Alberto Mattiacci: il sangiovese di Montalcino dal punto di vista aziendale.


Roma, 29 aprile 2011

Il prof. Alberto Mattiacci è professore ordinario alla Sapienza di Roma, dove dirige anche un Centro Ricerca sul Territorio, Turismo e Ambiente. E’ noto nel mondo del vino anche per essere uno dei consulenti del Consorzio del Brunello di Montalcino e il curatore del libro “Io e Brunello”, biografia imprenditoriale ed enologica di Ezio Rivella, presidente del Consorzio stesso.

Ho intervistato Mattiacci perché curioso di capire come l’asettico mondo universitario e aziendale possa inserirsi nelle questioni del sangiovese di Montalcino. L’intervista, penso, proporrà molti spunti di riflessione.

D: Come è iniziato il suo rapporto professionale con Montalcino?

R: Nel 2006, quando il Consorzio del Brunello ha incaricato un piccolo gruppo di ricercatori dell’Università di Siena, dove all’epoca lavoravo, ad effettuare un’analisi ad ampio spettro sul mercato relativo ai vini di Montalcino. E’ stato uno studio molto importante, credo, perché si è andato a tastare il polso della situazione, sia a livello internazionale sia in giro per l’Italia, anche sentendo le opinioni di tutti gli attori della filiera (produttori, distributori, consumatori) al proposito di queste importanti produzioni.

D: Perché era stato fatto questo studio?

R: Perché a Montalcino c’era e c’è un gruppo di produttori “illuminati e lungimiranti” che già allora avevano capito che, dopo aver beneficiato (più o meno passivamente) del trend positivo iniziato negli anni 90, quando il vino si vendeva quasi da sè, qualcosa stava cambiando. Lo studio diede loro ragione e pose in risalto la necessità delle aziende di adeguarsi proattivamente al cambiamento del mercato che iniziava a prospettarsi secondo me con decisione.

D: Sembra che negli ultimi mesi lo studio abbia ripreso vigore…

R: Sì, poco tempo fa ci siamo incontrati di nuovo per vedere un po’ di iniziare una fase due e riprendere il ragionamento allora interrotto, anche alla luce dello scandalo “Brunellopoli” e di questa crisi economica profonda che, mi rendo conto, può risultare difficile interpretare correttamente.

D: Come ha interpretato lo scandalo di “Brunellopoli”?

R: Personalmente mi sono indignato e sentito ferito, sia come italiano che come persona che conosce e vuole bene a Montalcino, per come lo scandalo è venuto fuori e per come i media se ne sono occupati. E’ stato un “infortunio” che secondo me in Francia non si sarebbe mai verificato. Premesso che le leggi vanno rispettate, e il disciplinare è certo una legge, un paese come l’Italia, che ha nel vino di qualità la prima voce nella bilancia dei pagamenti internazionali, migliaia di famiglie che vi lavorano, e che ha la fortuna di avere alcuni brand  internazionali come il Brunello o l’Amarone, avrebbe dovuto agire diversamente e non sulle prime pagine di una rivista. Soprattutto non si doveva far uscire questa notizia durante il “Vinitaly”, momento di massima esposizione mediatica del vino italiano. Chi ha fatto questo porta su sé, a mio avviso, un marchio negativo. La Francia avrebbe avuto più rispetto per se stessa, rispetto che in Italia non abbiamo, visto che non si guarda in faccia a nessuno, arrivando all’autolesionismo puro.
Comunque dalla ricerche che stiamo conducendo si evince con assoluta chiarezza che Brunellopoli non ha lasciato segno alcuno sull’immagine e considerazione di Montalcino.

D: Com’è oggi l’azienda Montalcino?

R: E’ molto disomogenea, difficile parlarne come di un “unicum”. Montalcino vive sé stessa a strati e gruppi: a seconda dei punti di vista ci sono i “contadini vignaioli”, i puristi, i tradizionalisti “buoni” e i modernisti “cattivi”, i nuovi arrivati (anche importanti) e i “ci-sono-sempre-stato”, poi ci sono le “grandi” aziende e via dicendo. Io vedo anche, e ciò mi fa essere ottimista, l’esistenza di un manipolo di aziende “modello” guidate da imprenditori intelligenti e intellettualmente onesti, che hanno capito che produrre un vino di qualità non basta più, perchè occorre anche comunicarlo e fare marketing di relazione coi clienti.
Di contro, ciò che mi preoccupa di più è l’esistenza di produttori che non percepiscono o non vogliono percepire il pericolo imminente su Montalcino.

D: Un pericolo in termini di vendite?

R: Le vendite sono il meno. Guardi, fin dal 2006 ho usato l’espressione qui si rischia di lasciar “rompere il giocattolo”. Montalcino è sempre stato un bel giocattolo finchè il mercato, certe azioni intelligenti di alcuni produttori e la forza della moda lo hanno permesso.
Oggi questo giocattolo si sta rompendo e pure velocemente: lo dice la curva dei volumi prodotti e venduti di Brunello, che cresce, e la curva dei prezzi che contemporaneamente diminuisce. Qualunque, e sottolineo qualunque, amministratore delegato di azienda vedendo questi dati licenzierebbe il suo direttore commerciale e il suo direttore di marketing e, nel contempo, si farebbe guidare da una società di consulenza per rimettere in piedi il portafoglio prodotto e per creare una strategia di mercato nuova.
Vede, oggi Montalcino soffre terribilmente della progressiva perdita del controllo sull’offerta. In questo territorio vengono vendute 10-12 milioni di bottiglie da circa 250 operatori, molti dei quali sono in mano alla distribuzione che ha sempre più il coltello dalla parte del manico. Quando ciò avviene è un guaio perché i prezzi finisce per deciderli lei, la distribuzione, e di conseguenza i produttori finiscono per esser presi al collo e, a cascata, la qualità del prodotto tende a cedere (perché non è più sostenibile). E quando la distribuzione poi diventa la grande distribuzione, allora i guai sono ancora più seri, perché quei signori sanno come si fanno certe cose, mentre i piccoli produttori, temo, no. Non è un gioco ad armi pari, insomma, e chi ci rimetterà non sono certo i commercianti.

D: Quindi esiste anche un problema di qualità?


R: Certo che esiste, non lo dico mica io, che sono un mediocre degustatore! Tuttavia mi si dice che è molto limitato e marginale. Il punto vero è che di vino buono in giro ce n’è tantissimo e anche a molto più buon mercato del Brunello. Questo lo sanno anche i “cittini” montalcinesi, ma non capisco perché ci si ostini a far finta che al Brunello di Montalcino basti la qualità per vendere a prezzi alti … sarebbe l’unico caso al mondo, considerando non solo il vino ma ogni tipo di prodotto!

D: Come si risolve il problema?

R: Semplicemente riprendendo in mano l’offerta attraverso una grossa coesione tra i produttori che hanno tutte le armi per risolvere la questione. Ci vuole del coraggio. In agricoltura, me lo insegnano loro, c’è il tempo della semina, quello della raccolta e quello in cui il terreno riposa. Oggi e per i prossimi tre anni, secondo me, non è tempo di raccolta.

