InvecchiatIGP: Mastroberardino - Greco di Tufo "Nova Serra 2000"


di Luciano Pignataro

La mia nota passione per i vini bianchi invecchiati mi spinge ad incontri non previsti quando mi trovo in ristoranti di lunga storia con una cantina attrezzata da tempo, come nel caso del ristorante stellato "Taverna del Capitano" a Marina del Cantone, in Campania. Qui il vino trova il suo rifugio sicuro perché fu Salvatore Caputo, figlio del fondatore Alfonso, a decidere di creare uno spazio specializzato dedicato alle bottiglie, una cantina a forma di cambusa di nave dove, anno dopo anno, è cresciuta una delle proposte tra le più ampie della Campania, una attenzione coltivata poi da Mariella, terza generazione con il marito Claudio Di Mauro, tra le prime donne italiane a diplomarsi sommelier con l’Ais.


Ecco dunque spiegata questa magnum 2020, annata calda e difficile, di Nova Serra Greco di Tufo DOC (la DOCG parte dal 2003) di Mastroberardino. Si tratta di una annata calda, non particolarmente attrattiva in nessuna parte d’Italia, particolarmente difficile soprattutto per molti rossi anche perché il clima durante la vendemmia fu abbastanza irregolare, tale da rendere difficile la gestione della raccolta.
La DOCG Greco di Tufo è tra le più piccole in Italia, comprende otto comuni in provincia di Avellino (oltre Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni) per una superfice di poco più 700 ettari rivendicati in 62 chilometri quadrati per un totale di quasi 2 milioni e mezzo di bottiglie prodotte fra i 300 e i 700 metri tra le colline tagliate dal fiume Sabato. Dopo la Falanghina del Sannio, è il bianco più venduto in Campania. Si tratta di una denominazione fra le più antiche d’Italia, riconosciuta come DOC nel 1970 grazie all’opera di Antonio Mastroberardino che ne riprese la coltivazione in una fase in cui stava per sparire.


Nova Serra, con Radici Fiano di Avellino e Radici Taurasi fa parte di un trittico pensato e impostato proprio da Antonio per caratterizzare meglio le uve (il disciplinare prevede in genere anche un 15% di Coda di Volpe) e farle esprimere al massimo. Si tratta in pratica di un cru di una collina a Montefusco che arriva sin sotto il paese a quota 600 metri su un suolo franco argilloso con forti tracce vulcaniche.


Quando Mariella ci porta la bottiglia confesso che l’emozione era tanta, mai bevuto un Greco di Tufo di 24 anni anche se, basandomi sulla mia esperienza, sulla conoscenza abbastanza profonda dei vini di Mastroberardino e certo di una conservazione perfetta perché altrimenti mai sarebbe stato portato a tavola, non avevo dubbi sulla riuscita della beva. E infatti anche il tappo esce senza difficoltà, integro. Il colore, come altre volte era capitato con i Greco più antichi, vira verso il giallo paglierino carico, quasi oro.


Il naso si presenta con una complessità fantastica e difficilmente replicabile, dal cedro al miele di castagno, alla frutta gialla candida, alle note di canfora. Si tratta di profumi intensi, persistenti, talmente gradevoli da costringerci a rinviare l’assaggio che conferma la complessità olfattiva oltre a regalare una potente energia, tipica di questo rosso travestito da bianco. Un vino salato, senza concessioni piacione. Nessun cenno ossidativo, il vino è semplicemente integro e perfetto. La beva è lunga, salata, un vino capace di abbinarsi anche a piatti di mare ben strutturati nonostante il tempo trascorso.

Piero ed Antonio Mastroberardino - Credit: nuovairpinia

Oggi l’azienda punta sempre più decisa sui tempi lunghi, un esempio è il progetto Stilema che vuole in qualche modo rinnovare lo stile di Antonio Mastroberardino. La bevuta è stata tanto più straordinaria perché questi vini non erano pensati per un tempo così lungo, anche se il formato Magnum aiuta sempre in questa direzione, vini eccezionali e imbattibile per il rapporto fra qualità e prezzo.

Cesarini Sforza - Trento Doc Brut Rosé "1673" 2016


di Luciano Pignataro

Sul primo spaghetto con le cozze decidiamo di stappare uno dei nostri Trento preferiti che gode di un’ottima annata da pinot nero e chardonnay di Colline Avisiane e Val di Cembra. 


Naso agrumato, sorso fresco e appagante, sapido, lunghissimo e preciso nel finale che invoglia al nuovo sorso. Viva l’Italia!

I vini calabresi della "punta" dello stivale


di Luciano Pignataro

La Calabria è sicuramente terra da scoprire per gli appassionati di vino. Se la zona del Cirò è ormai consolidata fra gli operatori e gli appassionati, sono innumerevoli le zone di produzione, le uve, le aziende, che attendono di salire ad una ribalta che sono sicuro ci sarà perché sono davvero tante le sorprese, e tutte a favore del consumatore che si trovano in questa regione che è prima in Italia per numero di vitigni autoctoni. Del resto il motivo è facilmente intuibile, la punta dello Stivale è stato sempre un pontile di approdo da Oriente e da Sud del Mediterraneo per chi volesse proseguire la sua corsa alla ricerca di nuove terre. Ancora oggi è tragicamente cosi. Il fascino dei 400 chilometri di Costa Ionica è in questa distesa di mare da cui sembra che debba sempre arrivare qualcuno.

Credit: icalabresi.it

Al Vinitaly mi è così capitato di condurre con Giovanna Pizzi una degustazione della punta dello Stivale, ossia quel tratto di costa che porta dal Tirreno allo Jonio passando per Reggio Calabria la cui provincia è piantonata dall’Aspromonte.
Come vedete, sono numerose le IGT e due le DOC che poggiano alle falde del sistema collinare, di fronte c’è l’Etna con le sue storie dantesche che sbuffa, venti di mare e di terra ed una agricoltura ancestrale di cui si parla veramente poco in sede nazionale. Condizioni pedoclimatiche che in un paese normale renderebbero straordinario questo territorio che invece appare ordinario come il Colosseo ai romani.


