Il Barolo Sperss 1988 di Angelo Gaja
L'aperitivo a Napoli si fa così!
Uno di loro, in questi giorni, ha inventato la bevanda dell'estate 2009!
Immaginatevi ora di essere in un suggestivo bar della costiera amalfitana o nella piazzetta di Capri, non c'è nulla di più buono e dissetante, in una calda serate estiva, di una granita fresca ed un babà meglio se abbinati ad un buon bicchiere di limoncello. Sì, il limoncello, il liquore più imitato della storia, quello fatto con i limoni di Sorrento (biologici) la cui buccia viene macerata nell'alcol per otto/dieci giorni per poi filtrare tutto. Avete presente? Che dite? E' un pò "vintage" come aperitivo? E mi sa che avete ragione, perchè ci sono altri che la pensano come voi. Infatti, un sessantenne napoletano, stanco del solito liquore giallastro si è inventato un bel surrogato a partire da una materie prima molto particolare: cannabis. Manlio Chianchiano, come riporta TGCOM, coltivava nell'orto di casa la piantina non per spacciare la droga nel solito modo ma per realizzare un particolare liquore: il "marijuancello", vale a dire liquore alla cannabis. Che fine ha fatto l'arzillo signore? Ovviamente è stato arrestato dai carabinieri nel quartiere Chiaiano di Napoli. Fonti attendibili dicono che al momento del fermo tutto il quartiere stava brindando alla salute del Chianchiano. Ovviamente la bevanda è ignota...
Quando la tradizione del vino diventà passione: Cascina Tollu
La filosofia aziendale è da sempre stata improntata al rispetto dell’ambiente e alla sua preservazione, assecondando la natura, la complessità e varietà che la caratterizzano, con un occhio costantemente rivolto alla qualità: presidio ritenuto fondamentale visto che sono proprio loro i primi a bere e mangiare tutto quello che producono.
Cascina Tollu non fa grandi numeri, oggi produce quattro vini: Dolcetto d'Ovada, Bianco di Tollu, Rosa di Tollu, Cortesemente. (In realtà fanno anche un dolcetto affinato che si chiama Leò, che al momento non è in commercio ma è in cantina ad affinare).
La mia curiosità, soprattutto perché ho letto alcune interessanti recensioni, mi ha spinto a provare il Bianco di Tollu, un vino frizzante a base di Cortese e Chardonnay.
Questo vino è un’eredità che passa da nonno a nipote (Tomaso), il primo l’ha creato e l’ha sperimentato volendo ottenere un prodotto capace evolvere nel tempo, il secondo ha il dovere di migliorarlo e di farlo conoscere (finalmente) al mercato.
Per quanto riguarda la tecnica di produzione, il vino nasce da due vini finiti, infatti le uve chardonnay e cortese vengono vendemmiate e vinificate separatamente sino ad arrivare a due vini finiti, pronti per l’imbottigliamento. Una volta realizzata la cuvéé avviene la presa di spuma che Tomaso cura personalmente moltiplicando i lieviti e poi inoculandoli nella massa che verrà subito imbottigliata. Non viene effettuata nessuna sboccatura, quindi il vino permane sui lieviti (“sur lie”) anche quando commercializzato.
Come spesso dice Tomaso, il Bianco di Tollu è un vino “fuori dagli schemi” e questa caratteristica la notiamo subito nel bicchiere: spuma abbondante e colore giallo paglierino torbido fanno presumere, a bottiglia coperta, che andremo a bere ad una birra artigianale. Ma le assonanze con questa bevanda non finiscono qua….
Il naso si propone con sensazioni di crosta di pane, mela golden e pesca bianca mentre il palato si lascia facilmente conquistare dalle sferzante freschezza e da una piacevolissima beva. Lieve finale amarognolo che mi ha fatto venire di nuovo in mente le birre artigianali molto luppolate.
Bottiglia finita in un attimo. A volte penso che sia molto meglio questa tipologia di vino che tanti Barolo, stracomplessi ma anche di difficile beva ed abbinamento. E poi a meno di 10 euro (in cantina) che volete di più?
P.S.: tutte le etichette dei vini di Cascina Tollu sono riprese dai quadri dell’artista Sergio Fedriani (prematuramente scomparso) la cui moglie ha gentilmente concesso di usare per dare maggiore visibilità sia a vini che all’artista.