D: Il paventato cambio di disciplinare del rosso di Montalcino rientra tra le misure da prendere per migliorare la situazione?

R: La struttura produttiva di un’azienda sana e normale dovrebbe avere una forma piramidale dove alla punta c’è il prodotto di maggiore prestigio, prodotto in poche unità, e alla base il prodotto “più popolare” realizzato su larga scala.
A Montalcino è esattamente il contrario: c’è molto più Brunello che Rosso e il primo si trova alla base della piramide.
La mia opinione è che si deve ricreare la piramide, aumentando contemporaneamente la tensione sulla qualità. Se queste due cose andranno assieme, nell’arco di tre anni, si potranno risolvere tanti problemi.

D: Ricreare la piramide significa produrre molto Rosso e poco Brunello?

R: Esatto! E questo lo fai, è  una mia opinione e magari i tecnici inventaranno altre vie, sia declassando in parte il vino atto a diventare Brunello, generando volume per questo vino, sia utilizzando altri vitigni per produrre il Rosso.
Sono convinto, e la ricerca che sto facendo lo dimostra nettamente, che il dibattito sul disciplinare del Rosso sia un puro non senso perché il suo consumatore che è medio non ha nessuna cognizione di cosa sia. Discorso diverso è per il Brunello, dove invece, secondo me, il disciplinare è una cosa importantissima.

D: Al consumatore non importa come è fatto il vino?

R: Secondo lei la gente sa come è fatto il Chianti? O il Bordeaux? Ma lei pensa che la gente, non l’appassionato, ma il “bevitore della domenica” sa che nel Brunello c’è Sangiovese al 100%? Ma ripeto, per il Brunello il discorso è diverso: là il disciplinare è importante.
Sono in disaccordo con quegli esperti che sostengono che il consumatore deve, e vuole, sapere tutto sul disciplinare di produzione. Non concordo con le esagerazioni “mistiche” e le guerre di religione su questo regolamento di manifattura. Credo che un po’ di razionalità e meno emotività e partito preso, gioverebbero al confronto. Per meglio comprendere il mio pensiero le faccio un esempio: quando una persona acquista una Mercedes sa che quell’auto è affidabile anche se non sa quali sono tutti i passaggi di produzione che la rendono di qualità superiore.
In merito a Montalcino dovrebbe essere la stessa cosa! Acquistando un vino di questo territorio sai che stai scegliendo qualcosa che appartiene ad una categoria superiore di prodotto e sai che esiste una tradizione che ti dà garanzia e qualità.
Poi, detto questo, sono convinto che fare una modifica del disciplinare del Brunello sarebbe deleterio, però per il Rosso fissarsi sul vitigno mi sembra soltanto, lo dico con rispetto ma in fermo disaccordo con chi la pensa così, una battaglia di religione. Questa tipologia lavora su un mercato per il quale il disciplinare semplicemente, sottolineo, non esiste, è tutta una battaglia intellettuale, di contrapposizione tra diverse filosofie di produzione. Battaglie ideologiche, molto “toscane” (qui magari sta anche il loro fascino) alla stregua di quelle tra Guelfi e Ghibellini…

D: Lei pensa che ci sarà una svolta in questo senso?

R: Non ho elementi sufficienti per dirlo. Posso solo augurarmi che vi sia.

D: Perché la scelta è stata rinviata?

R: Il rinvio è stato saggio! Il dibattito è diventato subito un caso mediatico e in corrispondenza di “Benvenuto Brunello” era meglio evitare per non farsi del male. Ma vede che stavano per rifare il bis di Verona? Occorre che le scelte delicate, e il dibattito sano e vivacemente contrapposto che le sottende, siano tenute lontane dai momenti in cui i riflettori dei media sono accesi. È saggezza, non omertà. Il dibattito e il confronto, anche aspro, ci stanno sempre, ma devono svolgersi a porte chiuse, “sennò entra aria e le idee finiscono per sapere di tappo”

D: Cosa accadrà se non si prenderanno in considerazione queste proposte?

R: Personalmente ho le idee piuttosto chiare in merito e non sono ottimista a fronte di uno scenario che non vede Montalcino prendere con decisione in mano il proprio destino. A pagarne le conseguenze, del non fare nulla oggi, saranno prima o poi l’occupazione, le aziende e il territorio. Tanti imprenditori “vivacchieranno”, tanti andranno a gambe all’aria, tantissimi conferiranno le uve magari proprio a quelle aziende che oggi osteggiano, i terreni perderanno  valore (guardi che è già avvenuto rispetto a cinque-dieci anni fa) e con loro il valore patrimoniale delle aziende. Resteranno in piedi solo quelle aziende che attualmente hanno un brand mondiale, ma probabilmente a prezzo di una progressiva de-montalcinizzazione.
In sostanza, non credo che l’azienda Montalcino possa fallire, ma mentre oggi Montalcino è ancora un unicum, se non si fa nulla, un domani non vicinissimo ma nemmeno lontano, diverrà uno dei tanti posti del mondo dove si fa del vino buono. Non è proprio la migliore eredità da lasciare ai “citti” di Montalcino.

D: Quando ci sarà la prossima assemblea?

R: Mi sembra sia prevista fra fine maggio e giugno, ma non sono certissimo. Speriamo bene….

La Nouvelle Vague del Lambrusco: i vincitori


Ce l'abbiamo fatta, con notevole ritardo (non dipeso da noi) e tante scuse da parte mia e di Daniela, possiamo oggi proclamare il vincitore del concorso.


Tante le ricette che avete mandato, basta cliccare qua e vi renderete conto del successo che questo concorso ha avuto. Difficile, pertanto, scegliere la ricetta ideale che, premetto, è stata valutata sia per la sua presentazione, sia per la sua bontà, sia per come la ritenevamo abbinabile all'Albone, il lambrusco del Podere il Saliceto che, lo ripeto, rappresenta una delle migliori espressioni di questo vitigno oggi in Italia. Un "lambro" di grande bevibilità senza eccessi e voli pindarici.

Ebbene, dopo alcune discussioni tra i giudici, possiamo dire che il concorso non ha uno ma bensì due vincitori.
Mirco Mariotti e Piero Careddu!

ll primo a Casa Fuschini ha preparato dei pierogi transpadani davvero unici andando a fondere la cucina emiliana con quella polacca. E la videoricetta è stata magnifica!


Careddu invece ci ha conquistato il cuore con una ricetta atipica dove mare e lambrusco si fondono in tutta la loro mediterraneità e calore. Davvero un abbinamento unico e inconsueto!


A loro i nostri complimenti e le bottiglie de L'Argine di  Podere il Saliceto.


GRAZIE!

Da Gelardini e Romani tra Bordeaux e grandi Brunello!


Ogni volta che varco la porta della Gelardini e Romani, prima della loro asta, è come se diventassi Lucignolo nel Paese dei Balocchi. Le foto qua sotto riescono a dare un’idea?



Casse di legno e bottiglie dei migliori vini del mondo.

