Veuve Clicquot Cellar In The Sea

È il 1840. Una nave che trasporta 168 bottiglie di champagne affonda proprio a sud dell’Arcipelago delle Åland, tra la Svezia e la Finlandia; 47 di quelle bottiglie sono state prodotte da Veuve Clicquot. Quasi 200 anni dopo, il 16 luglio 2010, un team di sommozzatori compie la straordinaria scoperta. 

Quando la prima bottiglia viene riportata in superficie dal fondo marino, invece di acqua salata, i sommozzatori assaggiano stupefatti un vino dolce, quasi interamente conservato nel suo stato originale, in parte grazie al sigillo delle bottiglie e alle straordinarie capacità di invecchiamento del vino stesso. Inoltre, il fondo del mare ha fornito le condizioni ideali di invecchiamento, con una salinità 20 volte inferiore a quella dell’oceano, con la sua mancanza di luce e con una temperatura costantemente bassa di 4°C, rispetto agli 8°C delle cantine di gesso. 

Nel 2014, lo Chef de Caves Dominique Demarville ha lanciato Cellar in The Sea, un esperimento senza precedenti ispirato al naufragio della nave.


Una selezione dei vini più raffinati della Maison è stata immersa nelle profondità del Mar Baltico: tre tipologie di champagne Veuve Clicquot, in bottiglia e in formato magnum, sono stati immersi sott’acqua a 43 metri di profondità, in una cantina subacquea appositamente costruita per ricostruire le stesse condizioni di invecchiamento, priva di qualsiasi specie di alghe che potrebbero interferire con il vino, causando lo sviluppo di aromi di iodio.
Lo stato delle bottiglie sarà monitorato periodicamente nell’arco di 40 anni, nel tentativo di approfondire ulteriormente l’ampia conoscenza di Veuve Clicquot del processo di invecchiamento. 


Nel 2017, tre anni dopo il lancio di questo singolare esperimento, le bottiglie sono state riportate in superficie durante il Solstizio d’Estate per la prima degustazione comparativa con la stessa selezione di bottiglie conservate nelle celebri cantine di gesso della Maison a Reims.

Dopo la degustazione di entrambe le bottiglie, gli esperti hanno concluso che il fondo marino ha lasciato i vini più freschi e giovani.

Le bottiglie e le magnum di Yellow Label conservate nelle Åland, in particolare, sono più chiare e delicate e presentano un bouquet leggermente meno sviluppato, con fresche note agrumate, oltre a una minore corposità al palato, rispetto alle bottiglie conservate nelle cantine di gesso della Maison a Reims. Le bottiglie provenienti dalle cantine hanno già iniziato a sviluppare complessità e profondità, con un colore più ricco e una maggiore maturità.


Si è osservata una condizione analoga per il Vintage Rosé 2004, che ha un bouquet leggermente affumicato e chiuso, con tannini meno duttili e integrati, pur conservando grande freschezza.

Per quanto riguarda il Demi-Sec, mentre gli esperti hanno trovato molte somiglianze fra le due bottiglie, in termini di colore, e meno differenze in termini di corposità, il vino delle Åland evidenzia una nota finale leggermente acerba.

Le conclusioni iniziali degli esperti li hanno portati a ritenere che, sebbene entrambi i metodi abbiano fornito eccellenti condizioni di invecchiamento, il fondo del mare potrebbe essere una scelta migliore per i vini che si intende fare invecchiare più a lungo.

Entro la fine dell’anno, queste prime conclusioni saranno rafforzate dai risultati delle analisi scientifiche che si stanno attualmente eseguendo sui campioni delle Åland presso le Università Enologiche di Reims e Bordeaux, partner dell’esperimento sin dall’inizio.

Cantina Robertiello - Sant’Andrea Rosso è il vino della settimana di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Sei euro per un rosso biologico dell’entroterra viterbese, sangiovese con una piccola quota di ciliegiolo, da una cantina settecentesca ripresa dopo quarant’anni di abbandono da Simone Robertiello.

Un vino schietto, senza fronzoli, estremamente godibile, con un frutto carnoso e una bella vena sapida.

