Trilussa e il vino: matrimonio d'amore
Brunello di Montalcino Vigneto Manachiara 2003 - Tenute Silvio Nardi
Dalla sua ferma volontà di valorizzazione dei vigneti aziendali nasce, nel 1995, il Brunello prodotto dalla Vigna di Manachiara, fiore all’occhiello dell’azienda e posta ad est di Montalcino a 375 m slm.
Di un bel color rubino scarico con unghia granato, il vino presenta al naso sensazioni di frutta rossa matura, tabacco, torrefazione, accompagnate da una delicata sensazione floreale che fa da sfondo ad una bella scia balsamica.
Playboy wines: il famoso coniglietto diventa sommelier?
Tempo di merlot in competizione. Tutti contro Petrus e Masseto, ma è vero gloria?
L'altra "guida" sui vini: dopo Gambero Rosso, Espresso ed AIS, arrivano i giudizi di Luca Maroni, il profeta del vino frutto - seconda parte
Sensazioni: il miglior bianco dell'anno si effonde davvero patronimicamente: il suo profumo irradiandosi Soaevemente. Si scioglie in bocca la sua uvosità avvolgente, la sua cremosità suadente, la sua fruttosità, polposamente trionfante. Sciogliersi è lemma dedotto: si sente infatti la sua uvosa dolcezza comporsi in deglutizione con la glicerina di base, neutralizzare la vivida e clorofillosa acidità verdeggiante, impolpare la grande potenza del poderoso alcol. Qui c'è estratto abbondante per avvolgere cremoso non solo il corroborante vettore, qui c'è dolcezza da compiuta maturità di frutto tale da far ergere la morbidezza su qualsiasi altra sensazione fondante. Qui c'è fibra in cui densa ammantare sia l'intensità dell'aroma, concessa dalla pulizia enologica cristallina, sia qualche speziata voce di fondo, non si sa se dovuta al rovere, o ancora alla magnifica e floreale suadenza del tutto. Un vino di grande fragranza sovrana, un campione dal frutto morbidamente e densamente eccellente.
Sensazioni: ha buona spinta alcolica, ma già dal colore denuncia incipiente ossidazione: più che rosso, occhio arancio e giallo spento. Caramelloso e lattoso al naso, spento e vibrante nei toni.
L'altra "guida" sui vini: dopo Gambero Rosso, Espresso ed AIS, arrivano i giudizi di Luca Maroni, il profeta del vino frutto
- la consistenza è l’insieme delle sostanze che costituiscono un vino, il suo estratto secco. Il vino consistente è ricco di colore, di profumo, di sapore, ed ha un tatto denso e viscoso (viceversa quello inconsistente). Da ciò se ne deduce che Maroni vuol diventare il nuovo Parker italiano perchè solo i "vinoni", secondo lui, sono prodotti di qualità, a scapito di qualsiasi eleganza gustativa. Vedremo in seguito che ho ragione...
- un vino è equilibrato quando il suo sapore soddisfa la fondamentale equazione dell’equilibrio gustativo: Eq= Sostanze a Gusto Dolce = Sostanze a Gusto Acido + Sostanze a Gusto Amaro ovvero Eq = SGD = SGAc + SGAm. Ora già a me girano le balle a sintetizzare la qualità di un vino attraverso qualsivoglia formula del cavolo ma, trattenendo i conati di vomito per un attimo, cosa cavolo vuol dire questa equazione? Secondo Maroni un vino è equilibrato quando la dolcezza (e non commento) del suo gusto eguaglia la somma della sua acidità e della sua - eventuale - amarezza (??). La cosa si approfondisce (sfortunatamente). Un vino acido, secondo la teoria, è disequilibrato e vino acido avrà sapore più o meno secco e limoneggiante. Da ciò deduco che, secondo Maroni, i vini posson definirsi acidi solo quando sanno di Lemonsoda..... Saranno contenti tutti i produttori di vini altoatesini o i piccoli produttori di Champagne che hanno nell'acidità dei loro vini (se di acidità a questo punto si può parlare) una delle maggiori caratteristiche qualitative. Ah,dimenticavo, Maroni sempre in termini di acidità stabilisce che tanto minore è il livello di maturità dell’uva impiegata, tanto più il vino avrà sapore acido e amaro. Quindi, un bel bye bye a tutte quei vini che provengono da uve che, pure essendo state raccolte perfettamente mature, sono per loro natura dotate di acidità.