Per noi poveri squattrinati l’unico momento clou della giornata riguarda la degustazione che la precede dove, con molta generosità, vengono offerti al bicchiere parte dei vini che successivamente si litigheranno all’asta. L’ultima volta si è bevuto con più o meno soddisfazione: 

Fontodi Flaccianello della Pieve IGT 2001: celebrato più volte da Wine Spectator, a me non ha convinto moltissimo visto che mi sono trovato di fronte ad un vino abbastanza evoluto giocato su sensazioni di fiori rossi secchi e arancia amara. Bocca un po’ cortina e scissa tra acidità e quel che rimane del tannino. Bottiglia non in forma? 

Chateau de Pez 2004: profilo olfattivo vegetale a cui si alternano tocchi di frutta rossa ed eucalipto. Bocca giovane ma abbastanza equilibrata con tannino fine e finale di discreta persistenza. Non lascia particolari ricordi al mio palato. Un Bordeaux che vale quanto costa: 40 euro in enoteca. In Italia si beve meglio. 

Chateau Grand-Puy-Lacoste 2002: mi ha ricordato il primo Maggio quando mio zio accende il barbecue in terrazzo e fa i peperoni arrosto. Solo quelli. Bocca vegetale, certamente equilibrata ma a Bordeaux ho bevuto meglio. 

Château Rauzan-Ségla 1990: naso di fiori secchi, terra, humus, cenni mentolati. Bocca magra, corta, in decisa caduta libera la struttura. Comincio a capire che per bere grandi Bordeaux devo spendere il mio stipendio.

Château Rauzan-Ségla 1982: per me tappo completo, per Gelardini il vino deve essere così. Ah beh, allora è morto e sepolto e puzza pure…

Brunello di Montalcino Biondi Santi 1997: ti aspetti un giovincello paffutello e invece davanti hai un signorotto di Montalcino con tanto di gobbetta sulle spalle. Naso di toffee alla liquirizia, caramello, fungo porcino, radici, sensazioni ematiche, cassis. Bocca decisamente più dinamica e viva da quarantenne post viagra. Le cose sono due: o il vino conferma che l’annata ’97 è decisamente sopravvalutata oppure stavolta le bottiglie della Gelardini e Romani non sono in forma. Tanta palestra!

Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva 1961: finalmente è lui, un grande Brunello Biondi Santi. Certo, il naso è crepuscolare, però il tramonto che vedo è di quelli indimenticabili, da cartolina. Bocca non ai livelli della Riserva 1955 però, ragazzi, che classe questa struttura ancora ben salda dove l’acidità è più che sferzante. Un sangiovese che ha perso molto del suo colore ma che mantiene un’anima e una spina dorsale da applausi a scena aperta.

Prossimo appuntamento? Sabato prossimo c'è l'asta primaverile presso l'Os Club con annesso Riesling Festival che prevederà la presenza di 5 produttori della Mosella: AJ Adam, Karthauserhof, JJ Christoffel, Dr.Heidemanns-Bergweiler, Lothar Kettern.

OS Club by night

Anteprima Vini della Costa Toscana 2011


L’Anteprima dei Vini della Costa Toscana tenutasi a Lucca lo scorso week end è stata l’ennesima riprova dell’importanza di queste manifestazione per capire presente e, soprattutto, futuro di un dato territorio.
Dalle Alpi Apuane alla Maremma, l’”altra Toscana” mi ha mostrato zone e sottozone vitivinicole dove si fa largo, larghissimo uso di vitigni internazionali che, nella maggior parte dei casi, danno vita a vino scuri, concentrati, i quali, tranne rare eccezioni e per quanto ho potuto notare, danno vita ad uno stile spesso omogeneo e “piacione” dove molto spazio è dato alla cantina e poco, forse, al territorio. 
Pochi i produttori che rischiano davvero e molti quelli che fanno vini tecnicamente perfetti, sicuramente piacevoli ma poco emozionanti. A Lucca,  insomma, ho trovato tante Pamela Anderson e poche bellezze dalla porta accanto.


Detto ciò, questa è stata la mia batteria di assaggi:

Poggio Argentiera – Capatosta 2009: qualche anno fa Gianpaolo Paglia faceva vini che non rientravano troppo tra le mie corde. Oggi, invece, le cose sono cambiate e il Capatosta, almeno in questa annata, è diventato un grande vino. Al naso sa di lampone, gelso, viola, tabacco ma, soprattutto, è in bocca che mi fulmina con un equilibrio veramente notevole dove tutto è ben dosato e misurato. Bella la persistenza finale. Forse il vino della giornata.

Sassotondo – San Lorenzo 2007: un ciliegiolo maremmano che offre intriganti note di  frutta rossa matura e soffi di macchia mediterranea. Bocca giovane, graffiante ancora nel tannino ma dotata di buona freschezza. Ottima la PAI.

Le Calle – Poggio D’Oro 2008: piccola azienda Bio della zona del Montecucco. Naso inizialmente selvatico poi col tempo esce il cuoio, la frutta nera, il catrame e una nota non piacevole di smalto. Bocca intensa, giovane, poco dinamica. Forse al sorso è più banale rispetto all’olfatto.

Fabbrica di San Martino - Fabbrica di San Martino 2008: piccola azienda biodinamica. Vino estremamente interessante che al naso offre sensazioni di frutta croccante, fragoline di bosco, cacao, caffè, tabacco dolce da pipa. Bocca di grande equilibrio, integra, fresca, verticale. Forse manca un po’ di persistenza.

Tenuta di Valgiano - Tenuta di Valgiano 2008: azienda biodianamica. Rubino impenetrabile per  un vino denso, dal sapore di frutta nera inzuppata all’interno di un liquido da sa di inchiostro, catrame e scura mineralità. Vino che può avere un suo perché ma da un biodinamico mi aspettavo altro..


Podere Concori – Melograno 2009: azienda biodinamica. Sulle colline lucchesi Gabriele Da Prato, oste contadino, ci offre un blend di Syrah e altri vitigni autoctoni che intriga i sensi con note di melograno (ebbene sì), ribes, lampone, pepe, fiori rossi ed erbe aromatiche. Elegante al sorso. Bella bevibilità.

Duemani – Duemani 2007: azienda biodinamica. Un cabernet franc in purezza che è un inno a Luca Maroni e alla internazionalità più spinta. Non mi trova sorpreso il fatto che sia stata selezionata per Divino Tuscany 2011. La domanda è: perché?

Michele Satta – Piastraia 2007: naso tignoso dove a fatica si fanno largo la prugna, il mirtillo, la felce e le spezie dolci. In bocca è meglio, più aperto verso i sensi che godono di una giusta freschezza e di una progressione su note fruttate e vegetali. Un vino giovanissimo che col tempo crescerà sicuramente.

Grattamacco – Grattamacco Rosso 2007: l’annata 2007 a Bolgheri ha offerto in generali vini già espressi che giocano le loro carta sull’eleganza. Il Grattamacco Rosso 2007 conferma questo giudizio offrendo un vino mediterraneo nel colore e nei profumi che ha nella bocca, ad oggi, il lato più maschio della degustazione. Buona la PAI finale su ritorni di macchia e note minerali.

Petra – Petra 2007: vino lontano dalle mie corde che non riesce a sorprendermi mai in qualsiasi annata. Troppo di tutto per i miei gusti anche se, come detto all’inizio del post, è tecnicamente ineccepibile.

