Sangiovese Purosangue a Roma - Giorno 1


Ragazzi, si inizia, i preparativi ancora sono in corso, Davide Bonucci e lo staff di Riserva Grande sono incasinatissimi ma pian piano il baco sta diventando farfalla. Tra un pò inizia la conferenza stampa, Castelli mi ha promesso polemiche.... 


Davide Bonucci
Baricci, un pezzo di storia
Produttori si confidano



Iniziamo con un grande vino, il 1988 di Salvioni, a detta dello stesso produttore, è stata una sorpresa anche per lui. Granato scarico, questo Rosso di Montalcino ha un'anima sapido-austera di grande classe e fascino. In bocca avvolge e rinfresca come un ragazzino. 
 



Il Vino Rosso da Vigneti di Brunello 1975 di Baricci commuove letteralmente perchè nonostante 37 anni conserva una freschezza incredibile che fa salivare letteralmente per minuti. Del Sangiovese rimane poco colore ma l'anima battagliera di Baricci è ancora là dentro il bicchiere.
 

Rosso di Montalcino 2007 Poggio di Sotto: un vino splendido senza se e senza ma, floreale con tratti mentolati conserva una leggerezza e una facilità di beva da numero uno. Da comprare a casse.

Rosso di Montalcino 2008 Biondi Santi: rispetto al precedente ha una profondità maggiore e forse una maggiore pienezza gustativa. Rimane un punto di riferimento per tutti.

Rosso di Montalcino 2008 Stella di Campalto: solito piccolo grande Brunello, conserva una freschezza ed una ariosità molto marcate. Forse manca di un filo di complessità ma è ancora giovane per potersi esprimere al massimo. Da aspettare.



Rosso di Montalcino 1996 Tiezzi: naso di arancia, tè nero, ruggine, fiori da diario. In bocca conserva grande tempra, entra deciso e si distende come Mennea a Città del Messico. 

Rosso di Montalcino 1973 Col d'Orcia: il vino più vecchio della giornata. Rispetto a Baricci che proneva un vino molto esile ma fresco, il '73 di Col d'Orcia è deciso, ancora maschio, con un tannino ruvido e graffiante. Forse il naso tradisce l'eta ma che vino signori....

Rosso di Montalcino 1999 Sesti: altra bella espressione di sangiovese che si esprime su caratteri minerali e di frutta rossa di bosco. Alla cieca diresti che è più giovane e non di poco..


Rosso di Montalcino 2001 Colleoni: vino di razza giocato tutto su toni ematici e minerali. Non ampissimo in bocca ma va giù che è un piacere. 

Tra un pò inizia il seminario sui Rossi di Soldera 1977-1983. Relatore (in ritardo) Fabio Cagnetti.



Fabio alla prese con la '77....
  
Rosso di Montalcino 1977 Soldera: i RdM di Soldera sono vini che non esistono più perchè prodotti solo dal 1975 al 1986. In seguito, tranne le eccezioni Intistieti e Pegasos, ha solo fatto Brunello. Il 1977 è un'annata equilibrata che ha fatto raggiungere alle uve un'ottima maturazione. Naso evoluto  ma piacevole: sottobosco, pelliccia, arancia, fiori secchi. In bocca è perfettamento amalgamato in ogni componente. Non sarà un mostro di struttura ma mantiene una beva agile e seducente. Forse il vino della serata. 12.2%

Rosso di Montalcino 1978 Soldera: annata calda considerata buona. Purtroppo vino tappato anche se in bocca si sente la consistenza e la materia del millesimo. Il frutto che riesco a sentire è ancora polposo e succoso. Peccato, sarebbe stato un vino opposto e complementare. 13,2%

Rosso Toscano di Brunello 1980: il nome è una bizzarria così come l'annata disgraziata e gelida. Naso di frutta che scomponendosi attinge a tutte le tinte autunnali mantenendo un freschezza di fondo figlia del millesimo. Bocca he manca di struttura ma rimane freschissima ed agile. Con una gradazione di 12,5% rimane un vino godibilissimo nonostante tutto...

Rosso Toscano di Brunello 1983: si entra nella DOC. Annate strepitosa. Naso che sa di caramella mou, caramello, terra rossa, fiori secchi, caffè, legni nobili. Bocca elegante, di razza, presenta un tannino ancora vivo e vegeto ed una freschezza di fondo che accompagna il finale di beva. Se vi capita un'altra bottiglia fate un fischio! 12,5%


A domani con i seminari di Armando Castagno!
Ricordatevi di fare refresh ogni tanto!

Sangiovese Purosangue: questo sabato e domenica a Roma c'è un grande evento sul Sangiovese di Montalcino


Davide Bonucci, mente ed anima dell'Enoclub Siena, è riuscito in un sogno: portare a Roma tutti i principali produttori di sangiovese di Montalcino, tra cui il grande Biondi Santi, per rivendicare pubblicamente la grandezza del Rosso di Montalcino, un vino che, nonostante qualche scettico, deve rimanere 100% sangiovese per continuare a rimanere grande ed appetibile dal mercato. 

Quasi 50 sono i produttori invitati che, durante la due giorni, presenteranno vecchie e nuove annate di Rosso di Montalcino, dimostrando la grandezza e la capacità di invecchiamento di un vino finora ingiustamente poco considerato e mal comunicato. 