Sei etichette non bastano per conoscere tutto, ma possono dare rapide indicazioni, essere un primo assaggio, diciamo un invito ad approfondire, a fermarsi. A bere dalle coppe i vini inebrianti che racconta o secoli di travagli, emigrazioni, fortune e sfortune. Una degustazione che segue solo criteri geografici.

Tramontana - 5 Generazioni Calabria IGT 2023

L’azienda e la tenuta risalgono alla fine dell’800. In degustazione uno dei bianchi tipici della Calabria, il Greco. Siamo tra Villa San Giovanni e Reggio. Mancano ancora studi scientifici su questi vitigno per stabilire se si tratta di uve diverse con lo stesso nome (come nel caso della Falanghina) o se invece parliamo sempre della stessa cosa. Questo, lavorato in acciaio, è ben lontano dalla rusticità del Greco di Tufo, si presenta più equilibrato e con toni agrumati e aromi di fermentazione. Del resto si tratta di un campione da vasca. Ha sicuramente buon corpo e un buon equilibrio inizierà a trovarlo dopo aver scapolato almeno l’estate.

Criserà - Arghillà IGT 2022

Anche Criserà, come Tramontana, conta almeno cinque generazioni , fondata più o meno nello stesso periodo alla fine dell’800. Un segnale che ci troviamo in una zona non inventata di recente, ma con una lunga storia. Del resto le due cantine sono distanti appena una decina di chilometri l’una dall’altra. Una storia di tradizione visto che la igt, nata nel 1995, comprende numerose varietà di rosse e di bianco, davvero un punto di passaggio fra Scilla e Cariddi. Le uve sono Calabrese Nero e Nerello Cappuccio, secondo me la vera arma segreta della Calabria dopo aver fatto alcuni assaggi di rossi moderni e buonissimi. Anche questo sa di Etna per la finezza, l’eleganza e al tempo stesso la forza poderosa, la vivacità della beva. I tannini sono setosi, la freschezza è incredibile, si tratta di un vero e proprio rosso contemporaneo in cui la prima lezione positiva viene dalla bevibilità, da una semplicità di approccio che però non scade nella banalità.


Malaspina Consolato - Pellaro rosso IGT 2021

Il terzo vino ci porta in un’altra azienda storica, circa una quarantina di chilometri in direzione Sud, ormai sullo Jonio aperto, a Melito di Porto Salvo. Fondata nel 1967, oggi è gestita dalle quattro figlie di Consolato. La IGT Pellaro ha le stesse caratteristiche dell’Arghillà, ma è in una fascia di terreno precisa e il nome associato ad una indiscussa vocazione circoscritta ad alcune zone del comune di Reggio Calabria e del comune di Motta San Giovanni. Le uve del disciplinari sono simili, in questo caso abbiamo, Nerello Cappuccio al 60% e Nocera, altro vitigno molto diffuso in questa parte della Calabria. Il protocollo di vinificazione prevede anche un passaggio in barrique per circa otto mesi. Il vino si presenta dunque appena più complesso al naso con sentori di carruba e note balsamiche, mantiene la freschezza e la bevibilità grazie a tannini ben risolto. La fusione fra il frutto e il legno è perfetta.

Tenuta Regina di Sant’Angelo - Don Saso 2021 Palizzi Rosso IGT

Da Melito di Porto Salvo a Palizzi, dove c’è la tenuta principale di questa azienda a quasi 400 metri di altezza, corro altri trenta chilometri, di fatto inizia la risalita lungo lo Jonio in direzione di Catanzaro. L’azienda della famiglia Idone, aderente alla Fivi, si divide fra questo terreno, gli uliveti e un altro appezzamento a Villa San Giovanni. Il Don Saso è una magnifica sorpresa: prodotto esclusivamente da Nerello Mascalese in purezza, affina in acciaio e in bottiglia prima di essere messo in commercio. Una scelta molto chiara, perché il Palizzi igt, nato nel 1995 come Arghillò e Pellaro, consente l’uso di molte uve a bacca nera e bianca. In questo caso misuriamo quello che ho anticipato nella premessa, vini di grandissima beva, elegante, sorprendenti per la tenuta olfattiva e gustativa, lunghi nella chiusura, in questo caso godiamo di frutta croccante e straordinaria personalità.

Feudo Gagliardi - Biancamusa 2022 Locride Bianco IGT

Da Palizzi alla sede di Feudo Gagliardi a Caulonia corrono altri 90 chilometri. Sulla destra il mare, sulla sinistra le colline piene di ulivi che annunciano l’Aspromonte. L’agriturismo produce olio, ortaggi e vino ed è un luogo magnifico per trascorrere le vacanze. Con la cantina aderisce alla Fivi. Il Locride igt, ricosciuto nel 1995 come i precedenti, copre prticamente tutta la fascia costiera jonica della Provincia di Reggio. Il Biancamusa, poco più di 1500 bottiglie, è lavorato solo in acciaio e vetro e viene commercializzato all’inizio dlel’estate. Il blend prevede la metà di Mantonico e per il resto Insolia e Malvasia.Si presenta con un tono rustico, agrumato, assolutamente abbinabile alla cucina di orto e di mare, ideale per i latticini freschi del territorio. Un piccolo gioiellino di carattere, da bere senza perdersi in chiacchiere e senza aspettare altro tempo.

Cantine Lavorata - Bivongi Riserva DOC 2017

La cantina ha una tradizione di famiglia che risale all’800, ma l’azienda nasce ufficialmente nel 1958 a Roccella Jonica, siamo quasi in provincia di Catanzaro, a 36 chilometri da Caulonia.. Questo è l’unico dei sei vini che ha il riconoscimento doc. Nello specifico la Bivongi doc i cui vini vengono dai Bivongi, Caulonia, Monasterace, Riace e Stiloi in provincia di Reggio e dal comune di Guardiavalle in provincia di Catanzaro. Il Bivongi riserva dell’azienda è ottenuto da uve Greco Nero, Calabrese e Gaglioppo coltivati nel comune di Riace a circa 300 metri di altezza. Dopo la vinificazione in acciaio, dopo sosta per 12 mesi il vino sosta in botti di castagno per circa due anni. Abbiamo un vino di corpo, dai tannini risorti, con note di confettura di amarena, carruba, caffè e tabacco. Sorso lungo, ben sostenuto dalla freschezza.