Giardini di Ripadiversilia – Vis Vitae 2007: ecco il vino più particolare della giornata. Colore granato, naso di caffè, ruggine, frutta essiccata al sole, mou, terra. In bocca è minerale, di sferzante acidità, dinamico nella progressione finale. La cosa che colpisce è che un vino di quattro anni è già così (piacevolmente) evoluto. Il Vis Vitae è 70% sangiovese e 30% cabernet sauvignon. Pensavo fosse una bottiglia “sfigata”. Ripreso al banco di assaggio ed è proprio così. Prendere o lasciare.

Terenzaula di Ivan Giuliani – Merla della Miniera 2008: un 100% colorino che, dopo un inizio ferroso sembra assumere i caratteri olfattivi di un lambrusco con una scia di piccoli frutti rossi molto variopinta. Se facessi la fotorecensione metterei l’immagine dei Beatles e della loro Strawberry Fields Forever. Bocca giovane, fresca, schietta con un lieve amarognolo in chiusura.

Castagnini Roberto – Acheronte 2009: altro vino particolare composto da massaretta al 100%, vitigno autoctono della zona di massa, da cui prende il nome, la cui prima citazione risale al 1877 ad opera del Di Rovasenda. Questo vino offre un naso giovane e brioso che sa di visciola, mammola e soffi mentolati. Bocca mai invadente, coerente col naso, forse un po’ monocorde. Chiude abbastanza lungo.

Ultime due considerazioni critiche. La prima riguarda i produttori partecipanti e in particolar modo la Tenuta San Guido: capisco che il Sassicaia ha un valore e tutto lo cercano però portare pochissime bottiglie che finiscono ad inizio giornata che senso ha? Meglio non presentarlo e fare miglior figura.
Stessa cosa per i vini del Rodano. Sulla carta erano presenti molte tipologie ma in realtà, una volta presentatomi al bancone a metà pomeriggio del sabato, era quasi tutto finito e, quelli ancora presenti, serviti a temperature ecuadoriane. Fare i fighi in pubblicità è facile…



Il terremoto a Roma dell'11 Maggio, Bendandi e la fine del mondo nel 2012


Esuliamo anche oggi dal carattere cazzaro ed enologico del blog perchè leggendo in giro un pò di info e, soprattutto, toccando con mano certe realtà, mi chiedo se ancora oggi il mondo viva nel Medioevo.
L'articolo apparso sul Corriere della Sera di oggi è abbastanza eloquente: a Roma c'è gente che è scappata, ha chiuso il negozio, si è presa le ferie.
Mi domando: cosa accadrà quando nel 2012 è prevista la fine del mondo.


Riporto integralmente l'articolo. Fa riflettere.

Niente panico. Anzi, «mandate i figli a scuola». «Basta con gli allarmismi», se terremoto sarà «si tratterà al massimo di qualche scossa lieve». E tutte le istituzioni locali impegnate a dire: non ci muoviamo da Roma. E ad invitare i cittadini a non farsi prendere dalla psicosi invitandoli alla «serenità e alla ragione». Ma intanto in Rete la paura cresce. E, per stare tranquilli, i cinesi dell'Esquilino hanno già chiuso i negozi, fatto i bagagli e lasciato la Capitale. Perché il mercoledì 11 maggio 2011, una profezia di un secolo fa ha previsto a Roma un sisma di tale intensità da raderla al suolo con tutta la sua storia ultramillenaria.

L'ALLARME E GLI INVITI ALLA CALMA - Sul web la psicosi cresce e si alimenta da mesi. Ne parlano decine di gruppi su Facebook e gli studiosi si interrogano sulla veridicità delle profezie dell'astronomo e sismologo Raffaele Bendandi. Così il Campidoglio deve correre ai ripari per tranquillizzare i romani, definendo il terremoto di mercoledì 11 maggio «una leggenda metropolitana». E attiva lo 060606: chiunque chiamerà il numero di servizio di Roma Capitale troverà personale informato e pronto a tranquillizzare tutti sulla mancanza di dati scientifici a supporto di questa potenziale emergenza. Per una maggiore informazione, il personale che risponderà rimanderà il cittadino al sito www.protezionecivileromacapitale.it o al numero verde 800854854. Mercoledì l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia organizza anche un open day dalle 10 alle 20 dal titolo «Conoscere e prevenire aiuta ad avere meno paura».

ESPOSTO DEL CODACONS - Ma intanto il Codacons ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma contro tutti quei soggetti (blog, siti web, tv, radio, giornali, ecc.) che hanno in qualsiasi modo diffuso e alimentato la notizia del terremoto: denuncia per procurato allarme e abuso di credulità popolare. La Protezione civile, dal canto suo, specifica che «prevedere i terremoti è impossibile allo stato attuale delle cose. Ogni anno abbiamo in Italia oltre 10 mila terremoti registrati dai sismografi, quindi è probabile che mercoledì ci sarà qualche piccola scossa nel nostro Paese. Ma questo non significherebbe nulla». Da giorni, racconta Mauro Dolce, responsabile dell'Ufficio Rischio Sismico e Vulcanico della Protezione Civile, «i nostri centralini e le nostre caselle di posta elettronica sono intasate da richieste di chiarimenti sulla data dell'11 maggio 2011. Roma non si trova al centro di una zona sismica. La sismicità locale è circoscritta all'area dei Colli Albani». Quindi - conclude Dolce - «non assicuro nulla, ma è estremamente improbabile che mercoledì ci sarà il terremoto di cui si parla. E comunque la probabilità che domani si verifichi il terremoto a Roma è uguale a quella di domani, dopodomani, tra un anno e tra cento anni».

«APPELLO ALLA RAGIONE» - Le istituzioni invitano alla calma. La governatrice del Lazio Renata Polverini dice: «Io sono tranquilla». L'assessore capitolino alla famiglia Gianluigi De Palo invita le famiglie: «Non vi allarmate, mandate a scuola i vostri bambini: più del terremoto, è preoccupante l'allarmismo che si è diffuso. Non possiamo farci bloccare dalla paura perché non ci sono elementi scientifici a supporto di questa previsione». Il presidente della Provincia Nicola Zingaretti però annulla tutti i suoi appuntamenti fuori Roma «per stare in città, anche perché i capitani sono gli ultimi a scendere dalla nave..», scherza. E aggiunge: «Ci sono già tante paure vere, per questo evitiamo di aggiungerne di finte. Quindi l'appello è alla serenità e alla ragione, risolviamo i problemi veri e non inventiamone di nuovi». 

I CINESI VANNO VIA - Non sono convinti però i cinesi dell'Esquilino. Molti di loro da giorni hanno chiuso i loro negozi nella zona intorno alla stazione Termini e hanno lasciato Roma. «Sono terrorizzati e non parlano di altro - racconta un barista della zona -: già oggi alcuni sono chiusi e i loro titolari sono andati via da Roma». Serrande chiuse a piazza Vittorio e nelle vie limitrofe in particolare via Principe Amedeo e via Rattazzi che colleziona l'en plein.

