Al via il Roma Wine Festival 2011


Dopo aver registrato oltre 5.000 presenze nella scorsa edizione, torna nel week-end del 7 - 8 maggio il Roma Wine Festival e anche per questa quarta edizione l’appuntamento per gli addetti del settore e per il pubblico offrirà un percorso ricco di novità, un serrato programma di workshop condotti dagli esperti del Gambero Rosso, scambi enologici-culturali e occasioni per approfondire, o conoscere per la prima volta, i misteri e le curiosità dell’affascinante e magico mondo del vino.

Roma Wine Festival 2011 – promosso da Artix e Gambero Rosso, in collaborazione con Regione Lazio - Arsial, Assessorato alle Attività Produttive di Roma Capitale e Camera di Commercio di Roma - Azienda Romana Mercati, per l’ideazione e la cura di Marco Panellaospiterà 130 aziende.

Location prescelta non poteva che essere, anche quest’anno, la Città del Gusto, simbolo delle eccellenze enogastronomiche del nostro Paese. Nelle sue sale saranno aperte 10.000 bottiglie e si potranno degustare oltre 600 etichette provenienti da: Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna.

Il grande numero di etichette presenti, provenienti da tutta l’Italia, consentirà ad intenditori, cultori del buon bere e neofiti che vorranno cogliere questa occasione per avvicinarsi al mondo del vino, di vivere un vero Grand Tour tra le preziosità enologiche del nostro Paese.

Prima tra tutte le manifestazioni del vino, Roma Wine Festival lancia quest’anno la figura del Personal Winer, ovvero sommelier a disposizione per accompagnare il pubblico in una visita guidata attraverso le tante opportunità di degustazione che la manifestazione offre.

Domenica 8 maggio, come da tradizione, saranno consegnati i Premi Award 2011 suddivisi in diverse categorie: Label Award (premio per la migliore etichetta e linea grafica); Award per la Viticoltura sostenibile; Award per il miglior rapporto qualità/prezzo; Website Award; Restaurant Wine List Award; Enoteca Città di Roma RWF Award; Media Award, riservato ai professionisti della comunicazione dedicata al “mondo del vino”, rivolto a radio, tv, carta stampata, web&blog ed il Premio Speciale Cultura del Vino.

 “Siamo alla quarta edizione del Roma Wine Festival, la terza organizzata qui da noi alla Città del Gusto di Roma – dichiara Paolo Cuccia, presidente della Gambero Rosso Holding Spa – un appuntamento importantissimo per noi e per la città. Direi ormai un classico. Dove Gambero Rosso, Artix e le istituzioni (Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma, Arsial) fanno un grande gioco di squadra. Un fantastico fine settimana di primavera dove si mettono in mostra le migliori produzioni enologiche italiane, dove gli appassionati possono assaggiare vini di ogni regione o partecipare ai seminari ed agli eventi collaterali. Una grande kermesse del gusto, una vetrina per tanti produttori di eccellenza che vogliono incontrare il loro pubblico”.

“Al suo quarto anno di vita - afferma Marco Panella Curatore del Roma Wine Festival, Roma Wine Festival si conferma come la più importante vetrina romana dedicata a promuovere la cultura del vino di qualità e l’incontro diretto tra i produttori ed il più trainante mercato del vino in Italia.
Roma può aspirare, con il supporto delle Istituzioni locali, a diventare sempre più centrale nel panorama delle manifestazioni italiane del vino, coniugando la sua naturale capacità attrattiva con un contenuto mediatico di eccezionale valore culturale e commerciale, quale solo il vino riesce a sintetizzare.
Per Roma Wine Festival il vino non è solo un prodotto da vendere, ma un giacimento culturale da valorizzare, un indice di qualità della vita, un asset per la salvaguardia del paesaggio italiano, un racconto che attraversa e caratterizza la storia del nostro Paese”.

“Per il quarto anno consecutivo Roma Wine Festival si propone come manifestazione a tutto tondo sul mondo del vino, rappresentando un efficace momento di scambio tra la cultura del distributore, quella del ristoratore e del consumatore - afferma l’Assessore alle Attività Produttive di Roma Capitale Davide Bordoni. La competitività del sistema enoturistico italiano - prosegue – è stata confermata dal successo ottenuto dal Salone Internazionale Vinitaly e la manifestazione che andrà in scena nella Capitale sarà il suo seguito ideale, capace di catalizzare ancor di più l’interesse dei consumatori e degli operatori di settore sulla produzione vinicola laziale e italiana”.

“La riprova di quanto i nostri vini siano sempre più richiesti e presenti nelle manifestazioni enologiche di qualità come il Roma Wine Festival – sottolinea Erder Mazzocchi, Commissario straordinario ARSIAL - è un’occasione preziosa per i nostri produttori che hanno la possibilità di incontrare operatori di settore, come ristoratori, buyers e distributori, e presentare i propri vini direttamente ad un pubblico qualificato di consumatori in special modo della Capitale. Il Vinitaly di Verona, a livello di transazioni sull’argomento, è stato un banco di prova ineludibile. Il nostro obiettivo è rilanciare a tutto campo la visibilità delle produzioni enologiche di eccellenza della regione, aprendo, poi, anche l’interazione con realtà internazionali di primo piano”.