CONCLUSIONI

Il nostro viaggio sulla Punta dello Stivale termina con la consapevolezza rafforzata della enorme ricchezza di questa regione che rivela un potenziale ancora sostanzialmente inespresso ma che sicuramente ha un grande avvenire: qualità, identità territoriale, non omologazione, ottimo rapporto qualità e prezzo e una purezza ambientale che si riflette in bicchieri allegri e sorprendenti. Da Reggio alla Locride è un caleidoscopio di colori, dal verde degli ulivi all’azzurro del mare, immersi dai profumi del Bergamotto e di una natura straripante. Qui c’è tutto quello che abbiamo perso in città.

InvecchiatIGP: Robert Mondavi - Carneros Merlot 1997


di Carlo Macchi

Erano diversi anni che dovevo mettere a posto seriamente la mia cantina e per farlo ho scelto il lungo weekend di Pasqua. Vi garantisco è stato un lavoraccio, ma ne sono uscito vincitore e soddisfatto. Sono uscite, oltre alla soddisfazione, alcune bottiglie di cui non ricordavo assolutamente l’esistenza, tra cui questo Merlot di Mondavi che probabilmente risale ai tempi in cui studiavo per diventare master of Wine.


Un Merlot che, sempre con il linguaggio dei MW potremmo definire “average” cioè di gamma media, abbastanza rappresentativo della zona ma dal prezzo piuttosto contenuto e quindi un vino non certo adatto, sulla carta, all’invecchiamento.
Carneros è un AVA (American Viticultural Area) che si trova incastrata tra Napa e Sonoma, vicino alla baia di San Pablo che ne condiziona il clima: infatti è considerata zona fresca perchè soggetta sia ai venti che arrivano dal mare sia alle nebbie che spesso ne coprono una buona parte. Il terreno è collinare ma piuttosto morbido e ondulato, con colline che difficilmente superano i 250 metri s.l.m.


E’ una delle poche zone californiane dove il cabernet sauvignon non è di casa ma, come dimostra la mia bottiglia, si coltiva merlot ma soprattutto chardonnay e pinot nero che, visto il clima fresco, servono soprattutto per degli spumanti.


Vista anche l’etichetta non proprio in condizioni ottime non mi aspettavo molto dal vino e purtroppo la sensazione si confermava trovandomi a tu per tu con il tappo, che si è sfaldato velocissimamente.

Invece mi sono dovuto ricredere.

Il colore era ancora rubino, anche se le note aranciate stavano per avere il sopravvento, ma la parte migliore del vino sono stati indubbiamente gli aromi: mai sentito così tanto intensamente note di fungo, tartufo e terra bagnata, mentre lasciando il vino all’aria dopo un po’ arrivavano anche lievi sentori floreali. In bocca era equilibrato ma non certo potente, mostrava però una minima tannicità ancora piuttosto vivace. Tra l’altro, nonostante in etichetta ci fosse scritto Unfiltered, il vino non aveva praticamente depositi.


Insomma, non era certo un vino morto e lo ha dimostrato la sera di Pasqua a circa 10 ore dall’apertura e dall’essere stato messo in un decanter: ancora una volta gli aromi di fungo e tartufo erano netti e profondi e in bocca era ancora di buona ampiezza. Ha accompagnato in maniera degna l’agnello pasquale.

Castello di Cigognola - Oltrepò Pavese DOCG Metodo Classico Rosé Brut 2015 Moratti


di Carlo Macchi

Oltre a profumare di rosa e frutta di bosco, essere elegante al palato con un perlage molto fine, questo rosé 100% pinot nero dell’Oltrepò Pavese porta un nome basilare per chi tifa Inter. 


Modo migliore per brindare alla nascita di GIN (Giornalisti Interisti Naturali) non poteva esserci. Triplete Wine!

Vinitaly 2024 chiude col botto: 100mila presenze per dire sì al grande vino italiano


Vinitaly archivia oggi la 56^ edizione con 97mila presenze. In leggero incremento gli operatori esteri da 140 paesi a quota 30.070 (31% sul totale), di cui 1200 top buyer (+20% sul 2023) da 65 nazioni selezionati, invitati e ospitati da Veronafiere in collaborazione con Ice Agenzia.
Bilancio positivo anche per Vinitaly Plus, la piattaforma di matching tra domanda e offerta con 20mila appuntamenti business, raddoppiati in questa edizione, e per il fuori salone Vinitaly and the city, che ha superato le 50mila degustazioni (+11%). La 57^ edizione si terrà a Veronafiere dal 6 al 9 aprile 2025.


Per il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo: “Vinitaly consolida il proprio posizionamento business e un ruolo sempre più centrale nella promozione internazionale del vino italiano. I dati della manifestazione, unitamente al riscontro positivo delle aziende, confermano gli obiettivi industriali dell’attuale governance di Veronafiere fortemente impegnata a potenziare il brand fieristico del made in Italy enologico nel mondo. Va in questa direzione il rafforzamento della collaborazione con tutti i referenti istituzionali, oggi in prima linea con Veronafiere nel sostenere l’internazionalizzazione del settore”.

“La profilazione degli operatori è tra i nostri principali obiettivi strategici - commenta l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese -. Un risultato già centrato nella scorsa edizione, quella della svolta di Vinitaly, e proseguito quest’anno anche nei confronti della domanda domestica, in particolare quella del canale horeca attraverso iniziative di comunicazione e marketing che hanno contribuito all’incremento delle presenze italiane. In questi giorni abbiamo registrato reazioni positive da parte delle aziende, dei consorzi e delle collettive regionali. Una iniezione di fiducia in un momento complesso che ci vede impegnati a supportare il principale prodotto ambasciatore e apripista dell’agroalimentare del Belpaese nel mondo”.

Sul fronte delle presenze estere a Vinitaly 2024, gli Stati Uniti si confermano in pole position con un contingente di 3700 operatori presenti in fiera (+8% sul 2023). Seguono Germania, Uk, Cina e Canada (+6%). In aumento anche i buyer giapponesi (+15%).