E ora? Che ci facciamo col Brunello declassato? Qualche ipotesi di utilizzo....
- supermercati che lo pubblicizzeranno con un fantastico 3X2;
- nei wine bar che ci spacceranno questo vino come Brunello, tanto quando versano il vino nel bicchiere nessuno li vede;
- nei ristoranti che lo spacceranno come vino della casa (nella migliore delle ipotesi).
Vinixiani di Roma, gran brava gente!!
A parte gli scherzi, nonostante la serata che più romana sembrava africana, abbiamo bevuti dei vini estremamente interessanti e, in tale ambito, devo necessariamente ringraziare il nostro spacciatore di bianci (Paolo Ghislandi di Cascina I Carpini) e il nostro nuovo pusher di rossi, Vincenzo Ciaceri di Poggio al Toro, che ci ha deliziato con un Morellino di Scansano e un I.G.T. Toscana di tutto rispetto.
Prima di aprire il bianco dei Colli Tortonesi una piccola sorpresa: una vinixiana ha portato con se una piccola chicca umbra, un bianco “naturale”, il Colle Capretta della cantina Terra dei Preti che viene prodotto annualmente in circa 700(!) bottiglie. L’etichetta cita che trattasi di “…vino bianco ottenuto da una selezione di uve delle vecchie viti di Trebbiano Spoletino, fermentate con la macerazione delle bucce per più di dieci giorni come nella pratica tradizionale antica. Il lavoro in vigna e in cantina si ispira a principi di assoluta naturalità e alle influenze dei cicli lunari. La terra viene aiutata solo di rado con concime ricavato dagli animali dell'azienda. Non si utilizzano lieviti artificiali e non si aggiunge solforosa in imbottigliamento. Il vino riposa in un contenitore di cemento vetrificato prima di essere imbottigliato”.
Bevendolo mi è sembrato un vino del contadino a “cinque stelle” che gioca molto sullo stile ossidativo (ottimi i ritorni olfattivi di miele e albicocca matura) ma che al palato perde un po’ la marcia non aprendosi come dovrebbe e peccando un po’ di persistenza. Sarà interessante seguire le varie evoluzioni della cantina.
Gli altri bianchi, come detto, sono stati gentilmente offerti da Cascina I Carpini, un’azienda amica di Vinix che, pur essendo distante da noi, ci era sicuramente vicina col cuore. Il Rugiada del Mattino lo abbiamo bevuto sia nella versione 2007 sia in quella 2008 (imbottigliata da pochissimo) e i più attenti sono stati bravi a coglierne le differenze: infatti quest’ultimo millesimo si caratterizza per una minima aggiunta (circa 10%) di Timorasso, vitigno principe dei Colli Tortonesi, che ha dato più struttura e complessità al vino che risulta per questo (forse) meno beverino del 2007 che, bevuto freschissimo in una serata afosa come quella di ieri, è stato spazzato via in un attimo. Complimenti comunque a Paolo per la sua continua voglia di sperimentare e di offrirci sempre prodotti di grande livello.
La sorpresa, almeno per me, ieri sera è stata l’azienda Poggio al Toro del nostro Vinixiano Vincenzo Ciacere, romano de roma trapiantato in maremma che ci ha presentato il suo Morellino di Scansano 2007 e un sorprendente 900 Ceppi, in I.G.T. Toscana a base Sangiovese di grande caratura.
Perché parlo di sorpresa? Perché finalmente il suo Morellino mi ha rinfrancato nei confronti di tanti altri prodotti equivalenti che trovavo (trovo) sempre molto sbilanciati o sulla componente alcolica o sulla componente tannica.
Il suo Morellino di Scansano DOCG, proveniente da vigne di 10 anni di età, è ottenuto da uve Sangiovese (almeno il 90%), Cabernet Sauvignon e Syrah (5-10%) e si presenta di un colore rosso rubino con naso di frutti di bosco, visciola, gelso nero ed un tocco di erbe aromatiche. In bocca è molto avvolgente, caldo e, nonostante il grande caldo, è rimasto sempre ben equilibrato nelle sue componenti dure e morbide. Bella la persistenza finale. Sicuramente pronto ma con un potenziale di invecchiamento non indifferente.