“Sono occasioni importantissime anche per noi giornalisti – aggiunge Marco Sabellico, curatore della Guida Vini d'Italia, storica firma del Gambero Rosso. E' fondamentale poter incontrare il pubblico, i lettori, confrontarsi e misurarsi con il “bicchiere in mano”. Ecco perché con i miei colleghi abbiamo pensato di arricchire il programma con una serie di incontri e seminari. Solo per citarne alcuni vi raccomando quello sui terroir del Chianti, a cura di Eleonora Guerini, curatrice di Vini d'Italia, quella sul Carignano del Sulcis, guidata da Giuseppe Carrus, o quella sui vini del Lazio tenuta da Paolo Zaccaria. Ma al Roma Wine Festival troverete focus di approfondimento sul Marsala, sul Brunello di Montalcino o, per parlare di terroir stranieri, quello sui  grandi vini del Rodano. Si tratta di una straordinaria verticale dei vini della Pellegrino, di un percorso tra i territori che compongono quello del più famoso rosso italiano, a cura di Riccardo Viscardi, e infine sette straordinari vini da una delle più celebrate zone vinicole della Francia, il Rodano, tenuta da Dario Cappelloni. E poi... 130 produttori di qualità, i loro grandi vini e molto altro ancora...”.

La Camera di Commercio di Roma, che sostiene la manifestazione fin dalla sua prima edizione, partecipa quest’anno con uno spazio gestito dall’ARM, Azienda Romana Mercati, l’Azienda speciale della CCIAA per la valorizzazione del comparto agroalimentare. In questo spazio verranno ospitate 14 aziende del settore e sarà possibile degustare, con l’aiuto di sommelier, una selezione di eccellenti vini romani. E, piaceri del palato a parte, non mancheranno informazioni dettagliate su itinerari enogastronomici di particolare rilievo valorizzati dall’Azienda Romana Mercati: la Strada dei Vini dei Castelli Romani che vanta una tradizione vinicola di oltre tremila anni di storia, la Strada dei Vini delle Terre Etrusco-Romane e la Strada del Vino Cesanese.

Info
www.romawinefestival.it  060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)

Ufficio Stampa Zètema Progetto Cultura
Giusi Alessio   +39 06 82077327 - +39 340 4206562 g.alessio@zetema.it         

Tasting panel Zonin: Chianti Classico 2007 Castello D'Albola


Il Castello d’Albola è piccolo angolo di paradiso posto a metà strada tra la terra Radda in Chianti e il cielo, un luogo magico che, negli anni ’70, Gianni Zonin acquistò dopo essere stato letteralmente rapito dalla bellezza della villa cinquecentesca e dai suoi terreni esposti a solatio.
Oggi come ieri gran parte dei vigneti aziendali, con un’età media di 20 anni, sono costituiti da sangioveto, il clone chiantigiano del sangiovese che, trovandoci in zona Chianti Classico, rappresenta il re incontrastato della produzione di Castello d’Albola assieme a piccole percentuali di canaiolo, malvasia, cabernet sauvignon, pinot nero e chardonnay.

Alessandro Gallo, il direttore della Tenuta. Fonte: Wineislove.it
Perché vi sto dicendo tutto questo? Perché oggi voglio parlarvi di uno dei frutti di quelle vigne: il Chianti Classico 2007 della Tenuta Castello d’Albola (95% sangiovese e 5% canaiolo), secondo vino facente parte della tasting list di Francesco Zonin.

Lo ammetto fin d’ora, tra i tanti vini degustati della gamma Zonin, il Chianti Classico di Albola è quello che mi ha fornito maggiori certezze, soprattutto in termini di territorialità.
I terreni ricchi di galestro ed alberese, l’altitudine dei vigneti (400 metri s.l.m.) e la loro buona esposizione non possono mentire, soprattutto se l’attore principale si chiama sangiovese e, a maggior ragione, se questo non viene stravolto da tagli e affinamenti di dubbio stile e tradizionalità.

Al naso è fresco, fruttato, dotato di una carica floreale di bell’impatto a cui seguono note di tabacco dolce e spezie. Bocca tipica raddese, dinamica e dotata di grande spina acida. Chiusura sapida su toni di frutta rossa croccante.

Non è un mostro di complessità ma, per i neofiti del sangiovese d’altura, può esser un ottimo punto di partenza. Se poi pensiamo che la bottiglia è prodotta in 600.000 unità e costa circa 10 euro, il plauso a Zonin vale doppio.