Fonte: Corriere della Sera

Bendandi e il terremoto dell'11 Maggio a Roma: fine di Percorsi di Vino?


Domani mattina Percorsi Di Vino non potrebbe essere più on line.

Io potrei non essere più qua.

Domani, secondo Raffaele Bendandi ovvero l’uomo che prevedeva i terremoti, Roma sarà colpita da un terremoto devastante. 

Raffaele Bendandi
Dopo aver toccato ferro sono andato a capire chi era costui. Ebbene questo tizio è nato a Faenza nel 1893 e, ad inizi ‘900, ha elaborato una teoria sismogenica, ossia sull’origine e le cause dei terremoti. Egli sosteneva che la luna e gli altri pianeti, così come il sole, influenzano con la loro attrazione gravitazionale la crosta terrestre, inducendo in essa dei movimenti, proprio come accade alle masse liquide degli oceani.
Una prova di queste prime intuizioni la ebbe lo stesso Bendandi quando, spulciando tra i suoi appunti di qualche anno prima, trovò che si era realizzata una sua previsione del terremoto della Marsica, fatta nell’ottobre del 1914. Il sisma si verificò per l’appunto alcuni mesi dopo, il 13 gennaio 1915. 
La sua fama raggiunse il culmine quando, il 23 novembre 1923 davanti ad un notaio a Faenza, fece una previsione su un terremoto che si sarebbe verificato nelle Marche il 2 gennaio 1924. Il terremoto si verificò davvero, ma due giorni dopo.
Da allora Bendandi viene visto in due modi: grande scienziato oppure portatore sano di sfiga.
Bendandi, come trovo scritto in  molti siti poco verosimili, avrebbe predetto un terremoto devastante per la città di Roma e aree limitrofe per il giorno 11 maggio 2011, e un altro di dimensioni ancora più apocalittiche per il 5-6 aprile 2012, affermando che in quella data parecchi terremoti colpiranno a macchia di leopardo tutta la Terra. 


Dal momento che Bendandi è morto 32 anni fa, la persona più titolata a rispondere di questa questione è stata Paola Lagorio, presidente dell’associazione La Bendandiana, che custodisce tutti i documenti manoscritti del sismologo.
Lagorio, intervistata di recente dal programma di Raidue, Voyager, ha rivelato che «Bendandi aveva deciso di bruciare i suoi manoscritti, ma poi ha avuto un ripensamento. E proprio alcuni dei documenti con le sue previsioni per il 2011 erano stati prima gettati nel fuoco e poi salvati. Non si sa chi lo ha fatto, ma la persona si è pentita del suo gesto e quei documenti sono quindi giunti fino a noi. Nei documenti relativi al 2011 non si trova nessun riferimento a luoghi o date precise, come quelle che sono state riportate su Internet. Le notizie su un presunto terremoto previsto per l’11 maggio 2011 a Roma sono quindi destituite di ogni fondamento». 


Avrà ragione la signora Lagorio o Bendandi? Nel frattempo vado a scolarmi tutte le riserve di Borgogna che ho a casa, male che vada a Roma moriremo tutti ubriachi…





Monterinaldi: Mezzosecolo di storia nel Chianti Classico


Monterinaldi è un altro tassello del mosaico Chianti che, giorno dopo giorno, sto pazientemente ricomponendo all’interno del mio calice da degustazione.
L’azienda, localizzata a Radda in Chianti, si estende sull’area direttamente adiacente al castello di Monterinaldi e appartiene dal 1961 alla famiglia Ciampi che, giorno dopo giorno, ha esteso la sua proprietà fino a contare gli attuali 400 ha composti da vigneti (sangiovese in prevalenza), oliveti, noceti, boschi e pascoli.

Monterinaldi - Fonte: Tuscanyblog.net

Tre i Chianti Classico degustati: il “base” Castello di Monterinaldi 2008, la Riserva 2007 e il “nuovo” Mezzosecolo 2007.

Il primo rappresenta il punto di partenza della gamma dei vini dell’azienda e, a leggere la scheda tecnica, è il frutto dell'unione di Sangiovese e altre uve a bacca rossa provenienti dai vigneti situati nel Comune di Radda in Chianti. 
Guardando il colore del vino e mettendo il naso nel bicchiere mi accorgo subito che certe agilità e freschezze in stile Monteraponi, tanto per fare un esempio, sono molto lontane. Il sangiovese di Monterinaldi è più scuro, profondo, il frutto di questo Chianti è nero, ciliegioso, e le spezie ricordano il chiodo di garofano e il pepe. In bocca il vino è equilibrato, armonico, senza eccessi e, proprio per questo, si lascia bere tranquillamente anche se, come vedremo, la persistenza al palato lascia una lieve nota amarognola che, così come ha scritto anche Jacopo su Enoiche Illusioni, è un po’ il segno distintivo dell’azienda. A 12 euro è comunque un Chianti dal buon rapporto q/p!

Il Chianti Classico Riserva 2007 (Sangiovese 90/95%, Canaiolo e altre uve a bacca rossa 5/10%) è vinificato con uve provenienti da una rigorosa selezione e viene invecchiato per almeno 24 mesi di cui almeno 3 in bottiglia.
La Riserva di Monterinaldi somiglia molto ad un castello medievale con una grande entrata. Volete cercare di oltrepassarla? Inizialmente è tutto sprangato, immobile, poi col tempo e dopo varie spallate la serratura comincia a cedere e pian piano, varcando la soglia, troverete toni austeri di spezie e mineralità scura a cui aggiungere soffi di terra bagnate e foglie d’autunno. In bocca è lineare, equilibrato, sempre con quel filo di amaro nel finale. Una Riserva che non offre e non toglie nulla al lato emozionale della beva. 

Fonte: Enoiche Illusioni

Chianti Classico Mezzosecolo 2007: prodotto quasi esclusivamente da uve Sangiovese e Canaiolo provenienti esclusivamente dal più vecchio vigneto aziendale, il Mazzoli, questo è un Chianti che, come dice l’azienda stessa, vuole racchiudere in sé il senso del lavoro svolto dalla famiglia Ciampi negli ultimi cinquanta anni di onorata carriera.
Ci troviamo di fronte ad un Chianti Classico di concezione moderna, con profumi più rotondi, “ruffiani”, che richiamano la dolcezza della confettura di frutti rossi della viola passita e del rovere. In bocca è carnoso ma, a differenza di un naso internazionale, al gusto la classicità del sangiovese sembra diventare protagonista scalzando ogni smania ed eccesso parkeriano. La persistenza leggermente amarognola suggella un marchio di fabbrica inscindibile. Buona nel complesso la bevibilità.


Chateau Windsor per la regina d'Inghilterra vignaiola


Anziche' limitarsi al gin prima dei pasti, la regina ed il principe Filippo si reinventano produttori di vino. Spumante in stile champagne per la precisione, come quello di Chapel Down nel Kent con il quale hanno brindato alle nozze del nipote William con Kate Middleton venerdi' scorso. 