Un altro vino di Poggio al Toro che mi ha affascinato è il 900 Ceppi, prodotto solo nelle grandi annate, è una cuvée di uve provenienti dai migliori vigneti di Sangiovese (900 ceppi selezionati) esposti tutti a sud-ovest.
Dopo la vendemmia, che avviene tardivamente (circa metà ottobre), le uve raccolte vengono subito portate in cantina per essere vinificate separatamente dal resto del pigiato dopo un’ulteriore fase di selezione manuale degli acini. La fermentazione viene svolta in 6 giorni ad una temperatura controllata di circa 28° gradi ed è seguita da una macerazione di ulteriori 20 giorni posta in essere per estrarre la maggior quantità possibile di aromi e polifenoli. La fermentazione malolattica è svolta in 2 tonneaux da 5 ettolitri dove poi il vino successivamente sosterà per ulteriori 15 mesi. Un altro anno di affinamento in bottiglia e il vino, senza chiarifiche né filtrazioni, verrà commercializzato. Solo in Magnum o Jeroboam però!!!
Berlo ieri sera è stato una vera delizia per il mio olfatto e il mio palato. Giovane, giovanissimo col suo colore rubino con riflessi violacei, ha un naso molto complesso che non ricorda molto i caratteri del Sangiovese in quanto, prima di tutte, escono le note speziate, pepe nero in primis, seguite da impregnanti note di liquirizia, cuoio, caffè, tabacco biondo, marasca, ribes, sottobosco. Imponente l’impatto gustativo, ricco di estratti e corpo, con un tannino, giustamente astringente, è di grande stoffa ed eleganza. Grande la persistenza finale per un vino che, pur essendo quasi da meditazione, risulta essere di grande bevibilità. Puro edonismo maremmano.
Cantine d'autore? Ma er vino è bbono?
Ma no, è solo l'immagine di una chiesa moderna....
Magari un centro benessere all'avanguardia....
Entrando però non troveremo nè scienziati nè alieni, ma solo...."barrique a cinque stelle". Ma allora si produce il vino qua dentro?
Il Re dei vini dolci: il Vin Santo Avignonesi 1996
L’amore di Avignonesi per il Vin Santo lo possiamo capire leggendo alcune righe del suo sito internet: il Vin Santo non è un mezzo per fare fatturato e soldi. Se sarà prodotto per questo scopo, quel Vin Santo non sarà mai grande. La qualità si trova in una dimensione diversa. Non importa quanto tempo occorra, quanta energia occorra, quanto denaro occorra. Quello che conta è la qualità, e basta. Più è difficile da raggiungere, più grande è la soddisfazione e, di regola, più grande è il risultato.
Oggi proverò a descrivere il Vin Santo Avignonesi, un prologo a quell’Occhio di Pernice che rappresenta, come ho già scritto, il miglior vino dolce italiano e, senza dubbio, uno dei migliori al mondo. Per produrre questo vini si usano due varietà di uva a bacca bianca: la Malvasia Toscana ed un Greco, detto "Pulce in culo", per un evidente puntino nero che presenta nella parte inferiore dell'acino. Dopo la raccolta i grappoli vengono portati nell'appassitoio per essere distesi in unico strato e non troppo fitti sopra cannicci disposti su vari piani e sorretti da castelli di legno. L'appassimento dura sei mesi, durante i quali l'uva non viene mai toccata per nessun motivo. Unica variante alle tecniche antiche, sicuramente migliorativa, è al momento della pressatura, con l'utilizzo di presse pneumatiche, che sono andate a sostituire i vecchi torchi a vite. La quantità di mosto che si ottiene non supera mai il quindici per cento dell'uva fresca e contiene una percentuale di zucchero altissima (dal 55 al 60 per cento). Dopo circa due mesi, al termine della naturale decantazione, il mosto viene messo nei caratelli, piccole botti generalmente di rovere di circa 50 litri. I caratelli non sono a perdere, come le barrique. Durano finché non evidenziano difetti di profumo e finché sono in grado di tenere. Questi vengono riempiti solo per nove decimi del loro volume, con due litri di madre e quarantatre di mosto. I caratelli vanno chiusi subito dopo il riempimento. Poi non si tocca più, per dieci anni finchè non arriva il giorno della loro apertura, di solito nel mese di maggio, a fine luna calante, quando il mosto nuovo si è sufficientemente pulito. Il risultato? Basta leggere più avanti…
Nel mio bicchiere ho il millesimo 1996, emozionante e promettente già dal colore e dalla densità, un testa di moro dalle mille nuance che ruota nel bicchiere con difficoltà, l’alcol, lo zucchero e tutte le altre componenti del vino si aggrappano al bordo del bicchiere lasciando archetti indelebili. Al naso è stupefacente, è quasi commoventi sentire un bouquet di profumi che minuto dopo minuto cambiano lasciandoci emozionati ricordi di quello passato. Frutta candita, frutta secca, tabacco, miele di castagno, cuoio, chiodi di garofano, china, legno di sandalo, mallo di noce, liquirizia, caramello e…mille altri. La bocca mantiene le promesse del naso, il vino entra ampio, ci invade il cavo orale con un equilibrio perfetto tra freschezza e dolcezza. Una volta deglutito il Vin Santo rimane nei nostri sensi per minuti, lunghissimi minuti di puro edonismo. Vin da meditazione assoluto. Cosa potrà essere a questo punto l’Occhio di Pernice?