Durante i due giorni della rassegna ospitata a Villa Aldobrandeschi saranno poi proposti anche dei seminari di approfondimento e altri eventi speciali:

Nella mattinata di venerdì 27 gennaio ci sarà l'attesa conferenza stampa con i seguenti relatori:

Davide Bonucci, presidente Enoclub Siena - Perché il Rosso. Perché adesso. Perché a Roma;
Stefano Cinelli Colombini, produttore della Fattoria dei Barbi - Il Sangiovese di Montalcino;
Enzo Tiezzi, agronomo, enologo, produttore dell'azienda Tiezzi - Storia del Rosso di Montalcino;


Altri interventi di produttori: Marino Colleoni (Sante Marie), Filippo Frediani (Marchesato degli Aleramici), Alessandro Mori (Il Marroneto), etc.
Gian Luca Mazzella, giornalista de Il Fatto Quotidiano - Il ruolo di Montalcino nell'Italia della denominazione d'origine tradita
Maurizio Castelli, enologo - Quarant'anni di esperienza a Montalcino
Domande e repliche. Seguirà degustazione riservata alla stampa e buffet


Nel pomeriggio di venerdì 27 gennaio, il primo seminario proporrà una degustazione verticale di introvabili Rosso di Montalcino prodotti negli anni '80 da Gianfranco Soldera, uno dei più prestigiosi e ricercati produttori di Montalcino; seguirà un secondo seminario con la degustazione comparativa di vini a base Sangiovese dalle principali zone vocate della Toscana. Al termine della giornata di assaggi è prevista una cena-incontro con i produttori, la stampa e gli appassionati.

Sabato 28 gennaio si terranno due seminari curati da Armando Castagno, critico di vino, cultore del Sangiovese, esperto di Montalcino e autorevole firma della rivista Bibenda. Alla mattina, una degustazione alla cieca di confronto tra Rosso di Montalcino e Village Bourgogne. Al pomeriggio, un approfondimento-degustazione attorno al concetto di zonazione, dei diversi terreni e quadranti presenti a Montalcino.

L'ingresso di 15,00 euro garantisce sia l'accesso ai tavoli di assaggio che ad un light buffet di accompagnamento. La partecipazione ai seminari e alla cena, è possibile solo su prenotazione.

Percorsi di Vino sarà il blog ufficiale della manifestazione e seguirò in diretta tutti gli eventi con interviste esclusive. Previste polemiche....

Quando: 27 e 28 gennaio 2012 

Dove: Villa Aldobrandeschi, Via Aldobrandeschi 14/16

Info e prenotazioni: Davide Bonucci 331 10.78.464, info@sangiovesepurosangue.it

Orari: Venerdì 27 Gennaio 2012: 13.00 - 19.30 Sabato 28 Gennaio 2012: 10.00 - 19.00. Dedicato agli operatori: 27 Gennaio ore 10.30 - 13.00



López de Heredia è un'esperienza di vita - seconda parte



Saremmo rimasti ore a sentirla parlare delle sue viti però ancora non abbiamo visto tutto e il tempo, in questi casi, è tiranno. Imbocchiamo di nuovo El Calado e, dopo aver percorso metri e metri di antri oscuri colmi di botti di ogni tipo, ci fermiamo davanti ad una porticina. “Siamo al nostro “Cimitiero…. – esclama Maria con un sorriso – ma niente paura, qua non ci sono bare ma solo grandi vini”. 

Il “Cimitero”, come lo hanno chiamato i vecchi dipendenti dell’azienda, altro non è che una sala dove la famiglia conserva tutte le bottiglie più vecchie, una sorta di museo d’epoca del vino della Rioja dove, se sarete bravi a togliere le mille ragnatele, potrete scorgere bottiglie anche del secolo scorso.

Altro che Cimitero..
C’è ancora un posta da visitare: la Tonnelleria della Bodega! La strada comincia di nuovo a salire e la luce, via via più intensa, ci ricorda che di fuori è ancora pieno giorno. Sentiamo dei rumori sordi e l’odore del legno comincia ad entrare nelle nostre narici. 

Davanti a noi c’è un mastro bottaio che sta riparando alcune barrique. “Vedi Andrea – mi confida a voce bassa Maria – per mantenere le nostre tradizioni la Bodega deve avere al suo interno una zona dove costruire o riparare le botti, siamo i soli in Spagna ad avere una tonnelleria privata dove tutto ancora si svolge in maniera artigianale. In questa zona operano tre bottai e un falegname che hanno il compito di “curare” i nostri legni che, come sai, sono strumenti fondamentali per affinare i nostri vini. Non possiamo delegare questa attività a nessuno…”.

Mastro Bottaio all'opera
Mentre mi conduce nella sala degustazione, nostra ultima tappa del tour, penso e ripenso alla domanda che da giorni, forse da mesi, avevo in mente di chiederle.

Arrivati nella piccola “tasting room” la guardo negli occhi e le chiedo: ”I vostri vini hanno un rapporto qualità/prezzo pazzesco. Potreste venderli a molto di più. Perché adottate questa poltiica?”. 
La risposta è di quelle che scriveresti nella roccia, indelebile: ”Questa è un quesito che molti mi pongono e la risposta che continuamente fornisco è molto semplice: noi, da sempre, vogliamo che il nostro vino sia bevuto soltanto da chi lo apprezza veramente e non da chi se lo può permettere”. Poche parole per una lezione di etica che mette i brividi. Almeno a tutti noi presenti. 

Parte dei vini degustati
I vini di López de Heredia sono, al giorno d’oggi, anticonformistici e, soprattutto, anacronistici. Sono prodotti per essere conservati nel tempo, hanno uno stile ossidativo e, per molti profani, il fatto di essere commercializzati anche dopo dieci anni fa di questi vini veri e propri pezzi da museo che mai acquisterebbero. La forza di Maria e dei suoi antenati è stata proprio questa, rimanere sempre fedeli a se stessi nonostante le mode, le varie crisi mondiali che si sono succedute in oltre 130 anni di storia e….Parker!  

