrebbero spingere Israele a modificare il tracciato del Muro nell'area. Affinché la prossima vendemmia non sia l'ultima.

Oneglass. Perchè?


I tasting panel sono un affascinante strumento di marketing che sempre più aziende, non solo di vino, stanno sviluppando approfittando dei tanti blog che si trovano in rete.
In questo caso Oneglass, società veronese che distribuisce confezioni di vino monodose (100 ml), ha voluto mandare una serie di campioni ai principali wine blogger italiani con lo scopo di chieder loro una valutazione sul  prodotto. 

 

Le cose sono due: o sono talmente sicuri che il loro prodotto incontrerà il gusto di chi beve regolarmente vini di un certo spessore, oppure per loro vale la regola del parlatene male purchè se ne parli.
Con tutto il rispetto, è come se la Simmenthal facesse provare le sue scatolette a chi mangia la carne di Eugenio Barbieri. Staremo a vedere.

Per evitare che il mio ego enosborone ed individualista potesse fornire giudizi distorsivi e soggettivi durante la degustazione, con ovvie ripercussioni sull’articolo, ho radunato undici amici per valutare se questi vini sia noeffettivamente appetibili e mantengano le promesse.


I primi interrogativi riguardano la confezione, sicuramente leggera e molto accattivante ma, ad uno sguardo più approfondito, emergono le prime perplessità riguardo l’etichetta che, oltre a riportare banali note di degustazione, aspetto che ritrovo comunque anche in etichette di vini ben più blasonati, nulla dice sulla provenienza di questo vino. Chi è il produttore? Sono vini di una cantina sociale? In che zona sono stati prodotti? Boh!!! Poca trasparenza.

L’altra domanda che ho fatto riguarda chi dovrebbe vendere e, soprattutto, acquistare il vino monodose. Per farla breve: ma voi dove aprireste questa “finta” bottiglia?
In un wine bar? No. In enoteca? No. Al ristorante? No. La grande distribuzione, con l’attuale innalzamento della qualità media dei vini offerti, non ci pensa proprio a vendere queste confezioni che, come vedremo, sono tutt’altro che economiche. 
Le uniche risposte al quesito riguardano la possibilità di acquistare il vino all’interno di mense aziendali oppure su aerei o treni. Qualcuno lo vede bene come gadget da rivista…
Pareri che, comunque, denotano una certa perplessità nei confronti di un prodotto che, per sua natura, viene comunque visto in concorrenza con altre tipologie di vino tipo Tavernello o mezze bottiglie di vino in vetro che, pur non essendo monodose, hanno lo stesso appeal di Oneglass.

Capitolo costi. Una confezione monodose (100 ml) costa 1.60 euro. Significa che una bottiglia di questo vino costerebbe circa 12 euro. Numeri da grande vino che spaventano.
 

E' venuto il momento di capire cosa c'è dentro queste confezioni, se davvero il vino vale quanto costa.

Quattro tipologie di vino: due bianchi, Pinot Grigio delle Venezie e Vermentino, e due rossi a base di Sangiovese e Cabernet Sauvignon.

Pinot Grigio delle Venezie IGT 2009 (pinot grigio 85% e traminer 15%): odore che passa dallo straccio alla Coccoina. Sembra sintetico. Al sorso passa e se ne va.


Vermentino IGT 2009  (vermentino 85% e chardonnay 15%): anche qua al naso c’erano odori di sintesi che vagamente ricordavano la frutta. Non mi invita nemmeno a berlo.

Cabernet Sauvignon delle Venezie IGT 2008 (cabernet Sauvignon 85% e teroldego 15%): un po’ meglio dei precedenti, posso paragonarlo qualitativamente ad uno sfuso mediocre da cantina sociale.

Sangiovese Toscana IGT 2008 (sangiovese 85% e syrah 15%): vedi punto precedente anche se le caratteristiche del sangiovese e del syrah sembrano una chimera.