- un vino è integro quando il sapore del frutto costitutivo è avvertito nella sua pulizia e nella sua novità. Il sapore del frutto può essere una novità?? che è uno spot pubblicitario?? Andiamo avanti. Il vino pulito è quel vino che non rivela in degustazione caratteri negativi assenti nel frutto: profumi o sapori sulfurei, acetosi, lattosi, legnosi, ecc.. Quindi ne deduco che a Maroni fanno cagare i vini minerali o troppo "barricati". Siamo sicuri che il legno proprio non gli piace visto che, alla fine, è il suo (mal) utilizzo che rende il vino morbido? Siamo tutti sicuri? E veniamo alla novità del vino che, sempre secondo la teoria, consiste nell’assenza di gusto-aromi ossidati (rancido, caramello, Marsala) non presenti nell’uva al momento del suo distacco dalla pianta. Alla grandissima!!! Ragazzi se avete un Madeira del 1900 o un grande Marsala a casa buttateli nel lavandino, tanto non sono fruttosi e quindi di scarsa qualità. Anzi dateli a me che ci penso io.....mi voglio avvelenare!
E arriviamo al gran finale! La valutazione complessiva della qualità dei vini esaminati si esprime attribuendo un voto in centesimi al vino degustato. Punteggio che equivale all'Indice di Piacevolezza del vino. 100 è però il punteggio non assegnabile: il vino perfetto che non sarà identificato una volta per tutte dal momento che vi è, e vi sarà sempre, la possibilità di produrre e di assaggiare un vino migliore di quello mai prodotto ed assaggiato.
99 è quindi il miglior punteggio assegnabile. Il vino che è l’incarnazione della fruttosità, cioè della piacevolezza. Il voto voto in novantanovesimi si ottiene assegnando un punteggio da 1 a 33 alla consistenza, all’equilibrio, all’integrità, effettuando poi la somma dei tre punteggi parziali assegnati.
IP MAX 99 = CONSISTENZA 33 + EQUILIBRIO 33 + INTEGRITA' 33
Sulla base di questa teoria, di cui ho espresso inevitabilmente qualche parere, secondo voi quale sarà il gota dell'enologia italiana? Al prossimo articolo, da non mancare!
Cà del Bosco - Cuvée Annamaria Clementi Franciacorta DOCG 2001
Tre bicchieri, cinque grappoli? No il Lazio è la patria dello stereotipo
Resoconto del pranzo in onore di Gianni Masciarelli
Pranzo in ricordo di Gianni Masciarelli
Tre Bicchieri 2009 Gambero Rosso - Slow Food
Chateau des Marres Rosè 2007
Durante la visita ho potuto degustare il loro bianco da uve Rolle (il nostro Vermentino), il loro rosso (Rouge Prestige) da uve Granache, Syrah e Cabernet Sauvignon e la loro vasta gamma di rosati che, come tradizione, abbondano in queste zone: Cap Rosè 2007, Rosè 2007, 2S des Marres Rosè 2007 (che rappresenta il loro rosato di punta). Di quest'ultimi, mi ha colpito soprattutto il Rosè 2007, un vino immediato, fresco e beverino che in quelle giornate così afose ci stava benissimo.
Tasting Panel Poggio Argentiera
- Guazza 2007 (Ansonica 80% - Vermentino 20%)
- Alture 2007 (Sauvignon 100%)
- Bellamarsilia - Morellino di Scansano Docg 2007 (Sangiovese 85% - Ciliegiolo 10% - Alicante 5%)
- Capatosta - Morellino di Scansano Doc 2006 (Sangiovese 95%, Alicante 5% )
- Finisterre - I.G.T. Maremma Toscana Rosso (Alicante e Syrah in parti uguali. In qualche caso puo' essere presente una quota di Cabernet Franc)
- Maremmante - I.G.T. Maremma Toscana Rosso (Alicante e Syrah in parti uguali)
Secondo e ultimo bianco di Poggio Argentiera degustato. "Alture" 2007, 100% Sauvignon Blanc, è stato il vino forse più discusso della batteria perchè, rispetto alla mia ragazza che lo ha amato fin da subito, a me non è piaciuto così tanto trovandolo troppo "piacione".
