La verticale di Taurasi Campoceraso di Mario Struzziero


Senti parlare Mario Struzziero e capisci che c’è qualcosa che non va, le tue orecchie stanno ascoltando un uomo che il moderno marketing farebbe a pezzi in un istante. Intimidito, tra giornalisti, sommelier e schiere di appassionati, con un filo di voce ci racconta che:”…quello che avete nel bicchiere è un campione di botte, si tratta del Taurasi Campoceraso 2004". 

D u e m i l a q u a t t r o, me lo ripete, lentamente, anche il simpatico vecchietto petulante che ho accanto. 

Mario rincara la dose spiegando che questo millesimo:”..è uscito dopo aver saltato l’annata 2002 e 2003. Non ci ha convinto nemmeno la 2005 e la 2006 per cui non uscirà nulla”. 
Ripensi, ad esempio, al Solaia 2002 “Annata Diversa” e cominci a pensare che davanti a te c’è un vignaiolo e, soprattutto, un galantuomo di altri tempi, così diverso dal manager vitivinicolo moderno da sembrare finto.
Il vino, il loro vino, lotta contro il tempo e, soprattutto, resiste alla pressioni dell’ignorante quanto esigente mercato che cerca prodotti subito pronti e disponibili per poi prendere per il collo il vignaiolo che non riesce a vendere come l’utopia gli aveva promesso.
Attualmente in commercio ho l’annata 2001, i vini escono solo quando riteniamo che per noi siano pronti” ci dice tra l’orgoglioso e il timoroso.

Struzziero e Pignataro
Rivedendo il curriculum della famiglia Struzziero capisci che, nel mondo del vino, quelli fuori posto non sono loro. Anzi, dovrebbero andare alla Bocconi per un seminario MBA su come si gestisce un’azienda nel tempo perché gli Struzziero sono una solida realtà irpina dal 1920, da quando il signor Elisiario, nonno di Mario, ha capito che serietà e tradizione sono le uniche armi vincenti del vignaiolo che ben conosce le potenzialità del suo territorio.

Mario con suo padre. Fonte: Luciano Pignataro
Quel rispetto contadino è passato da una generazione all’altra fino ad arrivare a Mario, enologo dal 1989, che assieme al padre Giovanni, ancor oggi, è in grado di gestire con amore i 13 ettari del suo vigneto composto da fiano, greco e aglianico.
Il Taurasi “Campoceraso”, proposto in verticale dal 1977 al 2004, è il Cru aziendale ottenuto da uve aglianico derivanti dai vecchi vigneti di Venticano e Torre Le Nocelle. Vinificazione e affinamento nel corso degli anni non hanno subito stravolgimenti: il “credo aziendale” prevede solo lunghe macerazioni sulle bucce e affinamento in botti di rovere di Slavonia da 10 hl.


2004 (campione di botte): inizialmente soffre un po’ di riduzione ma col tempo l’aglianico si apre su note prettamente fruttate di amarena e, in generale, di un frutto rosso bello turgido. L’evoluzione si percepisce appena visto che le note di tabacco e liquirizia sono solo accennate. In bocca stupisce per il buon equilibrio già raggiunto, per la sapidità e per una vena acida che, per dirla alla Paolini, è più verticale che trasversale. E’ solo all’inizio del suo viaggio ma durerà molto a lungo.


2001: è l’annata attualmente in commercio e, se questa è l’impronta di Struzziero, capisci subito la qualità media delle loro produzioni. Il frutto è in secondo piano, all’olfattiva predominano i fiori rossi secchi, la prugna, la vena balsamica, il caffè. Al sorso godiamo per l’equilibrio tra ogni componente del vino che, rispettando quando avevamo percepito al naso, ci accompagna in una lunga persistenza giocata su eleganti aromi terziari.

1997: vista l’annata ti aspetti la sòla, come si dice a Roma, ed invece la fregatura te la danno i tuoi pregiudizi. Questo aglianico ha qualcosa in più dei suoi colleghi nebbiolo e sangiovese, perché al naso, nonostante l’evoluzione, è profondo, per nulla scontato mentre alla gustativa risulta ancora teso, avvolgente, con un tannino perfettamente fuso all’interno di un vestito strutturale dove tutto è eleganza e suadenza.

1990: è stato il mio preferito, lo premetto, e i motivi sono molto semplici: è un Taurasi commovente perché al suo interno c’è la memoria del gusto e il gusto della memoria. E’ un vino che forse non esiste più, ha una linea d’antan, tremendamente fuori moda ma, nonostante tutto, rimane un classico almeno per me che amo certi odori e certi sapori di cantina, di antico. Non pensate male, il vino è perfettamente vivo, equilibrato, è un pezzo di cuore di Struzziero…

1977: il bicchiere questa volta oltre che riportarci memorie di un passato orgoglioso ci mostra che un vino, se prodotto con amore e rispetto, può donare dopo 34 anni ancora emozioni. E’ questo un aglianico del tutto spogliato delle sue dure essenze giovanili, qua si percepisce ormai un’anima “dolce” dove le sensazioni di cola, frutta secca, cera, olio per mobili la fanno da padrone sia al naso che in bocca. La freschezza croccante e verticale della 2004 è un lontanissimo ricordo, ora la spinta acida serve solo per accompagnare una beva metafisica che riempie più la testa che la pancia.


Ulteriori appunti di degustazione li trovate anche su L'Arcante.

2 commenti:

luciano pignataro ha detto...

Sono contento di non essere stato l'unico a preferire il 1990:-)
In questo post hai colto l'essenza della cosa: Struzziero è l'espressione della cultura vitivinicola pre-marketing anni '90 con i suoi pregi ma anche con i suoi difetti.
Ma proprio per questo oggi molto interessante

Andrea Petrini ha detto...

Grazie a te per avermelo fatto conoscere, nel Sud Italia ci sono delle chicche da riscoprire