Chiuso Vinitaly, si confermano i primi appuntamenti del calendario estero: Wine to Asia (Shenzen 9-11 maggio 2024); Vinitaly China Roadshow, Shanghai, Xian, Guangzhou (2-6 settembre 2024); Wine South America a Bento Gonçalves (RS) Brasile (3-5 settembre 2024); Vinitaly USA (Chicago 20-21 ottobre 2024); Vinitaly @ Wine Vision (Belgrado 22-24 novembre 2024).

Malagousia, la Cenerentola greca che profuma di fiori e albicocche


di Carlo Macchi

Incontrare un vitigno che non conosci è sempre una scoperta, se poi quel vino/vitigno viene dalla Grecia è ancora più intrigante e infine se il solito impagabile Haris Papandreou te ne propone quindici campioni in assaggio il cerchio si chiude e, naturalmente si apre la degustazione nella sede di Winesurf.


Il vitigno in questione è la Malagousia, uva riscoperta negli anni ’70 del secolo scorso nella regione di Nafpaktia e per questo chiamata spesso la Cenerentola dei vini greci. Non ci sono molte notizie su quest’uva: pare che a inizio del secolo scorso venisse apprezzata anche per la buona produttività ma che nel tempo fosse stata sostituita da coltivazioni irrigue molto più redditizie. Comunque Vangelis Gerovassiliou assaggiò, spinto dal suo professore di enologia, l’uva e rimase sorpreso dalle sue caratteristiche, decidendo di vinificarla prima nella cantina Porto Carras e successivamente nella sua. Questo lo ha portato ad essere chiamato “il padre della Malagousia” ma soprattutto ad essere stato il primo a produrla e venderla, subito seguito da un buon numero di produttori greci.


La riscoperta di questo vitigno ha portato infatti a (ri)piantarla in molte zone della Grecia (dalla Macedonia alla Tessaglia alla Grecia Centrale) con climi anche molto diversi tra loro. Siamo di fronte ad un vitigno a bacca bianca, dal grappolo piuttosto esteso, che esprime intense aromaticità, specie su note floreali ma anche su sentori di pesca e albicocca. L’acidità non è altissima ma una vendemmia abbastanza precoce gli permette di conservare una sufficiente freschezza. Al contrario di tanti vini bianchi non si percepisce, anche da campioni di zone diverse, note estremamente sapide o saline. Sicuramente dà il meglio di sé nei primi 2/3 anni di vita e quasi sempre viene vinificata in acciaio a temperatura controllata e messa in commercio giovane. Qualche produttore ha provato anche a vinificarla parzialmente o totalmente in legno con risultati interessanti. Molto interessanti sono anche le poche versioni passite dove i sentori di albicocca matura sono quasi inebrianti.


Se volessimo allestire un podio dei quindici campioni degustati il podio virtuale potrebbe essere composto (in ordine sparso) dal Mikrokosmos 2022 di Zafeirakis, con profumi fini che puntano sull’agrume e dalla netta verticalità, dalla Malagousia 2023 elegante e persistente di Tsikrikonis, e dalla Malagousia 2023 di Vangelis Gerovassiliou, con particolari note fumé che affiancano quelle floreali e un corpo di giusta ampiezza.


In generale sono vini che ancora credo paghino la giovinezza di tanti impianti e forse rese un po’ troppo alte dovute anche ad un mercato nazionale che lo richiede sempre più. Sono convinto che tra 6/7 anni potremo trovare delle Malagousia più piene senza rinunciare alla caratteristica principale che è appunto l’aromaticità. Dimostrano comunque ancora una volta che il vino greco combatte alla pari con i prodotti di qualsiasi altra nazione e che le moderne forme di vinificazione sono oramai ben assimilate e comprese a ogni livello.


Dal punto di vista dell’importazione non siamo messi benissimo ma si possono ordinare direttamente in Grecia su vari siti. I prezzi vanno dai 10/11 euro ai 24-25 per le selezioni più importanti. La media è comunque attorno ai 15 e sono sicuramente soldi ben spesi, specie se ci mettiamo il fattore novità.

Mostra mercato dell’artigianato della valtiberina toscana: Paola De Blasi è il nuovo direttore artistico


La 49ª edizione della Mostra Mercato dell’Artigianato della Valtiberina Toscana si avvicina a grandi passi e in attesa del grande appuntamento, in programma nel cuore di Anghiari dal 25 aprile al 1° maggio, siamo felici di annunciare l’ingresso nel Comitato Organizzatore di una nuova figura. Si tratta di Paola De Blasi, nominata Direttore Artistico della manifestazione. È laureata in Scienze Agrarie, abita a Firenze dove lavora nell’ambito della comunicazione nel settore vitivinicolo nello studio Thurner PR (e non solo), è legata al mondo della televisione, è anghiarese a tutti gli effetti e proprio nel borgo tiberino porta avanti “Beba”, l’azienda di famiglia. Un ruolo nuovo ed importante per dare ulteriore slancio alla Mostra Mercato dell’Artigianato della Valtiberina Toscana già nell’edizione 2024 e soprattutto in vista del prossimo anno, il cinquantesimo di una manifestazione che è da sempre riferimento per il settore del fatto a mano e che promuove le eccellenze dell’artigianato, conservandone tradizioni e peculiarità, ma guardando ogni anno di più verso il futuro.