La degustazione inizia con un Viña Gravonia Crianza 2001 (viura 100%), un bianco che, soprattutto al palato, mi fa venire in mente l’austera complessità del Manzanilla di Sanlúcar de Barrameda. Approcciarsi al Gravonia significa capire cosa sia bere un vino secco. Da brividi la sferzante acidità.

Continuiamo con il Viña Gravonia Crianza 1991 (viura 100%), la cui espressione aromatica e gustativa, eccezionalmente solida nonostante l’anima retrò, rappresenta l’indelebile marchio di fabbrica di López de Heredia. Odori e sapori sono elegantemente terziari: mela cotogna, cera d’api, cedro, curry…. Acidità da manuale e persistenza infinita. Che altro volere da  un bianco d’annata? 

Il Viña Cubillo Crianza 2005 (tempranillo 65%, garnacho 25%, mazuelo e graciano la restante parte) è il vino più “giovane” che attualmente troverete in commercio e questo la dice tutta. Questa tipologia di vino, forse, tra la gamma produttiva della Bodega spagnola è quello che risulta più pronto e di facile beva. Ha un bouquet complesso di aromi che spaziano tra la scatola di sigari alla viola fino ad arrivare al caffè e alla frutta di rovo essiccata. In bocca è dinamico, armonico, con tannini “gentili”, fresca acidità e persistenza da applausi. Lo vendono in Spagna a 10 euro a bottiglia….. 


Il Viña Bosconia Reserva 2002 (tempranillo 80%, garnacho 15%, mazuelo e graciano per il resto) è un vino che vira decisamente verso un carattere fruttato, intensamente fruttato dove mora, ribes nero, marasca intersecano le loro anime con cenni di rosa passita e china. Bocca di sorprendente eleganza dove sapidità e acidità ben sorreggono una struttura importante. Ottima la PAI.   

Il Viña Tondonia Reserva 2001 (tempranillo 75%, garnacho 15%, mazuelo e graciano 10%), l’ultima annata in commercio di questo Cru, si apre al naso con una complessità ed una finezza che definirei quasi borgognona. Ci sento i fruttini rosso di bosco mentre, con l’ossigenazione, il vino si apre mostrando una parte oscura fatta di sentori di animali e minerali. E’ ancora giovanissimo da bere, non cede nulla al palato. Da conservare per anni.

Col Viña Tondonia Gran Reserva 1991 (tempranillo 75%, garnacho 15%, mazuelo e graciano 10%), ho abbracciato Maria López de Heredia e le ho confessato in un orecchio che questo vino valeva da solo il viaggio. Di fronte ad un grande vino non occorrono note di degustazione, vi lascio la sorpresa…. 

Emozioni color granato
E’ ora di tornare a casa, tra il buio e la luce sono passate circa tre ore. Di fuori, all’interno dell’elegante wine bar della Bodega, ci sono frotte di turisti americani che stanno comprando casse di vino. “Sai quale è il paradosso Andrea? Che, nonostante Parker e i vitigni internazionali, gli Stati Uniti sono il nostro maggior mercato. Strana la vita vero?”.  

Guardo Maria per l’ultima volta, la invito a Roma per una degustazione. Ci sarò sono le sue ultime parole…

ll moderno Wine Bar

López de Heredia è un'esperienza di vita - Prima Parte


Fa freddo, nonostante sia una maledetta mattina di Agosto, il termometro della macchina segna 12° e la strada per Haro presenta tratti più autunnali che estivi. Ci siamo, il GPS sta implorandomi di svoltare ad Avenida de Vizcaya. Sono nel posto giusto, questa strada sembra un piccolo distretto vinicolo formato da Bodegas dalla grande tradizione visto che, una di seguito all’altra, sorgono Muga , La Rioja Alta, Roda, De Gomez Cruzado e, ovviamente, López de Heredia, la mia destinazione finale, forse il motivo recondito del nostro viaggio in Spagna. Arriviamo presto, sono le nove del mattino, c’è ancora calma piatta, i gruppi di enoturisti in pullman non sono ancora arrivati. 
Una voce, proveniente dall’ingresso degli uffici, mi scuote dal mio torpore mattutino:”Ola, sei Andrea?”

Il "Txori Toki"
Maria López de Heredia, indossa una grande sciarpa al collo ed una parannanza nera, mi stringe la mano sorridente, i suoi occhi sono modesti, orgogliosi e pieni d’amore per la sua Terra e il suo lavoro. Capisco subito che sono di fronte ad una grande donna ed incontrarla segnerà indelebilmente la mia storia personale, non solo in fatto di vino. 

Iniziamo a parlare della storia delle cantina: tradizione e passato sono presenti in ogni atomo della Bodega fondata nel 1877 da D. Rafael López de Heredia y Landeta, un lungimirante studente di enologia che, a soli venti anni, credette nelle potenzialità del terroir della Rioja grazie anche alle continue visite dei negociants francesi di Bordeaux che, a quei tempi, stavano cercando nuove fonti di approviggionamento visto che le loro uve erano stato distrutte dalla fillossera.

Don Rafael López de Heredia
Chissà se quella che oggi viene definita una vera e propria “cattedrale del vino” era l’idea originaria del fondatore, sta di fatto che attualmente la “moderna” Bodega si estende su una superficie di oltre 50.000 mq divisa tra edifici (19.718 mq) e cantine sotterranee lunghe fino a 200 metri e profonde oltre 15 metri.

Il piazzale d'entrata
Maria è impaziente di farci vedere il suo mondo e apre il primo grande, pesante, portone in legno della giornata. Superata la soglia sembra di entrare in una macchina del tempo grazie alla quale vieni sbalzato in un altro mondo, in un altro tempo, tutto sembra essere rimasto come una volta e ti ritrovi lontano da Ysios e dalla falsa esteticità di progetti nati solo per attrarre gli enoturisti beoni della Rioja.

