Quando l’ho conosciuto lo scorso anno al Vinitaly, insieme a Simona Fino ed Elena Fucci, era l’unico del nostro tavolo ad avere lo sguardo perso nel vuoto, i suoi occhi tradivano una mente che stava vagando altrove, forse era tornato nella sua villa a Palari, forse stava pensando al prossimo restauro.
Salvatore Geraci, verso la fine degli anni ’80 era conosciuto a Messina e dintorni per la sua bravura come architetto e per la sua passione politica (fu assessore provinciale alla Cultura e al Turismo) e sono sicuro che se gli avessero predetto un futuro da vignaiolo di successo si sarebbe fatto di certo una risata sebbene fosse cresciuto a pane arrostito imbevuto col vino di famiglia.
Salvatore Geraci |
Di quei tempi, però, avere un’amicizia con Gino Veronelli era “rischioso” perché fu proprio il Maestro, parlandogli della doc Faro, a quei tempi ormai quasi dimenticata, a suggerirgli di farla rivivere.
Geraci ci pensò su solo un attimo, solo il tempo di considerare le vigne di famiglia e Veronelli gli presentò Donato Lanati.
«Veronelli mi mise in contatto con Donato Lanati, enologo piemontese. Era a Pantelleria e lo convinsi a fermarsi da me qualche giorno, prima del rientro. Si arrampicò su per le vigne, prese dei campioni di terra da analizzare, si guardò intorno. Penso che lì, proprio nella vigna, grazie alla bellezza del posto, i suoi dubbi si siano piano piano andati dissolvendo. Ma su un punto Lanati era fermo: quello di fare un grande vino. Da 4 ettari, disse, o si fa un grande vino o non si fa niente. E d’altronde anch’io non avevo nemmeno per un attimo considerato l’idea di fare un vino tanto per fare. Certo dire adesso che mi aspettavo che sarebbe andata come è andata...».
La scommessa era iniziata anche se c’era un “piccolo” problema ancora da risolvere: la cantina. L’impellente necessità fa trasformare la settecentesca villa di famiglia, Villa Geraci, in un luogo dove le vasche di fermentazione, le barrique francesi e i magazzini di stoccaggio prendono il posto dei mobili di antiquariato e delle tante stanze da letto per gli ospiti.
La Cantina |
La pazzia e il business fanno sì che nel giro di un anno il vitigno di Santo Stefano Briga comincio a produrre le prime bottiglie di Faro Palari. Era il 1990, l’inizio della nuova era per la Doc Faro.
Questo Natale ho voluto stappare il secondo vino di Geraci, il Rosso del Soprano (nerello, mascalese, nocera, cappuccio, galatea) che, vivendo all’ombra della fama del Faro Palari, dal mio punto di vista è ingiustamente poco conosciuto ed apprezzato.
Ho aperto l’annata 2005 con molto timore, sei anni sulle spalle possono essere tanti per molti grandi vini, figuriamoci per il “vino base”di un’azienda anche se blasonata come questa. La sorpresa è ritrovarsi nel bicchiere un vino maturo e dalla grande bevibilità, un rosso tutt’altro che stanco caratterizzato da sensazioni di frutta di rovo, spezie nere e rosa selvatica.
Al palato rivela struttura, morbidezza e un lieve finale balsamico che, speranzoso, cerca di farti dimenticare dei parenti di là in salotto che si stanno sgargarozzando un Ronco da paura.
Unico neo? Il prezzo, se fosse leggermente minore (siamo mediamente sulle 15 euro in enoteca) renderebbe più popolare questo vino.
Foto: Arte Gastronomica e sito aziendale
Nessun commento:
Posta un commento