Di un giallo paglierino scarico, all'olfatto è caratterizzato da note di frutta tropicale (mango, papaya, frutto della passione), agrumi e leggere sensazioni di erbe aromatiche. In bocca, e per me è questo che lo penalizza, risulta opulento, grasso, con quelle note di frutta tropicale che dopo qualche sorsata risultano stucchevoli. Vino di poca eleganza e con tanta "ciccia" (anche alcolica) che farà storcere il naso a chi beve sauvignon della Loira ma che avrà sicuramente la sua bella fetta di pubblico.
Bellamarsilia 2007 è il Morellino base dell'azienda, un vino che non mi ha convinto molto (così come il suo fratello maggiore Capatosta) in quanto all'olfatto aveva una nota alcolica fastidiosa che copriva quasi del tutto le note tipiche di un morellino così giovane caratterizzate da un bel frutto rosso croccante. In bocca torna la non certo elegante sensazione calorica dell'alcol che rende il vino non certo equilibrato. Forse una bottiglia sfortunata ma se fossi un consumatore medio certo farei fatica a ricomprarlo.
Capatosta, fratellone maggiore del Bellamarsilia ha un naso molto più convincente in quanto dotato di maggiore complessità e privo di "vizi" alcolici. A note di spezie dolci (vaniglia),si susseguono sensazioni di amarena, ciliegia nera, chiodi di garofano,liquirizia dolce e tabacco. Peccato per quella nota di legno non ancora integrata che penalizza un pò l'esame olfattivo. In bocca il vino è morbido, caldo, rotondo. Torna il legno. Media persistenza per un vino comunque abbastanza piacevole e che darà soddisfazione se tenuto ancora ad affinare in cantina.
Finisterre, insieme al Maremmante rappresenta il rosso aziendale da me preferito. Di un colore rubino carico, impenetrabile, il vino esprime all'olfattiva tutto il carattere dell'uvaggio utilizzato. Note intense di confettura di frutti neri, pepe nero, cioccolato fondente,liquirizia e vaniglia. Al gusto si presenta pieno, morbido, strutturato, con un tannino ben presente e controbilanciato da una importante componente alcolica. Bella la persistenza finale. Un vino che per via del legno ancora presente e per il tannino ancora troppo aggressivo andrebbe lasciato affinare ancora per qualche anno.
Maremmante, altro "vinone" di Poggio Argentiera rappresenta un prodotto tutta polpa e concentrazione già a partire dal suo colore rubino impenetrabile. Naso potente dove giocano note di frutta nera, vnniglia, pepe, cioccolato, china. La bocca conferma l'olfatto con un attacco dolce di frutta nera matura e cioccolato. Tannino da smussare sorretto, così come abbiam visto per il Finisterre, da un'importante alcolicità. Vino gradevole, molto "american style", che va aspettato qualche anno per poter dare il meglio di se in eleganza.
Principe Pallavicini e il suo Amarasco 2005
Le origini della famiglia Pallavicini si perdono nella notte dei tempi visto che è presente nel Lazio fin dalla seconda metà del 1600.
Attualmente l’azienda ha circa 78 Ha di vigneti, nella Tenuta di Colonna e in quella di Cerveteri, coltivati a Trebbiano Toscano, Malvasia del Lazio, Malvasia di Candia, Chardonnay, Sauvignon, Greco, Grechetto, Bovino e altri per i vini bianchi, mentre per i rossi le uve coltivate sono Sangiovese, Cesanese, Merlot, Cabernet-Sauvignon, Montepulciano, Ciliegiolo, Petit Verdot.