Fonte: Avvinare.it


Tasting Panel Zonin: Virginia Red Barboursville, Octagon 2006


Arriva un italoamericano a Roma! No, non parlo Thomas Di Benedetto, futuro presidente della Roma, ma di una bottiglia di vino targata “Barboursville Vineyards”, la grande tenuta “straniera” che la famiglia Zonin ha acquisito in Virginia nel lontano 1976 e che con molta passione Luca Paschina sta gestendo da oltre venti anni.


Parlo di Barboursville Vineyards non per caso ma perché il suo Octagon 2006, classico taglio bordolese, fa parte della tasting list 2011 che Francesco Zonin ha riservato a blogger e appassionati.

Probabilmente sono io che ho un cattivo rapporto con tutto ciò che si mangia o si bene negli Stati Uniti, Mc Donald’s in primis, però, e mi scuseranno Francesco e Luca di questo, a me il vino non ha convinto molto per un semplice motivo: era muto. 

Anzitutto all’olfattiva denunciava tutta la sua gioventù con un legno che, per i miei gusti, era ancora troppo invadente e coprente. E’ come se ci fosse un coperchio virtuale sopra il bicchiere che bloccasse tutti gli aromi che ci sono, si avvertono, ma non riescono ad esplodere. Mi immagino i sentori di frutta rossa con la camicia di forza che scalpitano ma non riescono a liberarsi. 

Il sorso è in linea col naso, si avverte il legno assieme a timide sensazioni di ribes, ciliegia, humus e minerale. Bevendolo mi viene in mente che sto degustando un vino ancora in fase embrionale dove ogni cosa, dal tannino alla morbidezza fino ai profumi, sta cercando  una propria definizione e una ragione d’essere. Soprattutto l’amarognolo finale deve scomparire. 

Sono sicuro che tra qualche anno, così come accade per i migliori Bordeaux, l’Octagon farà vedere il meglio di sé. 

Per ora, da buon romano, il mio giudizio è questo:

Il vino prodotto con le chips non è distinguibile. Parola di Armando Di Mauro.


A volte, quando senti gli stessi produttori che parlano di vino, sembra lontana tutta la poesia che a volte noi comunicatori mettiamo attorno a questo mondo.

Armando Di Mauro, importante produttore dei Castelli Romani, ci parla della sua idea del vino e sfida noi tutti degustatori:"Fidatevi, il vino fatto con le chips è uguale a quello affinato in barrique, non riuscirete a distinguerlo!".

Il video seguente è pura provocazione oppure è l'inizio della fine del romanticismo enologico?

Vino Dance? Oggi su Percorsi di Vino


Questo uomo è un genio, non ho altre parole per descrivere la sua pazzia! 

Prendere la canzone degli Eiffel 65, I'm Blue, e trasformarla nel dramma di un ragazzo veneto che non trova vino durante un viaggio all'estero..........non ha prezzo!

Notare l'ambientazione casareccia e l'inglese maccheronico. Grande Matt!!


Il Rosso di Montalcino di Podere San Lorenzo: chi ha vinto la fotorecension


Un quadro di Botero, la grinta di Mourinho, la primavera di Botticelli, un bacio in bianco e nero, foto di equilibristi e la Monna Lisa di Leonardo, tutto questo ha rappresentato nella mia immaginazione la verticale di Podere San Lorenzo.


Il 2003, come facile immaginare, è sicuramente un'annata calda, cicciuta, ma il Rosso di Luciano ha ugualmente mantenuto una struttura e una dimensione notevole, una piccola opera d'arte da salvare per far capire come anche il "brutto" può essere bello e gradevole.

Il 2004, come si vede dalla foto di Mou, è un'annata grintosa, per molti vincente, che sa regalare molte emozioni.

Il 2005, come è facile pensare, è un'annata più delicata, femmina, e il Rosso di San Lorenzo mantiene un aspetto floreale ed etereo.

Il bacio in bianco e nero dell'annata 2006 ha rappresentato i caratteri di un sangiovese che si esprime al naso e all'olfattiva con sentori a volte più scuri, a volte più "chiari" di frutta e fiori. Bella complessità per un millesimo di grande aspettativa per me.

Il Rosso di Montalcino 2007, come facilmente si poteva desumere dalla foto, oggi è un vino di grandissimo equlibrio dove tutto, e dico tutto, è ben bilanciato. Grandissimo sarà il Brunello 2007 di San Lorenzo. Aspettate un anno e vedrete.

L'annata 2008 è il vero capolavoro di Podere San Lorenzo per quando riguarda il Rosso di Montalcino, un vino godibilissimo e "quasi" perfetto come la Monna Lisa.

Alla luce di tutto questo chi ha vinto la fotorecensione? Ma quel vecchio volpone di Paolo Carlo Ghislandi che, più di altri, è andato vicino alla mia immaginazione.

Cosa ha scritto? 

2003 - Rotondo, pieno, con ancora intatta una bella freschezza, Naso maturo, alla bocca avvolgente.

2004 – Trionfale, maestoso, con sensazioni decise, forti, al naso evidente, in bocca acceso, intenso.