La prossima settimana, 16.700 piantine di vite verranno piantate al Windsor Great Park, l'ex tenuta di caccia alla quale la regina Vittoria ed il principe Alberto erano tanto affezionati. La regina coltivera' chardonnay, pinot nero e pinot meunier, i vitigni utilizzati per lo spumante 'metodo champenois' ovvero in tutto e per tutto identico allo champagne. E forse persino piu' buono: complici il surriscaldamento globale ed un terreno molto simile a quello dello Champagne, del Sancerre e dello Chablis, nel sud dell'Inghilterra sono sempre di piu' le persone che si danno al vino, con ottimi risultati soprattutto nei frizzanti, che non necessitano uve molto mature. 


Il principe Filippo sarebbe coinvolto molto da vicino nel progetto, supervisionato da Stephen Skelton, un consulente che nel 1976 ha piantato le prime viti a Chapel Down, il primo e ora maggiore produttore del Regno. Per i viticoltori britannici il sostegno della sovrana e' un sogno da non credere. ''E' semplicemente la maggiore spinta che l'industria inglese del vino abbia mai avuto, e' fantastico'', ha detto Bob Lindo di Camel Valley. Che il settore vinicolo inglese sia in crescita non c'e' dubbio, basta dare un'occhiata ai numeri: se nel 1990 l'Inghilterra aveva soltanto 56 ettari di vigneti, nel 2007 gli ettari erano diventati 267 e nel 2010 ben 550. ''Ci sono stati molti investimenti, soprattutto nel vino frizzante'', ha detto Julia Trustram Eve di English Wine Producers, aggiungendo: ''Nel 2009 circa la meta' del raccolto totale di uva era destinato alla produzione di un vino frizzante di qualche genere''. 




Per brindare con un bicchiere di Chateau Windsor bisognera' tuttavia aspettare qualche tempo. Un vigneto impiega tre anni a produrre uva da vino e uno spumante stile champagne necessita di almeno un anno di maturazione. Forse il vino di casa sara' pronto in tempo per il matrimonio del principe Harry? .

Fonte: La Rete

Al via il Roma Wine Festival 2011


Dopo aver registrato oltre 5.000 presenze nella scorsa edizione, torna nel week-end del 7 - 8 maggio il Roma Wine Festival e anche per questa quarta edizione l’appuntamento per gli addetti del settore e per il pubblico offrirà un percorso ricco di novità, un serrato programma di workshop condotti dagli esperti del Gambero Rosso, scambi enologici-culturali e occasioni per approfondire, o conoscere per la prima volta, i misteri e le curiosità dell’affascinante e magico mondo del vino.

Roma Wine Festival 2011 – promosso da Artix e Gambero Rosso, in collaborazione con Regione Lazio - Arsial, Assessorato alle Attività Produttive di Roma Capitale e Camera di Commercio di Roma - Azienda Romana Mercati, per l’ideazione e la cura di Marco Panellaospiterà 130 aziende.

Location prescelta non poteva che essere, anche quest’anno, la Città del Gusto, simbolo delle eccellenze enogastronomiche del nostro Paese. Nelle sue sale saranno aperte 10.000 bottiglie e si potranno degustare oltre 600 etichette provenienti da: Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna.

Il grande numero di etichette presenti, provenienti da tutta l’Italia, consentirà ad intenditori, cultori del buon bere e neofiti che vorranno cogliere questa occasione per avvicinarsi al mondo del vino, di vivere un vero Grand Tour tra le preziosità enologiche del nostro Paese.

Prima tra tutte le manifestazioni del vino, Roma Wine Festival lancia quest’anno la figura del Personal Winer, ovvero sommelier a disposizione per accompagnare il pubblico in una visita guidata attraverso le tante opportunità di degustazione che la manifestazione offre.

Domenica 8 maggio, come da tradizione, saranno consegnati i Premi Award 2011 suddivisi in diverse categorie: Label Award (premio per la migliore etichetta e linea grafica); Award per la Viticoltura sostenibile; Award per il miglior rapporto qualità/prezzo; Website Award; Restaurant Wine List Award; Enoteca Città di Roma RWF Award; Media Award, riservato ai professionisti della comunicazione dedicata al “mondo del vino”, rivolto a radio, tv, carta stampata, web&blog ed il Premio Speciale Cultura del Vino.

 “Siamo alla quarta edizione del Roma Wine Festival, la terza organizzata qui da noi alla Città del Gusto di Roma – dichiara Paolo Cuccia, presidente della Gambero Rosso Holding Spa – un appuntamento importantissimo per noi e per la città. Direi ormai un classico. Dove Gambero Rosso, Artix e le istituzioni (Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma, Arsial) fanno un grande gioco di squadra. Un fantastico fine settimana di primavera dove si mettono in mostra le migliori produzioni enologiche italiane, dove gli appassionati possono assaggiare vini di ogni regione o partecipare ai seminari ed agli eventi collaterali. Una grande kermesse del gusto, una vetrina per tanti produttori di eccellenza che vogliono incontrare il loro pubblico”.

“Al suo quarto anno di vita - afferma Marco Panella Curatore del Roma Wine Festival, Roma Wine Festival si conferma come la più importante vetrina romana dedicata a promuovere la cultura del vino di qualità e l’incontro diretto tra i produttori ed il più trainante mercato del vino in Italia.
Roma può aspirare, con il supporto delle Istituzioni locali, a diventare sempre più centrale nel panorama delle manifestazioni italiane del vino, coniugando la sua naturale capacità attrattiva con un contenuto mediatico di eccezionale valore culturale e commerciale, quale solo il vino riesce a sintetizzare.
Per Roma Wine Festival il vino non è solo un prodotto da vendere, ma un giacimento culturale da valorizzare, un indice di qualità della vita, un asset per la salvaguardia del paesaggio italiano, un racconto che attraversa e caratterizza la storia del nostro Paese”.

“Per il quarto anno consecutivo Roma Wine Festival si propone come manifestazione a tutto tondo sul mondo del vino, rappresentando un efficace momento di scambio tra la cultura del distributore, quella del ristoratore e del consumatore - afferma l’Assessore alle Attività Produttive di Roma Capitale Davide Bordoni. La competitività del sistema enoturistico italiano - prosegue – è stata confermata dal successo ottenuto dal Salone Internazionale Vinitaly e la manifestazione che andrà in scena nella Capitale sarà il suo seguito ideale, capace di catalizzare ancor di più l’interesse dei consumatori e degli operatori di settore sulla produzione vinicola laziale e italiana”.

“La riprova di quanto i nostri vini siano sempre più richiesti e presenti nelle manifestazioni enologiche di qualità come il Roma Wine Festival – sottolinea Erder Mazzocchi, Commissario straordinario ARSIAL - è un’occasione preziosa per i nostri produttori che hanno la possibilità di incontrare operatori di settore, come ristoratori, buyers e distributori, e presentare i propri vini direttamente ad un pubblico qualificato di consumatori in special modo della Capitale. Il Vinitaly di Verona, a livello di transazioni sull’argomento, è stato un banco di prova ineludibile. Il nostro obiettivo è rilanciare a tutto campo la visibilità delle produzioni enologiche di eccellenza della regione, aprendo, poi, anche l’interazione con realtà internazionali di primo piano”.