La Tenuta di Colonna, che è quella che poi ho visitato durante la manifestazione “Benvenuta Vendemmia”, si estende per circa 64 ettari di vigneto è posta prevalentemente in posizione collinare, su terreni calcarei argillosi, ben drenati, collocati ad altezze varianti dai 100 ai 300 metri con orientamento est-ovest.L'azienda di Colonna si compone di tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Mentre nel seicentesco edificio di Colonna sono localizzate la cantina, gli uffici, i magazzini e il ristorante aziendale, è nella vicina "Pasolina", zona vulcanica con microclima caratterizzato da forti escursioni termiche, che la famiglia Pallavicini trova la culla ideale per le uve a bacca rossa per la produzione di grandi vini rossi da invecchiamento.
Nei vigneti di Marmorelle, dove i terreni sono di natura calcareo-argillosa, sono presenti, sia i vitigni a bacca bianca sia i primi vigneti rossi di Sangiovese e Cesanese, impiantati nel 1970 dalla famiglia; a questi si affianca il primo vigneto di Cabernet Sauvignon impiantato agli inizi degli anni '90. La forma d'allevamento, in tutti i corpi aziendali, varia dal tradizionale cazenave ai moderni e razionali cordone speronato e guyot, con una densità d'impianto che varia dai 3.000/4.000 ceppi per ettaro per i vini bianchi ai 5.000/7.000 ceppi per ettaro per i vini rossi.
Durante la manifestazione si è potuto degustare tutta la gamma dei vini aziendali e il mio interesse, oltre al sempre ottimi Stillato (buonissima la versione 2006) è caduto sull’Amarasco, vino ottenuto da uve Cesanese vinificate dopo un appassimento al sole per circa un mese, provenienti da un unico vigneto di circa 40 anni, posto a 250 metri di altezza in località “Marmorelle”.
Finale molto lungo con ritorni ritorni di frutta nera matura, cioccolata e liquirizia dolce.
Visita al Domaine Lafran-Veyrolles
Il Domaine Lafran-Veyrolles si estende per 10 ettari piantati prevalentemente a Mourvèdre mentre Granache, Cinsault, Clairette, Ugnis Blanc e Carignan rappresentano piccole parcelle di circa un ettaro ciascuna.
L’azienda, che produce essenzialmente vini rossi e rosè, persegue una filosofia di produzione estremamente tradizionale e caratterizzata dall’uso di concimi naturali (è ammesso solo zolfo e rame), potature verdi e vendemmia rigorosamente manuale.
In cantina, il mio palato si è soffermato esclusivamente sui loro vini rossi, due perle chiamate Cuvée Tradition e Cuvée Spéciale.
La prima, frutto di un assemblaggio di Mourvèdre (70-80%), Granache, Cinsault e Carignan da vecchie viti, prevede una fermentazione a temperatura controllata (25°-31°) per 25 giorni, una maturazione in botti di rovere per 18-24 mesi e un imbottigliamento senza filtrazione.
La Cuvée Tradition 2005 si presenta di un colore rubino molto intenso, al naso le sensazioni di frutti neri di bosco lasciano pian piano spazio a sentori di cioccolato fondente, liquirizia e spezie scure. Bella bocca, intensa, piena, tutta polpa, con un tannino abbastanza setoso anche se tutt’altro che domato. Finale decisamente lungo con con piena rispondenza gusto/olfattiva.
La Cuvée Spéciale, 95% Mourvèdre e 5% Granache, prevede una vinificazione e un affinamento simile alla Cuvée Tradition con la sola differenza che il passaggio in legno dura qualche mese di più al fine di permettere all’uva Mourvèdre di attenuare le sue asperità.
L’annata 2005 porta in dote un vino estremamente complesso dove i sentori di mirtillo, prugna e ribes nero si accompagnano a nitide note di alloro, eucalipto, cuoio, tabacco e china (non ho trovato in questo vino le tipiche note animali delAl palato è ricco, ampio, di grande struttura e persistenza aromatica. Tannino ancora da amalgamare ma che promette, tra una decina di anni, di dare un godimento assoluto a chi sarà capace di aspettare. Persistenza infinita per un vino che, pagato circa 20 euro, comprerei a bancali.
Sagrantino di Montefalco a 5 stelle!!