Barolo Bussia “90 dì” Riserva 2010, Giacomo Fenocchio - Garantito IGP

di Roberto Giuliani

Se c’è un’azienda in Langa che ho sempre piacere di tornare a visitare, è quella di Claudio Fenocchio, uno dei produttori che è riuscito a coniugare al meglio tradizione e lavoro di ricerca e sperimentazione per ottenere vini di grande spessore e personalità. I suoi Barolo sono classici nell’anima, eccellente espressione di un linguaggio antico, di una visione che cerca di esaltare tutto il carattere del nebbiolo senza mai scendere a patti con soluzioni “alternative” per renderli più immediati e di facile approccio.

Il simbolo perfetto di questa concezione è il recente Barolo Bussia 90 dì Riserva, il cui nome richiama il lungo periodo di macerazione a contatto con le bucce, ben 90 giorni, frutto non casuale di una sperimentazione durata alcuni anni che ha evidenziato come in un tempo così lungo si riesca ad ottenere un vino di straordinario spessore, molto meno aggressivo di quanto si potrebbe immaginare, capace di donare ai sensi un’ampiezza di profumi e aromi che ha pochi eguali.

Questo nuovo Barolo va a sostituire il Bussia Riserva e ad affiancare i quattro cru aziendali: Bussia, Cannubi, Castellero e Villero. La 2010 è la prima annata messa in commercio alcuni mesi fa, ho avuto il piacere di degustarla per la prima volta nel maggio 2016 in azienda e ne sono rimasto fortemente impressionato.
A distanza di oltre un anno ho deciso di stapparne una bottiglia e verificare come si sta evolvendo: la prima cosa che salta all’occhio è il colore, che rimane quello del nebbiolo maturato a lungo (4 anni) in botti di rovere di Slavonia dai 35 ai 50 Hl, un granato luminoso e profondo; poco dopo averlo versato nel calice comincia già ad aprirsi, spiccano immediate note di rosa e viola, poi ciliegia e amarena, delicati guizzi di tartufo, liquirizia, erbe balsamiche, sfumature di arancia rossa.
Al gusto è ricco, intenso e molto ampio, carnoso, con un frutto pieno e avvolgente, un tannino potente eppure perfettamente smussato, lunghissimo e sapido nel finale, nonostante oggi sia una giornata estiva, abbastanza calda, non sento alcun fastidio determinato dalla generosa alcolicità, probabilmente superiore ai 14,5 gradi dichiarati in etichetta

Un Barolo di grande energia e profondità, che potrà crescere in assoluta sicurezza per molti, molti anni. Da non perdere!

Azienda Agricola Giacomo Fenocchio
 Località Bussia, 72 – 12065 Monforte d’Alba (CN)
 Tel: +39 0173 78675, +39 0173 78311
 www.giacomofenocchio.com
 claudio@giacomofenocchio.com

Chiaretto di Bardolino: nasce una nuova DOC

Il Chiaretto si separa dal Bardolino e diventa una doc autonoma. Il Bardolino, a sua volta, torna alle proprie origini ottocentesche e valorizza le tre sottozone storiche: La Rocca, Montebaldo e Sommacampagna. Lo ha deciso l’assemblea dei produttori bardolinesi, su proposta del presidente del consorzio di tutela, Franco Cristoforetti.