2005 – Complesso ed elegante, al naso fruttato, in bocca franco, fine

2006 – Intrigante per la ricerca degli equilibri, al naso speziato, in bocca fresco

2007 – Campione di equilibrio e forza, al naso complesso, in bocca persistente

2008 – Enigmatico, in cerca della sua identità classica, al naso fiore e frutto, in bocca fresco 

Complimenti anche agli altri che, bene o male, ci sono andati molto vicino. Forse la discriminante è stata la 2003 che molti hanno pensato come "annata grassa" mentre per me non lo era. 

Alla prossima fotorecensione!

Aruba va a fuoco e la Rete va giù!


Molti siti ospitati dall’hosting Aruba sono irraggiungibili, dalle 4 di questa mattina, da tutti gli utenti del World Wide Web. Secondo quanto è stato diffuso su Internet, la motivazione è un principio d’incendio che ha coinvolto la web farm della società, situata nella ridente cittadina toscana di Arezzo. Secondo gli esperti nel settore dell’Information Technology, questo sarebbe il più importante down che la rete Internet italiana abbia mai registrato. Chiaramente gli utenti trovano forti difficoltà anche a comunicare con il servizio clienti.


Tutti i servizi offerti dalla società di hosting italiana, come web space, redirect o posta elettronica, sono inutilizzabili al momento. Su blog e social network è possibile leggere le proteste degli utenti, ma l’azienda è attualmente impegnata al ripristino dei servizi, al quale seguirà una comunicazione ufficiale per tutti i suoi utenti.

Attraverso il proprio profilo Twitter, l’azienda ha spiegato che i server, e quindi i dati in essi contenuti, non hanno subito alcun danno:
A seguito del principio di incendio sulle batterie degli UPS, confermiamo che le macchine server e le sale dati non hanno subito alcun danno.
a questo è seguito un secondo messaggio per tranquillizzare gli utenti:
si sta procedendo con la rimozione della polvere prodotta dalla combustione. A seguire verranno effettuati gli interventi di ripristino.
E’ necessario attendere le relative verifiche, poiché un’accensione dei server e delle altre unità senza un preventivo controllo, potrebbe causare nuovi incendi. Naturalmente l’azienda italiana per la registrazione domini si scusa per l’inconveniente.

Fonte: http://www.trackback.it

William e Kate oggi sposi brindano col vino "cheap"!


Portabandiera del vino quotidiano dall'ottimo rapporto q/p oppure semplici tirchioni che, non essendo amanti del buon bere, tirano la cinghia sul vino di qualità.
Leggendo l'articolo su Leggo, che riporto integralmente, si apprende che ci sarù solo vino 'Made in Britain' al ricevimento nuziale. 


Un bianco di Chapel Down, un'azienda del Kent, verrà servito al pranzo o alla cena di Buckingham Palace. Secondo quanto riferisce il Daily Mail, il palazzo ha infatti ricevuto una consegna massiccia del vino che costa dalle 8.50 alle 14 sterline alla bottiglia, e che confermerebbe la volontà di William e Kate di mostrare il «meglio della Gran Bretagna» in tutti gli aspetti delle nozze. 

Francese sarà però il brindisi della cena. I 300 ospiti del ricevimento serale brinderanno infatti con uno Champagne Pol Roger non vintage da 30 sterline alla bottiglia. Non il migliore degli Champagne, certamente economico, ma a quanto pare molto amato dai critici. Ma a parte questo, chissà da dove arriveranno gli altri vini. Sebbene fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile, i vini inglesi, soprattutto le bollicine in stile Champagne, stanno avendo sempre più successo. 


Un vino di Ridgeview Estate, un'azienda dell'East Sussex, era stato scelto nel 2006 per brindare all'80esimo compleanno della regina Elisabetta e da allora pare che il vino inglese sia sempre più presente sulla tavola dei Windsor, soprattutto alla luce dell'impegno ambientalista del principe Carlo, che predilige il più possibile i prodotti locali e stagionali. I riconoscimenti internazionali ormai non si fanno mancare. Lo scorso anno sempre Ridgeview Estate ha vinto la medaglia d'oro per migliore vino frizzante, battendo altri 700 produttori di tutto il mondo, Champagne incluso, con un blanc de blancs del 2006. Complice il surriscaldamento globale ed un terreno molto simile a quello dello Champagne, del Sancerre e dello Chablis, sempre più persone stanno piantando vigneti nel sud dell'Inghilterra, in contee come il Kent, il Sussex, l'Hampshire e il Dorset, persino alcuni in Dorset e nella ventosa Cornovaglia. 
I numeri non mentono: se nel 1990 l'Inghilterra aveva soltanto 56 ettari di vigneti per lo più piantati con chardonnay, pinot nero e pinot meunier (guarda caso proprio le tre uve che vanno a finire nello Champagne), nel 2007 gli ettari erano diventati 267 e nel 2010 ben 550.