Entriamo nella "Bodega Blondeau" pregni di un misticismo inaspettato. 

Questo luogo – mi confida Maria – è uno dei più antichi dell’edificio ed è utilizzato per la prima fermentazione dei nostri vini rossi. Il legno delle botti proviene direttamente dagli Stati Uniti e dalla Francia assieme a piccoli quantitativi da Spagna ed ex Yugoslavia. Questi grandi spazi che vedi – continua – permettono all’area fresca di girare libera. Così si mantiene fresco l’ambiente e si controllano naturalmente le alte temperature provocate dalla fermentazione. Noi qua non facciamo nulla, l’unica cosa tecnologica sono le luci..”. 


Scendiamo, giriamo angoli bui, entriamo ed usciamo da tetri accessi, il nostro Cicerone ci sta portando verso il cuore antico e pulsante della Bodega. Attorno a noi solo vecchie botti di vino di chissà quale anno scritte da chissàchi con un gessetto col quale si sono tracciate sigle indecifrabili per noi poveri umani. Respiriamo a pieni polmoni muffa e storia. 

L’ennesima porta ci conduce all’interno della “Bodega Nueva”, uno spazio cantina costruito tra il 1904 e il 1907 a partire da una buca di grandi dimensioni a cui è stato applicato un tetto di cemento armato sorretto da colonne dello stesso materiale. La "Bodega Nueva" divenne in quel periodo uno dei primi edifici in Spagna ad utilizzare cemento armato a fini civili.

Botti dappertutto nell'oscurità della cantina
Superiamo una mezza dozzina di umide gallerie e ci troviamo all’interno della "Bodega Vieja", un luogo magico, ascetico, dove anche un bambino comprenderebbe il significato della parola TRADIZIONE STORICA. File e file di vecchie bottiglie coperte da sana e utile muffa ci danno il benvenuto e quasi sembra di scorgere, tra le ombre, la sagoma di D. Pedro López de Heredia, terza generazione della famiglia, che per soddisfare impellenti esigenze di spazio sacrificò parte della volta a botte della vecchia cantina per avere un’area di invecchiamento per i vini migliori classificati “Gran Reservas”. Quando si dice lungimiranza…

"Vecchie" bottiglie di Tondonia nella Bodega Vieja
Le sorprese non sono finite perché, scuotendoci dal nostro stato di soggezione misto a profonda venerazione enologica, Maria ci conduce verso “El Calado”, un bellissimo tunnel del 1892 di quasi 200 metri scavato nella roccia arenaria i cui lavori, commissionati da D. Rafael López de Heredia y Landeta in persona, sono durati quasi 15 anni. La galleria, che attraversa tutta la collina sovrastante, arriva fino alle sponde del fiume Ebro e permette di impilare fino a cinque barrique che stazionano costantemente ad una temperatura di 12°.

El Calado
Non facciamo in tempo ad ammirare il “panorama” che Maria blocca ogni nostro impuro pensiero sul nascere sottolineando che ”…tutta quella muffa e quei ragni che vediamo sulle pareti sono utili per combattere le fastidiose falene”. “Ogni cosa – continua – dentro le nostre cantine è al posto giusto da oltre 130 anni, è un microuniverso che non abbiamo intenzione di modificare visto i risultati che otteniamo”.

Maria
La fine del tunnel ci conduce ad una porta che, una volta aperta, apre la vista sulle sponde dell’Ebro. “Laggiù c’è il nostro vigneto più importante, il Tondonia, risale al 1913-14 ed è stato piantato dal nostro fondatore che già a quel tempo aveva ben presente l’importanza di avere vigne proprie di qualità. 
Si trova all’interno di una depressione a forma di conchiglia (Tondonia deriva proprio dalla parola latina retondo) situata sulla riva destra del fiume e presenta un terreno argilloso sabbioso con alta percentuale di calcare. 
Attualmente si estende per  oltre 170 ettari e produce in media 800.000 quintali di uva distinta tra le varietà tempranillo, garnacho, graciano e mazuelo per i rossi, e viura e malvasia per i bianchi. Da questo vigneto si producono i nostri vini migliori! 
Andrea, dammi il tuo Moleskine che ti disegno come è fatto il Tondonia….” 

Le sponde sul fiume Ebro
Chiediamo dove sono gli altri vigneti dell’azienda e Maria, disegnando forme ellittiche nell’orizzonte, mi indica le zone dove trovano sede le vigne da cui derivano il Viña Bosconia, il Viña Cubillo e il Viña Gravonia
Laggiù – indicandomi una zona vicino alle sponde dell’Ebro – si trova la vigna El Bosque, 15 ettari piantati ad un’altitudine di 465 metri con esposizione sud. Il suolo è un misto di argilla e calcare e le viti hanno un’età di 40 anni. Viña Cubillas, invece, là trovi da quella parte, è un po’ distante dalla Bodega, circa 4 Km. Ha un’altitudine di 410 metri e si estende per circa 24 ettari piantati su suolo argillloso e calcareo e le vigne hanno circa 40 anni. 
Viña Zaconia, 24 ettari piantati esclusivamente a viura, si estende per 24 ettari e le vigne, che poggiano su un suolo estremamente povero e sassoso, ricco di calcare, hanno un’ età media di 45 anni. Il fatto di avere un terreno bianco aiuta moltissimo le uve bianche a maturare al punto giusto. Vieni qua che ti disegno anche questi vigneti…”.