Foto: I Grandi Vini

“Con la nascita della doc autonoma del Chiaretto di Bardolino e il riconoscimento delle tre sottozone del Bardolino – spiega Cristoforetti - trova completamento il piano strategico tracciato dal giornalista Angelo Peretti e approvato dal consiglio di amministrazione del consorzio di tutela nell’estate del 2008. Fu allora che iniziò la scissione del percorso identitario del Chiaretto e del Bardolino, consentendo da un lato al nostro rosé di diventare leader produttivo assoluto tra i vini rosati italiani e dall’altro di mettere in luce la territorialità del Bardolino, facendolo approdare per la prima volta ai gradini più alti delle guide di settore”.
Con la Rosé Revolution del 2014 il Chiaretto ha compiuto una netta scelta stilistica, accentuando il proprio carattere di rosé chiaro, secco e agrumato e assume ora piena indipendenza con una doc a sé stante. Il Bardolino accentua invece la propria connotazione territoriale, mettendo a frutto i risultati della zonazione del 2005 e del progetto Bardolino Village che ha visto una quindicina di produttori impegnati dal 2015.
“Torniamo così – conclude Cristoforetti – per i nostri rossi di punta a quelle tre sottozone che erano già state dettagliatamente descritte da Giovanni Battista Perez alla fine dell’Ottocento, quando i vini migliori della zona erano esportati in Svizzera per essere serviti insieme con i Borgogna e i Beaujolais”.
Le tre sottozone del Bardolino doc saranno: La Rocca (relativa ai comuni del territorio dell’antico Distretto di Bardolino), Bardolino Montebaldo (inerente il tratto pedemontano dell’ex Distretto di Montebaldo) e Bardolino Sommacampagna (ossia l’area delle colline meridionali più a sud). Esordiranno insieme al Chiaretto di Bardolino doc con la vendemmia 2018.
La nascita della nuova doc del rosé e le modifiche alla doc del Bardolino apporteranno varie modifiche all’assetto produttivo. Il Chiaretto di Bardolino e il Bardolino “base”, che continuerà comunque ad essere prodotto, avranno rese massime di 120 quintali di uva per ettaro, contro gli attuali 130, mentre per le tre sottozone del Bardolino si scende a 100 quintali massimi per ettaro. I vini delle tre sottozone usciranno sul mercato non prima di settembre dell’anno successivo alla vendemmia. I disciplinari prevedono inoltre che si utilizzino solo uve “fresche”, vietando quindi surmaturazioni o appassimenti. Per tutti i vini delle doc Bardolino e Chiaretto di Bardolino, la quantità ammessa di uva corvina veronese sale al 95% dall’attuale 80%.

Feudi di San Gregorio - Falanghina del Sannio DOC "Serrocielo" 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP

La compravo per stupire quando ero adolescente, poi ho smesso e ora la ricompro di nuovo. 


Motivo? Perché questa Falanghina non ha più voglia di stupire, la forma si è tramutata sostanza e la popolarità in territorialità. Con questo caldo è meglio dell’aria condizionata. Prosit!


Claudio Mariotto: io e il mio Timorasso

Mi ricordo perfettamente, a metà anni '90 quando iniziai ad appassionarmi di enogastronomia, che il riferimento ai Colli Tortonesi era scandito dalle "Tre M" ovvero Massa, Mariotto e Montebore


Per il timorasso, dopo decenni di oblio dove ha rischiato di scomparire a scapito del più produttivo cortese, quel periodo coincise con la sua definitiva riscoperta e consacrazione poiché un po' tutti, critica enologica compresa, avevano capito che questa uva autoctona, naturalmente ricca di norisoprenoidi, era in grado di dar vita ad un vino di grande struttura ed eleganza il cui affinamento era condizione indispensabile per valorizzare al massimo la sua grande complessità aromatica che in molti casi, col tempo, rimanda alle note minerali ed idrocarburiche.

Vista dei Colli Tortonesi da Vho

E' in questo contesto che Claudio Mariotto, seguendo le orme di Walter Massa, decide di riprendere in mano le sorti dell'azienda di famiglia al fine di dare continuità alla tradizione e alla passione per la terra e il vino tramandatagli dai suoi "vecchi" puntando sia sul timorasso che sulla barbera non trascurando altri vitigni da sempre coltivati nei Colli Tortonesi come moscato, cortese, dolcetto, freisa e croatina.

vigneti

Da quei tempi, fortunatamente, l'areale del Colli Tortonesi Timorasso DOC, che dal 2015 può chiamarsi Derthona, si è notevolmente ampliato con la presenza di tanti altri produttori (l’ultimo aggiunto è un certo Farinetti) che oggi coltivano oltre 100 ettari di timorasso.
Nonostante l’odierna “concorrenza”, Claudio Mariotto rimane oggi più che mai un assoluto punto di riferimento grazie alle sue tre espressioni di Timorasso ovvero Derthona, Pitasso e Cavallina che, complice una bella degustazione organizzata dalla FIS di Tivoli qualche tempo fa, ho potuto (ri)apprezzare anche in annate non recenti. 

Claudio Mariotto. Foto: Strada vini colli tortonesi

Volete sapere come è andata la degustazione? Basta continuare a leggere. Ne vale la pena, parola mia!

Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Cavallina 2014: questo Cru di Timorasso è l'ultimo nato in casa Mariotto e, nella gamma, si pone a metà strada tra il Derthona e il Pitasso visto che l’impianto, come afferma lo stesso vignaiolo, non è giovanissimo e neppure vecchio, insomma è nell'età (15/20 anni) in cui la pianta inizia a trovare il giusto equilibrio produttivo tra terreno e microclima. La vigna Cavallina si trova in località Vho, nel comune di Tortona, ad una altezza di circa 300 metri s.l.m. ed è piantata su terreno calcareo argilloso. Il vino che ne consegue, figlio di una annata poco felice, ha un colore leggermente evoluto e fin da subito tira fuori una trama aromatica fitta dove prevalgono gli idrocarburi e gli sbuffi minerali accanto ad un leggero ricordo di frutta gialla ed erbe aromatiche. La bocca non tradisce le attese, è ampia, piena, sapida anche se chiude leggermente corta. Nota tecnica: le uve vengono diraspate e pigiate, il mosto rimane a contatto con le bucce per alcuni giorni a temperatura controllata, segue la maturazione in acciaio.


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Derthona 2010: il Derthona, ovvero quello che i meno attenti chiamano "vino base", proviene da una selezione di vecchie vigne (40 anni) dislocate lungo il comune di Tortona con esposizione sud-est e poste a circa 250-300 metri s.l.m. su terreno calcareo e argilloso. Da sempre questo è il vino più "classico" e varietale di Mariotto e questa 2010 fa ben comprendere l'evoluzione del Timorasso che nella sua veste dorata si esprime con traboccanti profumi di fiori gialli e macedonia di frutta le cui rotondità, derivanti da una leggera surmaturazione dell'uva in pianta, bilanciano alla grande un'austerità minerale di fondo. Il sorso è fatto di sostanza e sensualità e tanta progressione salata. Nota tecnica: vinificazione  prevede una pressatura soffice, sfecciatura, fermentazione a temperatura controllata e affinamento sulle fecce nobili.


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Pitasso 2006: il Pitasso rappresenta il Cru storico dei Mariotto e fa riferimento a uve provenienti da vigne di oltre 40 anni piantate nel tortonese su terreno di medio impasto e caratterizzate da una bassa resa per ettaro (50 q/ha). Tutto ciò implica che il Pitasso è da sempre il Timorasso più strutturato e complesso di casa Mariotto e questo 2006 non fa certo sconti disegnando un quadro aromatico dove idrocarburi, spezie gialle, selce, cedro ed erbe aromatiche sono spie olfattive di una evoluzione del vino inappuntabile e priva di sbavature. Bevendolo ti accorgi come il Timorasso sia un grande vino, non solo italiano, perchè dopo 10 anni scalpita e graffia grazie ad una tensione minerale pazzesca, classe, pulizia e, soprattutto, equilibrio. Nota tecnica: dopo una pressatura soffice è avviata la fermentazione alcolica a temperatura controllata. Il vino matura poi in contenitori d’acciaio, sulla feccia nobile, per diversi mesi e successivamente, prosegue l’affinamento in bottiglia prima di essere messo in commercio. 


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Pitasso 2004: rispetto al precedente ha una veste cromatica più giovane, meno dorata, a cui è legato un registro olfattivo mirabolante e puntellato da un nucleo aromatico di frutta matura, cenni floreali di mimosa e gelsomino ben incastonati all’interno di una cornice di erbe aromatiche di grande impatto e spessore. Pieno e avvolgente alla gustativa dove le morbidezze del vino pian piano lasciano spazio alle sensazioni dure che irrompono solo a centro bocca lasciando il palato velato da uno strato sapido, quasi salmastro, di assoluta persistenza. Chapeau ad un vino con tanta strada avanti e ad un esempio, tra i tanti, di come un grande Timorasso possa progredire nel tempo.

Carbon sarà lo Champagne ufficiale della Formula 1

Dopo due stagioni di assenza, lo champagne ritorna a fare capolino sul podio della Formula 1.