Paola De Blasi è già al lavoro in vista della Mostra 2024 e si è approcciata con entusiasmo al nuovo ruolo. “Ringrazio l’Ente Mostra per avermi affidato l’incarico di Direttore Artistico, per me motivo di grande emozione. L’artigianato è una bella opportunità per Anghiari e per tutto il territorio ed è nostro compito renderlo fruibile e amato dalle nuove generazioni. Per 48 edizioni - ha sottolineato Paola - il nostro paese, grazie alle storiche botteghe situate nel suo affascinante centro storico, è stato custode di un patrimonio immenso. Dobbiamo continuare questo percorso di valorizzazione con una lettura dell’artigianato profonda, compresa e condivisa, capace di far divenire Anghiari e la Mostra non solo custodi, ma anche ambasciatori di un settore che rappresenta tutte le imprese capaci di portare nel mondo la genialità italiana. Necessario raccontare questo con un linguaggio contemporaneo che consenta una lettura attuale delle tecniche moderne, così da mantenere il cuore autentico dell’artigianato per raccontare il futuro. Per questo stiamo aprendo la strada ad attività convegnistica e a laboratori che possano mostrare cosa significa essere artigiani oggi, innalzando sempre di più la qualità, facendo scoprire oggetti di nicchia, dando una prospettiva internazionale alla narrativa di un’arte preziosa, quella del saper fare con le mani, con attenzione all’ambiente e al gusto. Prospettive valide per questa edizione ed in vista della cinquantesima del prossimo anno. L’artigianato è creatività, ingegno e passione: quell’anima che rende i prodotti autentici, unici ed irripetibili. Affinché l’identità italiana non vada persa - ha concluso il direttore artistico - dobbiamo difenderla, facendo appassionare i giovani all’artigianato, come delicato equilibrio alchemico fra tradizione e intelligenza”

Appuntamento da non perdere quindi ad Anghiari con la 49ª Mostra Mercato dell’Artigianato della Valtiberina Toscana. Dal 25 aprile al 1° maggio, per gustare le eccellenze di artigianato e arte in uno dei Borghi più belli d’Italia.

La manifestazione è organizzata dall’Ente Mostra Valtiberina Toscana, in collaborazione con Camera di Commercio di Arezzo-Siena, Regione Toscana, CNA Arezzo, Confartigianato Arezzo, Provincia di Arezzo, Comune di Anghiari, Associazione Pro-Anghiari e Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo.

Vinitaly 2024, a Verona il festival del vino in programma dal 14 al 17 aprile


Oltre 4mila cantine espositrici da tutte le regioni italiane e da 30 Paesi esteri e più di 30mila operatori internazionali – tra cui i 1200 top buyer da 68 nazioni – , oltre alle delegazioni commerciali dei principali Paesi acquirenti. Si aprirà così domattina alle ore 11 il Vinitaly 2024. In contemporanea, anche la 28ª edizione di Sol, International olive oil trade show, il 25° Enolitech, salone internazionale delle tecnologie per la produzione di vino, olio e birra, e Xcellent Beers, la rassegna dedicata alle produzioni brassicole artigianali, al suo debutto “autonomo” quest’anno.


All’inaugurazione, nell’auditorium Verdi del Palaexpo, interverranno Lorenzo Fontana, presidente della Camera dei Deputati; Barbara Bissoli, vicesindaca del Comune di Verona, Flavio Massimo Pasini, presidente della Provincia di Verona; Federico Bricolo, presidente di Veronafiere; Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste; Luca Zaia, presidente Regione Veneto; Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, e Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura.

Nel corso dell’inaugurazione verranno assegnati anche i riconoscimenti “Premio Vinitaly International Italia”, “Premio Vinitaly International Estero” e i nuovi “Vinitaly Wine Critics Award” e “Premio Vinitaly 100 anni”.
A seguire, l’inaugurazione dello stand della Regione del Veneto, al padiglione 4. Nella prima giornata di Vinitaly, presente anche Paolo Zangrillo, Ministro per la Pubblica Amministrazione per il taglio del nastro dell’area Piemonte insieme al vicepremier Tajani.

“Se tu togli il vino all’Italia – un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto” sarà la ricerca del 56° Salone internazionale del vino e dei distillati per la Giornata del made in Italy, presentata nell’area MASAF del Palaexpo. Lo studio, realizzato dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly-Prometeia, valuta l’impatto in termini socio-economici, culturali, turistici e d’immagine di una eventuale scomparsa del vino dall’Italia, con un focus su 3 territori simbolo dell’economia rurale a trazione enologica: Barolo, Montalcino ed Etna.
Presente il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
Oltre ai vertici di Veronafiere, intervengono Giuseppe Schirone, principal Prometeia, Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, Francesco Cambria, presidente del Consorzio Etna, Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio Brunello, Micaela Pallini, presidente di Federvini, e Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione italiana vini.

Vinitaly USA. Nel primo pomeriggio il vicepremier Antonio Tajani visiterà lo stand di Vinitaly USA, dove verrà presentato il nuovo progetto fieristico internazionale targato Vinitaly che debutterà a Chicago il 20 e il 21 ottobre 2024. L’evento è organizzato da Fiere Italiane in compartenariato con Vinitaly, l’Italian American Chamber of Commerce Chicago-Midwest e ICE-Agenzia.

InvecchiatIGP: Tenuta di Fiorano - Fiorano Rosso 1988


di Roberto Giuliani

Mi sono chiesto in più occasioni come mai la Tenuta di Fiorano, per la sua straordinaria storia e per la qualità dei suoi vini, ha fatto una gran fatica a raggiungere quella fama che le competeva a pieno diritto. Non sto qui a raccontare delle vicissitudini storiche della famiglia Boncompagni Ludovisi, ma vi basti pensare che in quel territorio che fiancheggia l'Appia Antica a due passi da Roma, nel 1946 il Principe Alberico ereditò dal padre Francesco una grossa quota delle tenuta, allora costituita da uliveti, pascoli e seminativi, decise di impiantare il primo vigneto, forte di una conoscenza agricola e agronomica, con i vitigni internazionali cabernet sauvignon e merlot, più sémillon e malvasia per fare dei vini bianchi. Prima di chiunque altro, teniamolo a mente! Chiese la consulenza al mitico Tancredi Biondi Santi, che in più occasioni portò con sé il giovane Giuli Gambelli.


Tutto questo si svolgeva in una terra già allora totalmente incontaminata, che così è rimasta fino ai giorni nostri, quindi un bene preziosissimo, perché da subito si è lavorato sempre in biologico, quello serio, ben più bio di quanto prevedano i disciplinari. Allora non era praticamente possibile visitare la cantina, il vino si poteva acquistare solo in loco, pagando in contanti, uno dei pochi che avevano potuto visitarla era Luigi Veronelli, che si innamorò letteralmente di quei vini e contribuì a far sapere al mondo che la Tenuta di Fiorano era la migliore azienda del Lazio.