Sarà un Sagrantino da collezione, da annoverare tra i migliori degli ultimi anni: gli esperti enologi della Commissione di Qualità, presieduta da Corrado Dal Piaz, dopo aver testato ben 36 campioni hanno assegnato all'eccellente vendemmia 2005 del vino di Montefalco il massimo del punteggio, "cinque stelle" su cinque. Il rating è stato fissato dal Consorzio del Sagrantino dopo attente valutazioni (chimico-fisiche ed organolettiche) e considerazioni relative all'andamento climatico dell'annata.
“L'annata 2005 ha avuto un andamento climatico distinto in due fasi ben precise: la prima, da maggio alla fine di luglio è stato caratterizzata da temperature piuttosto elevate e precipitazioni ridotte rispetto alla media stagionale- spiega Lorenzo Landi, enologo della Az. Còlpetrone che ha ospitato la seduta di valutazione e che presenterà l’annata in occasione della tavola rotonda del 19 p.v. -. Nella seconda fase la maturazione è proseguita regolarmente senza eccessivi stress idrici, mentre le temperature piuttosto basse hanno favorite una buona espressione aromatica. La lieve diluzione dovuta alla relativa abbondanza di pioggia non ha sostanzialmente intaccato la elevata concentrazione delle uve dovute allo stress precedente all'invaiatura per cui la potenza finale dei vini è ragguardevole”.
Quella del 2005 è stata una splendida vendemmia - illustra Lodovico Mattoni, presidente del Consorzio – ma le considerazioni migliori riguardano la crescita qualitativa generale dovuta al progresso dell’area e delle strutture. L’impegno è costante ed assoluto: stiamo lavorando per connettere il nostro magnifico vino alle reti lunghe delle economie di mercato internazionali".
E' morto Didier Dagueneau
Visita a Chateau de Pibarnon - seconda parte
Proseguiamo la degustazione con lo Chateau de Pibarnon rosso 2005, da un 90% di Mourvèdre e il restante Grenache. Tutti i rossi provenienti da questo Domaine si contraddistinguono per le lunghe macerazioni (20 giorni minimo) in piccole vasche d’acciaio, un affinamento di almeno 19 mesi in botti di rovere e la totale assenza di chiarificazione e filtrazione. Il vino in questione, figlio di una bella annata nel sud della Francia, si presenta al colore di un rosso rubino quasi impenetrabile. Al naso presenta un bouquet di sentori primari dove si sviluppano aromi di frutti di bosco, cacao, spezie dolci, eucalipto, chiodi di garofano. Alla gustativa il vino è rotondo, pieno, armonico, dalla trama tannica vellutata (caratteristica dell’annata) e dal finale lungo e persistente. Ottimo con carne di cervo.
Lo Chateau de Pibarnon rosso 2004, anch’esso di un bel colore rubino molto profondo, si presenta al naso con una bellissima note fruttata di ribes nero marasca, prugna, speziato con note di tabacco, grafite e cacao amaro. In bocca è caldo, grasso e ben strutturato con tannini molto fini ed eleganti. Bello il finale dove ritroviamo una buona corrispondenza al naso. Grande abbinamento col petto d’anatra.
Il rosso 2003, figlio legittimo di una annata calda, così come è stato in tutta Europa, presenta all’olfatto aromi di prugna matura, lampone, cuoio, sottobosco, tabacco e liquirizia. L'entrata in bocca evidenzia un bel calore, si mostra vellutato, strutturato, con una bella vena acida a bilanciare i tannini ancora vivi e vibranti. Lungo il finale con ottimi ritorni di frutta rossa. Da abbinare allo stinco di agnello con cous cous.
Terminiamo la degustazione con un grandissimo rosso 1998 che Henri ci prende direttamente dalla cantina personale. Di un bel rosso rubino con unghia granato, il vino presenta un naso potente e complesso, con sentori iniziali di note animali, ematiche, seguite poi da note di frutta rossa macerata, cuoio, liquirizia, grafite, tabacco, sottobosco e noce moscata. Bello l’impatto gustativo con tannini di una grandissima eleganza e nel pieno della loro maturazione organolettica. Acidità ancora viva e buona persistenza per un vino che potrà giustamente evolvere in cantina per altri 10 anni. Da abbinare con un bel pasticcio di selvaggina in crosta.