Un mare di INUTILI denominazioni di origine


Troppe, inutili, sovrapposte e sempre più spesso legate a patti politici. Di cosa parliamo? Ovvio, delle denominazioni di origine controllata italiane. 
Doc e Docg, che teoricamente dovrebbero tutelare maggiormente il consumatore  finale circa la qualità del vino, oggi stanno vivendo una nuova fase di sviluppo come se tutte quelle create fino ad ora, circa 340, non bastassero a creare confusione e disordine mentale.
In questi ultimi c'è stato lavoro frenetico del Comitato Nazionale Vini a Denominazione d’Origine, che ha ampliato la mappa delle Doc e Docg  di Lazio, Toscana, Campania e Sicilia.


Sulla mia Regione ho già detto quello che pensavo sulla nuova Doc Roma ed il ruolo della Romanella anche se, bisogna aggiungere, i Castelli Romani stanno vivendo una nuova stagione di rilancio con la creazione delle Docg Frascati Superiore e Frascati Cannellino.
Sulla reale ed attuale qualità di questi due vini non mi esprimo ma le mie perplessità sono anche quelle di altri appassionati.


Anche in Toscana, ovviamente, non si fanno mancare nulla per cui via libera per il riconoscimento della Docg "Montecucco Sangiovese", prodotta in provincia di Grosseto, gia' riconosciuta quale tipologia della DOC "Montecucco"  E' stata conseguentemente modificata la DOC "Montecucco", dal cui disciplinare e' stata estrapolata la tipologia "Sangiovese" nonche' inserite le tipologie tradizionali "Vin Santo" ed apportate variazioni in merito alla base ampelografica di talune tipologie produttive gia' in essere. E' stata valutata, inoltre, positivamente l'istanza di riconoscimento della Doc "Maremma Toscana" le cui attuali tipologie sono prodotte come IGT. 
A breve chiederò ai principali produttori maremmani cosa ne pensano di tutto questo...


In Campania, invece, ad un mese dall'approvazione della Docg Aglianico del Taburno lo scenario produttivo sannita si completa con la creazione dellae denominazioni Sannio Doc e Falanghina del Sannio Doc
I bene informati scrivono che i due nuovi disciplinari di produzione dovranno semplificare il panorama vitivinicolo dei vini di qualità della provincia di Benevento che vedrà solo due Doc.  
La ‘Sannio’, con sei categorie di vini (tranquillo, frizzante, spumante, spumante di qualità, spumante di qualità metodo classico, passito), quattro sottozone che rappresentano le aree delle attuali Doc. 
La seconda Doc-Dop è rappresentata dalla ‘Falanghina del Sannio’, incentrata esclusivamente sull’omonimo vitigno, e che prevede sei categorie (tranquillo, spumante, spumante di qualità, spumante di qualità metodo classico, passito e vendemmia tardiva) con le medesime sottozone (esclusa la Solopaca Classico). 


WineNews, invece, riporta che la Doc Sicilia ha ricevuto il parere favorevole del Comitato Nazionale Vini superando, con la classica deroga all'italiana, il problema del c.d. "ambito aziendale", tanto ostacolato dalle cantine sociali, che obbliga il produttore a rispettare determinate percentuali di produzione di vino da vitigni autoctoni per poter utilizzare il marchio Doc Sicilia.

Scommettiamo che questo teatrino non finisce qua?

Vodka Eyeball, mai visto nulla di così idiota!


Guardate questo video 


L'ultima moda alcolica si chiama Vodka Eyeball e consiste nel versarsi vodka, o in generale distillati, negli occhi.
Praticamente sta stronzata, lanciata all'interno dei circoli studenteschi americani ed inglese, consiste nel far aderire l'imboccatura della bottiglia all'occhio versandosi alcol direttamente nel bulbo oculare.
L'effetto è immediato perchè l'alcol passa facilmente attraverso le mucose ed entra nel flusso sanguigno direttamente nelle vene sulla parte posteriore dell'occhio. 

Ovviamente, moltissime sono le controindicazioni: si può partire da un "banale" bruciore ed arrossamento degli occhi fino ad arrivare a lacerazioni che, nei casi più gravi, possono rendere necessario il trapianto di cornea.


Le prime informazioni sul vodka eyeballing in America sono giunte grazie alla CBS con questo articolo. Purtroppo la moda è arrivata anche in Italia, soprattutto a Roma dove i farmacisti di Campo de' Fiori denunciano un grande incremento della vendita di colliri nei fine settimana.
La cosa più sconcertante? I circa 800 video che sono caricati su Youtube. Quando si parla di cattivi maestri...


A Pasqua con i marziani del vino?


Cosa hanno in comune queste due foto?



Apparentemente tutto visto che la prima foto sembra la capsula spaziale con la quale è giunto sulla Terra il nostro simpatico marziano.

Oppure, visto che stiamo a Pasqua, è un simpatico uovo gigante al cioccolato bianco?