Scopriamo i Bordeaux 2008. Qualche consiglio.
Château Pontet-Canet 2008: Molto concentrato alla visiva questo vino, a differenza del precedendente, presenta un naso dove frutta matura e un delicato floreale si uniscono dando vita ad una suadente armonia olfattiva. Alla gustativa il vino spiazza positivamente con la sua grande struttura, dove il carattere del tannino maturo e una grande acidità ben si fondono con una morbidezza di frutto forse un pò troppo accentuata. Grandissimo il finale per un vino che raggiungere un perfetto equilibrio tra qualche anno. Teniamolo in cantina.... Una cassa da 12 bottiglie a circa 700 euro!
Chateau Saint-Pierre 2008: rubino intenso questo vino si fa amare per la sua freschezza sia al naso dove la frutta è bella croccante, sia al palato dove la spina acida rende ogni sorso molto piacevole e mai banale. Tannino estremamente vellutato per un vino di bella eleganza e persistenza. Non conoscevo Chateau Saint-Pierre, mia grande ignoranza oppure questi qua stanno facendo le cose seriamente da poco? Una cassa da 12 bottiglie a circa 400 euro!
Chateau Cantemerle 2008: molto intenso al colore, concentra interessanti sensazioni di amarena e prugna matura, chiodi di garofano e corroboranti cenni balsamici che accentuano le note di freschezza come contraltare alla dolcezza della frutta rossa. Fitto e avvolgente, al palato sorprende per la grande sapidità e il lungo finale che termina con un tocco di liquirizia che rende la chiusura leggermente amarognola. E' ancora un pupo questo vino, diamogli tempo e anche in questo caso saremo di fronte ad un Bordeaux dal grandissimo rapporto q/p. Una cassa da 12 bottiglia a circa 200 euro! Oppure volete un'imperiale da 6 litri a circa 200 euro?
Cernilli fa chiarezza(?) sulla lista dei vini del G8
Tutto ok allora? Beh, non tanto, perchè alla fine l'immagine enologica italiana alla fine è rappresentata da poche aziende, spesso di relativa importanza, e da pochi vini la cui lista non include nessun Brunello, Barbaresco o Amarone.
Beh, però quelli presenti almeno sono tutti tre bicchieri? Nemmeno per sogno, alla fine le aziende hanno fornito quello che avevano, nulla di imbevibile però almeno lo sforzo di dare il meglio della loro produzione lo potevano fare....
Ah, sarebbe carino capire anche perchè Biondi Santi e gli altri non abbiano partecipato ad un evento del genere. Sarò colpa dell'antipatia dei potenti della terra oppure c'è altro dietro?
I 41 vini del Gambero Rosso al G8 in Abruzzo. E' davvero la migliore lista?
«Non è stato facile – afferma Daniele Cernilli, direttore del Gambero Rosso – decidere chi inserire nell'elenco, vista la quantità e l'altissima qualità complessiva delle produzioni. Tenendo anche conto della provenienza degli ospiti, abbiamo voluto offrire un esempio delle più antiche tradizioni della cultura gastronomica italiana ma anche della capacità dei produttori di salvaguardare e valorizzare i diversi territori del Paese, ognuno ricco di storie, profumi e sapori assolutamente unici e irripetibili».
