Bere in Giappone: non solo sakè


Questo fine settimana andremo a scoprire come si beve in un paese molto lontano dal nostro, non solo per via della grande distanza.
Il Giappone sarò oggetto di studio da parte di Percorsi di Vino cercando di capire che bevono i nostri amici dagli occhi a mandorla con un occhio, ovviamente, sul nascente e crescente mercato del vino.
Iniziamo il "percorso formativo" andando a leggere quanto pubblicato poco tempo fa da Wine News  relativamente alla tappa nipponica che il Vinitaly Tour.


Il mercato del vino del Giappone è ancora piccolo, con 2 soli litri procapite all’anno, ma non mancano i luoghi dedicati ai cultori del vino come, ad esempio, la catena di supermercati Isetan, e in particolare quello nel quartiere di Shinjuku: in uno dei più grandi food store della capitale giapponese, c’è un’area tutta dedicata solo al vino, dove accanto ai dominatori francesi di Bordeaux, Borgogna e Champagne, l’Italia ha un ruolo di primo piano. Qui il vino del Belpaese non è diviso regione per regione, concetto difficile da comunicare al cliente giapponese, ma per “zona”: Nord, Centro e Sud. 
Fondamentali, per vendere il vino italiano, le “fiere” nei punti vendita, ovvero periodi dedicati alla produzione tricolore in cui staff specializzato spiega tutte le caratteristiche delle etichette. 750 le etichette da tutto il mondo, con un 25% di referenze del Belpaese, con la fascia di prezzo che va per la maggiore che si conferma intorno ai 2.500 yen (22 euro), dove contano molto le etichette che riportano “medaglie” o premi, che rendono allettante la bottiglia per un consumatore che probabilmente non conosce a fondo il panorama vinicolo italiano. Curiosità: i giapponesi acquistano solitamente 2 bottiglie alla volta, una di vino rosso e una di vino bianco.


Per chi invece vuole un luogo dove il vino sia il protagonista assoluto c’è il Wine Market Party, nel quartiere di Ebisu: aperto nel 1994, contra 1.000 etichette da tutto il mondo, con il 15% rappresentato dall’Italia, dove si trovano, nell’area principale del negozio, tutti i vini sotto ai 2.500 yen, ma anche una speciale “cantina” dove vengono conservate e proposte le bottiglie più pregiate e costose (e dove la quota di presenza italiana sale al 30%). Ma qui non si trovano solo bottiglie: i wine lovers possono comprare tutti gli accessori più disparati per servire il vino, dai classici cavatappi e secchielli per il ghiaccio, a dei “kimono vesti-bottiglia”, oltre ai tanti manga dedicati o ambientati nel mondo di Bacco, come il famoso “The Drops of God” (Le Gocce di Dio), creato da Tadashi Agi (pseudonimo che rappresenta il team dei fratelli Yuko e Shin Kibayashi, 4.300.000 copie vendute solo in Giappone), capace di far impennare le vendite del vino di cui si parla in ogni numero.

Ma se è vero che il mercato del Giappone è diverso da tanti altri mercati asiatici per il maggiore livello di competenza dei consumatori, è anche grazie a luoghi dove si studia letteralmente il vino.
Come l’“Academie du Vin”, fondata nel 1987 dal britannico Steven Spurrier sul modello di quella di Parigi (del 1972), dove ogni anno, nella sola sede del quartiere di Shybuya “istruisce” ogni anno 4000 studenti, con corsi per semplici appassionati o per chi vuole diventare sommelier superando l’esame della Japan Sommelier Association. Lo studente medio? Il 65% è donna, sui 35 anni e con una buona capacità di spesa, visto che per 2 ore di lezione del corso di primo livello si pagano 8000 yen, che salgono a 10000 se si punta a livelli più alti.


I corsi sono specializzati per Paese produttore, con l’Italia che attira il 20% degli studenti, con dei percorsi di formazione che prevedono non solo degustazioni, ma anche presentazioni di vini alla presenza dei produttori (invitati tramite gli importatori) e, di tanto in tanto, anche viaggi organizzati nei Paesi di cui si è scelto di approfondire la cultura enologica.


Babbo Natale per enosboroni!


Tempo di regali questo, sui vari blog enogastronomici c’è tutto un fiorire di consigli per gli acquisti per il prossimo Natale.
Anche Percorsi di Vino prova a dare qualche suggerimento per le prossime feste natalizie focalizzando l’attenzione su un grande problema esistenziale: cosa regalare agli amici enosborni?
Se amano molto Robert Parker e tutto ciò che è americano il mio consiglio è regalare loro la tessera del club di Michael Mondavi. L’associazione si chiama Private Cellars ed è molto esclusiva darà la possibilità ai suoi membri di visitare le più prestigiose cantine del mondo (Ornellaia, Caprai), di partecipare agli eventi più esclusivi dedicati al vino, di organizzare eventi e party con lo stesso Mondavi e i suoi prestigiosi vini, di incontrare altri grandi appassionati e intenditori di vini di altissima qualità.


Se i vostri amici hanno invece voglia di campagna potete regalare loro un filare. Ci sono molte possibilità di scelta: contattate ad esempio il Comune di Castagnole che ha sviluppato un progetto che prevede la possibilità di scegliere una porzione di filare di Barbera visualizzandola direttamente nell’apposita sezione "La mappa dei filari" del sito www.lanze.it e nella sezione dedicata alla photogallery; si parte da una spesa di 100 euro per adottare un minimo di 20 metri di filare e ricevere, alla fine della vinificazione, il vino prodotto dalla propria porzione di vigneto, quantificato in 12 - 15 bottiglie. Bello vero? I vostri amici finalmente potranno dire che a tavola c’è il loro vino!