Conclusioni: Oneglass è un progetto dinamico e al passo con i tempi che, purtroppo, ha  il grande difetto di avere nel suo portafoglio vini di ignota provenienza e scarso pregio venduti, tra l’altro, ad un prezzo, parliamo di 16 euro al litro, non assolutamente giustificabile con un prodotto degno di un hard discount. 
Tutto questo a prescindere dalle perplessità evidenziate dal panel circa dove e quando acquistare questo tipo di confezione.

Suggerimenti: aumentare la qualità del vino puntando magari su sfusi di produttori di eccellenza il cui nome dovrebbe essere ben indicato in etichetta. Almeno saprei con chi prendermela…

Paola Di Mauro e quella testardaggine chiamata Vigna del Vassallo

Oggi vorrei parlarvi di Colle Picchioni, un’azienda vitivinicola che ha fatto un po’ la storia della mia Regione, il Lazio, essendo uno di quelle che ha sempre fatto qualità nella zona di Marino, nei Castelli Romani, anche in tempi non sospetti.
Tutto nasce nel 1976, su un piccolissimo appezzamento di terreno che la famiglia Di Mauro aveva acquistato otto anni prima per sfuggire dal caos cittadino ed immergersi nell’incanto di un posto a metà strada tra Albano e Marino. Colle Picchioni è Paola Di Mauro, donna forte che, stufa di bere il vino del contadino che fino ad allora coltivava le sue vigne, decise di farselo in proprio.


La signora Di Mauro, però, non sapeva nulla di enologia ma, caparbia e sognatrice come era, si mise a studiare per trasformare quel fazzoletto di terra in una piccola azienda vitivinicola, la sua.
A quel tempo non aveva assolutamente struttura, macchinari, mano d’opera, la giudicavano pazza, i due figli la giudicavano colpevole di "sprecare i soldi in campagna". La deridono: "Perchè ti spezzi la schiena sulla terra... Se proprio non sai come buttare i soldi vai in crociera!".

Lei va avanti lo stesso.

La sua prima vendemmia, nel 1974, venne portata avanti con mezzi di fortuna costruiti con i materiali del ferramenta.
Il “gioco” si fa importante, le piace tanto il vino che produce. Compra altri quattro ettari, si rifornisce di botti di legno, di una diraspatrice e con l' aiuto di Bianca, la sua colf mantovana, travasa il vino.

Nasconde la diraspatrice al marito mimetizzandola con un imbuto e con dei tubi di legno
. Inizia a produrre 10-12 mila bottiglie l' anno.

La svolta
avvenne in concomitanza di un vecchio Vinitaly, nel 1983 quando Paola di Mauro incontrò Giorgio Grai, uno tra i più geniali enologi italiani. Tra i due c' è subito la scintilla. Grai è un tipo franco, uno capace di dire davanti a tutti "lei ha fatto una merda" oppure "cambi mestiere". Grai assaggia il Colle Picchioni, il vino della signora e dice: "Lei potrebbe fare figli magnifici. Perchè si ostina a farli con un po' di gobba?". La signora di rimando: "Se lei è tanto bravo mi dica come, ecco il mio numero di telefono". E tra i due nasce alla prima telefonata un grande amore professionale.
Da quel momento in poi arrivarono i primi successi grazie soprattutto a Veronelli che non smetteva di decantare il vino di Colle Picchioni. La costanza qualitativa del vino e l’inserimento dell’azienda nelle principali guide fecero il resto, la storia.


Oggi l’azienda è condotta da Armando Di Mauro, il figlio di Paola, che ho avuto l’onore di avere al mio fianco in una splendida cena tra amici all’interno della quale abbiamo ripercorso un pezzo di storia del suo Vigna del Vassallo, taglio bordolese da omonima vigna il cui nome è una dedica al lavoro dei vassalli dei principi Colonna a cui appartenevano originariamente i terreni dell’azienda.