Nello scorso weekend infatti il Circus ha reso noto l’accordo con Carbon, brand produttore di champagne, per la fornitura delle magnum da utilizzare sul podio
Era dal 2015 che lo champagne mancava in Formula 1. Nell’inverno 2015, infatti, Bernie Ecclestone aveva lasciato scadere l’accordo da 5,5 milioni annui con Mumm (che forniva lo champagne dal 2000 dopo essere subentrata a Moet): le magnum per il podio nelle ultime due stagioni sono state così fornite da Chandon, che è però un marchio di chardonnay e non di champagne.

Grazie all’accordo con Carbon, che presenterà sul podio tre bottiglie diverse (etichettate in oro, argento e bronzo per ciascuno dei tre piloti), tornerà nella F1 una tradizione che proviene dagli albori del Circus: nel 1950 venne inaugurata la tradizione di regalare una grande bottiglia di vino al vincitore, mentre fu Jo Siffert, nel 1960 a Le Mans, il primo a schizzare la folla con lo champagne.

Foto tratta da Twitter

“La caratteristica unica è che la bottiglia è realizzata in carbonio, il materiale più rappresentativo della straordinaria tecnologia presente in questo sport, è un ulteriore elemento che rende lo Champagne Carbon il prodotto perfetto per i piloti per festeggiare il podio in un Gran Premio di Formula 1”, le parole di Sean Bratches, capo del marketing della F1. “Siamo molto lieti di accogliere Champagne Carbon come uno dei nostri partner. Tradizione, mistizia, celebrazione e gusto sono caratteristiche comuni sia di Formula 1 che di Champagne Carbon”, ha concluso Bratches.

“La partnership tra Champagne Carbon e Formula 1 è per noi la perfetta fusione di idee. Condividiamo una storia simile: di grande eredità, costante ricerca della perfezione e un desiderio incessante di innovare”, il commento invece di Alexandre Mea, CEO di Champagne Carbon.

Novità che per la Formula 1 comunque non si fermano qui: secondo quanto riporta Motorsport.com, la FOM starebbe inoltre facendo alcuni test con telecamere montate sulle magnum del podio, per fornire un nuovo angolo di visione agli spettatori televisivi.

Fonte: http://www.calcioefinanza.it

Claude Riffault - Sancerre Les Denisottes 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Fiori di sambuco e mentuccia e pesca nettarina bianca croccantissima. Eccoli qui i tratti distintivi del Sancerre di Claude Riffault, e sono i caratteri che mi piace trovare in un sauvignon blanc della Loira. 


Nel calice, prende amplificazione con lentezza, acquisendo gradualmente in ampiezza e in fascino.

Podere Il Saliceto e i Sorbara che sanno di sale - Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Campogalliano per me è era solo uno di quei posti che i bollettini del traffico citano per avvertire che c’è coda, soprattutto d’estate, e qualche volta anche nelle altre stagioni, perché lì si incrociano le autostrade e si fa un imbuto, tra la Brennero e quella del Sole. Però da qualche po’ ho scoperto che, se sono in viaggio ma non vado di fretta, a Campogalliano conviene imboccare il casello e fare una sosta. Per il mangiare, ché nel circondario c’è qualche buona trattoria che fa cucina ruspante a pochi soldi, ed è tutt’altra cosa di un panino all’area di servizio. Per il vino, dato che al numero 10 di via Albone, che è fuori in campagna e l’imbocco non lo vedete quasi neanche, c’è un’aziendina piccina che ha sede in un cascinale un po’ male in arnese appena sopra a un dosso e fa grandissimi Sorbara, nel senso di Lambrusco.


Ora, capisco che ci sia chi può dubbiosamente aggrottare le sopracciglia nel vedere che ho adoperato il superlativo “grandissimo” a proposito di Lambrusco, ma il pregiudizio non ci vuole quando si parla di vino e dunque lo ripeto, lo ribadisco e lo sottolineo che i Sorbara del Podere Il Saliceto sono, per me, oggi, tra le cose più intriganti che escano dalle cantine sparse in giro per l’Italia, e non sto per niente esagerando (del resto, il piacere è soggettivo, e questa preferenza risponde appunto al piacer mio).
Ho detto “i Sorbara” al plurale perché ne hanno due, e sono entrambi tra le mie bevute d’affezione.
A farli, i vini, sono due cognati, giovani e così scombinati come carattere da formare una squadra perfetta. Il più giovane, Marcello Righi, è taciturno, riflessivo. L’altro, Gian Paolo Isabella, dieci anni di più, è esplosivo, un fiume in piena.