Se invece i vostri amici non sanno più dove mettere le loro bottiglie pregiate, Percorsi di Vino vi consiglia la soluzione ideale: contattare ‘Au Bonheur du Vin’ a Ginevra, in Svizzera. In pratica si porta il vino (solo vino….) in Svizzera e si affitta il caveau di una banca privata che permetterà di conservare le bottiglie a umidità e temperatura controllata e in tutta sicurezza.
Au Bonheur du Vin è un ‘mini-Fort Knox’, costruito nel 1988 come rifugio antiatomico per il personale della banca. Il caveau è una stanza completamente priva di odore, anti-sismica e con temperatura e tasso di umidità ideali e costanti. In questo bunker sotterraneo i vini sono protetti da numerose videocamere, complesse password e infine da un sistema di doppia chiave.
Nel caveau a Ginevra ci sono già 37.000 bottiglie di vino appartenenti a solo 137 clienti, tra cui alcuni esemplari unici di Château d’Yquem 1899. Un caveau analogo si trova nel cuore storico di Parigi, vicino al Louvre. Qui sono le vecchie cantine di Luigi XV Sommelier a offrirvi le condizioni ideali di conservazione per il vostro amato vino. Il costo della custodia va da 0.20 a 0.37 euro al mese per bottiglia (compresa l’assicurazione) e vengono anche ritirare le bottiglie a domicilio!


Contenti dei consigli per Natale? Al primo che commenta che sono tutte “stupidaggini” una bottiglia in regalo…..

Paolo Cianferoni: un contadino a Caparsa


Si definisce umilmente contadino del Chianti e, se passi a trovarlo in cantina, non puoi non dargli ragione visto che fin da subito ti rendi conto che il suo legame con Caparsa è unico e inscindibile.
In questo piccolo podere Paolo Cianferoni ha tutto il suo mondo, la sua compagna di vita Gianna, i suoi cinque splendidi figli, e la sua terra, un vigneto di 11 ettari posto a 450 metri s.l.m. dove alberese, galestro, argilla e sabbia formano un substrato ideale per il Sangiovese e le altre uve autoctone piantate (Colorino, Trebbiano, etc.) alcune delle quali risalgono ad oltre 40 anni di età.

Fonte: Enoclub Siena
L’amore per la natura è talmente radicato nel contadino Cianferoni che da oltre quindici anni in azienda non si adottano prodotti di sintesi ma solo antiparassitari a base di rame e di zolfo che vengono usati solo quando serve grazie all’ausilio di un sistema di monitoraggio computerizzato dei dati ambientali tramite centralina meteorologica.


Su tutta la superficie aziendale, inoltre, è praticato l’inerbimento per diminuire l’erosione del suolo, la trinciatura del prato due/tre volte l’anno e, per quanto riguarda la concimazione delle piante, si utilizza solo con letame, prodotti organici e il sovescio, una tecnica agronomica che, ad anni alterni, permette di interrare tra i filari dei vigneti il favino, una leguminose che arricchisce spontaneamente il suolo di azoto, nutriente importante per la fertilità del terreno.
I minuti con Paolo passano troppo rapidamente, staresti ore a sentirlo parlare di agricoltura, di Chianti e dei sogni di realizzare una cantina più grande, più bella.
A Caparsa non si producono vini modaioli, fatti per impressionare giornalisti e guide, qua è il territorio che la fa da padrone e Paolo deve solo adeguarsi all’annata, tremenda quest’ultima dove più del 70% del raccolto è stato compromesso dalla grandine e da un clima troppo altalenante soprattutto nelle prime fasi di vegetazione della vite. “Va bene così, vuol dire che i pochi grappoli che ho ancora sulle piante sono di grande qualità e concentrazione” mi dice Paolo un po’ sconsolato.


I suoi vini rossi, soprattutto il Caparsino e il Doccio a Matteo, sono molti lenti, slow wine li ho definiti, perché bisogna attenderli, appena usciti vanno pazientemente messi in cantina e là dimenticati per qualche anno, solo il tempo di renderli più mansueti e adatti al palato del grande pubblico, giornalisti compresi che oggi peccano di lungimiranza evitando di mettere in guida sangiovese col senno del poi.
In cantina abbiamo degustato tre anteprime assolute.



Rosso di Caparsa 2009 (sangiovese 100%): il 2008 ha ricevuto la segnalazione su Slow Wine come “Vino Quotidiano” e pochi dubbi ho sul fatto che il prossimo anno anche questo millesimo sarà presente di nuovo in guida. Siamo di fronte ad un vino che costa 5 euro circa in cantina che offre una beva eccezionale, schietto e di grande freschezza è un vino del contadino di grande purezza espressiva. Da comprare all’uscita.

Chianti Classico Caparsino Riserva 2007 (sangiovese 95%, canaiolo e malvasia nera 5%): l’annata da queste parte è di quelle abbastanza calde e il vino si presenta rosso rubino cupo e, dopo una fase iniziale di chiusura, il quadro aromatico inizia a definirsi con tocchi di frutta rossa, radici, cuoio e spezie dolci. In bocca c’è lo stile “young Caparsa” per cui rimane leggermente scontroso sul tannino anche se freschezza e profondità fanno presagire un buon avvenire.

Chianti Classico Doccio a Matteo Riserva 2007 ( sangiovese 90%, colorino 5%, ancelotta 5%): prodotto da uve di sangiovese selezionate, appena versato e degustato mi ha fatto venire in mente come l’irruenza dei vini di Caparsa sia direttamente proporzionale alla sua qualità. Questo Chianti ha tutto per essere un grande vino, è solo bellissimo bambino a cui va dato il tempo di crescere e diventare irresistibile. Oggi si beve bene il 1999. Se passate in azienda prendetelo assieme al 2006 che, complice la buona annata in Chianti, promette bene.


Territori diVini per Cantina Cremisan


Oggi vado a "Territori diVini", passerò una domenica pomeriggio all’insegna del vino e della solidarietà per sostenere la cantina di Cremisan, situata tra Gerusalemme e Betlemme, e gestita dai Salesiani dal 1885.


Alle 16.30 le porte del Museo Crocetti, via Cassia 492 verranno aperte al pubblico.

Alle 17.00 Emanuela Chiang, Coordinatrice del Progetto, illustrerà gli obiettivi raggiunti in questi anni di lavoro dedicato al potenziamento e al miglioramento della produzione vitivinicola di Cremisan. A seguire Giovanni Lai, docente dell'AIS - Associazione Italiana Sommelier terrà una degustazione guidata dei nuovi vini di Cremisan (due bianchi e un rosso) prodotti con la supervisione del noto enologo Riccardo Cotarella. Quaranta i posti a disposizione per la degustazione guidata.