Tra i vini presenti la scelta, in maniera non troppo casuale, è finita su:
1. Albea - Selva
2. Albea - Petrarosa
3. Albea - Raro
4. Albea - Petranera
5. Albea - Lui
6. Allegrini - Veronese Palazzo della torre igt ‘06
7. Argiolas – Turriga ‘04
8. Az. Agr. Cottanera - Fatagione '06
9. Braida - Bricco dell'Uccellone '06
10. Brancaia - Blu '01
11. Bucci - Verdicchio dei Castelli di Jesi Villa Bucci Ris. '06; Verdicchio Cl. Sup.
12. Cantina sociale di Santadi - Terre Brune '05
13. Castello del Terriccio - Lupicaia '05
14. Cavit - Teroldego Rotaliano D.O.C. Bottega Vinai 2007
15. Colle Massari - collemassari montecucco ris. DOC 2005
16. Cuomo Marisa - Costa D'Amalfi Fiorduva '07
17. Donnafugata - Passito di Pantelleria Ben Ryé '07
18. Elio Grasso - Barolo Gavarini Chiniera '05
19. Ferghettina - Franciacorta Brut DOCG
20. Feudi San Gregorio - Greco di Tufo Cutizzi '07
21. Gianfranco Fino - primitivo di manduria es '07
22. La Broglia - Gavi docg del Comune di Gavi Bruno Bbroglia
23. Livio Felluga - Friulano '08 doc COF
24. Lorenzo Begali - Valpolicella Cl. Sup. Ripasso '07
25. Mastroberardino - Taurasi Centotrenta Ris. '99
26. Montevetrano - Montevetrano
27. Morgante - Don Antonio
28. Perticaia - Montefalco sagrantino docg '05
29. Saiagricola, Colpetrone - Montefalco Sagrantino '05
30. Saiagricola, Fattoria del Cerro - Nobile di Montepulciano '06
31. Saiagricola, Tenuta dell'Arbiola - Carlotta Barbera d'Asti '06
32. Saiagricola, Villetta di Monterufoli - Malentrata - Val di Cornia
33. San Felice - Chianti Cl. Il Grigio Ris. '05
34. Santa Barbara - Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Stefano Antonucci Ris. '06
35. Settesoli - Mandrarossa Grecanico igt Sicilia '08
36. Sorelle Bronca - P. di Valdobbiadene Extra Dry particella 68 '07
37. Tenuta di Capezzana - Carmignano Villa di Capezzana doc '05
38. Tenuta Sette Ponti - Crognolo '06
39. Trabucchi - Valpolicella Sup. Terre di S. Colombano '05
40. Uberti - Franciacorta
41. Vistorta - Friuli Grave Merlot Vistorta '06
Questa lista rappresenta davvero il meglio dell'enologia italiana? Oppure, come penso io, è solo un insieme di vini provenienti da aziende che, in qualche modo, fanno parte del circuito del Gambero Rosso?
Si diceva che a pensar male si commette peccato però spesso ci si prende....
Potrei sbagliarmi, certo, però, con tutto il rispetto, una cantina come Albea addirittura presente con cinque vini al G8? E la SAI agricola? Mah, voi che ne pensate?
Percorsi di Vino e lo chef Dino De Bellis insieme per "Bollicine sotto le stelle"
Certo, non avevamo davanti i mostri sacri francesi della Champagne, però devo dire che il Prosecco millesimato “Luca Ferraro” di Bele Casel, lo spumante “Riserva Nobile” 2004 della Cantina d’Araprì e il Brut Rosè di Luca Abrate non hanno certo sfigurato davanti ad un pubblico di palati esigenti che l’Antica Osteria l’Incannucciata ha ospitato lo scorso giovedì.
Venendo ora ai particolari, il millesimato di Bele Casel per molti è stata una grandissima sorpresa, pochi infatti si aspettavano un Prosecco così godibile e per nulla banale, molto lontano dallo stereotipo del prosecchino bevuto nei peggiori bar delle metropoli italiane. Fantastico questo Prosecco che, nonostante 20 g/l di zucchero, non è mai stucchevole grazie alla bella vena acida e alla grande sapidità che regalano al vino un equilibrio fantastico, senza eccessi e con una nota minerale che fornisce al tutto una garbata eleganza. Altro che Paris Hilton nuda e dorata tra lattine di Prosecco! Il prezzo del vino? Chiedete a Luca di Bele Casel, rimarrete esterefatti, uno dei vini dal miglior rapporto q/p che mi sia capitato.
