L’amore di Avignonesi per il Vin Santo lo possiamo capire leggendo alcune righe del suo sito internet: il Vin Santo non è un mezzo per fare fatturato e soldi. Se sarà prodotto per questo scopo, quel Vin Santo non sarà mai grande. La qualità si trova in una dimensione diversa. Non importa quanto tempo occorra, quanta energia occorra, quanto denaro occorra. Quello che conta è la qualità, e basta. Più è difficile da raggiungere, più grande è la soddisfazione e, di regola, più grande è il risultato.
Oggi proverò a descrivere il Vin Santo Avignonesi, un prologo a quell’Occhio di Pernice che rappresenta, come ho già scritto, il miglior vino dolce italiano e, senza dubbio, uno dei migliori al mondo. Per produrre questo vini si usano due varietà di uva a bacca bianca: la Malvasia Toscana ed un Greco, detto "Pulce in culo", per un evidente puntino nero che presenta nella parte inferiore dell'acino. Dopo la raccolta i grappoli vengono portati nell'appassitoio per essere distesi in unico strato e non troppo fitti sopra cannicci disposti su vari piani e sorretti da castelli di legno. L'appassimento dura sei mesi, durante i quali l'uva non viene mai toccata per nessun motivo. Unica variante alle tecniche antiche, sicuramente migliorativa, è al momento della pressatura, con l'utilizzo di presse pneumatiche, che sono andate a sostituire i vecchi torchi a vite. La quantità di mosto che si ottiene non supera mai il quindici per cento dell'uva fresca e contiene una percentuale di zucchero altissima (dal 55 al 60 per cento). Dopo circa due mesi, al termine della naturale decantazione, il mosto viene messo nei caratelli, piccole botti generalmente di rovere di circa 50 litri. I caratelli non sono a perdere, come le barrique. Durano finché non evidenziano difetti di profumo e finché sono in grado di tenere. Questi vengono riempiti solo per nove decimi del loro volume, con due litri di madre e quarantatre di mosto. I caratelli vanno chiusi subito dopo il riempimento. Poi non si tocca più, per dieci anni finchè non arriva il giorno della loro apertura, di solito nel mese di maggio, a fine luna calante, quando il mosto nuovo si è sufficientemente pulito. Il risultato? Basta leggere più avanti…
Nel mio bicchiere ho il millesimo 1996, emozionante e promettente già dal colore e dalla densità, un testa di moro dalle mille nuance che ruota nel bicchiere con difficoltà, l’alcol, lo zucchero e tutte le altre componenti del vino si aggrappano al bordo del bicchiere lasciando archetti indelebili. Al naso è stupefacente, è quasi commoventi sentire un bouquet di profumi che minuto dopo minuto cambiano lasciandoci emozionati ricordi di quello passato. Frutta candita, frutta secca, tabacco, miele di castagno, cuoio, chiodi di garofano, china, legno di sandalo, mallo di noce, liquirizia, caramello e…mille altri. La bocca mantiene le promesse del naso, il vino entra ampio, ci invade il cavo orale con un equilibrio perfetto tra freschezza e dolcezza. Una volta deglutito il Vin Santo rimane nei nostri sensi per minuti, lunghissimi minuti di puro edonismo. Vin da meditazione assoluto. Cosa potrà essere a questo punto l’Occhio di Pernice?