  
Dalle 18 alle 23 si aprirà la serata di banchi d'assaggio e degustazione di vini (di oltre 25 cantine) per tutti, che si concluderà con un'asta di solidarietà. Dalle 21.00 il concerto "Simone Sala Trio".

I vini che la cantina di Cremisan produce vengono commercializzati nella Terra Santa, nei Paesi limitrofi e a breve anche in Italia. Il ricavato della vendita del vino va a beneficio delle opere sociali (scuole, centri di aggregazione giovanile, centri di formazione professionale, oratori) e del forno che i Salesiani gestiscono a Betlemme e a Nazareth. I beneficiari ultimi sono quindi i ragazzi, i giovani palestinesi e arabi israeliani che vivono in situazione di povertà, emarginazione e disagio economico e sociale.
 
Contributo di solidarietà: 15 euro.

Se siete da queste parti vi consiglio di partecipare, farete un bellissimo gesto. E’ Natale anche per il vino!


Wine Enthusiast incorona il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti


Per la prima volta è un vino italiano a guidare “The Enthusiast 100”, edizione 2010, la classifica dei migliori vini del mondo secondo “Wine Enthusiast”, una delle riviste “a stelle e strisce” di critica enologica più consultate dagli appassionati americani e non solo e che sembra restare, fra quelle di oltreoceano, la più attenta all’eccellenza enoica del Bel Paese.
Il “campione” di questa speciale ed importante graduatoria è il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti, ma la pattuglia degli italiani è decisamente importante con ben 15 vini nei 100. 


A seguire troviamo: il Bolgheri Superiore Sorugo 2007 di Aia Vecchia (dodicesimo posto), il Passito di Pantelleria Ben Ryé 2008 di Donnafugata (ventiduesimo posto), il Bolgheri Superiore 2007 della Tenuta Argentiera (ventiseiesimo posto), il Barolo Coste di Rose 2005 di Bric Cenciurio (ventottesimo posto), il Barolo Persiera 2006 di Josetta Saffirio (trentaduesimo posto), il Barolo Rocche dell’Annunziata 2005 di Franco Molino-Cascina Rocca (trentaseisimo posto), il Barbaresco Serracapelli 2007 di Poderi Elia (quarantatreesimo posto), il Coevo 2007 di Cecchi (cinquantaduesimo posto), il Barolo Parafada 2006 di Massolino (sessantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Piancornello (sessantaquattresimo posto), il Tenuta Belguardo 2007 di Marchesi Mazzei (sessantacinquesimo posto), il Madre 2006 di Poggio Antico (settantaduesimo posto), il Barbaresco Vigna San Cristoforo 2007 di Pietro Rinaldi (settantatreesimo posto) e il Sondraia 2007 di Poggio al Tesoro (ottantottesimo posto).


Il meglio del 2010 enoico del Bel Paese viene fissato da “Wine Enthusiast” anche con i “verdetti” delle altre due classifiche che la rivista americana redige annualmente e che consegnano alle etichette italiane risultati lusinghieri.

Nella “Top 100 Cellar Selection”, la classifica dei vini da collezione, prodotti dalle migliori cantine, un’iniziativa relativamente recente di “Wine Enthusiast”, partita nel 2007, le etichette italiane sono ben 17: in testa troviamo il Bolgheri Superiore 2006, prodotto nella Tenuta Guado al Tasso, di proprietà della Marchesi Antinori (secondo posto assoluto), seguono il Barolo Costa Grimaldi 2006 di Poderi Luigi Einaudi (quinto posto), il Barolo Brunate 2006 di Vietti (diciassettesimo posto), il Giusto di Notri 2006 di Tua Rita (diciottesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Altesino (ventiseiesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Eugenio Bocchino (trentatreesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Gianni Voerzio (quarantatreesimo posto), il Bolgheri Superiore 2006 della Tenuta dell’Ornellaia (quarantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Corte Pavone (quarantaseesimo posto), il Barolo Cannubi Boschis 2006 di Lucaino Sandrone (cinquantaduesimo posto), il Vin Santo Occhio di Pernice 1997 di Avignonesi (cinquantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di San Polino (cinquantanovesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Uccelliera (settantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 de Le Chiuse (settantanovesimo posto), il Galatrona 2006 della Fattoria di Petrolo (ottantesimo posto), il Solengo 2006 di Argiano (ottantesettesimo posto), il Brunello di Montalcino Poggio all’Oro Riserva 2004 di Castello Banfi (novantaduesimo posto).

Cinque i vini italiani nella “Top 100 Best Buys”: il Alle Viole 2005 della Tenuta di Ceppiano (settimo posto), il Trento Talento Brut Rosè della Cantina Rotari del gruppo Mezzacorona (tredicesimo posto), il Pinot Grigio 2009 di Mezzacorona (trentaduesimo posto), lo Chardonnay Stemmari 2008 di Feudo Arancio del gruppo Mezzacorona (quantaquattresimo posto), il Salice Salentino Maìana 2006 di Leone de Castris (novantunesimo posto). 


Sono molto soddisfatta - spiega a WineNews Monica Larner, la corrispondente italiana di “Wine Enthusiast” e responsabile degli assaggi dei vini italiani - del fatto che, per la prima volta, la mia rivista assegni il primo posto ad un vino italiano. Senza fare inutili giri di parole i vini italiani restano i più amati negli Stati Uniti e spero che le nostre valutazioni abbiano l’effetto di riavvicinare gli appassionati americani anche ai vini più cari del Bel Paese. In questo senso - conclude la Larner - il fatto che sia proprio un Barolo a primeggiare, una tipologia cara, appunto, spero possa essere di buon auspicio per il rilancio dei vini più costosi, penalizzati dalla crisi”.

Fonte: www.winemag.com via Wine News

Roma, appello delle Città del vino: salvate vigneto Trinità dei Monti


Roma è la mia città per cui mi sembra quanto mai scontato riprendere la notizia comparsa tempo fa sui principali giornali che riguarda il vigneto di Trinità dei Monti. 