Armando, durante la cena, ci porta in degustazione la prima (1981) e l’ultima annata (2008) del Vigna del Vassallo.
Il 1981, purtroppo, era sul viale del tramonto, troppi capelli grigi e troppe rughe per essere ancora quel vecchio playboy di una volta.
Il 2008 è una vera e propria anteprima per i presenti, giovanissimo eppur già godibilissimo con la sua vigorosa impronta di frutta rossa croccante, rosa canina e terra vulcanica. Bocca di grande coerenza con il naso. Uno dei pochi grandi rossi del Lazio.


Piccola chicca: sapendo della presenza di Armando di Mauro, ho stagnolato un Vigna del Vassallo 1985 (grande annata per la zona dei Castelli Romani) al fine di testare la bravura dei miei compagni di bevuta. Ebbene, alla cieca anche i migliori posso sbagliare visto che il taglio bordolese laziale è stato scambiato anche per un Monfortino. L’unico a non avere dubbi sul vino, fortunatamente, è stato proprio Armando. Non è cosa da poco, credetemi, la lista dei produttori distratti è molto vasta e ne comprende alcuni davvero titolati.

Foto tratte dalla rete e dal sito www.collepicchioni.it

Bollicine abissali!


Piero Lugano
, titolare dell'azienda vinicola Bisson di Chiavari ed ex insegnante di materie artistiche, da tempo studiava i ritrovamenti sottomarini di antichi galeoni contenenti vino, olio ed altri generi gastronomici che, dopo centinaia d'anni, si erano conservati in ottimo stato.

Lugano già sapeva quando, dal fondale della Cala degli Inglesi, baia incontaminata situata tra il faro di Portofino e la Cala dell'Oro, ha tirato su il primo dei dodici gabbioni contenenti 6.500 bottiglie del suo spumante denominato “Abissi – Riserva Marina di Portofino”, prodotto non in una semplice cantina ma ad profondità di 70 metri, con una temperatura costante di 15 gradi, in ambiente carente di luce: contesto che, assieme all'ottima
le bilanciamento di pressione garantito a simili profondità, favorisce il processo di spumantizzazione.

Lugano sapeva ma non poteva prevedere certo che da là
a qualche settimana tutti i suoi studi, i suoi sogni e le aspirazioni potessero concretizzarsi sul fondo del Mar Baltico. La notizia è di ieri: 30 bottiglie di champagne di 230 anni fa sono state scoperte sul fondo del Baltico. Secondo gli esperti, grazie alle ottime condizioni di conservazione, potrebbe trattarsi dello champagne ancora bevibile più invecchiato della storia.


Le trenta bottiglie, trovate da alcuni sub a una profondità di 55 metri farebbero parte di una spedizione effettuata da Re Luigi XVI allo zar russo Pietro il Grande. La scoperta è avvenuta durante un'immersione lo scorso 6 luglio al largo dell'isola finlandese di Aaland, a metà strada tra la Svezia e la Finlandia.
I sommozzatori hanno contattato inizialmente Moet & Chandon secondo cui però al 98% si tratta di Veuve Clicquot.

La data indicativa è stata dedotta dalla storia dello champagne francese: il Veuve Clicquot fu prodotto per la prima volta nel 1772, ma le prime bottiglie furono tenute a riposo per dieci anni prima di essere messe sul mercato. Perciò quelle sco
perte nel Baltico devono risalire agli anni che vanno dal 1782 al 1788-1789, quando, con lo scoppio della rivoluzione francese, si interruppe la produzione.


Ad assaggiare per primo il preziosissimo champagne è stata l'esperta finlandese, Ekka Gruessner Cromwell-Morgan. Il colore dello champagne è oro scuro con un aroma molto intenso, ha raccontato, «un forte retrogusto di tabacco, di grappa, di frutti bianchi, quercia».
Se dovesse essere confermata l'annata, il prezzo dello champagne potrebbe arrivare a centinaia di migliaia di euro.


Cromwell-Morgan ha spiegato che le bottiglie saranno messe all'asta: il prezzo di partenza per ognuna sarà di 53mila euro.

Vabbè, da profano mi accontenterò di degustare una bottiglia di Abissi made in Portofino. Chissà se Lugano ha ragione?!