Visita a Chateau de Pibarnon - prima parte
L’Azienda, che raggiungiamo presso la sommità della collina del Telegrafo (chiamata così perchè qui si trova un vecchio telegrafo ottico che collegava Tolone a Parigi), si trova in posizione dominante sull’intera regione del Bandol e si estende attualmente per circa 45 ettari.
Caratterizzati dall’elevata altitudine, la maggiore di tutta l’Appellation Bandol, i vigneti aziendali sono stati impiantati a partire dal 1977, anno in cui il conte Henri de St-Victor ha acquisito la lussuosa residenza ora sede dell’azienda. Le viti, che prima erano in condizioni pietose, sono da allora aumentate sia in qualità che in quantità e sono state collocate, con esposizione sud-est, andando a formare piccoli terrazzamenti all’interno di quello che possiamo definire un vero anfiteatro vitivinicolo dove le uve, al riparo dal Mistral e grazie all’ottimale microclima della zona, acquisteranno finezza di aromi e complessità in virtù della loro lenta maturazione.
Il vero segreto di Chateau de Pibarnon e dei suoi splendidi vini, oltre al climat presente, sta nel terroir. I vigneti, infatti, sono piantati su terreni ciottolosi di origine triassica, vecchi di oltre 150 milioni di anni, caratterizzati da un’elevata percentuale di calcare che fornisce al vino una grande estrazione e concentrazione di tannini fini ed eleganti ed un bouquet di aromi complessi e di grande carattere. La presenza, inoltre, nel sottosuolo di marne blu del Santoniano, le stesse di cui possono godere ”Yquem” e “Petrus”, conferisce a questo terroir in particolare, e a Chateau de Pibarnon in generale, una caratteristica di unicità in tutto il territorio del Bandol.
Chateau de Pibarnon produce vini di ottima qualità, partendo dal bianco a base di Clairette, Bourboulenc, Rousanne, Viognier e Marsanne, per passare al rosè a base Mourvèdre e Cinsault, fino ad arrivare all’ottimo ed inimitabile rosso a base Mourvèdre con piccole quantità (circa il 5%) di Granache.
Visita al Domaine Tempier - Seconda Parte
Tempier Bandol Cuvée Classique 2006: vino estremamente equilibrato nonostante la giovane età. Al naso spiccano sentori fruttati di mirtillo, lampone, mora, melograno e una lieve nota erbacea. Al palato risulto ancora un pò rustico con un tannino ancora da smussare ma comunque equilibrato e gradevole. Manca un pò di lunghezza nel finale ma le potenzialità per un grande invecchiamento ci sono tutte.
Visita al Domaine Tempier - prima parte
Il Domaine Tempier, grazie al grande lavoro di Lucien e sua moglie, ha acquisito negli anni '50 due cru di grande importanza qualitativa: la vigna Tourtine e la vigna Migoua. La seconda, localizzata a Beausset-Vieux, si estende per circa 6 ettari e mezzo ed è piantata principalmente a Mourvèdre, sebbene ci siano anche impianti di Cinsalut e Grenache. Il cru Tourtine, invece, localizzato a Le Castellet, è una vigna di 7 ettari piantata in proporzioni simili alla precedente. Dalla questa vigna il Domaine produce due splendide cuvée: La Tourtine, appunto, composta da un 50% di Mourvèdre e il restante formato da Granache, Cinsault e Carignan, e Le Cabassaou (95% di Mourvèdre). Quest'ultima cuvée, che si traduce in scarpata, è prodotta da un solo ettaro di vigneto a Mourvèdre è posto nella parte bassa e ripida del vigneto. L'altra cuvée da singolo cru è la Migoua, formata da un 50 percento di Mourvèdre, 40 percento di Cinsault e una piccola percentuale di Grenache e Carignan. La cuvée classique, invece, è il frutto dell'assemblaggio di diverse uve proveniente da diversi parcelle del Domaine.