Gian Paolo Isabella e Marcello Righi

Logico che sia Gian Paolo a figurare di più nella “letteratura lambruschista” degli ultimi tempi, magari anche per il plus narrativo che viene dal suo passato di sportivo, e infatti è stato perfino medaglia di bronzo ai mondiali di boxe thailandese, ma siccome quando sono arrivato in cantina era un attimo in ritardo, sono riuscito a far due chiacchiere (giusto due) con Marcello, che si è laureato in agraria nel 2006 e mi ha confidato che quando sono partiti, in quegli anni, hanno fatto un sacco di fatica, ma adesso sì, sono contenti, e comunque continuano a coltivare anche le pere, oltre alla vigna, perché il frutteto aiuta a pagare le rate del mutuo.



Quanto a Gian Paolo, lui ha mollato il suo lavoro di ottico in Piazza Grande a Modena per andare a fare esperienza per un paio di anni da un mito delle “effervescenze” (copyright Massimo Zanichelli, definizione presa dal titolo del suo recente libro sui “vini vini”) come Vittorio Graziano e ha capito che la sua strada portava alla vigna e adesso dice che il vino buono è quello che finisci la bottiglia, ma che non deve mica essere banale, e anzi deve avere garbo, e usa proprio questa parola, “garbo”, e condivido anch’io questa maniera di pensare il vino.

Ora, la sto tirando lunga, mi pare, e dunque passo ai vini, e avverto che mi soffermo solo sui due Sorbara che producono Gian Paolo e Marcello non già perché le altre bottiglie non siano d’interesse (per esempio stanno lavorando bene al recupero del malbo, vitigno negletto le cui uve loro vinificano sia in versione ferma, sia con le bollicine), ma perché qui voglio dire del Sorbara e basta e semmai degli altri vini ci sarà modo di parlare un’altra volta, chissà.

Aggiungo, e lo ritengo rilevante, che i vini del Podere Il Saliceto possiedono tutti un tratto stilistico comune, che è il sale, la sapidità e dunque la strepitosa abbinabilità con la tavola, ed è gran cosa quando d’un produttore si riconosce la mano a prescindere dalla bottiglia che hai stappato e soprattutto è gran cosa che a un proprio stile una cantina ci arrivi dopo appena una manciata d’anni dalla prima vendemmia. Bravi.


Lambrusco di Sorbara Ring Adora 2014 Podere Il Saliceto
La Ringadora, tutt’attaccato, è una pietra che sta nella Piazza Grande di Modena e e viene chiamata così perché da lì anticamente si arringava il popolo. In etichetta il nome è spezzato, in modo che resti in evidenza il riferimento al ring su cui combatteva Gian Paolo. Finita la spiegazione dell’etichetta, eccomi al vino, che è un metodo classico “nature” e lo considero una delle più coinvolgenti bolle che si facciano oggidì in Italia. Agrumi, tanti agrumi, freschi e canditi. Il vino ha energia e carattere, eppure la bollicina è sottilissima. Insomma, la quadratura del cerchio, con il plus d’una fascinosa tonalità tra il rosa salmone e la buccia di cipolla, e del resto anche l’occhio vuole la sua parte, o no? (93/100)

Lambrusco di Sorbara Falistra  2016 Podere Il Saliceto
Il Falistra è un Sorbara frizzante secco “col suo fondo”. Posso aggiungere che è uno di quei vini che quando mi fermo in trattoria in Emilia e lo vedo in carta, non resisto e me lo bevo di gusto a sorsi ampi e golosi per accompagnare il bollito o lo gnocco fritto col prosciutto crudo o la mortadella tagliata a cubetti. Sono irresistibili la fragolina di bosco e il ricordo floreale di rosa appassita che ti salgono al naso e t’invadono il palato e insomma viene voglia di una nuova sorsata e un’altra ancora. Aggiungo (esperienza già fatta) che regge il tempo che è una bellezza, e anzi aggiunge speziatura, il che non vuol dire lo si debba far invecchiare, ma se ne resta dimenticata una bottiglia male non fa. (90/100)