Fonte: www.ilsole24ore.com

Gabrile Bonci, Dino De Bellis e......la Bestia





















Dino De Bellis e Gabriele Bonci non hanno bisogogno di molte presentazioni. A Roma sono considerati portatori sani di emozioni culinarie.

Cosa ci fanno insieme? Organizzeranno a Roma, il 20 Luglio, una cena speciale con la bestia.
Volete saperene di più? Ecco cosa mi hanno detto di scrivere.

Prendi una bestia enorme, macellala, falla frollare a dovere .
Aggiungi due pazzi che la cucinano in tutti i modi possibili e ne uscira fuori una serata speciale…..
menu a sorpresa, vino a sorpresa………il prezzo € 40,00

per info e prenotazioni info@incannucciata.com

0645424282

Ah, la bestia è una manzetta di 40 mesi e 500 Kg! Se volete saperne di più andate su Scatti di Gusto

Foto di Francesco Arena

Etichette d'autore: Chateau Mouton Rothschild

Château Mouton Rothschild, premier cru bordolese, è sicuramente uno dei vini più famosi al mondo non solo per la bontà del vino, ma anche perchè ogni annata del Mouton è caratterizzata da un'etichetta realizzata da un pittore contemporaneo che, generalmente, viene dedicata alle vigne, al vino oppure, occasionalmente, per celebrare eventi storici.

La prima etichetta d'autore è del 1924, quando il barone Philippe de Rothschild chiese a Jean Carlu di disegnarla per le bottiglie di quell'annata. Poi una lunga pausa, fino al 1945, quando per celebrare la pace, la seconda etichetta fu commissionata a Jean Oberle. Da lì un crescendo, con il coinvolgimento degli amici del barone tra cui Da, Mirò, Chagall, Picasso ed Andy Warhol.

Che ne dite di vederne qualcuna?


1945- La prima etichetta

1958 - Salvator Dalì

1969 - Joan Mirò

1970 - Marc Chagall

1973 - Pablo Picasso

1975 - Andy Warhol


Non finiscono qua le sorprese perchè etichette sono state create anche dal Principe Carlo, nel 2004, e da Lucian Freud, figlio del più famoso Sigmund.
Ovviamente tutti questi artisti vengono ricompensati con più casse di Château Mouton Rothschild.
Se volete vedere tutte le etichette fino ad ora prodotte questo è il sito:
http://www.theartistlabels.com/index.html

Parliamo di metalli pesanti nel vino?


Purtroppo le brutte notizie non sono finite.

Nel vino, così come in tantissimi altri alimenti, non dobbiamo fare i conti solo i pesticidi, i pericoli alla nostra salute giungono anche da un altro nemico invisibile: i metalli pesanti.

La notizia è del 2008 ma, nel frattempo, non credo che le cose siano migliorate, anzi.

Uno studio pubblicato dal Chemistry Central Journal e coordinato da Declan P. Naughton, ha voluto indigare sulle sostanze contenute nei comuni vini da tavola bianchi e rossi prodotti in 15 Paesi distribuiti tra Europa, Sudamerica e Medio Oriente, per ricavarne indicazioni sui loro livelli di contaminazione metallica.
La pericolosità di quest’ultima è stata valutata in base a un indice definito Target Hazard Quotient (THQ), originariamente messo a punto dall’Agenzia statunitense per la protezione ambientale allo scopo di stabilire i rischi per la salute comportati dai pesticidi.

Un valore del quoziente in questione che sia superiore a 1 rappresenta una minaccia alla salute, perciò i ricercatori sono rimasti sorpresi dalla constatazione che esso viene abbondantemente superato dai vini di 12 dei 15 Paesi presi in considerazione, con le virtuose eccezioni, per l’appunto, dell’Italia, del Brasile e dell’Argentina.

I principali metalli responsabili della contaminazione sono il vanadio, il rame e il manganese, seguiti dallo zinco, dal nichel, dal cromo e dal piombo.