Nulla di tutto questo, il misterioso uovo gigante non è altro che una delle botti  di cemento ovali utilizzate da Tenuta La Ghiaia per affinare il loro vino.



Evidentemente la botte Ovum ha fatto proseliti.

Visto che siamo in tema... Buona Pasqua a tutti!


La birra è come il Viagra? Chiedetelo al principe William!


Tanto tempo fa leggevo su Mondo Birra un articolo legato agli effetti afrodisiaci legati al consumo della bevanda.
In pratica un medico di Praga, il Dottor Pavel Zemek, sostiene che bere birra ogni giorno migliora le capacità sessuali del maschio.  

"Una vita sessuale sana ed attiva è anche importante per invecchiare bene", ha dichiarato il gerontologo praghese, "bevendo due birre al giorno gli uomini eviterebbero la maggior parte dei problemi di impotenza". 
Il dottor Zemek ha compiuto approfondite ricerche che dimostrerebbero come la birra abbia un potente effetto sulle arterie e ne rallenti la sclerosi, una delle principali cause dell'impotenza.
In un'intervista concessa al quotidiano Narodna Obroda, Zemek ha però avvertito che l'effetto positivo non è proporzionale alla quantità di birra consumata. Anzi, l'uso smodato porterebbe a risultati opposti a quelli desiderati. La ricetta del dottore è quella di due birre al giorno, ma non specifica se prima, dopo o durante i pasti.


Alla tesi del gerontolo ceco sembra credere moltissimo la Brew Dog, giovane microbirreria scozzese che ha predisposto un regalo molto particolare per il principe William e la sua futura sposa Kate Middleton: la Royal Virility Performance .

Fonte: Tgcom
La birra in questione è una India Pale Ale da 7,5 gradi che oltre al Viagra (promettono i produttori), contiene cioccolata ed epimedio (una pianta dalle note proprietà afrodisiache) e, sempre alle parole dei produttori “una buona dose di sarcasmo".
Sull’etichetta della birra si legge “In grado di potenziare il Principe Willy: una birra per dare una scossa alle parti basse dei novelli sposi reali, in grado di evoca dall’oltretomba gli spiriti delle passate principesse e curare ogni esitazione nei re balbuzienti. Mettiamo un sorriso sui loro volti reali.” 
E una piccola avvertenza : “Si richiede di prestare la massima attenzione e di riuscire a tenersi in piedi nel momento in cui si ascolta l’inno nazionale.” 

Fonte: Tgcom
L’iniziativa, chiaramente pubblicitaria, ha comunque una finalità nobile: il 20% dei proventi dalla vendita della Royal virility performance andranno devoluti all’associazione di carità Centrepoint, lo stesso ente supportato dal principe William. La birra, inoltre, sarà in vendita sul sito web della birreria a 10 sterline.

Il futuro sposo accetterà il regalo?


Fonti: 121doc.it, Tgcom, Mondo Birra

Il Rosso di Montalcino di Podere San Lorenzo. E voi lo volete cambiare?


Luciano Ciolfi di Podere San Lorenzo è un giovane produttore che sto seguendo da anni per cui sono particolarmente contento che quest’anno, col suo Brunello 2006, finalmente stia raccogliendo i meritati riconoscimenti mediatici. 
In gergo baudesco posso con orgoglio dire che Podere San Lorenzo l’ho inventato io!! 


Scherzi a parte, con Luciano, ospite graditissimo anche durante il Percorsi di Vino Wine Fest, abbiamo ultimamente affrontato il tema del cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino e lui, da sangiovesista convinto, mi ha detto:”Te lo porto io il mio Rosso, facciamo una verticale e vediamo se davvero questo è “vinello” mediocre che non si vende”.

Detto, fatto. Davanti a noi abbiamo tutta la batteria del suo Rosso di Montalcino, dall’annata 2003 fino alla 2008. Il risultato ve lo offre la mia prima fotorecensione.

Rosso di Montalcino 2003


Rosso Montalcino 2004


Rosso Montalcino 2005

 
Rosso Montalcino 2006


Rosso Montalcino 2007


Rosso Montalcino 2008

 
  Ah, a chi indovina le descrizioni un regalo a sorpresa!

Colfóndo e il tasting panel di Bele Casel


Il recente Vinitaly mi ha permesso anche di ritrovare il prosecco di Bele Casel che, per quest’anno, aveva riservato una sorpresa a blogger ed appassionati: il tasting panel Colfóndo!

Fonte: madeinbrescia.org
In cosa consiste? In pratica Luca Ferraro mi ha fornito di una bella confezione contenente quattro bottiglie, due col tappo a fungo classico, una col tappo a corona rosso e una col tappo a corona color acciaio. In sostanza si tratta di degustare e valutare due diversi imbottigliamenti con due (anzi tre) diversi sistemi di tappatura.