Poi, per ragioni mai chiarite, il Principe Alberico nel 1998 decise di espiantare tutte le vigne e interrompere la produzione; a nulla valse la proposta di occuparsene da parte del Marchese Piero Antinori (che aveva sposato la figlia di Alberico, Francesca), di cui non condivideva né la filosofia né il modo di produrre vino. Non mi addentro ulteriormente sulle vicissitudini che seguirono, vi dico solo che a prendere le redini dell'azienda fu poi il Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, che senza alcuna esperienza in campo vitivinicolo, ma colmo di passione e orgoglioso di guidare l’attività di questa storica Tenuta, dagli inizi del 2000 ha ripreso a produrre vino, con le stesse uve che il cugino aveva impiantato 50 anni prima, tranne il sémillon che arrivò un po’ di anni dopo.

 Il Principe-Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi

Poche settimane fa ho avuto il piacere di tornare in azienda e degustare i vini bianchi e rossi prodotti, con una interessantissima verticale del Fiorano Rosso, di cui l'annata 1988 mi ha davvero emozionato.


Assaggiare questo vino mi ha portato al di fuori del solito contesto degustativo in cui analizzi tecnicamente, tiri fuori i sentori, l'acidità, il tannino, no. Qui entriamo in un ambito diverso, perché questo '88 ti solleva dalla sedia di almeno venti centimetri, sto parlando un grandissimo cabernet sauvignon, perfettamente tarato sul terroir d'appartenenza, che ha mostrato una vitalità, un'energia, una ricchezza espressiva davvero esaltanti. 


Alla cieca non lo avresti mai indovinato, 36 anni che non sembrano neanche 10, con quelle sensazioni che rimandano alla macchia mediterranea, agli aghi di pino, alla resina, al ginepro, poi menta, frutto integro che ricorda la prugna e quella componente vegetale che rimanda al peperone ma maturo, direi affumicato. Tanta eleganza e scioltezza da cavallo di razza, e chi se lo dimentica più!

Alfonso Rinaldi - Colline Novaresi Bianco Costa di Sera dei Tabacchei 2021


di Roberto Giuliani

L’Erbaluce di Alfonso Rinaldi (ora nelle sapienti mani del figlio Riccardo) riesce ad emozionarmi ogni volta che lo assaggio.


Il vino profuma di fiori di campo, susina gialla, cedro maturo, pesca, mandorla, un fiume di sensazioni che chiude salino e con una freschezza integrata grazie all’anno in più di bottiglia.

Tenute del Fasanella - Paestum IGP Rosso Auso Biologico 2018


di Roberto Giuliani

Quello che le cooperative fanno vini commerciali e non di valore è un luogo comune che sta facendo ancora danni nell’ambiente enoico. Non c’è dubbio che in passato le cantine sociali di buona parte della penisola mirassero prevalentemente a fare numeri, ma da almeno vent’anni a questa parte in molte regioni le cose stanno cambiando in modo netto, soprattutto per quanto riguarda le realtà medio-piccole, come in questo caso.

Parliamo di Tenute di Fasanella, una cantina situata in quel meraviglioso territorio che è il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni, in provincia di Salerno. Fu Michele Clavelli, sindaco del Comune di Sant’Angelo a Fasanella, a prendere l’iniziativa di coinvolgere un drappello di vignaioli per creare una cooperativa che desse lustro al territorio cilentano. Era il 2003, l’idea ebbe successo e furono oltre 40 ad associarsi; da subito l’impostazione fu quella di lavorare in biologico nel rispetto di un territorio dove la natura ha ancora uno spazio incontaminato dove poter esercitare le sue funzioni di salvaguardia.


Il principio era, quindi, più che meritevole, nel 2004, dopo opportune valutazioni delle microzone più adatte, si è iniziato a impiantare le uve tipiche del territorio, come Aglianico, Aglianicone, Primitivo e Fiano, alle quali sono state aggiunte di recente le varietà autoctone cilentane Santa Sofia e Mangiaguerra. Il primo imbottigliamento è stato il 2008, anno in cui è arrivata anche la consulenza dell’enologo Sergio Pappalardo, che ha seguito tutto il processo produttivo di Tenute del Fasanella. Già nel 2009 la Tenuta era in conversione biologica, grazie al fatto di trovarsi in un contesto pedoclimatico del tutto favorevole. La certificazione è arrivata nei tempi opportuni e il lavoro in vigna e cantina è stato impostato con la massima attenzione, consentendo di arrivare a imbottigliare i vini senza aggiunta di solfiti.


Le uve che danno vita all’Auso 2018 sono aglianico per l’80% e primitivo per la restante parte, provengono da un vigneto di 3,62 ettari, posizionato a 500 metri di altitudine in zona San Vito Prato e Lupinelle. Le due uve vengono raccolte in epoche del tutto diverse, il più precoce primitivo nella prima decade di settembre, mentre per l’aglianico si arriva anche alla terza decade di ottobre. Dopo la diraspatura avviene la macerazione prefermentativa a freddo, quella alcolica si svolge in acciaio per 10 giorni a temperatura controllata; poi si effettua la svinatura e pressatura soffice. Alla fine della fermentazione alcolica e malolattica, i due vini ottenuti vengono assemblati e maturati per il 60% in acciaio sulle fecce fini e per il 40% in tonneaux esausti (8° passaggio), segue un affinamento di tre mesi in bottiglia.


Il nome del vino, Auso, rappresenta il primo tratto e il più tortuoso del fiume Fasanella, e deriva dalla profonda grotta da cui fuoriesce, significa “abisso” e per i Santangiolesi è l’origine. Mi aveva già colpito il Fiano Phasis 2022, di cui ho scritto di recente qui, con l’Auso 2018 ho avuto conferma che questa cooperativa lavora davvero bene: colore rubino con riflessi granata, perfettamente attraversabile dalla luce; profumi di marasca, mirtillo, ribes nero, mirto, cenni di macchia mediterranea, leggero ginepro, pepe bianco, corteccia.


