Giuseppe Sedilesu: tutta la forza del Cannonau di Sardegna

Fiero ed orgoglioso della sua terra Giuseppe Sedilesu scrive così della sua cantina: la nostra famiglia ha, nei patriarchi Giuseppe e Grazia, gli iniziatori dell'attività vitivinicola. Trenta anni fa l'acquisto del primo ettaro di vigneto coltivato direttamente con l'aiuto dei tre figli. L'azienda Sedilesu ha nell'agro di Mamoiada 10 ettari di vigneto a Cannonau e piccole superfici di uve bianche chiamate in loco Granazza. Per la maggior parte sono vecchi impianti di oltre 50 anni e qualche nuovo impianto. Mamoiada, posta a 650 metri s.l.m. è un paese della Sardegna al centro della Barbagia. Paese dei Mamuthones, ha nella maschera tradizionale un grande patrimonio rimasto integro dopo migliaia di anni, affondando le sue radici nella ritualità sacre delle antiche popolazioni rurali. La filosofia produttiva dell'azienda è improntata al rispetto di questa tradizione. I terreni di Mamoiada sono d´origine granitica molto ricchi in potassio che conferisce grandi qualità alle uve. La forma d´allevamento è l´alberello con sesto d´impianto molto stretto 90 x 170 cm. nei vecchi impianti e 200 x 75 nei nuovi impianti. In queste condizioni si hanno basse produzioni per singola pianta e grande qualità di prodotto. I vigneti sono arati due volte l´anno, quelli posti in forti pendenze sono arati ancora con l´aratro a buoi, come avviene da sempre e in seguito i vigneti sono scalzati a mano con le zappe. I trattamenti antiparassitari sono fatti unicamente con rame e zolfo e sono molto limitati in quanto la zona e vocata naturalmente per questo tipo di coltivazione. In cantina, si esalta la tipicità e l'unicità del vino con l'utilizzo di fermentazioni naturali ad opera dei lieviti autoctoni. Per i rossi, lunghe macerazioni fino a 25 giorni consentono di estrarre tutto il frutto. L'affinamento avviene in botti di rovere di varia grandezza, tonneau e barriques per la maggior parte. La messa in bottiglia è preceduta da filtrazioni leggere che non spogliano il vino. La quantità di anidride solforosa residua in bottiglia è molto bassa, a completamento di una trasformazione seguita con molta cura, sana e naturale.

Giuseppe Sedilesu, durante l'ultimo Vinitaly, mi ha fatto degustare tutta la produzione aziendale, di grande qualità, tra cui posso consigliare:

PERDA PINTA' 2005: da vigne molto antiche e da uva Granazza di Mamoiada (usata in passato per fare il Cannonau), è un bianco passato in legno estremamente potente con i suoi 16°. Complesso, sapido e salino è un vino che ben si adatta a piatti di pesce ben strutturati.

BALLU TUNDU 2005: è un cannonau riserva in purezza ottenuto dalle uve di un unico vigneto posto in località Garaunele a Mamoiada. L'età del vigneto è di 60 anni. A 600 s.l.m. questo terreno è di origine granitica con una componente non trascurabile di argille rosse. E' un vino di corpo ricco di frutto e aromi miditerraneu che si affinerà nel corso della sua vita.


MAMUTHONE 2006 : Dal brillante color rubino e l'aroma fruttato di prugna, melograno, ciliegia e mirto, in bocca si presenta asciutto, fresco e giustamente tannico. Il Mamuthone è un vino ideale per carni rosse alla griglia e formaggi di media stagionatura.