Altra sorpresa assoluta è stato lo spumante “Riserva Nobile” 2004 della Cantina d’Araprì, grande Metodo Classico da uva Bombino Bianco che quasi tutti i presenti avevano scambiato per un TrentoDoc. Non siamo nel nord Italia ma in Puglia, in una azienda nata nel 1979 dalla passione per il vino di tre amici jazzisti che, per scommessa, decidono di produrre spumante a San Severo, in provincia di Foggia, nel cuore della Daunia. Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore, da cui "d'Araprì", seguono personalmente tutte le fasi di produzione del loro spumante che producono artigianalmente ed in quantità estremamente limitata, come questo “Riserva Nobile”, a cui gli oltre 48 mesi sui lieviti conferiscono una grande complessità giocata su sentori di pera matura, mela cotogna, nocciola, muschio, pane tostato e miele. In bocca è di grande freschezza e morbidezza e il finale, su ricordi di vaniglia e frutta matura, è lungo e persistente. La Puglia non è solo vini rossi, c’è tanto altro oltre il Primitivo e il Negroamaro….
Col Brut Rosè andiamo a Nord da Luca Abrate, giovane azienda piemontese nata nel 1993 e che non molto tempo fa ho potuto conoscere su Vinix, il social network enogastronomico per eccellenza. Questo vino, spumantizzato secondo il metodo Martinotti, con una presa di spuma di tre mesi e affinato sui lieviti per almeno sei mesi, è realizzato totalmente con nebbiolo, caratteristica che lo rende estremamente particolare e dotato di tutti i pregi (tanti) e i difetti (pochi) che questa uva si porta con se. E’ uno spumante dotato al naso di suadenti nuance di frutti di bosco e violetta che in bocca mantiene le promesse olfattive corroborato anche da un piacevole tannino che lo rende estremamente piacevole se abbinato a piatti di carne succulenti. Noi all’Incannucciata non avevamo finger food a base di bistecca Fiorentina però il vino è andato giù lo stesso anche se qualche presente ha notato che la sua struttura “nebbiolesca” lo rende forse meno beverino rispetto agli altri due vini presentati.
Finisco questo piccolo resoconto ringraziando Dino De Bellis e tutto lo staff dell’”Antica Osteria l’Incannucciata” per lo splendido servizio offerto, Stefania De Carlo che, oltre ad essere una splendida compagna di vita, è diventata anche una brava sommelier e Giorgia Toti che ha collaborato alla grande nell’organizzazione di questo piccolo evento che spero abbia fatto conoscere al grande pubblico piccole realtà enologiche che vale la pena di promuovere visto il livello di qualità raggiunto dai loro vini. Grazie a tutti!
Verticale storica di Serra Fiorese Garofoli
Il 1988 incanta da subito con il suo colore giallo dorato carico e i suoi profumi intensi di miele, zenzero, pesca e albicocca matura, cedro e accenni di crema. In bocca è ancora vivo, ampio, polposo anche se a tanta struttura non corrisponde forse una persistenza equivalente. Annata che a detta dell’enologo ha sofferto una poco ottimale influenza del legno. Gran bel vecchietto comunque!
Il 1990 è forse un capolavoro di vino, è tutto quello che vorresti da un bianco invecchiato quasi 20 anni: eleganza, complessità, persistenza e struttura in un unico sorso. Macedonia di frutta, agrumi canditi, spezie esotiche e tanta mineralità al naso e una bocca dove grandissimo equilibrio, struttura e persistenza infinita vanno a tessere una unica emozione. Grande!
Il 1992, complice l’annata un po’ minore, è già più evoluto del precedente e si caratterizza per un naso un po’ chiuso dove fa capolino un lieve minerale e qualche sensazione di frutta gialla matura. In bocca perde senza dubbio il confronto con i precedenti in quanto squilibrato tra acidità e alcol che non viaggiano su piani paralleli rendendo, purtroppo, la beva un po’ difficoltosa.
Il 1994 è un vino estremamente godibile, di grande beva oggi anche se mi da l’idea di un nobile decaduto visto che la sua precedente classe ed eleganza la si può solo dedurre dalla degustazione. Un Verdicchio dal quadro olfattivo comunque interessante che ci inebria odori di la frutta esotica matura, zafferano e tocchi di resina, il tutto condito da un lieve minerale. Bocca di media ampiezza e struttura e che stenta ad allungarsi nel finale. Forse bevuto due anni fa era un grandissimo Verdicchio!