Simbolo del legame storico tra l’Italia e la Francia, voluto dalla città francese di Narbonne per celebrare la sua origine romana, il vigneto ornamentale nei giardini della Scuola Francese del Sacro Cuore a Trinità dei Monti in pieno centro a Roma, da cui ha origine la produzione limitata e preziosa del “Vino Gallico”, rischia di scomparire a causa della mancanza di cure e della necessità di una ristrutturazione.


A lanciare l’allarme sul grave stato di abbandono in cui versano le sue viti sono le Città del Vino, che denunciano come, ad oggi, manchi ancora l’accordo di collaborazione previsto fra Comune di Roma, Comune di Narbonne, ambasciata Francese presso la Santa Sede, Istituto Agrario “Emilio Sereni” di Roma e le stesse Città del Vino, per la sua gestione, rivolgendo il loro appello al sindaco di Roma Gianni Alemanno e all’ambasciatore francese presso la Santa Sede Stanislas de Laboulaye. 


Un accordo che - spiega il presidente delle Città del Vino Giampaolo Pioli - avrebbe previsto di affidare le operazioni di impianto e la lavorazione del vigneto ornamentale all’Istituto Agrario Statale “Emilio Sereni” di Roma, così come lo sviluppo di ulteriori scambi di esperienza tra giovani e cittadini delle due città, di Roma e Narbonne, per far sì che il vigneto diventasse un mezzo concreto per consolidare le relazioni ed i rapporti istituzionali fra comuni francesi e stranieri a sostegno della loro storia, delle produzioni di qualità e la loro valorizzazione e promozione”. 
Dall’anno di fondazione, nel 2004, ad oggi, infatti, ad occuparsi della gestione agronomica sono stati proprio gli studenti e gli insegnanti dell’Istituto, con la produzione delle prime bottiglie del “Vino Gallico” nel 2008, fino a non essere più autorizzati ad occuparsi del vigneto.

Chi può faccia qualcosa di concreto.

Fonte: Il velino

Milleduecento euro de che?????


Milleduecento euro, uno stipendio base per molte persone che lavorano in Italia. Milleduecento euro, un bel gruzzoletto per toglierci qualche soddisfazione o per realizzare uno dei nostri sogni del cassetto.

Come spendere al meglio milleduecento euro? Ecco alcune idee.

Un week end di lusso in una capitale europea......


Comprare un piccolo cinema casalingo in versione rigorosamente 3D


Regalare a tutta la famiglia una cena indimenticabile a El Celler de Can Roca. Ovviamente Menù Festival e biglietto aereo incluso.


Bere un La Tâche 2004 con i nostri amici


Qualcuno direbbe che con milleduecento euro...........



Il sito Bibenda invece ci avverte che con milleduecento euro possiamo comprare l’intera Collezione della guida Duemilavini, dal 2000 fino ad oggi.


Da quello che ho scritto i questi ultimi tempi sembra che abbia una partita aperta con Franco Ricci e Bibenda. Nulla di più falso, però è anche vero che leggendo certe cose no puoi non sorridere amaramente e fare qualche critica.
Chi potrebbe acquistare la collezione? Non di certo gli iscritti all'Ais, teoricamente i principali fruitori finali della Duemilavini, perchè la guida ce l'hanno "gratis" ogni anno in virtù della loro iscrizione all'Associazione. Ma poi, perchè spendere 100 euro di media a guida che ne vale 30 euro e la metà di queste le trovo su ebay a prezzi stracciati? 
Rarità, collezionismo estremo, voglia inconsulta di avere il numero 1 o semplice incoscienza?


Dalla coppa di Madame Pompadour al Fetish Cin Cin


Qual'è il bicchiere più adatto per lo champagne? La flûte o la coppa? Al giorno d'oggi la prima tipologia di bicchiere sembra essere la scelta più scontata ma non sempre è stato così.
Facendo una breve ricerca ho notato che la moda della coppa champagne è iniziata nel '700 e, secondo una leggenda, questo bicchiere sarebbe stato modellato sui celebri seni di Madame de Pompadour, amante di Luigi XV, re dal 1715 al 1774. 
La passione di Madame de Pompadour per lo champagne era ben nota: sempre lieta di berlo, a quanto pare, sembra anche che rivelasse con orgoglio alle dame di corte, desiderose di conoscere il segreto della sua bellezza e del suo aspetto sempre fresco, che tutto dipendeva soltanto «dal vino capace di farti apparire al meglio la mattina dopo una festa scatenata»

Ray as Madame Pompadour - William Russell Flint

Esiste però un'altra leggenda secondo cui la coppa di champagne sarebbe stata modellata in porcellana alla fine del XVIII secolo sul seno della famosa regina Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI.  
Altri miti fanno risalire l'origine della coppa all'Inghilterra, dove sarebbe stata disegnata senza un modello particolare, ma specificatamente per bere champagne.


Col tempo ci si è resi conto che la coppa risulta un contenitore non idoneo per bere le bollicine perchè non permette di apprezzare al meglio profumi e perlage dello spumante/champagne. 
Per tale motivo, solo recentemente però, si è diffusa la moda della flûte (termine francese che letteralmente significa "flauto") che,  al contrario della coppa, favorisce la risalita delle bolle e concentra in uno spazio ristretto tutti gli aromi liberati dal loro scoppio, prolungando così l'effervescenza dei vini frizzanti in generale.


Le cose si sa, in un mondo moderno come il nostro, hanno sempre una fine e a leggere i giornali di oggi, soprattutto nel mondo del cinema, sta avanzando una nuova moda: bere Champagne col tacco.
No, non mi sono sbagliato, è tutto vero. Quentin Tarantino, durante una serata in suo onore tenuta al New York Friars Club Roast, ha festeggiato con i tanti invitati sorseggiando dello Champagne dalle scarpe di Uma Thurman

Il brindisi fetish

Non c'è dubbio, ad Hollywood si fa tendenza e c'è da scommettere che i brindisi per il nuovo anno seguiranno la moda del Fetish Cin Cin. Ah, mi raccomando, se volete fare gli sboroni con i vostri amici potete tranquillamente dire che lo champagne ha tra i descrittori aromatici il cuoio........