Mercoledì la seconda parte di questo viaggio al centro del vino


Il vino di Triei, un patrimonio sardo da salvare


Non ne parla nessuno se non i giornali della Sardegna che ogni tanto amo leggere. 
Questo post, oggi, è dedicato al Comune di Triei, piccolo centro della Provincia dell'Ogliastra, che da secoli vanta nel suo areale vigneti leggendari (Cannonau, Vernaccino e Amantesu) visto che, nel 1600, il vino prodotto da questi parti veniva usato in Vaticano per la messa.
Oggi, dare una scossa ad un'economia locale depressa, il Comune metterà a disposizione una fetta del proprio territorio per rilanciare il proprio vino attraverso la creazione di un vigneto sperimentale gestito da una cooperativa sociale.

«Triei spiega il s
indaco Muggianu - ha una grande tradizione per il vino. Cannonau in particolar modo ma nel nostro territorio ci sono da sempre anche altri vitigni. Il vino che si produce in maggiore quantità è il nero che poi sarebbe il rosso. Ma viene prodotto anche il cosiddetto vino bianco che in realtà è poi un rosato, un vino dessert che in pasato veniva usato per la colazione, in campagna, a base di turreddu, che sarebbe il nostro pane carasau, e formaggio o salsicce». 

Panorama di Triei
Storicamente le zone migliori per la coltivazione della vite a Triei sono dislocate nelle colline che circondano il paese. Su tutte c’è però una località da dove arriva il meglio del vino made in Triei, si chiama Talavè e si trova nella zona adiacente il villaggio nuragico di Bau Nuragi. 

«In quella zona, che risale al 1000 Avanti Cristo - aggiunge il sindaco di Triei - sono state scoperte tracce di vite addomesticata e quindi di una attività vinicola. Alcuni studiosi, in Olanda, facendo delle analisi su alcuni cocci trovati a Bau Nuragi, nell’aria di Talavè, hanno scoperto che da quelle parti si coltivava la vite. Un’altra nota storica del nostro vino è stata scoperta dall’archeologo Sancez della Sovraintendenza di Cagliari che aveva effettuato degli scavi nel nostro territorio; negli archivi del Vaticano ha scoperto che il Talavè veniva portato al Papa. Una ricerca che è stata presentata per la prima volta al Vinitaly del 2005 a Verona. Ancora più avanti con la storia, da alcune ricerche nella Curia Vescovile di Lanusei, risulta che a Marsiglia, si vendeva il vino” Triei». 

«Adesso - conclude il primo cittadino - l’idea è quella di tornare a valorizzare il marchio del Talavè coltivando il vitigno nella zona classica. Il consiglio comunale ha dato l’assenso alla richiesta della cantina Ogliastra che vuole creare un vigneto nella zona. Si tratta di una quindicina di ettari». 

A questa gente e al loro coraggio non possiamo che fare i migliori in bocca al lupo! 

Sangiovese Purosangue a Roma: due giorni per rivendicare l'orgoglio autoctono del Rosso di Montalcino


Davide Bonucci, mente ed anima dell'Enoclub Siena, è riuscito in un sogno: portare a Roma tutti i principali produttori di sangiovese di Montalcino, tra cui il grande Biondi Santi, per rivendicare pubblicamente la grandezza del Rosso di Montalcino, un vino che, nonostante qualche scettico, deve rimanere 100% sangiovese per continuare a rimanere grande ed appetibile dal mercato. 

Quasi 50 sono i produttori invitati che, durante la due giorni, presenteranno vecchie e nuove annate di Rosso di Montalcino, dimostrando la grandezza e la capacità di invecchiamento di un vino finora ingiustamente poco considerato e mal comunicato. 

Durante i due giorni della rassegna ospitata a Villa Aldobrandeschi saranno poi proposti anche dei seminari di approfondimento e altri eventi speciali:

Nel pomeriggio di venerdì 27 gennaio, il primo seminario proporrà una degustazione verticale di introvabili Rosso di Montalcino prodotti negli anni '80 da Gianfranco Soldera, uno dei più prestigiosi e ricercati produttori di Montalcino; seguirà un secondo seminario con la degustazione comparativa di vini a base Sangiovese dalle principali zone vocate della Toscana. Al termine della giornata di assaggi è prevista una cena-incontro con i produttori, la stampa e gli appassionati.

Sabato 28 gennaio si terranno due seminari curati da Armando Castagno, critico di vino, cultore del Sangiovese, esperto di Montalcino e autorevole firma della rivista Bibenda. Alla mattina, una degustazione alla cieca di confronto tra Rosso di Montalcino e Village Bourgogne. Al pomeriggio, un approfondimento-degustazione attorno al concetto di zonazione, dei diversi terreni e quadranti presenti a Montalcino.

L'ingresso di 15,00 euro e garantisce sia l'accesso ai tavoli di assaggio che ad un light buffet di accompagnamento. La partecipazione ai seminari e alla cena, è possibile solo su prenotazione.

Percorsi di Vino sarà il blog ufficiale della manifestazione e seguirò in diretta tutti gli eventi con interviste esclusive. Previste polemiche....

Quando: 27 e 28 gennaio 2012 

Dove: Villa Aldobrandeschi, Via Aldobrandeschi 14/16

Info e prenotazioni: Davide Bonucci 331 10.78.464, info@sangiovesepurosangue.it

Orari: Venerdì 27 Gennaio 2012: 13.00 - 19.30 Sabato 28 Gennaio 2012: 10.00 - 19.00. Dedicato agli operatori: 27 Gennaio ore 10.30 - 13.00



Bersani beve birra artigianale all'Open Baladin di Roma


Spopola su Twitter la foto di Bersani che, solo e pensieroso, beve una birra in un pub. La foto è stata scattata da Luca Sappino, consigliere municipale di Sinistra e Libertà. Bersani era in un locale di Campo de’ Fiori a Roma. Il tweet con cui Sappino ha condiviso la foto recita: "Leader di grande partito del fu centrosinistra cerca compagni di bevute."