All’assaggio si lancia dritto in avanti, con slancio, grazie a una freschezza decisa e a sensazioni quasi piccanti, su un tannino per nulla ruvido ma equilibrato; le sensazioni fruttate riemergono con decisione mettendo in evidenza una quota agrumata che gli dà ulteriore spinta nel finale. Niente male, se poi pensiamo che lo si può trovare attorno ai 10 euro…

InvecchiatIGP: Villa Sparina - Gavi DOCG “Monterotondo” 2010


Il Gavi, storico vino piemontese prodotto da cortese in purezza, ha recentemente festeggiato a Roma i 50 anni dal riconoscimento della DOC. Era l'anno 1974 quando il Cortese di Gavi veniva annoverato tra le denominazioni di origine controllata, istituite con l’obiettivo di valorizzare i prodotti di qualità rappresentativi di una specifica area territoriale.


La zona di origine del Gavi Docg, prodotto con uva cortese in purezza, si trova nel sud est del Piemonte, al confine con il comune di Genova, e dista 90 km da Milano e 130 km da Torino. Il disciplinare limita la zona di produzione a 11 comuni compresi nella provincia di Alessandria. Ciò che rende speciali le terre del Gavi è sicuramente l’incontro tra il vento marino che soffia dal Mar Ligure e la neve dell’Appennino. Il clima moderatamente continentale, gli inverni freddi e le estati calde e ventilate, l’altitudine dei pendii e l’esposizione, i terreni marnosi, calcarei e argillosi danno vita al Grande Bianco Piemontese: un terroir originale che ritroviamo nel bicchiere.

L'areale del Gavi DOCG - Lavinium

I 1.600 ettari di vigneti si trovano a un’altitudine media compresa tra i 180 e i 450 m.s.l., con pendenza variabile ed esposizione generale orientata verso nord-ovest e sud-est. Dal punto di vista geologico, il terroir del Grande Bianco Piemontese si divide in Terre Rosse, Fascia Centrale e Terre Bianche.


Le argille rosse rappresentano la fascia settentrionale della denominazione, quella che dalla pianura alessandrina si eleva a colline caratterizzate da dolci pendenze. Suoli di colore rossastro, a prevalenza argillosa, ricchi di ferro, creati dai depositi alluvionali accumulati dalla lenta azione erosiva dei fiumi. È la fascia climaticamente più calda e regala Gavi di ottimo corpo e struttura.


La fascia centrale, che affiora sulla linea che unisce Serravalle Scrivia, Gavi e San Cristoforo, vede un’alternanza di marne e arenarie. Terreni misti di argille, sabbie e ciottoli dove non mancano terrazzamenti fluviali, formazioni marine e rocce derivate da crosta oceanica. Sono le aree che donano Gavi in profondo equilibrio tra struttura e sapidità.


Le terre bianche, infine, rappresentano la parte più meridionale del comprensorio, che si fa sempre più ripida avvicinandosi all’Appennino, superando i 400 metri di altitudine. I terreni diventano chiari, caratterizzati da marne tufacee di origine marina, ricche di microelementi e fossili. Suoli decisamente più poveri e duri, immersi in un clima più rigido e ventilato. Da qui provengono Gavi caratterizzati da estrema finezza, delicati profumi e spiccata mineralità.


Durante la cena di festeggiamento dei 50 anni dalla DOC, ho potuto apprezzare anche la longevità del Gavi grazie ad una delle aziende di riferimento della denominazione ovvero Villa Sparina. L’azienda, una delle più storiche nel territorio, dedicata alla viticoltura oltre 70 ettari di vigneti tra i quali spicca un piccolissimo appezzamento, sito in località Monterotondo, dove vecchie piante di cortese di almeno 60 anni sono piantate su terreni costituiti prevalentemente da argille rosse.

Moccagatta vista dall'alto

La famiglia Moccagatta ha lasciato riposare questo Gavi per 10 anni all’interno delle sue storiche cantine al fine di regalare, almeno negli intenti, un vino dalla grande personalità.


Beh, diciamo che l’obiettivo è stato assolutamente perseguito perché il vino da me degustato, nonostante ancora un legno in fase di integrazione, si è fatto apprezzare per una vivacità ed una complessità aromatica che spaziava dalla mela golden alla frutta esotica fino ad arrivare di agrumi, spezie dolci su un letto sapido e minerale. Coerente al gusto, l’ampia avvolgenza glicerica sostiene ed equilibra una sferzata fresca, a tratti salmastra, di ampio respiro.

Podere Ema – Toscano Rosso IGT “Foglia Tonda” 2020


Un vignaiolo intraprendente come Enrico Calvelli, la bellezza del territorio chiantigiano, un vecchio vitigno autoctono valorizzato, un affinamento in anfora di Terracotta di Impruneta, sono gli ingredienti di questo foglia tonda in purezza dal carattere unico ed inimitabile come la Terra da cui proviene.

SRC (Esserci) è tutto ciò che conta sull’Etna


La voglia di esserci è nata più di dieci anni fa, sull’Etna, circondati da un territorio unico al mondo e a quel tempo, forse, ancora poco inflazionato. Randazzo, nel versante nord del vulcano, ha una bellezza a cui non si può resistere, soprattutto ha un terroir dalle grandi potenzialità si vuole produrre vino nudo e crudo, senza sovrastrutture, assecondando la Natura nel bene e nel male. Non potevano aspettare oltre Rori Parasiliti, sua moglie Cinzia Baraldi e la loro figlia Sandra, il momento per far partire il loro progetto di vita era arrivato e così, nel 2012, parte il progetto SRC Vini il cui acronimo, se lo si legge scandendo bene le consonanti, fa riferimento alle iniziali di Sandra, Rori e Cinzia, una famiglia del vino cha ha deciso di Esserci puntando, più che alla forma, alla sostanza dei vini del vulcano. Un’essenzialità ed un’anima contadina che si esprimono già nei 15 ettari di vigneti, dislocati in varie parcelle tra Randazzo, Castiglione di Sicilia e Milo, tra i 650 e i 1000 metri s.l.m., dove tutte le lavorazioni sono effettuate manualmente, al massimo due volte l’anno, trattando solo ed esclusivamente con elementi naturali come zolfo, farina di roccia e propoli.


Vecchie viti, allevate ad alberello e a spalliera, dove troviamo piante di nerello mascalese, grenache, carricante, coda di volpe, insolia e minnella contenuti da struggenti muretti a secco immersi in un contesto naturale ricco di biodiversità grazie alla presenza di oliveti, frutteti e macchia mediterranea.