La verticale storica del Chianti Classico Riserva "Il Campitello" di Monteraponi


Michele Braganti, anima di Monteraponi, sta lavorando da tempo al suo Chianti Classico e con fatica e tanta caparbietà e riuscito a farsi conoscere ed apprezzare dalle principali guide del vino. Bella scoperta, la stessa che ho fatto io circa un anno fa quando sono quasi stramazzato al suolo dalla goduria dopo che ho bevuto (grazie Armando) il suo Sangiovese da vigne alte (circa 700 metri).
A Radda qualcosa sta cambiando, da qua sta (ri)partendo la nuova evoluzione del sangiovese, quello vero, tradizionale, nobilmente contadino, e Braganti, assieme ad un altro manipolo di produttori illuminati capitanati da Martino Manetti, è l’espressione più sanguigna di questa Sangiorevolution.

Michele dal 1997 al 2002 ha venduto le uve ad altre aziende per cui la sua vera storia inizia nel 2003, millesimo faticoso che, nonostante tutto, tiene a battesimo il suo primo Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello”, un vino prodotto solo nelle annate favorevoli, dalla selezione delle uve di Sangiovese 90% , Canaiolo 8%, e Colorino 2%, provenienti dalle vigne più vecchie di circa 30—35 anni, con rese bassissime. Affinamento per 24 mesi esclusivamente in botti di rovere di Slavonia da 30 Hl. 

Michele Braganti che mescia...

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2003: è il primo anno di tutto, di Michele che si mette a fare il suo vino, delle botti che sono state appena acquistate, del caldo che fino ad allora non era stato così opprimente e che ha costretto a vendemmiare per la prima volta a fine settembre. Il Campitello si presenta scuro, maturo, scalciante di frutta nera, cuoio, grafite e un tocco di affumicato che deriva dal legno ancora non perfettamente digerito. Bocca caratterizzata dall’annata con un tannino verde ed un’acidità che fatica a progredire. Partenza a rilento ma promettente.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2004: l’annata promette davvero bene, il 2003 è un lontano ricordo. Il Chianti ha un naso ancora giovanissimo dove si colgono note di ciliegia, ribes, viola mammola, bacche, cuoio, tabacco. Ancora un leggerissimo affumicato segno che le botti grandi stanno invecchiando a dovere. Bocca equilibratissima, precisa, anche se pecca  un po’ in chiusura dove il vino risulta non troppo persistente. Altro passo in avanti per Michele che comincia a prenderci la mano.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2005: Michele è molto orgoglioso di questo vino sebbene abbia evitato di metterlo in commercio causa pessima annata in Chianti. Lo presenta un po’ emozionato, titubante, vuole capire da noi se il vino che ha tra le mani è davvero un brutto anatroccolo, se ha fatto bene a non tradire le attese dei suoi clienti. Versandomelo nel bicchiere mi dice:”Andrea questo è il vino più nebbioleggiante che ho”. Aveva ragione. Il colore nel bicchiere è un rosso rubino scarico e si percepiscono fin da subito al naso le sensazioni di piccoli frutti terziarizzati, buccia d’arancia, spezie avvolgenti, viola. Davvero un quadro olfattivo di carattere langarolo. In bocca l’annata ci mette del suo e il Chianti mostra tutti i suoi limiti vista la poca acidità e il tannino un po’ sgranato. A dispetto di tutto questo è  un vino leggiadro che si lascia bere senza troppi problemi.

La verticale...

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2006: questo è un anno importante perché arriva in cantina un nuovo enologo: Maurizio Castelli. Il cambiamento c’è e si sente nel vino che acquista, complice anche la buona annata, maggiore personalità e spessore. Al naso si presenta molto profondo, aristocratico, con rimandi di bacche selvatiche, ciliegia, tabacco, cuoio, china, erbe aromatiche. Palato di grande equilibrio ed ampiezza anche se, come vedremo, preferisco il finale turbo del 2007.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2007: rispetto all’annate precedente questo Chianti è più verticale che orizzontale. Per intedersi, non avrà l’ampiezza dei profumi del 2006 ma la freschezza e la croccantezza del frutto che ritroviamo nel bicchiere è davvero da applausi così come incantevole è la sua balsamicità. Palato vellutato e caratterizzato da una eccellente spina acida che infonde al Campitello 2007 una progressione gustativa commovente che si interseca con ritorni fruttati e minerali. Grande futuro.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2008: campione da botte difficile da valutare visto che aveva bisogno di qualche travaso per togliersi di dosso il lavoro di cantina. 

Ecco la vera bomba di Wikileaks: Sarkozy ama il Calvados!



A volte è proprio vero il detto che chi ha il pane non ha i denti. 


Sappiamo tutti quanti che Wikileaks negli ultimi giorni sta rendendo pubblici tutta una serie di documenti che, teoricamente, dovrebbero far tremare le gambe ai potenti della Terra. 
Io, per ora, ho letto solo una serie di banalità: Berlusconi che fa i festini, la Russia che è mafiosa, gli USA che fanno la spia, l'Afghanistan corrotto, la Cina che odia Google, Sarkozy che non ama il vino......

Che cosa?????? Fermi tutti, ecco il vero scoop, la vera bomba che potrebbe far tremare le cantine di tutto il mondo e far saltare le sedie di molti potenti.
La notizia giunge da fonte non diplomatica, nome in codice “Agente YSL”, che racconta, in un documento confidenziale, come la qualità del vino all’Eliseo sia assolutamente peggiorata dall’insediamento di Sarkò, amante non del nettare di bacco, ma del Calvados, il brandy di mela tipico dell’omonimo distretto della Bassa Normandia, che ama bere con ghiaccio e Cola.


Ma vi rendete conto? Quel manichino di Carlà sì e uno Chateau Lafite no??? Uno che potrebbe bere tutto il meglio del meglio del''enologia mondiale si accontenta di un cocktail che, se non fosse per il Calvados, spero di annata, potrebbe essere il preferito da Corona e Belen?

C’è di che preoccuparsi insomma, specie perché, racconta la fonte anonima ma verificata, con una cantina presidenziale allo sbando e quasi in abbandono, persino gli accostamenti “con la pur sempre eccellente cucina”, lasciano a desiderare: basti dire che con un piatto di pesce (di cui, ahinoi, non si sa di più…) è stato servito “un vino rosso del Rodano particolarmente alcolico e robusto. Con il pesce!”.