LAGHIDIVINI 2008 - Festival dei vini prodotti sulle sponde dei laghi italiani - Bracciano

I vini ed i laghi costituiscono entrambi territorio, storia e cultura, ma anche realtà di eccellenza per l'Italia, mondi da riscoprire e da far conoscere. L’evento LAGHIDIVINI, ideato da Epulae Bracciano un’associazione culturale con finalità di promozione della cultura enogastronomica, si propone di valorizzare i vini prodotti nei territori lacustri, favorendone la conoscenza e l’apprezzamento, ma anche di divulgare e valorizzare un patrimonio di grande valore: i laghi ed il pesce d’acqua dolce. Il festival vuole proporre un viaggio tra le immagini dei laghi ospiti e presentare, con l’aiuto di sommeliers, le produzioni vitivinicole che insistono nei territori dei relativi bacini idrografici. Le degustazioni avverranno in un apposito banco d’assaggio, suddiviso in settori, uno per ogni lago, presso il cinquecentesco Chiostro degli Agostiniani. Possibilità di cene con menù a tema, di laboratori e di degustazioni guidate. Dalle eccellenze enogastronomiche della regione Sicilia, quest’anno special event della manifestazione, ai dolci della Tuscia viterbese accompagnati da vini da dessert prodotti sulle sponde del lago di Bolsena. Durante le tre giornate sono previste, inoltre, mostre, conferenze, concorsi, film e concerti in tema.

Domaine Leroy: Chambolle-Musigny Les Fremières 2001

Lalou Bize-Leroy è una delle grandi donne del vino della Borgogna e la sua storia parte da molto lontano. Il Domaine Leroy, infatti, è stato fondato nel 1868 e commercialmente è fiorito grazie all’apporto prima di Joseph Leroy, primogenito del fondatore, e successivamente di Henri Leroy, soprattutto dopo che nel 1942 è stato in grado di acquistare la metà del Domaine de la Romanée-Conti.
Fu grazie all’intraprendenza di Henri che nel 1974 Lalou divenne co-manager del famoso Domaine. La storia narra che, all'interno della prestigiosa azienda, il rapporto di lavoro di Madame Leroy è stato talmente burrascoso che, nel 1992, è stata licenziata senza troppi rimpianti anche perché, in quegli anni, aveva già dato avvio ad una impresa concorrente: nel 1988, con l'aiuto di investitori stranieri, aveva acquistato Domaine Noëllat a Vosne-Romanée che, successivamente, è stato rinominato Domaine Leroy.
Al giorno d’oggi il Domaine vanta cira 23 ettari di vigneti, ripartiti in piccole parcelle in una ventina di prestigiosi Grands e 1er Crus. Tutte le viti del Domaine Leroy sono coltivate seguendo i metodi della biodinamica, filosofia che mette al bando tutti i trattamenti chimici, l'uso di tutti i diserbanti, insetticidi, funghicidi e concimi di sintesi, introducendo la conoscenza dei ritmi cosmici essenziali per il lavoro del suolo, la sua rigenerazione e per tutte le cure da apportare alla vigna durante tutto il ciclo dell’anno. Il Domaine Leroy è famoso per le sue rese estremamente basse, in parte a causa del basso rendimento delle vigne vecchie, in parte a causa di una deliberata scelta di limitare i rendimenti per ettaro, in parte perché i metodi biodinamici fanno aumentare le perdite del raccolto per malattia.

Le appellations prodotte sono:

Grands Crus: Chambertin - Corton-Charlemagne - Corton-Renardes - Clos de Vougeot - Clos de la Roche - Latricières-Chambertin - Musigny- Richebourg - Romanée-Saint Vivant;


Premiers Crus: Chambolle-Musigny Les Charmes - Gevrey-Chambertin Les Combottes - Nuits-Saint Georges Les Vignerondes - Nuits-Saint Georges Les Boudots - Savigny-les-Beaune Les Narbantons - Volnay Santenots Les Santenots du Milieu - Vosne-Romanée Aux Brûlées - Vosne-Romanée Les Beaux Monts;


Village: Chambolle-Musigny Les Fremières - Gevrey-Chambertin - Nuits-Saint Georges Aux Allots - Nuits-Saint Georges Aux Lavières - Nuits-Saint Georges : Au Bas de Combe - Pommard Les Trois Follots - Pommard Les Vignots - Vosne-Romanée Les Genaivrières;