Il 1997 è il mio preferito in assoluto, forse anche aiutato dall’annata che a detta di Carlo Garofoli è stata la migliore in tantissimi anni. E’ un monumento al Verdicchio questo Serra Fiorese, dotato di grande freschezza al naso dove vi sono stuzzicanti ed esuberanti accenti di albicocca matura, pesca sciroppata, agrume candito, anice e tanta elegante mineralità. Splendido alla gustativa, esplode in bocca intensissimo e rinfrescato da elegante acidità e sapidità. Persistenza infinita per un vino che stenta a lasciarci e ci accompagna per un viaggio ai confini della realtà!
Il 1999, a detta dell’enologo, è stato un millesimo strano ma di grande godibilità visto che dalle sue precedenti degustazioni di Serra Fiorese erano dotati di una invadente per quanto godibile nota mielosa che, ovviamente, ritroviamo anche nel Verdicchio che degustiamo. Non solo miele però, ma anche frutta gialla matura e spezie dolci per un vino che fa della morbidezza il suo punto forte ma che, fortunatamente, riesce a tirar fuori una nota fresco/sapida che tende riequilibrare il tutto.
Il 2001 è un vino che comincia ad avvicinarsi alla giovinezza, inodora il calice con intriganti note minerali, un po’ boisè, accompagnate da accenni di frutta gialla appena matura e tocchi di ginestra. Palato di grande equilibrio e spessore, molto piacevole ed appagante la persistenza finale.
Il 2002, figlio di un annata piovosa, ha sicuramente meno potenza e struttura dei vini precedenti, anche se questo presunto deficit è bilanciato dalle grandissime note di freschezza del vino che conferiscono grande beva al vino. Finale ammandorlato molto lungo e di buona persistenza. Sicuramente un Serra Fiorese che non avrà un grandissimo futuro ma che, nonostante tutto, fa capire quanto siano bravi in cantina da Garofoli anche in condizioni difficili. Sorprendente.
Il 2003, figlio del sole e del caldo, rispetto alla sua giovane età è già un vino maturo dove frutta matura, fiori gialli passiti e una discreta mineralità formano un quadro olfattivo di tutto rispetto. Bocca di grande potenza anche se manca quella finezza e quell’equilibrio che avevamo trovato negli altri vini precedenti, soprattutto in quei Verdicchio di annate altrettanto calde che, a differenza di questo e nonostante l’età, avevano mantenuto una maggiore freschezza.
Il 2004 è già oggi un grandissimo vino dove il ventaglio olfattivo propone toni intensi di frutta estiva, miele, crema pasticcera, mandorla e un tocco di elegante mineralità. Bocca di grande spessore ed equilibrio, molto diretta con un finale molto lungo da dimenticare. Tenetelo in cantina, sarà uno dei migliori Serra Fiorese degli anni 2000.
Il 2005 come già scritto durante la mia degustazione al Vinitaly è un vino di grande equilibrio ed intensità, dotato di grande femminilità con i suoi profumi aggraziati di pesca, melone, spezie dolci e muschio. Bocca che non ricorderemo per l’esplosività ma per la grande finezza e la cremosità che gratifica il palato.
Il 2006, in anteprima, a detta di Carlo Garofoli è figlio di una grande annata (così come lo sono state la 2007 e la 2008). Olfatti di grande intensità che regala aromi di fiori bianchi, pera, pesca bianca, litchi ed erbe di campo. Assaggio caldo subito mitigato da sapidità e freschezza, questo millesimo, per ora, è stato commercializzato solo in Svezia visto che questo Serra Fiorese da quelle parti ha già vinto un premio. Intenditori!
Energyawine e Tenute Rubino: coppia vincente
E' in arrivo l'albo dei sommelier?
Ma al Vinòforum si fa cultura del vino?
• orde di ragazzini della Roma bene che cercavano uno “sballo” a poco prezzo. Alla fine per venti euro potevi bere quanto volevi senza che nessuno, purtroppo, tenesse conto del grado alcolico che questi ragazzini avevano nel sangue;
• orde di “pappagalli” romani che passavano il tempo a girare per gli stand con il solo obiettivo di tampinare la standista di turno. Bellissima la frase di un tizio che vedendo una promoter di Moët & Chandon ha detto al suo amico:” Aò annamo a rompe le scatole a quella che oltre che bona c’ha pure er bianco frizzante fresco”.