Ah, ovviamente il locale è l'Open Baladin di Roma. Chi indovina che birra ha preso?

Fonte: Tgcom

Questo vino sa di meteorite. Aggiornare, prego, l'elenco dei descrittori


Ai vari profumi che gli enologi attribuiscono al vino sta per aggiungersi il 'retrogusto meteorite'. Un produttore cileno, riferisce il sito di Discovery Channel, ha lanciato un cabernet sauvignon chiamato 'meteorito' che e' stato fatto invecchiare in botte con un frammento di un asteroide datato 4,5 miliardi di anni fa.
"Sono stato interessato al vino e all'astronomia per molti anni - spiega l'inventore del Meteorito, Ian Hutcheon - e volevo trovare un modo per combinare le due cose". Il frammento utilizzato, lungo circa 7 centimetri, e' stato donato da un collezionista statunitense, e proviene da un meteorite caduto nel deserto di Atacama circa 6 mila anni fa.

Ian Hutcheon con il suo vino
L'unico posto dove si puo' bere il vino 'spaziale' e' l'osservatorio astronomico Tagua Tagua, fondato dallo stesso Hutcheon, circa 100 chilometri a sud ovest di Santiago, anche se a detta del produttore una parte dei 10 mila litri prodotti verra' esportata: "L'idea di immergere un meteorite nel vino mi e' venuta per poter dare a tutti la possibilita' di toccare qualcosa che viene dallo spazio - spiega - il Cabernet risultante ha un profumo piu' deciso".

Alla prossima degustazione pubblica me ne esco con questo descrittore, dite che farò un figurone?

Fonte: Ansa
 Articolo tratto dal sito Ansa.it

Tenute Dettori - Renosu Bianco


 Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi
le tue calzette rosse
e l'innocenza sulle gote tue
due arance ancor piu' rosse
e la cantina buia dove noi
respiravamo piano
e le tue corse, l'eco dei tuoi no,(oh no)
mi stai facendo paura
Dove sei stata cosa hai fatto mai?
Una donna, donna, dimmi
cosa vuol dir sono una donna ormai....

Esiste la Canzone del Sole ed esistono anche i vini del sole. Uno di questi, a mio parere, è il Renosu Bianco (taglio di vermentino e moscato delle annate dal 2003 al 2007) prodotto da Tenute Dettori, azienda sarda gestita egregiamente da Alessandro che, da piccolo artigiano vignaiolo, porta avanti con grande orgoglio, nelle terre di Badde Nigolosu, la sua tradizionale filosofia produttiva priva di ogni condizionamento chimico e meccanico.

Alessandro Dettori Fonte:Cosaspreziosas.com
Il Renosu Bianco, già dal suo colore dorato intenso, ti riporta con la mente alla luce dell'alba d'Agosto mentre l'olfatto, con la sua complessità ed intensità, ti precipita dritto dentro un cesto di frutta gialla matura, un campo di fieno estivo, la macchia mediterranea, mentre le sensazioni di miele d'acacia mi ricordano le colazioni da bambino prima di andare al mare.

Anche in bocca, al sorso, il vino come una supernova esplode in tutta la sua carica aromatica (grazie alle caratteristiche del moscato) avvolgendo tutto ciò che incontra terminando la sua corsa, da cavallo di razza, solo dopo molti minuti la deglutizione. Non c'è pesantezza però in questo vino, credetemi, ma solo tanto equilibrio che, ovviamente, è giocato su toni molto alti.
Il prezzo del Renosu è davvero commovente per cui, se potete, cercatelo e fatemi sapere se diventerà anche il vostro vino del sole.

La chimica del Bordeaux


Continuando il discorso sui bordolesi proprio ieri ho letto su Teatro Naturale un interessante articolo sulla identificazione della molecola che caratterizza i vini di Bordeaux.
Ernesto Vania, sul sito, scrive che grazie all'Università di Bordeaux, all'Inra e all'Ecole Nationale d’Ingénieurs des Travaux Agricoles de Bordeaux si è potuta identificare la molecola che forse meglio di altre è associata ai vini bordolesi.

Fonte: Teatro Naturale
Si tratta dell'etil-2-idrossi-4-metilpentoato che sarebbe stato direttamente all'aroma di "mora fresca", che è stato isolato utilizzando la gas cromatografia-sensoriale olfattometria (GC-O) e la gas-cromatografia a due dimensioni(GC-GC-MS).
Prioritariamente è stato eseguito un frazionamento in HPLC di estratti di vino rosso su una colonna C18. 
Si è così arrivati alla produzione di quattro frazioni con aromi di more e frutta rossa, che sono stati poi analizzati mediante GC-O, GC-GC-MS e GC-MS.
Si sono quindi isolati 10 esteri, corrispondenti a descrittori di frutta rossa o mora, che sono stati caratterizzati con GC-MS.
L'etil 2-idrossi-4-metilpentoato (etil Leucate, EL) è stato identificato per la prima volta come un composto, presente nel vino, associato direttamente all'aroma di mora fresca. 

Sono anche state individuate le soglie di percezione. Incredibilmente la soglia di percezione più elevata, 900 mg/l, è relativa a vino dearomatizzato.
La soglia di percezione di 300 mg/l è invece stata individuata in una soluzione "vino simile" (alcol 12%, pH 3,5).
E' stato inoltre scoperto che l'etil-2-idrossi-4-metilpentoato può interagire, a livello aromatico, con l'etil butanato. 


Per capire tutto l'articolo ho dovuto rigiocare col Piccolo Chimico che, però, non mi ha dato soddisfazione sulla domanda della settimana: ma sti Bordeaux francesi, sono davvero così buoni ed eterni?