Sarkò, se mi leggi, vorrei aiutarti e rendere il tuo bere meno banale. Eccoti la ricetta per un cocktail più fighetto, alla Carlà per intenderci. 


  • 60 mi. di Calvados
  • 30 ml. di succo di limone
  • 1 cucchiaio di sciroppo di granatina
  • 15 ml. di sciroppo di zucchero
  • 280 ml. di soda
  • cubetti di ghiaccio
Preparazione

La preparazione è molto semplice e non richiede una particolare attrezzatura.

Versate il tutto in bicchiere di tipo “Collins” riempito di ghiaccio.

Mettete poi nel bicchiere un cucchiaino o un bastoncino o altro, in modo che poi il fruitore possa mescolare a piacere.

Il vino è seduzione...soprattutto a New York!!


Che certi vini fossero erotici e seducenti non è una grande scoperta, ma che una degustazione potesse diventare una sorta di peep show stile Colpo Grosso questo no, vi giuro, non me l'aspettavo.
Capita però che a New York l'italianissima Alessandra Rotondi, sommelier AIS, si inventi una formula chiamata Wine Seduction grazie alla quale, all'interno di cene o veri e propri corsi, parla di vino come strumento di seduzione secondo criteri di scelta che non solo devono tener conto dell'abbinamento col cibo, ma anche e soprattutto dell'atmosfera e della situazione.



La formula comune prevede una cena con almeno quattro portate e quattro vini da degustare. Si inizia dalle bollicine (spumante, prosecco o champagne) per poi passare, in sequenza, ad un bianco, un rosso ed un vino dolce.
Inizialmente si parla in maniera tecnica del vino decantando l'azienda, l'uva, la lavorazione e la descrizione organolettica poi, ed è questo il momento clou, si passa a magnificare il vino dal punto di vista seduttivo. In che modo?
Si invita il pubblico ad immaginare il wine tasting come se fosse un corteggiamento del quale ogni vino diventa una fase: c'è prima l'approccio, poi la scoperta, la conferma ed, immancabile, il lieto fine!


Per chi volesse vedere come si svolgono questo tipo di cene basta cliccare sul video che segue...


Che ne dite? A me questa atmosfera newyorkese, glamour, vagamente sentimental-sessuale, fa venire in mente Sex and The City con i suoi personaggi pieni di frustrazioni inutili.
Brava Alessandra che, non vergognandosi, trae da questi eventi un bel profitto commerciale ma, per favore, evitiamo di confondere la cultura del vino con un paio di gambe e due tette.


Sulla moralità del vino in Italia


Durante la presentazione a Roma delle Guide Ais (Vino, Olio, Ristoranti), Franco Maria Ricci, patron di Ais-Bibenda, ha parlato di moralità all’interno di un “j’accuse” sul mondo del vino. Le frasi più importanti sono state riprese da Winenews.it:

Non è morale presentare sul mercato la bugia dei vini di qualità offerti a 2 euro

Non è morale - continua - che, in questo 2010, non ci sia stata alcuna dimostrazione concreta di un serio investimento culturale ad opera di chi è preposto istituzionalmente a questo impegno. Né è morale partorire da anni un programma scolastico di 5 anni per la Scuola Alberghiera nel quale vengono concesse alla cultura del vino 5 ore in tutto”.

"Non è morale presentare al pubblico televisivo etichette di vino con pecette colorate per coprire l’autore di un capolavoro".

"Non è morale che non sia mai nata una “squadra Italia” del vino di qualità per invidie e gelosie acerrime tra i produttori".

E "non è morale per il vino l’ottusità culturale del chilometro zero a beneficio del fiasco e del boccione. Non è morale operare dei ricarichi assurdi del vino, i più prepotenti e significativi sottolineati dalla ristorazione”.


Ricci è un oratore affabile, convincente, ha fatto davvero tanto in questi anni per il vino in Italia, però sentire parlare di valori etici da lui mi ha provocato un senso di sdegno. Avete presente Berlusconi che parla di valori cristiani e di famiglia? Ecco, lo stesso ripulso.

Non mi scordo infatti quanto letto negli ultimi anni sulle principali riviste on line di vino. Riviste libere. Se date uno sguardo qua leggerete che l'ormai ex presidente dell'Associazione Italiana Sommeliers e dell'associazione internazionale Worldwide Sommelier Association, Terenzio Medri, e il presidente della sezione regionale del Lazio dell'Ais ed editore di Bibenda, Franco Ricci, sono stati condannati per violenza privata (art.610 cp) nei confronti del giornalista Paolo Morelli.


La vicenda risale al settembre 2005, quando Paolo Morelli, sommelier onorario, faceva parte del collegio dei probiviri dell'Ais cui fu sottoposta una denuncia per attività in concorrenza con l'Ais da parte di Ricci. Secondo quanto riportato nel decreto penale di condanna emesso dal Gip del Tribunale di Forlì Rita Chierici, Medri e Ricci misero in atto atteggiamenti intimidatori nei confronti di Morelli per "costringerlo ad acconsentire all'archiviazione della denuncia" avanzata da un socio nei confronti di Ricci. Morelli fu poi privato della qualifica di sommelier onorario, espulso dall'Ais e la denuncia contro Ricci fu archiviata.  

Medri e Ricci, sono stati condannati a 570 euro di multa ciascuno (coperta da indulto), quale sostituzione di 15 giorni di reclusione.

Già una cosa del genere avrebbe dovuto portare Ricci, eticamente e moralmente, alle dimissioni.

Metto altra carne al fuoco. Vorrei ricordare a tutti il caso della rivista Il Mio Vino Professional” che, nel 2006, ha duramente attaccato Ricci in un articolo chiamato "Bibenda Pigliatutto". In particolare, nel lungo articolo comparso sul mensile, che in parte riprende alcuni stralci di una denuncia inviata dal sommelier Salvatore Enna all'Associazione, si può leggere :

“...a chi non fosse superficiale e distratto fruitore delle attività della sede romana dell’Ais, non sarà passato inosservato che si sono sempre più frequentemente presentate, negli ultimi tempi, situazioni ambigue e confuse. Ambiguità e confusione che riguardano sia i corsi tenuti presso la sede che altre manifestazioni, senza escludere tutto quello che ruota attorno al nome Bibenda. In verità, sembra quasi di assistere ad una progressiva perdita di visibilità da parte dell’Ais nazionale o regionale a favore di una società privata con fini di lucro che si chiama Bibenda Editore srl”.