La maglia nera dei vini che sanno di metallo va all’Ungheria e alla Repubblica Slovacca, dove il quoziente di rischio può superare il 350, ma non scherzano Paesi come la Francia, l’Austria, la Spagna, la Germania e il Portogallo, nei cui bicchieri nuotano ioni metallici in grado di proiettare le probabilità di una pesante bevuta oltre quota 100. Un po’ meno a rischio sono invece i vini prodotti in Grecia, Repubblica Ceca, Giordania, Macedonia e Serbia.


«In molti vini abbiamo riscontrato valori preoccupanti, senza differenze sostanziali fra i rossi e i bianchi», riferisce Naughton. «Un eccesso di metalli nella dieta viene associato a patologie come la malattia di Parkinson; inoltre, i metalli aumentano la probabilità di danno ossidativo, componente chiave delle malattie infiammatorie croniche e probabilmente di molte forme di tumore».

«I livelli di metalli dovrebbero essere segnalati nelle etichette», conclude Naughton.

Ohhhh e parliamo di etichetta allora, anzi, di retroetichetta!

Qualche blog si sta occupando in questi ultimi tempi di come dovrebbe essere quella del vino.
La mia versione somiglia molto a quella delle acque minerali, vorrei un’analisi delle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche del vino che mi dica se e in che quantità sono presenti le seguenti sostanze:

Fungicidi
Diserbanti
Acaricidi
Regolatori di crescita
Insetticidi
Metalli pesanti


Questo sarebbe già un ottimo punto di partenza. Poi, come ha fatto il siciliano Bini, va benissimo inserire informazioni su eventuali prodotti aggiunti (lieviti, tannini, acidificanti, etc) o sulle pratiche di cantina (osmosi inversa, filtrazioni, etc,).

Etica e salute, spesso, vanno di pari passo.


Franco Ziliani, nonostante tutto, ci mancherai.


Vino al Vino, il blog di Franco Ziliani, ex Franco Tiratore, chiude o, almeno, è quello che scrive lo stesso autore nel suo sito internet.

Le motivazioni sono profonde, pensate forse da molto tempo, non è un ragazzino Franco.

Scrive testualmente che:"
Non avendo chiare le idee sulla mia vita, non posso fare finta di niente e continuare a condurre questo diario in pubblico come se nulla fosse ed è lo stesso senso del mandare avanti un blog, raccontando molto di me come ho fatto e non limitandomi a parlare di vino, ad essere profondamente messo in discussione, a rivelarsi, in fondo, privo di senso. Questo anche se scrivere è la mia ragione di vita, l’unica cosa che, forse, so fare decentemente".

Non conoscevo Franco Ziliani di persona, ci siamo scambiati a volte qualche mail, un anno fa, quando vinsi il Blog Cafè, non mi risparmiò delle frecciatine. Non è amato da tutti, molto lo criticano più o meno giustamente, a me non interessa, quello che conta è che una voce libera su internet cesserà di gridare, di raccontare il vino. E questo ci renderà tutti più poveri.
Nonostante tutto, caro Franco, ci mancherai.

Con stima

Andrea Petrini

Piccola panoramica sui vini dell'Etna

Non vorrei che sia l’ennesima moda dove tanti, troppi, si sono buttati dentro senza un minimo di cognizione, non vorrei che, come accadde col nero d’avola, alla fine qualcuno sputtani quei i pochi, i Pionieri del Nerello, che con tanto amore stanno rilanciando un territorio.

Siamo in Sicilia, l’Isola del Fuoco come la definì Dante riferendosi all’Etna, un ecosistema unico al mondo la cui storia inizia con una lunga e suggestiva vicenda geologica, durata forse 500 mila o 700 mila anni, che ha dato origine alla regione etnea ed al vulcano più alto d'Europa. Un'area interamente costruita dal vulcano che nei secoli ha eruttato quantità enormi di lava.