“Sono occasioni importantissime anche per noi giornalisti – aggiunge Marco Sabellico, curatore della Guida Vini d'Italia, storica firma del Gambero Rosso. E' fondamentale poter incontrare il pubblico, i lettori, confrontarsi e misurarsi con il “bicchiere in mano”. Ecco perché con i miei colleghi abbiamo pensato di arricchire il programma con una serie di incontri e seminari. Solo per citarne alcuni vi raccomando quello sui terroir del Chianti, a cura di Eleonora Guerini, curatrice di Vini d'Italia, quella sul Carignano del Sulcis, guidata da Giuseppe Carrus, o quella sui vini del Lazio tenuta da Paolo Zaccaria. Ma al Roma Wine Festival troverete focus di approfondimento sul Marsala, sul Brunello di Montalcino o, per parlare di terroir stranieri, quello sui  grandi vini del Rodano. Si tratta di una straordinaria verticale dei vini della Pellegrino, di un percorso tra i territori che compongono quello del più famoso rosso italiano, a cura di Riccardo Viscardi, e infine sette straordinari vini da una delle più celebrate zone vinicole della Francia, il Rodano, tenuta da Dario Cappelloni. E poi... 130 produttori di qualità, i loro grandi vini e molto altro ancora...”.

La Camera di Commercio di Roma, che sostiene la manifestazione fin dalla sua prima edizione, partecipa quest’anno con uno spazio gestito dall’ARM, Azienda Romana Mercati, l’Azienda speciale della CCIAA per la valorizzazione del comparto agroalimentare. In questo spazio verranno ospitate 14 aziende del settore e sarà possibile degustare, con l’aiuto di sommelier, una selezione di eccellenti vini romani. E, piaceri del palato a parte, non mancheranno informazioni dettagliate su itinerari enogastronomici di particolare rilievo valorizzati dall’Azienda Romana Mercati: la Strada dei Vini dei Castelli Romani che vanta una tradizione vinicola di oltre tremila anni di storia, la Strada dei Vini delle Terre Etrusco-Romane e la Strada del Vino Cesanese.

Info
www.romawinefestival.it  060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)

Ufficio Stampa Zètema Progetto Cultura
Giusi Alessio   +39 06 82077327 - +39 340 4206562 g.alessio@zetema.it         

Tasting panel Zonin: Chianti Classico 2007 Castello D'Albola


Il Castello d’Albola è piccolo angolo di paradiso posto a metà strada tra la terra Radda in Chianti e il cielo, un luogo magico che, negli anni ’70, Gianni Zonin acquistò dopo essere stato letteralmente rapito dalla bellezza della villa cinquecentesca e dai suoi terreni esposti a solatio.
Oggi come ieri gran parte dei vigneti aziendali, con un’età media di 20 anni, sono costituiti da sangioveto, il clone chiantigiano del sangiovese che, trovandoci in zona Chianti Classico, rappresenta il re incontrastato della produzione di Castello d’Albola assieme a piccole percentuali di canaiolo, malvasia, cabernet sauvignon, pinot nero e chardonnay.

Alessandro Gallo, il direttore della Tenuta. Fonte: Wineislove.it
Perché vi sto dicendo tutto questo? Perché oggi voglio parlarvi di uno dei frutti di quelle vigne: il Chianti Classico 2007 della Tenuta Castello d’Albola (95% sangiovese e 5% canaiolo), secondo vino facente parte della tasting list di Francesco Zonin.

Lo ammetto fin d’ora, tra i tanti vini degustati della gamma Zonin, il Chianti Classico di Albola è quello che mi ha fornito maggiori certezze, soprattutto in termini di territorialità.
I terreni ricchi di galestro ed alberese, l’altitudine dei vigneti (400 metri s.l.m.) e la loro buona esposizione non possono mentire, soprattutto se l’attore principale si chiama sangiovese e, a maggior ragione, se questo non viene stravolto da tagli e affinamenti di dubbio stile e tradizionalità.

Al naso è fresco, fruttato, dotato di una carica floreale di bell’impatto a cui seguono note di tabacco dolce e spezie. Bocca tipica raddese, dinamica e dotata di grande spina acida. Chiusura sapida su toni di frutta rossa croccante.

Non è un mostro di complessità ma, per i neofiti del sangiovese d’altura, può esser un ottimo punto di partenza. Se poi pensiamo che la bottiglia è prodotta in 600.000 unità e costa circa 10 euro, il plauso a Zonin vale doppio.

Fonte: Avvinare.it


Tasting Panel Zonin: Virginia Red Barboursville, Octagon 2006


Arriva un italoamericano a Roma! No, non parlo Thomas Di Benedetto, futuro presidente della Roma, ma di una bottiglia di vino targata “Barboursville Vineyards”, la grande tenuta “straniera” che la famiglia Zonin ha acquisito in Virginia nel lontano 1976 e che con molta passione Luca Paschina sta gestendo da oltre venti anni.


Parlo di Barboursville Vineyards non per caso ma perché il suo Octagon 2006, classico taglio bordolese, fa parte della tasting list 2011 che Francesco Zonin ha riservato a blogger e appassionati.

Probabilmente sono io che ho un cattivo rapporto con tutto ciò che si mangia o si bene negli Stati Uniti, Mc Donald’s in primis, però, e mi scuseranno Francesco e Luca di questo, a me il vino non ha convinto molto per un semplice motivo: era muto. 

Anzitutto all’olfattiva denunciava tutta la sua gioventù con un legno che, per i miei gusti, era ancora troppo invadente e coprente. E’ come se ci fosse un coperchio virtuale sopra il bicchiere che bloccasse tutti gli aromi che ci sono, si avvertono, ma non riescono ad esplodere. Mi immagino i sentori di frutta rossa con la camicia di forza che scalpitano ma non riescono a liberarsi. 

Il sorso è in linea col naso, si avverte il legno assieme a timide sensazioni di ribes, ciliegia, humus e minerale. Bevendolo mi viene in mente che sto degustando un vino ancora in fase embrionale dove ogni cosa, dal tannino alla morbidezza fino ai profumi, sta cercando  una propria definizione e una ragione d’essere. Soprattutto l’amarognolo finale deve scomparire. 

Sono sicuro che tra qualche anno, così come accade per i migliori Bordeaux, l’Octagon farà vedere il meglio di sé. 

Per ora, da buon romano, il mio giudizio è questo:

Il vino prodotto con le chips non è distinguibile. Parola di Armando Di Mauro.


A volte, quando senti gli stessi produttori che parlano di vino, sembra lontana tutta la poesia che a volte noi comunicatori mettiamo attorno a questo mondo.

Armando Di Mauro, importante produttore dei Castelli Romani, ci parla della sua idea del vino e sfida noi tutti degustatori:"Fidatevi, il vino fatto con le chips è uguale a quello affinato in barrique, non riuscirete a distinguerlo!".

Il video seguente è pura provocazione oppure è l'inizio della fine del romanticismo enologico?

Vino Dance? Oggi su Percorsi di Vino


Questo uomo è un genio, non ho altre parole per descrivere la sua pazzia! 

Prendere la canzone degli Eiffel 65, I'm Blue, e trasformarla nel dramma di un ragazzo veneto che non trova vino durante un viaggio all'estero..........non ha prezzo!