Secondo quanto pubblicato sempre da “Il Mio Vino Professional”, quindi :

“approfittando della sua posizione all’interno dell’Ais, Franco Ricci, manovrerebbe in modo da usare le risorse e la credibilità dell’associazione per portare visibilità e guadagni alla sua società” essendo egli “l’unico legame tra Ais Roma e Bibenda srl”, di cui è “proprietario praticamente assoluto, il 94,5% delle quote sono in mano sua...”.

In risposta a simili accuse il Consiglio direttivo dell'A.I.S. di Roma, in accordo con Bibenda Editore, ha inviato nel mese di maggio 2006 una mail ad un cospicuo numero di produttori vinicoli, dichiarando quanto segue: 

"Vi comunichiamo che il Consiglio Direttivo di Associazione Italiana Sommelier Roma, d'accordo con Bibenda Editore, ha deciso di non pubblicare sulle Edizioni DUEMILAVINI e BIBENDA, notizie e/o recensioni di Aziende Vinicole che si avvalgono di messaggi pubblicitari a mezzo di testate che la scrivente Associazione non riconduce a degna professionalità (richiesta/pubblicazione di articoli a pagamento) e che rivolgono attacchi provocatori e infamanti nei confronti di terzi, come anche recentemente accaduto. Questa decisione è stata presa soprattutto al fine di proteggere le Aziende presenti nelle nostre Edizioni e per evitare pericolose confusioni, nel rispetto dei nostri lettori. Associazione Italiana Sommelier Roma Il Consiglio Direttivo".

Da che pulpito viene la predica?

 

Fonti: Tigullio Vino - Esalazioni Etiliche - Enopress

Sei anni senza Gino Veronelli


Non l'ho conosciuto, al tempo il vino era ancora una cosa profana ma, nonostante questo, lo considero il mio maestro, forse è il maestro di tutti noi che cerchiamo di scrivere di vino. 


Gino Veronelli è morto il 29 Novembre di sei anni fa e su Carta possiamo leggere il suo ultimo scritto, il suo testamento. Lo pubblico perchè fa venire i brividi.

L’isolotto di Santo Stefano è il “resto” di una antica eruzione sottomarina, una successione di basalti e di tufi. Il più orientale e piccolo dell’arcipelago pontino, ha forma ellittica con un diametro massimo di 750 metri da est ad ovest, minimo 500 da nord a sud; la circonferenza è di 2 chilometri, l’altezza di 68 metri.
Gli è stato dato il nome in onore di Santo Stefano, martire del 35 d.C.. Un suo discorso ripercorreva la storia di Israele, da Abramo a Gesù, e metteva in evidenza il disegno di Dio e l’infedeltà del popolo. Gran scandalo. Gli oppositori, furibondi, lo condussero fuori città e lo lapidarono. All’esecuzione era presente Saulo, il futuro Paolo apostolo, che: “approvava e stava a guardia dei mantelli dei lapidatori”.
Sì, alla bellezza e alla serenità sconvolgenti dei panorami, lugubre la storia. Già dagli imperatori romani, fu luogo di deportazione. Augusto vi relegò la figlia Giulia; Tiberio, Agrippina; Nerone, la moglie Ottavia, e qui la fece uccidere. Qualche secolo dopo, Ferdinando IV eresse l’Ergastolo (la E, maiuscola, è voluta: millanta i santi e i martiri che vi furono rinchiusi). Penitenziario eretto nel 1794-95 a tre piani, 99 celle e un cortile per l’aria dei carcerati.
L’isolotto era stato acquistato, anni sessanta, da un vignaiolo mitico, Mario D’Ambra (meditava d’impiantarvi vigne di forrastera e di perèpalummo). Un suo contadino abitava quello che era stato – fuori dalle mura del carcere – una avanguardia. Grande sala con un camino e vari vani per gli ospiti, cacciatori, soprattutto da che l’isolotto ha fama per il passaggio di beccacce e beccaccini (il contadino, un genio, aveva provvisto ad una minima conigliera; ad ogni sacrificio ubriacava le bestiole di alcol, così che non avessero il rigor mortis).
Fui il solo ospite con le mie quattro donne: Maria Teresa, moglie, Bedi, Chiara e Lucia, figlie.
Dedicavo le ore familiari al mare (luogo migliore: una buca basaltica, prediletta, anni annorum, da Agrippina); le ore notturne, solo mie, all’Ergastolo, per “ricerche” sul santo martire, Gaetano Bresci.
Ho camminato i lunghi corridoi e le celle; ho sostato – si arrovesciava il cuore – nelle “gabbie” di rigore, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo, sottosuolo. Chi v’era rinchiuso non poteva stare eretto.
Sapevo della lunga detenzione, in quelle celle, cui era stato costretto il giovane atleta, giunto di lontano, per attentare e uccidere, 29 luglio 1900, re Umberto I. Lo aveva fatto. Ed oggi ci si rende ben conto: aveva sbagliato. Oggi.
Era venuto dagli States ove collaborava a “La questione sociale”, inferocito per le repressioni vili e sanguinarie di Bava Beccaris, fine Ottocento. Si era convinti, allora, che uccidere un re, colpevole verso l’umanità, fosse un atto risolutivo. Fu rinchiuso in una delle gabbie, sottosuolo, in Santo Stefano.
Se la cammini, l’isola, anche nei luoghi più incantati per l’ardire senza uguali della bellezza, appena appena ti estranei, senti voci, non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni di cui fu oggetto, in quelle gabbie, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo. Visse da uomo libero. Non rinnegò la sua idea. Non ottenne un metro, per un metro, per un metro, di più. Non ergastolo.
Fu condanna alla morte. Morì pesto e battuto nella carne (la sua anima non poteva essere battuta, pestata, offesa; era l’Anima), dieci mesi dopo la reclusione, 22 maggio 1901.
Maria Teresa e le figlie – in quel periodo tra i più belli della nostra vita – una volta sola si accorsero del mio turbamento. Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce (ti voltavi ed era un paradiso: il mare e, un po’ decentrata, l’Isola di Ventotène). Una frase all’ingresso: “Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio”, minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci.
Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa. Mi prese la mano. Ammutolite le bimbe.
L’Anima è il rispetto dell’altro. La giustizia di Dio una palla. Quella degli uomini dovrebbe perseguire i criminali tipo Bush e Bin Laden. Dovrebbe colpire tutti coloro che schiavizzano l’umanità per diventare, giorno via giorno, più ricchi.
Leggi il documento emesso dall’Arci, Comitato regionale toscano, sulle ignominie della famiglia Bacardi (www.arcitoscana.org/internazionali/inibac.htm). Abbi il minimo, civile coraggio di sbattere in faccia il loro rhum che ti fosse offerto.