Con l'aiuto del tempo, l'azione dell'uomo ha tenacemente sovrapposto al paesaggio lavico un paesaggio agricolo tra i più ricchi dell'isola dove l’arte di coltivare e lavorare la vite ha origini ed usanze antiche: nella "Storia dei Vini d’Italia", pubblicata nel 1596, venivano ricordati i vini prodotti sui colli che circondano Catania la cui bontà veniva attribuita alle ceneri dell’Etna. Oggi, a rendere davvero grandi questi vini, concorrono alcuni fattori: i terreni di origine vulcanica, a volte ciottolosi e ghiaiosi, a volte sabbiosi o meglio cinerei , le grandi escursioni termiche, che arrivano anche a 25/30 gradi tra il giorno e la notte ed infine l’età delle viti.

Qui troviamo alcuni dei vigneti più vecchi coltivati in
Italia, addirittura più che centenari e ancora a piede franco. Anche se non mancano impianti a cordone speronato o a spalliera la forma di allevamento più usata, che è anche quella più tradizionale, è l’alberello arrampicato su tutto il monte con l'aiuto delle nere terrazze di pietra lavica, trova da secoli la sua ideale ambientazione.

L’areale dell’Etna Doc, prima denominazione di origine siciliana (1968), ha una forma semicircolare che si estende da nord a sud-ovest in una fascia che va da 450 a 1000 metri di altitudine sul livello del mare. La zona, suddivisa in contrade, ha il cuore vinicolo pulsante situato nei dintorni di Castiglione di Sicilia e Randazzo.


E’ in questi comuni che vengono allevati i tre vitigli autoctoni dell’Etna: il nerello mascalese e il nerello cappuccio per i rossi e il carricante per i bianchi.
Il primo di questi, concorrendo per l’80 – 100% alla produzione totale del vino rosso Etna Doc, è sicuramente il vitigno principe della zona e si presum
e sia originario della storica Contea di Mascali, un vastissimo territorio che, a partire da alcune donazioni normanne del XII° secolo e fino ai primi dell’‘800, comprendeva, oltre all’attuale comune di Mascali, parte dell’Acese, gran parte delle falde orientali e nord–orientali del Vulcano e persino molte plaghe del messinese.


Vitigno difficile il nerello, molti lo paragonano al nebbiolo per la maturazione tardiva (2ª decade d'ottobre) e al pinot nero per quanto riguarda la sensibilità all’annata e al terroir di appartenenza. Roba tosta, insomma, per vignaioli veri, eroici, gli stessi presenti la scorsa settimana all’AIS di Roma dove è andata in scena una interessante verticale di Vini dell’Etna, un’occasione per capire chi fa sul serio e chi, invece, sta là solo per moda.

Ricordate il discorso che ho fatto all’inizio, vero? Ecco qua
lche appunto di degustazione.

Vivera
Salisire 2008: 100% carricante da produzione biologica. E’ un vino che ti strega per grande mineralità, salinità e freschezza. Forse gli manca un po’ di struttura visto che nel finale di bocca cede troppo e non si allunga.

Passopisciaro – Passopisciaro 2007: 100% nerello mascalese. Olfatto molto coinvolgente, c’è un bouquet di fiori contornato da tanta frutta rossa croccante. Bocca un po’sfuggente, manca avvolgenza e persistenza. Per i miei gusti scivola via un po’ troppo.

Passopisciaro – Contrada Chiappemacine 2
008: 100% nerello mascalese da piante di oltre ottanta anni. Questo vino è figlio di una piccola Contrada sui 550 metri s.l.m., collocata tra strapiombi di pietra arenaria che la lava è appena arrivata a circondare. Diverso dal precedente, più complesso, profondo, lavico come dovrebbe essere un vino dell’Etna.


I Vigneri – Etna Rosso 2008: azienda interessantissima che produce un rosato davvero eccellente. In questa occasione ho degustato il loro rosso base da nerello mascalese e nerello cappuccio prodotto dai loro vigneti situati a varie altitudini. Naso inizialmente selvatico, poi escono le note dolci di fiori rossi, ciliegia, mora di rovo che, col tempo, si fondono ad un “amaro” dato da sensazioni di radici e pietra lavica. Bocca di discreta struttura e acidità. Un buona partenza che prelude a crescenti emozioni.