Il prosecco Colfóndo con la “vecchia” etichetta con la rocca di Asolo è stato proposto con due versioni di tappatura: tappo a fungo e tappo a corona (rosso).
La bottiglia avente la prima tipologia di tappo, che Luca mi spiega essere sempre andato bene, presenta nel bicchiere un prosecco inizialmente caratterizzato da note sulfuree a cui, col tempo e l’ossigenazione, seguono cenni di crosta di pane, banana e pera. In bocca è un mix di frutta a polpa bianca e sensazioni minerali, è di discreta ampiezza anche se, nel finale, percepisco un leggera nota ammandorlata che non un po’ mi disturba.

Vecchia etichetta
Il prosecco col tappo a corona rossa, spiega Luca, dopo circa quattro mesi dall’imbottigliamento era caduto in riduzione spinta dove la sensazione di aglio la faceva da padrone fino a qualche mese fa quando, fortunatamente, i lieviti hanno deciso di riassorbire tutti gli odori sgradevoli del vino. Aprendo questa bottiglia ho potuto constatare che ciò era vero parzialmente perché il Colfóndo mi è risultato sempre un po’ chiuso, meno espressivo e con l’aglio ancora a fare leggermente da eco. Col tempo le cose un po’ sono migliorate ma il prosecco è rimasto sempre statico e, cosa strana, mi è sembrato che, rispetto al precedente, abbia perso quasi subito la sua frizzantezza. Poco convincente di certo.


Il Colfóndo con la nuova etichetta è stato proposto sia col tappo a fungo sia col tappo a corona che, in questo caso, era dotato di una guarnizione traspirante che lascia passere piccole quantità di ossigeno all’interno della bottiglia.
Tra le due tappature del “nuovo” Colfóndo non ho trovato grandissime differenze mentre uno stacco evidente l’ho notato tra le due etichette.
Il nuovo imbottigliamento mi è sembrato più maturo e conscio del fatto che bisognava cominciare a trovare una quadratura del cerchio soprattutto alla gustativa.
Al naso il nuovo prosecco mi sembra giochi più su evidenze di frutta a polpa bianca, pera williams soprattutto. Poi esce la nota di mela, pompelmo, lievito e solo in fondo risento il tratto minerale del prosecco. Al gusto mi sembra abbia più equilibrio del suo predecessore, con evidenti note di pera e banana al palato e una chiusura più lineare dove non ritrovo, fortunatamente, l’amaro finale del prosecco vecchia etichetta.

Nuova etichetta


Il vino è questione di etichetta?


Sul Corriere della Sera qualche giorno fa è uscito un articolo a firma di Eva Perasso che riprendeva i risultati finali di un test scozzesse sul presunto condizionamento dei degustatori davanti ad etichette di (presunto) pregio. 


L'articolo, che riprendo integralmente, spiega che il test si è svolto nei giorni scorsi a Edimburgo, nel corso del Festival internazionale della scienza che si chiuderà il prossimo 22 aprile. 
I ricercatori in psicologia dell'università dell'Hertfordshire hanno messo davanti a due bicchieri circa 600 volontari. Nel primo un rosso o un bianco o bollicine da supermercato, nel secondo lo stesso vino, questa volta di etichetta datata e prelibata. 
I prezzi andavano da circa 5 euro per le bottiglie economiche a un range compreso tra i 12 e i 40 euro per quelle più preziose. I vini provati variavano da un Pinot grigio a un Sauvignon, da un Merlot a uno Shiraz e l'esperimento è stato condotto anche su due champagne, il primo da circa 20 euro e il secondo di una marca con prezzi di mercato da quasi 40.

LE REAZIONI – Risultato del test: con la probabilità di indovinare del 50 per cento, ovvero rispondendo questa è la bottiglia vintage, questo è il vino da pochi euro, la metà degli interpellati ha clamorosamente sbagliato. Il che significa che i bevitori, senza sapere cosa stavano gustando, non avevano mezzi e cultura o papille abbastanza educate da capire il livello del nettare d'uva servito nei loro bicchieri. A dimostrare che la percezione di quel che essi bevono è data soprattutto dal condizionamento psicologico nel vedere l'etichetta, leggere il nome del vino, conoscerne il prezzo. 

Come conferma anche lo psicologo professor Richard Wiseman, che ha guidato la ricerca: «I risultati sono eclatanti. Le persone non sono state in grado di riconoscere un vino caro da uno economico e in questi tempi di ristrettezze economiche il messaggio è chiaro: i vini meno facoltosi che abbiamo provato, avevano per loro lo stesso sapore di quelli preziosi». 
Quel che i ricercatori non hanno detto è che se dalla Scozia, terra più nota per ottimi whisky e birre, il test fosse riproposto in Italia o in Francia, magari i risultati cambierebbero.


La romanella sarà lo spumante della Doc Roma. Incubo.


Al Vinitaly avevo sentito qualcosa ma pensavo fosse la solita fuffa politica. Poi, leggendo qualche sito e qualche blog, ho capito che forse l'incubo era diventato realtà.
Erder Mazzocchi, commissario straordinario dell'Arsial, vuole (ri)lanciare nientepopodimeno che la romanella!!!!!!!!!!!