In una delle tante serate enologiche che passo con i miei amici, mi dicono che andremo a bere un Leroy. Che emozione penso io, i vini di Madame Leroy sono tra i migliori in assoluto della Borgogna, e mi preparo alla degustazione con un misto di ansia e rispetto reverenziale nei confronti della bottiglia. Appena mi servono il vino, leggo l’etichetta, e mi accorgo che andrò a bere un “semplice” village: Chambolle-Musigny Les Fremières 2001. Piccola delusione, mi aspettavo di meglio, questo sarà un altro di quei vini base privi di anima e che scorderò come ho fatto con tutti gli altri. Così pensavo. Mi versano il vino nel bicchiere e mi accorgo subito di aver sbagliato. Ho davanti a me un Borgogna che ha un naso a dir poco meraviglioso, dove finezza ed espressività si fondono in un equilibrio magico. Un caleidoscopio di profumi in continua evoluzione, minuto dopo minuto, dove i sentori piccoli frutti rossi maturi si fondono e lasciano spazio alla viola, all’iris, alla lavanda e alla genziana. Poi escono le note di arancia rossa, di rabarbaro, incenso e caffè. Non so più contare quante emozioni ci sono in quel bicchiere. Al palato il vino non può che confermare di essere un vero fuoriclasse: morbido, elegante, fresco, riempie la bocca della sua trama tannica vellutata, e chiude con un finale lungo, lunghissimo, con una bella corrispondenza gusto-olfattiva e restituendo una vena sapida molto intrigante.

Cos’altro dire? Ho finalmente capito perché i vini di Leroy sono venerati nel mondo. Se questo è un village, non oso pensare a cosa posso andare incontro se degusterò uno Chambertin Grand Cru. Dovrò soltanto avere la volontà e la possibilità di cercare e, soprattutto, di pagare questi vini magici. Alla prossima emozione.

LO CHAMPAGNE DI LEGRAS & HAAS

L'azienda, di tipo familiare, risiede a Chouilly, cittadina dove si trovano i vigneti Grand Cru di Chardonnay. Il marchio Legras & Haas è stato depositato solo recentemente, nel 1991, ma la famiglia è da moltissime generazioni nel campo della vitivicoltura di qualità: il primo acro, infatti, è stato acquistato circa 200 anni fa, e da allora sette generazioni di viticoltori e 3 generazioni di elaboratori hanno portato l'azienda a possedere circa 30 ettari di vigneto. La produzione annua si aggira attorno alle 300.000 bottiglie, ripartite tra cinque cuvée che, ad eccezione del Rosé, sono tutte caratterizzate dall'eleganza e dalla mineralità dello Chardonnay Grand Cru di Chouilly. L'elevata qualità del prodotto parte da una attenta gestione del vigneto, con una vendemmia rigorosamente manuale, e da una accurata vinificazione che viene effettuata cru per cru, parcella per parcella, vite per vite. La prima fermentazione dura circa 7 mesi e, dopo la fase di "tirage", lo champagne riposa nelle cantine aziendali per circa tre anni. Al termine di questo periodo lo champagne effettua il normale dégorgément, concluso il quale le bottiglie sono di nuovo approvvigionate in cantina fino ad assicurare al vino un equilibrio perfetto.

In tutti i vini di LEGRAS & HAAS (ad eccezione del Rosé), il naso è dominato dallo Chardonnay: i suoi delicati sentori di mandorla, brioche, agrumi, miele, pane tostato e frutta bianca, conferiscono allo champagne tipicità e grande raffinatezza.

Le cinque cuvées sono:

Tradition: è lo champagne "base". Da uve Pinot Nero (25%), Pinot Meunier (25%) e Chardonnay (50%) che, vinificate separatamente, vengono poi assemblate tra loro per ottenere il miglior equilibrio armonico possibile. Fresco e delicato, è adatto particolarmente come aperitivo o come vino a tutto pasto.

Rosé: 100% Pinot Nero per uno champagne di bella struttura dove al naso spiccano netti i sentori di piccoli frutti di bosco. Accostamento ideale con carni bianche, pesce e crostacei. La sua finezza lo rende adatto anche ad accompagnare dessert alla frutta.