Biondi – Outis 2006: 100% nerello mascalese prodotto da vita di 40 anni di media. L’unico vino dell’Etna portato in degustazione con qualche anno sulle spalle. Vino di grande espressione territoriale, un vulcano all’interno del bicchiere visto che le sfumature aromatiche sono tutte di frutta rossa matura, catrame, cenere, polvere pirica, macchia mediterranea. In bocca è di grande equilibrio. Persistenza finale lunga giocata su ritorni di grafite. Questo è quello che mi aspetta da un vino dell’Etna.

Frank Cornelissen - MunJebel Rosso 2008:
ha bisogno di poche presentazioni questo belga trapiantato in Sicilia che, nel produrre il vino, impara dalla Natura. Questo vino è un assemblaggio di vari vigneti (contrade) e varie annate di nerello mascalese maturo e selezionato. E’ un vino diverso dagli altri, è chiaro fin da subito, e lo si nota da subito perché inizialmente, pur essendo giovane, è terziarizzato nelle sensazioni di cuoio, di fiori secchi appassiti, poi esce il terreno lavico e la ciliegia matura. Bocca spiazzante perché a tratti acerba, mi ricorda quando metto in bocca la buccia e i vinaccioli dell’uva. Deve essere così questo vino? Mah!

Tenuta di Fessina – Musmeci 2007
: prodotto in contrada Rovittello da uve nerello mascalese e nerello cappuccio di oltre 80 anni di età. I tre bicchieri verdi del Gambero Rosso e l’eccellenza della Guida ai vini de L’Espresso 2010 non posso essere un caso. All’olfattiva è ampio, fresco, disposto su sensazioni di viola appassita, geranio, frutta rossa croccante, humus, liquirizia, polvere di lava, rabarbaro. Bocca viva, tenace, di grande progressione e piacevolezza e persistenza. Il miglior vino della serata senza dubbio.


Degustato al volo anche il Quota 600 di Graci, sempre gradevolissimo, mentre la maglia nera della serata spetta a Cottanera col suo Barbazzale 2009 che aveva un naso dolcissimo da caramella Charms al lampone e una bocca sfuggente e contraddittoriamente amara. Bottiglia non in perfette condizioni?

Fonti:
http://www.vinisiciliani.it; http://www.winews.it; http://www.etnadoc.com; http://www.aislombardia.it; http://www.teatronaturale.it

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Moët & Chandon e il marketing estivo dello Champagne

Che lo Champagne non se la passi bene lo confermano i dati: le vendite totali di Champagne francese nel 2008 sono state di 322 milioni di bottiglie, registrando un calo del 4,8% rispetto all’anno precedente, mentre nel 2009 le esportazioni hanno subito un forte calo, circa il 9% in meno. Non mi sorprende, pertanto, che qualche Maison francese stia tentando tutte le strade per cercare di invertire il trend negativo. A tutto, però, c’è un limite e questo, dal mio punto di vista, l’ha superato Moët & Chandon, storica casa produttrice di Champagne che sta usando il marketing del vino nella maniera peggiore.

Il motivo di ciò? Eccovene due

Il primo si chiama Moët & Chandon Ice Imperial ed è uno champagne elaborato da Benoît Gouez ((chef de cave di Moët et Chandon dal 2005) per essere bevuto con giaccio o, se volete, « on the rocks ». Sarà distribuito presso i migliori stabilimenti balneari del mondo.
Quindi da ora in poi lo Champagne sarà considerato alla stregua del San Bitter bianco? Non è finita qua.


Sempre per l’estate la stessa Maison lancia le “Summer Bubbles”, palle di Natale dorate che, aprendosi, nascondono frutta secca disidratata che, secondo loro, non aspetta altro che essere messa all’interno dello flute.
E così abbiamo fatto pure la Sangria di lusso…


La Franciacorta e tutto il Trentodoc ringrazia sentitamente!