Per chi non è di Roma segnalo che la romanella non è altro che un vino frizzantino non meglio identificato che solitamente viene consumato nelle fraschette dei Castelli Romani tanto per mandar giù porchetta e coppiette.
Come sia fatto questo vino nessuno lo sa, dovrebbe esser un vino rifermentato in bottiglia ma, vista la qualità e, soprattutto chi lo vende, nulla mi vieta di pensare che sia fatto anche con bustine varie....

Foto tratta da Bevilo.com
La cosa che mi fornisce i brividi maggiore è l'intervista fatta a Mazzocchi che spiega come sia "particolarmente rilevante il consenso ottenuto sulla nuova tipologia spumante della Roma Doc, la Romanella, che recupera la grande tradizione dell’enologia castellana caduta in disgrazia in questi ultimi anni, e che noi, insieme ai produttori, abbiamo voluto recuperare dall’anonimato, restituendogli una dignità in termini legislativi, per riportare questo nobile spumante ai fasti di una volta
Uno spumante che saprà coniugare territorialità con i vitigni autoctoni, eccellenza qualitativa con basse rese per ettaro, ma anche un ottimo rapporto qualità/prezzo, proponendosi come variante spumante per una larga base di produzione enologica provinciale”.


Mazzocchi, parla con me. La romanella non è uno spumante e, soprattutto, quando mai è stato importante?
Ma ca@@o, questo sarebbe marketing territoriale innovativo? 

E' un suicidio collettivo!

Il Riesling in 700 battute? Missione impossibile anche per Bibenda7


Quando me l’hanno detto non ci volevo credere per cui, curioso come una scimmia, sono andato a vedere se Bibenda 7 n° 3 del primo aprile contenesse davvero quell’articolo.


La faccia di Valeria Rossi è simile a quella della Clerici che, in versione sommelier, cerca di spiegare in 700 battute cos’è il Riesling. Un pò come spiegare in mezza paginetta l’origine dell’universo....

Scorro l’articolo e noto come questo vitigno venga localizzato in Italia SOLO in Trentino Alto Adige ed in Friuli tralasciando le varie espressioni piemontesi, sicuramente le migliori in Italia e, per completezza, quelle lombarde (oltrepò pavese) e toscane.
Se poi mi scrivi che il Riesling di San Michele Appiano è un il punto di riferimento del nostro Paese allora comincio a tremare…

Fonte: Grappolorosso.blogspot.com
Vado avanti nella lettura e leggo, nella parte storica, che “l’origine più probabile del Riesling Renano è quella della vallata del Reno, in particolare la Mosella”.
Deglutisco e ripenso alla mia severa insegnante di geografia che avrebbe “infartato” ad una espressione del genere perché, cara Valeria, c’è la valle del Reno e quella della Mosella, due fiumi diversi tra loro….

La Mosella
Tiro avanti e leggo che…bla bla bla…è in Austria che il Riesling renano occupa un posto di massimo livello tra i vitigni in campo internazionale…bla bla bla..i suoi sentori da giovane sono questi mentre quelli da “vecchio” sono quest’altri.

FINE

Fine???? E la Mosella? Mi dici che il Riesling è originario della zona e non scrivi due, dico due righe sulla grandezza di questi vini in Germania? Metti l’Austria e non il paese di elezione di questo vitigno?

Capisco le 700 battute, l’essere sintetici con un argomento da tesi di laurea ma….in Redazione non c’è nessuno che controlla?


P.S.: la Rossi si è cimentata questa settimana col Pinot Nero. Altra missione impossibile, per le 700 battute, ma il risultato è gradevole. Brava.

Qualche produttore di Cesanese del Piglio sarà contento......


Giacomo Dente de Il Messaggero ha pubblicato un articolo col quale esalta, tra i vari vini del Lazio presenti al Vinitaly, anche il Cesanese del Piglio che viene definito come "un vino di grandissima personalità come il Cesanese del Piglio, che secondo molti degustatori possiede caratteristiche di profumi e di eleganza che tirano verso la Bourgogne".

Le cose sono due: qualcuno non ha mai degustato un pinot nero francese oppure, sempre quel qualcuno, vuole avere molti santi in paradiso.

Davvero, e mi rivolgo a voi produttori, siete d'accordo con quello che è scritto sul giornale? Su, per cortesia, siate onesti con voi stessi.

Andrea Scanzi, in un recente articolo, ha paragonato il Cesanese del Piglio ad un Rodano. Decisamente una lettura migliore.

Ma tanto io sono il cattivo che parla male del Cesanese. Sarà che sono onesto e non adulatore?


Ah, l'articolo contiene anche questo passo: "Non per caso l’ultima edizione di Slow Food di Carlin Petrini ha elevato il Lazio a territorio di assoluto spessore enologico...". 

Se il Cesanese è enttrato in guida è anche merito mio. Sappiattelo.