Avete capito, giovani lettori: questo è un testamento. Entro in clinica oggi pomeriggio per una operazione da cui, di solito, non si esce. Per la prima volta ho la gioia di essere stato il vostro Maestro.


#Colfóndo1 Bis chez Jacopo Cossater


Grazie a Jacopo Cossater posso dire che anche io, in ritardo, che ho partecipato a #Colfòndo1….bis.
Certo, non siamo proprio a Casonetto d'Asolo e mancano i produttori con i quali interloquire ma, nonostante questo, all’interno dell’ExEliografica di Perugia tira lo stesso una bella aria, c’è voglia di scoprire, capire e, perché no, dire la nostra sull’argomento.


Il prosecco Colfòndo o, per dirla alla francese, Sur lie, non è altro che il prosecco storico del trevigiano quando, a causa delle vendemmie spesso tardive, i vini rimanevano dolci causa basse temperature per poi ripartire in fermentazione a primavera quando ritornava il caldo.
Il risultato è un vino torbido, naturale, che conserva tutti i suoi lieviti che, per effetto dell’autolisi dovrebbero aver fornito al prosecco spalle ampie e forti e un carattere piuttosto indomabile.


Otto bottiglie in degustazione cieca (anche se qualcuno ne contava nove…..) divise per area geografica.

La BassetaDoc Treviso: è il prosecco che forse ha avuto la maggiore evoluzione nel bicchiere. Parte inizialmente serrato con una nota sulfurea a coprire il ventaglio aromatico che, col passare del tempo, si è schiuso e c’ha parlato di sensazioni di pesca, agrumi, frutta tropicale e un tocco minerale. Al palato purtroppo mi ha deluso, è sfuggente dal centro bocca in poi e non riesce a farsi ricordare come dovrebbe.

Lorenzo GattiDoc Treviso: sicuramente il prosecco sur lie più estremo che ho bevuto a Perugia. Il naso gioca su note abbastanza dolci dove ritrovo la mandorla amara, il caramello e la banana matura. Al palato è molto meglio del precedente, è abbastanza ampio, persistente, coerente col naso visto che in chiusura ritrovo un finale leggermente amarognolo. Per me rappresenta una versione troppo estrema di prosecco che difficilmente berrei in maniera compulsiva.


Bele CaselDocg Asolo: pur avendolo bevuto più volte a Roma ho fatto fatica a riconoscerlo alla cieca visto che ha tirato fuori delle note, estreme, che prima non avevo mai notato a questi livelli. Bocca e palato monocorde dove la nota di succo di pera l’ha fatta da padrone per tutta la degustazione. Si salva dalla catastrofe per una nota minerale che ogni tanto riesco a percepire. La bocca resta comunque equilibrata e dalla buona persistenza finale. Monocorde e forse bottiglia non ok.


Biondo Jeo - Docg Asolo: ad Asolo la pera rappresenta un descrittore tipico del prosecco sur lie perché anche questo vino ce l’ha bella in mostra anche se in maniera più discreta del precedente. Rispetto a Bele Casel, inoltre, l’olfattiva mostra maggiore ampiezza visto che ritrovo odori agrumati e di frutta bianca appena matura. Lieve minerale. In bocca manca dello sprint giusto per essere ricordato. Un gregario di lusso.

Costa di là - Docg Conegliano: acciderbolina che colore, un oro brillante carico che con la mente, anziché in Veneto, mi porta già al Sud. Il naso non tradisce le attese snodandosi tra profumi di mela golden, agrumi, fiori gialli di campo, miele, tabacco dolce. Bocca di bella struttura, intensa dove ritornano le sensazioni olfattive. Chiusura amara, troppo per i miei gusti. Altra interpretazione estrema che, forse, con la tradizione non c’entra un tubo.

Zanotto - Docg Conegliano: è il prosecco col fondo più scarico di colore di quelli bevuti fin d’ora, scarico e anche poco velato. Il naso mi stupisce fin da subito perché tira fuori intense e affascinanti aromi di pietra focaia, fiori di mandorlo e mela. In bocca è puro, preciso, sapido, fresco, non so perché ma a tutti noi ci è sembrato più un Franciacorta che un prosecco. Resta il più nitido ed equilibrato della batteria.

Casa Coste PianeDocg Valdobbiadene: un vino intimo, sussurrato, dove andare a ricercare col tempo la tanta frutta e fiori di cui è composto il suo leggiadro ventaglio aromatico. Anche in bocca è così, timido, soave, preciso, senza estremismi riesce a piacermi sorso dopo sorso.


Frozza - Docg Valdobbiadene: avevo sentito parlare di questo produttore di nicchia sui principali forum enogastronomici italiani per cui avevo tanta curiosità di assaggiarlo. Sia il naso che la bocca confermano che a Valdobbiadene ricercano la purezza e la precisione gustativa, tutto è didattico, nessuna forzatura e, per certi versi, voglia di evolvere. Frozza gioca molto con la frutta bianca e con i fiori. Assaggio sapido e di buona freschezza. Precisino come uno scolaretto in grembiule e fiocco. Rimane, forse, quello più tradizionale assieme al Casa Coste Piane.