Château Haut-Bailly 1990: l'immortalità del Bordeaux la metto in dubbio!


C'è un un solo grande sbaglio che l'appassionato può fare: avere pregiudizi nei confronti di un vino, che siano negativi o, come in questo caso, positivi. 
Avete presente un amico che porta a cena uno Château Haut-Bailly 1990? Questa persona verrà visto come un mito dalla maggioranza degli ospiti che, grazie a lui, potranno condividere un'esperienza enoica unica ed inimitabile. 
Il vino francese è il vino francese, Bordeaux è Bordeaux, a prescindere da tutto e da tutti!

Fonte: http://www.taste-a-wine.com
Ma siamo sicuri che Bordeaux sia sempre sinonimo qualità a prescindere? Avere nel bicchiere lo Château Haut-Bailly 1990 di certo non aiuta a rispondere positivamente alla domanda. Purtroppo.
All'inizio parte dolce, caramelloso, mi ricorda l'odore della Charms ai frutti di bosco, solo col tempo i profumi diventano più dignitosi ed evolvono su note di tabacco da pipa, spezie scure, foglie secche macerate, fungo porcino, brodo.
La bocca è in linea col naso e dipinge di autunno il palato che conosce un tannino perfettamente fuso ma poco rinvigorito da una spinta acidità che stenta a far decollare la beva. Che dire, mi è sembrato un taglio bordolese già "scollinato" che non vale quello che costa, cioè oltre 100 euro. 

Non vorrei generalizzare ma, tranne poce eccezioni, ultimamente ho bevuto molti Bordeaux, anche importanti, con un'aspettativa media di vita molto bassa. Che esperienze avete avuto voi? Io un pò deluso lo sono...

Ah, ultima cosa: non dite nulla all'amico che lo ha portato a tavola...


Giuseppe "Bepi" Quintarelli ci ha lasciato


Che periodo del cavolo, troppi maestri stanno morendo lasciando eredità troppo difficili da raccogliere. Che la Terra ti sia lieve Bepi!

Fonte: http://www.winewatch.com
 

La migliore etichetta di vino al mondo è dell'Alpha Crucis Shiraz 2008


Vi piace l'etichetta? Non male vero? Sicuramente è piaciuta molto alla World Label Awards Association che nel 2011 l'ha proclamata la più bella di tutte al mondo all'interno di una competizione che ha visto rivaleggiare Vecchio e Nuovo Mondo.


L'Alpha Crucis, in particolare, è uno Shiraz australiano la cui etichetta rappresenta la Croce del Sud dove l'azienda è la più brillante delle stelle.
Spiegando la filosofia che ispira il design, i responsabili di Alpha Crucis sostengono che: "L'arco di ellisse o parziale parabolica sopra la parte superiore del marchio rispecchia la forma del cielo notturno celeste, con la costellazione della Croce del Sud identificata da una linea tratteggiata così come era riprodotta nelle mappe stellari del secolo scorso".


Simbolo dell'emisfero australe la Croce del Sud è formata da cinque stelle categorizzate in base alla loro luminosità. La stella più luminosa rappresenta la prima lettera del greco alfabeto - Alpha, abbreviato nelle mappe stellari con il simbolo α. Le successive lettere greche vengono applicati in ordine decrescente di luminosità - Beta (β), gamma (γ), Delta (δ) e epsilon (ε).
In questo caso, come possiamo vedere dalla foto sottostante, l'azienda vinicola rappresenterebbe la stella più luminosta della costellazione. 
Oggi anche lezione di astronomia, tiè! 

Fonte: Wikipedia
 

Il Merlot di Bele Casel dal 2002 al 2006


Fare riferimento a Bele Casel e parlare del loro Merlot e non del Prosecco a molte persone potrà suonare stonato ma vi posso assicurare che Luca Ferraro e la sua famiglia hanno puntato molto su questo vitigno che, come scritto sul sito internet, rappresenta una vera e propria sfida per tutti loro.

Noi abbiamo fatto una pazzia, abbiamo piantato merlot , vitigno tipico delle nostre zone, ma sempre maltrattato, facendo produrre alle vigne quantità d’uva assurde. Beh noi volevamo risollevare il nome di quest’uva. Impianti molto stretti, diradamenti spinti, vendemmia di uve ben mature e l’acquisto di botti grandi per non alterare la tipicità del nostro merlot.

Durante le ultime feste, approfittando della compagnia di un nutrito gruppo di amici appassionati, sono finalmente riuscito a degustare tutta la verticale del Merlot Bele Casel che da tanto, troppo tempo avevo in cantina. Cinque annate, dalla 2002 alla 2006, che fanno capire che da quelle parti si fa veramente sul serio anche con i rossi. 

Prima di iniziare, però, qualche dettaglio tecnico: le vigne sono state piantate a circa 200 metri s.l.m in zona Cornuda su terreni rossi, ricchi di ferro e tendenzialmente argillosi. Impianti fitti (2.5x1 metro) a cordone speronato. Resa max 40 q.li ettaro. Vendemmia manuale. In cantina tutta la fermentazione avviene a contatto con le bucce con un primo travaso in botte e poi battonage per i primi 4 o 5 mesi. Rimane in in botte grande per almeno 24 mesi, niente filtrazioni e solo una piccola aggiunta di solforosa prima dell'imbottigliamento. Affinamento di almeno un anno in bottiglia.

La bella foto di Rossella di Ma che ti sei mangiato?

Merlot 2002: il millesimo di per sè non aiuta certo il giovane vignaiolo che per la prima volta cerca di vinificare il suo merlot. Nonostante tutte le difficoltà del caso, esperienza in primis, nel bicchiere il vino, inizialmente chiuso, esce fuori abbastanza bene con sentori terziari di cuoio, fiori secchi, humus e un tratto ferroso che, come vedremo, rappresenterà una caratteristica che ci accompagnerà lungo tutta le degustazione. In bocca è esile, l'anna fredda si sente, cede un pò a centro bocca ma si riprende bene alla fine con una persistenza inaspettata.