Notare l'ambientazione casareccia e l'inglese maccheronico. Grande Matt!!


Il Rosso di Montalcino di Podere San Lorenzo: chi ha vinto la fotorecension


Un quadro di Botero, la grinta di Mourinho, la primavera di Botticelli, un bacio in bianco e nero, foto di equilibristi e la Monna Lisa di Leonardo, tutto questo ha rappresentato nella mia immaginazione la verticale di Podere San Lorenzo.


Il 2003, come facile immaginare, è sicuramente un'annata calda, cicciuta, ma il Rosso di Luciano ha ugualmente mantenuto una struttura e una dimensione notevole, una piccola opera d'arte da salvare per far capire come anche il "brutto" può essere bello e gradevole.

Il 2004, come si vede dalla foto di Mou, è un'annata grintosa, per molti vincente, che sa regalare molte emozioni.

Il 2005, come è facile pensare, è un'annata più delicata, femmina, e il Rosso di San Lorenzo mantiene un aspetto floreale ed etereo.

Il bacio in bianco e nero dell'annata 2006 ha rappresentato i caratteri di un sangiovese che si esprime al naso e all'olfattiva con sentori a volte più scuri, a volte più "chiari" di frutta e fiori. Bella complessità per un millesimo di grande aspettativa per me.

Il Rosso di Montalcino 2007, come facilmente si poteva desumere dalla foto, oggi è un vino di grandissimo equlibrio dove tutto, e dico tutto, è ben bilanciato. Grandissimo sarà il Brunello 2007 di San Lorenzo. Aspettate un anno e vedrete.

L'annata 2008 è il vero capolavoro di Podere San Lorenzo per quando riguarda il Rosso di Montalcino, un vino godibilissimo e "quasi" perfetto come la Monna Lisa.

Alla luce di tutto questo chi ha vinto la fotorecensione? Ma quel vecchio volpone di Paolo Carlo Ghislandi che, più di altri, è andato vicino alla mia immaginazione.

Cosa ha scritto? 

2003 - Rotondo, pieno, con ancora intatta una bella freschezza, Naso maturo, alla bocca avvolgente.

2004 – Trionfale, maestoso, con sensazioni decise, forti, al naso evidente, in bocca acceso, intenso.

2005 – Complesso ed elegante, al naso fruttato, in bocca franco, fine

2006 – Intrigante per la ricerca degli equilibri, al naso speziato, in bocca fresco

2007 – Campione di equilibrio e forza, al naso complesso, in bocca persistente

2008 – Enigmatico, in cerca della sua identità classica, al naso fiore e frutto, in bocca fresco 

Complimenti anche agli altri che, bene o male, ci sono andati molto vicino. Forse la discriminante è stata la 2003 che molti hanno pensato come "annata grassa" mentre per me non lo era. 

Alla prossima fotorecensione!

Aruba va a fuoco e la Rete va giù!


Molti siti ospitati dall’hosting Aruba sono irraggiungibili, dalle 4 di questa mattina, da tutti gli utenti del World Wide Web. Secondo quanto è stato diffuso su Internet, la motivazione è un principio d’incendio che ha coinvolto la web farm della società, situata nella ridente cittadina toscana di Arezzo. Secondo gli esperti nel settore dell’Information Technology, questo sarebbe il più importante down che la rete Internet italiana abbia mai registrato. Chiaramente gli utenti trovano forti difficoltà anche a comunicare con il servizio clienti.


Tutti i servizi offerti dalla società di hosting italiana, come web space, redirect o posta elettronica, sono inutilizzabili al momento. Su blog e social network è possibile leggere le proteste degli utenti, ma l’azienda è attualmente impegnata al ripristino dei servizi, al quale seguirà una comunicazione ufficiale per tutti i suoi utenti.

Attraverso il proprio profilo Twitter, l’azienda ha spiegato che i server, e quindi i dati in essi contenuti, non hanno subito alcun danno:
A seguito del principio di incendio sulle batterie degli UPS, confermiamo che le macchine server e le sale dati non hanno subito alcun danno.
a questo è seguito un secondo messaggio per tranquillizzare gli utenti:
si sta procedendo con la rimozione della polvere prodotta dalla combustione. A seguire verranno effettuati gli interventi di ripristino.
E’ necessario attendere le relative verifiche, poiché un’accensione dei server e delle altre unità senza un preventivo controllo, potrebbe causare nuovi incendi. Naturalmente l’azienda italiana per la registrazione domini si scusa per l’inconveniente.

Fonte: http://www.trackback.it

William e Kate oggi sposi brindano col vino "cheap"!


Portabandiera del vino quotidiano dall'ottimo rapporto q/p oppure semplici tirchioni che, non essendo amanti del buon bere, tirano la cinghia sul vino di qualità.
Leggendo l'articolo su Leggo, che riporto integralmente, si apprende che ci sarù solo vino 'Made in Britain' al ricevimento nuziale. 


Un bianco di Chapel Down, un'azienda del Kent, verrà servito al pranzo o alla cena di Buckingham Palace. Secondo quanto riferisce il Daily Mail, il palazzo ha infatti ricevuto una consegna massiccia del vino che costa dalle 8.50 alle 14 sterline alla bottiglia, e che confermerebbe la volontà di William e Kate di mostrare il «meglio della Gran Bretagna» in tutti gli aspetti delle nozze. 

Francese sarà però il brindisi della cena. I 300 ospiti del ricevimento serale brinderanno infatti con uno Champagne Pol Roger non vintage da 30 sterline alla bottiglia. Non il migliore degli Champagne, certamente economico, ma a quanto pare molto amato dai critici. Ma a parte questo, chissà da dove arriveranno gli altri vini. Sebbene fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile, i vini inglesi, soprattutto le bollicine in stile Champagne, stanno avendo sempre più successo. 


Un vino di Ridgeview Estate, un'azienda dell'East Sussex, era stato scelto nel 2006 per brindare all'80esimo compleanno della regina Elisabetta e da allora pare che il vino inglese sia sempre più presente sulla tavola dei Windsor, soprattutto alla luce dell'impegno ambientalista del principe Carlo, che predilige il più possibile i prodotti locali e stagionali. I riconoscimenti internazionali ormai non si fanno mancare. Lo scorso anno sempre Ridgeview Estate ha vinto la medaglia d'oro per migliore vino frizzante, battendo altri 700 produttori di tutto il mondo, Champagne incluso, con un blanc de blancs del 2006. Complice il surriscaldamento globale ed un terreno molto simile a quello dello Champagne, del Sancerre e dello Chablis, sempre più persone stanno piantando vigneti nel sud dell'Inghilterra, in contee come il Kent, il Sussex, l'Hampshire e il Dorset, persino alcuni in Dorset e nella ventosa Cornovaglia. 
I numeri non mentono: se nel 1990 l'Inghilterra aveva soltanto 56 ettari di vigneti per lo più piantati con chardonnay, pinot nero e pinot meunier (guarda caso proprio le tre uve che vanno a finire nello Champagne), nel 2007 gli ettari erano diventati 267 e nel 2010 ben 550.