Vecchie Viti Credit: Triple A

Questo approccio “naturale” in vigna, ovviamente, lo ritroviamo anche in cantina dove Rori cerca di essere il meno interventista possibile grazie a fermentazioni spontanee, minimo uso di solforosa ed evitando processi di chiarifica, filtrazioni e travasi. “Less is more” potrebbe essere il motto di questa cantina che attualmente produce mediamente 30.000 bottiglie suddivise in otto etichette che, ognuna con le proprie peculiarità, restituiscono al degustatore l’anima ruvida e profonda di un terroir etneo al di fuori dalle classiche convenzioni enologiche.

Rori e Cinzia

Ultimamente a Roma, grazie ad Federico Latteri e Titti Casiello che hanno portato i nostri vignaioli in tour per l’Italia, ho potuto degustare tutta la produzione di SCR Vini tra cui uno splendido Etna Rosso 2020 che, a mio giudizio, per espressività e piacevolezza, ha superato le mie migliori aspettative.

Titti e Federico

Blend di nerello mascalese (90%) ed altre uve autoctone (10%) provenienti da un appezzamento di 4 ha sito a Castiglione di Sicilia (contrada Crasà), questo rosso dell’Etna, prodotto in circa 13.000 bottiglie si fa apprezzare per la sua gioviale immediatezza grazie ad una complessa unione di sensazioni di mammole, ciliegie, fragoline di bosco, ribes fuse a lievi cenni speziati che rendono il naso, ma soprattutto il sorso, un elogio alla freschezza e alla bevibilità grazie anche ad un tannino gentile e ad una sapidità travolgente che spalancano la strada ad una bevibilità clamorosa che, almeno in questa versione, libera le briglie a questo Etna Doc rendendolo meno austero e più popolare.

Il colore

Per descrivere le sensazioni che ho provato mi è venuta in mente una frase di Bruno Munari, uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo, che una volta ha detto:” complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.

InvecchiatIGP: Gaggioli - Vino da Tavola Rosso Bagazzana


di Lorenzo Colombo

Non ricordiamo precisamente quando ci siamo stati in quest’azienda situata a Zola Predosa, in provincia di Bologna, saranno però passati tranquillamente una ventina di anni, fatto sta che il vino che andiamo a degustare non ci aiuta molto a ricordare, essendo quello che anni fa veniva classificato come Vino da Tavola non poteva infatti riportare in etichetta l’annata di produzione, ma neppure il nome del vitigno o la zona di produzione. Abbiamo cercato a tal proposito di risalire dal numero del lotto, informazione questa obbligatoria sull’etichetta dei vini, ma anche questo non è che ci ha dato alcuna certezza, trattandosi di una serie di numeri e lettere.
Quello che ci pare di decifrare è infatti un 22, ultime cifre di una serie posizionata sotto il contenuto del recipiente. Potrebbe quindi trattarsi di un vino del 2002, perlomeno ipotizziamo, in quanto ai vitigni utilizzati, consultando alcune vecchie guide di vini, di fine anni Novanta/inizio anni 2000 abbiamo trovato 60% Cabernet sauvignon e 40% Merlot.


La bottiglia in questione era da tempo immemore posizionata sulla griglia della nostra cantina e tutte le volte che la vedevamo abbiamo sempre pensato che non fosse il caso d’aprirla aspettandoci che il suo corretto abbinamento sarebbe stato il lavandino, date le condizioni che trasparivano dalla sua capsula, con evidenti segni di muffa e di colatura di vino. Una domenica di febbraio ci siamo però decisi a metterla alla prova e dobbiamo dire che è stata una piacevolissima sorpresa.


La storia dell’azienda Gaggioli ha inizio negli anni Settanta del Novecento, quando Carlo Gaggioli recupera il Vigneto Bagazzana e negli anni Ottanta inizia a commercializzare il suo vino sfuso. Negli anni Novanta s’inizia ad imbottigliare ed attualmente Carlo Gaggioli, morto recentemente, e la figlia Maria Letizia producono circa 130.000 bottiglie all’anno suddivise tra una quindicina d’etichette, da 21 ettari di vigna.

Carlo Gaggioli

Naturalmente il vino che andiamo a degustare non esiste più, nel corso degli anni ha cambiato nome ed è stato aggiunto, nella sua composizione lo Syrah, ora si chiama Colli Bolognesi Rosso Bologna Doc ed è composto da 50% Cabernet sauvignon e 50% tra Merlot e Syrah, viene vinificato in vasche d’acciaio e s’affina sia in acciaio che in botti di rovere da 15 ettolitri per un periodo variabile dai 12 ai 18 mesi. Null’altro siamo riusciti a sapere da parte dell’azienda produttrice.

La degustazione

Come scritto in precedenza la bottiglia non si presentava molto bene, l’abbiamo quindi approcciata con parecchia diffidenza. Pulita la capsula, coperta di muffa e con chiari segni di colatura, ci siamo con cautela approssimati all’estrazione del tappo che per la verità è uscito senz’alcun problema, era però completamente intriso di vino e nell’estrarlo dal cavatappi s’è rotto in più pezzi.


Non dava però segni d’anomalie olfattive particolari, così, versato un piccolo quantitativo di vino nel bicchiere l’abbiamo assaggiato, non trovando nulla di strano.
E’ quindi seguita la decantazione, onde separare il possibile fondo creatosi negli anni, che però s’è alla fine rivelato minimo. Nel bicchiere troviamo un vino dal color tra il granato ed il mattonato, con unghia aranciata.


Mediamente intenso al naso, un poco chiuso, dopo qualche minuto s’apre su sentori di sottobosco, tabacco dolce, humus e dopo poco tempo ancora emergono note di marmellata di prugne, noci, nocciole ed accenni di vaniglia.
Discreta la sua struttura, il tannino è ancora ben presente ma s’è ammorbidito ed addolcito, ritroviamo netti i sentori di prugne, sia cotte che in confettura uniti ad accenni vanigliati e di fichi secchi, buona la sua persistenza. Un vino sorprendente e decisamente interessante, soprattutto alla bocca.