Merlot 2003: da un'annata fredda ad una siccitosa, il caldo non dà tregua nemmeno da queste parti. A differenza del precedente bicchiere, in questo si sente una maggiore rotondità ed morbidezza, anche le sensazioni olfattive tendono più al fruttato (amarena) anche se, col tempo, la mineralità rossa fa di nuovo capolino. Bocca morbida, forse un filo di alcol in eccesso, ma sicuramente più ampia e meno cadente.


Merlot 2004: l'annata equilibrata (finalmente) si rispecchia nel vino che, in assenza di picchi, va dritto per la sua strada senza troppi fronzoli e, per la prima volta, si scopre elegante nelle sue note di spezie, frutta rossa a grappolo e sapida mineralità. In bocca è fine, fresco, piacevolmente sapido e fruttato e, nonostante ceda un pò nel finale, va giù che è un piacere.

Merlot 2005: rispetto al precedente è più scarico nel colore e presenta riflessi granato come se, rispetto al precedente, fosse più vecchio. Anche al naso la terziarizzazione degli elementi olfattivi è più netta visto che si percepiscono nette le note di fiori rossi da diario, frutta rossa essiccata, humus e un tocco di mineralità più nera che rossa. Bocca bilanciata, ampia, elegantemente austera. Piaciuto molto anche se avrà forse vita breve.

Merlot 2006: scarico nel colore (cambio vinificazione?) si presenta con caratteristiche molto simili al precedente anche se, rispetto alla 2005, trovo un tocco di ciccia in più rappresentato da note cioccolatose, macis e radici. In bocca è sempre lui, minerale, sapido, abbastanza equilibrato, dritto e teso con un finale che, se fosse più grintoso, darebbe al vino quel qualcosa in più da portarlo nell'olimpo dei migliori merlot italiani. 

Bele Casel è solo all'inizio della sua storia in rosso per cui non ho dubbi che Luca Ferraro possa migliorare ulteriormente questo merlot che, col tempo, l'esperienza e la passione di tutta la famiglia, arriverà a contendersi lo scettro di miglior vino dell'azienda assieme al loro ottimo Prosecco.

Luca Ferraro Fonte: madeinkitchen.tv

Brindisi bipartisan alle Maldive: Schifani, Rutelli e Casini vanno a Champagne


Per carità, ognuno è libero di fare ciò che vuole nella vita, però mentre le pensionate del mio quartiere lottano per arrivare a fine mese, c'è chi dovrebbe dare il buon esempio e non lo fa. Ma, poi, dico, brindare francese con uno Champagne da supermercato. Bavboni!!!


Chateauneuf du Pape Clos du Mont Olivet 1998



Ho acquistato questo vino alcuni anni fa durante la mia vacanza in Provenza e Valle del Rodano. Su consiglio di Mike Tommasi sono passato a trovare questa famiglia di vignaioli che, nonostante le dimensioni non certo da "piccoli" (hanno 28 ettari di vigneto sparsi in tutta la denominazione), mantengono inalterata una filosofia e una attività produttiva basata sulla tradizione, l'attesa e la grande qualità della loro materia prima più importante: l'uva granache (90% del loro vigneto totale con viti quasi centenarie). 

Durante la visita in cantina rimasi estasiato da tutta la loro produzione, in particolar modo da questo Chateauneuf du Pape che, pur non rappresentando il loro prodotto di punta chiamato La Cuvée du Papet, è per me quello che più di altri ha scritto nel suo DNA la mappa genetica del territorio. 

Lo Chateauneuf du Pape Clos du Mont Olivet 1998 (80% Grenache, 10% Syrah, 6% Mourvedre and 4% Cinsault,  Counoise, Vaccarese, Muscardin, Terret Noir, Picpoul Noir) appena versato nel bicchiere sprigiona tutto il suo carattere rodanesco emanando sbuffi di oliva nera in salamoia a cui seguono intensi ventagli aromatici di cappero, frutta nera di rovo, argilla, terra rossa, chiodi di garofano, goudron per poi trasformarsi, col passare del tempo, in un nettare totalmente mediterraneo con i suoi echi di alloro, origano, pomodoro secco, pepe. Quasi quasi ci condivo la mia pizza.
In bocca poi è eccezionale, dopo 13 anni vanta ancora un'acidità sferzante che riesce perfettamente ad equilibrare 14,5° alcolici supportando una struttura che il palato qualifica come velluto rosso. Dopo la deglutizione tutti i richiami alla macchia mediterranea ritornano come nebbia che stenta a dissolversi.
Non vi dico il prezzo della bottiglia altrimenti partono i TIR da Roma.

Pensiero del nuovo anno: sto cominciando ad amare profondamente questo territorio e questi vini. Avvisati!


Il Gastronauta di Davide Paoloni sui ricarichi del vino al ristorante. Interventi di Cernilli, Ziliani, Nossiter, Vizzari, Alajmo, Troiani e Lenzini


Sabato c'è stata la solita bella trasmissione di Davide Paolini che ha messo a confronto più opinioni, a volte molto contrastanti, sul tema del ricarico dei vini nella ristorazione
A voi farvi una opinione. Io l'ho espressa nel post precedente, via Google+ e la cosa che mi è dispiaciuta è che alla fine, per qualcuno, sia passato per nemico di una certa ideologia. Bah. Io mi interrogo e mi pongo della domande perchè non credo di avere la verità assoluta su nulla. Cliccate qua per sentire la replica della trasmissione.