• orde di donne che pensavano che il Vinòforum fosse una sorta di ballo delle debuttanti in versione testaccina: tacchi a spillo, mise da prima dell’opera e tanto profumo che alla fine gli odori dei vini ti sembravano tutti uguali a Chanel n°5 (rigorosamente comprato sulla bancarella del mercato rionale).
A tutto questo poi deve aggiungersi una grave pecca dell’organizzazione riguardo la temperatura dei vini: col caldo che ha fatto a Roma in questi giorni, con minime serali di 24/25°, il mio palato ha "esultato" tantissimo quando degustavo i vini (brodi) rossi. Scaldati ulteriormente dalle luci degli stand, dopo due bicchieri ho capito che se volevo mantenere le gengive intatte ed evitare di bere una sorta di liquido amaro, dovevo per forza buttarmi sui bianchi che, almeno, erano leggermente freddati da quel po’ di ghiaccio che l’organizzazione forniva agli stand. E che fornitura!!! Per tutti i vini e gli stand erano previste solo due macchine del ghiaccio che veniva dato ai sommelier…..ben trenta minuti prima dell’apertura per cui, se arrivavi all’orario di apertura di dovevi “beccare” anche il bianco caldo. Evviva!!
Dite che sono diventato enosborone oppure qualcosa che non va c’è?
Voglia di bollicine,? Abate Nero!
Il carattere originario però è rimasto identico: produzione artigianale, rispettosa dei dettami della spumantistica classica, massima cura di ogni fase, a partire dalla cernita delle uve destinate ai “mosti base”, quelli che consentiranno al vino di rifermentare lentissimamente in bottiglia. E trasformarsi in Abate Nero. La pazienza qui è di casa. Il vino riposa sui lieviti “per la presa di spuma” molto più a lungo del solito. Non stupitevi, dunque, se in etichetta trovate date che risalgono a vendemmie di qualche lustro addietro. Ogni fase è manuale, per un controllo diretto di ogni singola bottiglia. Solo in questo modo l’Abate Nero raggiunge il suo fascino, uno charme che soprattutto il TrentoDoc Brut Riserva Cuvée dell’Abate pare avere incastonato nel suo DNA visto che, tutte le volte che l’ho degustato, mi ha davvero incantato.
Il millesimo 2003 non tradisce le aspettative, già appena si versa nel bicchiere si può subito notare l’eleganza della spuma e la finezza del perlage. Al naso è molto fresco, intenso, si percepiscono note di frutta bianca e un bouquet di fiori di montagna che ci rimanda con la testa alle rigogliose valli trentine dove lo Chardonnay, il Pinot Nero e il Pinot Bianco vengono piantati per dare origine a questa cuvée. Qualche sbuffo minerale esce alla distanza man mano che la temperatura del vino aumenta.
In bocca lo spumante mostra tutta la sua stoffa e la sua eleganza con una bocca di grande spessore, profondità ed eleganza. Ottima la scia finale che ancora una volta richiama i fiori bianchi, specialmente il giglio e la margherita, e una garbata mineralità.
Ma che bello il vino (italiano) di Hong Kong!!
La prima cosa che fa storcere non poco il naso è sicuramente un problema di qualità della materia prima, congelare e decongelare l’uva non è certo il massimo perché, dal mio punto di vista, tale pratica fa perdere molte della sostanze polifenoliche presenti nel chicco d’uva con evidenti ripercussioni negative sulla qualità del vino. Non oso poi pensare alla possibilità che durante il lungo viaggio i grappoli possano decongelarsi….
Ma la “grande” notizia è che Lysanne Tusar, direttore dell’azienda, ha affermato che quest’anno tutte le uve, sia per i bianchi che per i rossi, sono state acquistate in Italia!! Ah però!
Saranno contenti questi anonimi conferitori di uva visto che la 8th Estate Winery produce circa 100.000 bottiglie all’anno di cui 60.000 già prenotare ed il resto lasciate in cantina a maturare.
Che l’uva congelata e decongelata sia la nuova frontiera dell’enologia mondiale?
Chissà, intanto in Italia qualcuno sta festeggiando….