Grand Cru Blanc de blancs: prodotto interamente da uve Chardonnay del Grand Cru Chouilly, nasce dall'unione di "vins de réserve" della Maison, che assicurano a questa cuvée costanza e finezza qualitativa anno dopo anno. Questo splendido Champagne può essere degustato come aperitivo oppure, grazie alla sua finezza ed eleganza, può essere ottimo partner per accompagnare pesce e carni bianche salsate.

Grand Cru Blanc de blancs Millésimé: prodotto solo nelle annate eccellenti e da un solo Cru, il Grand Cru Chouilly, al naso presenta classiche note di tiglio e fico fresco. Champagne che coniuga potenza e struttura con tutta la finezza e l'equilibrio di un blanc de blancs. Può essere degustato come aperitivo ma è ideale con i crostacei. L'ultimo champagne millesimato dell'azienda è il 2002.

Cuvée Prestige: questo champagne, da uve provenienti da "vieilles vignes", è frutto dell'assemblaggio di Chardonnay (grand cru Chouilly) e Pinot Nero di Aÿ (Grand Cru Pinot Noir). Champagne di grandissimo equilibrio gusto olfattivo in quanto lo chardonnay dona al vino finezza ed eleganza mentre il pinot nero garantisce carattere e struttura. Produzione limitata a circa 2000 bottiglie l'anno. Vino quasi da meditazione, lo abbinerei a piatti di mare ben strutturati come i gamberoni col lardo di colonnata.

Ancora in tema di contraffazioni...ora tocca all'Erbaluce

Dopo il “Brunello di Montalcino” è la volta di un noto vino canavesano, l’Erbaluce. Nel mirino di discrete ma serrate indagini condotte nel quadro di un’inchiesta che coinvolge i più noti Doc della penisola.Mentre il “Museo del Gusto” di Torino annuncia per domenica prossima la festa del “Sommelier 2008”, la più importante rassegna enologica piemontese, i vignaioli di mezza regione non dormono sonni tranquilli.
Vent’anni dopo
Agitati dall’incubo per quanto accaduto vent’anni fa. Quando l'Italia scoprì che i Ciravegna, i Fusco, i Baroncini “fabbricavano” il vino con il bastone, fatto con miscele di liquidi usati anche per lacche e vernici. In tutto furono 60 le aziende coinvolte e 22 i morti accertati. Uno scandalo, come quello che oggi riguarda altre cantine. La vicenda nasce dalle confidenze di un enologo pentito: «Un piccolo proprietario, socio di una cantina sociale presso la quale vendeva le sue uve». L’uomo, un dipendente di un comune dell’eporediese, venuto a conoscenza di retroscena scottanti, si sarebbe rivolto ai carabinieri.
Le confidenze del pentito
«Il vino che si fa da queste parti - avrebbe confidato il denunciante - è di ottima qualità. Ma quante bottiglie di Erbaluce Doc si possono produrre con i vigneti che abbiamo qui in Canavese? Certamente non tutte quelle che che vengono messe in vendita». Dunque, troppo vino in circolazione e pochi vigneti. «Non sarebbe sufficiente radere al suolo i comuni del Canavese, piantando vitigni, per giustificare il numero di bottiglie». Non ci si trova di fronte ad una frode come quella di 20 anni fa: «Il vino non viene fatto con il metanolo - continua il pentito - ma importato direttamente dall’estero, dai paesi dell’Est europeo, principalmente dalla Romania».
Occhio all’etichetta
Un business al centro del quale ci sarebbero aziende emiliane di import - export. Una vera e propria frode coperta da blande regole d’etichettatura: «Non si è obbligati a scrivere sulla bottiglia dove il vino è prodotto, basta citare l’azienda che l’ha imbottigliato. E poi - conclude il pentito -, bisogna fare attenzione a due diverse diciture: “prodotto imbottigliato a..” e “prodotto e imbottigliato a...”, quella “e” fa la differenza».
Fonte Cronacaqui.it
Che dire? Ancora una volta da questo blog chiediamo chiarezza e trasparenza. Vi terremo informato circa possibili sviluppi

Strade Vigne del Sole: una piacevole scoperta laziale

Avete mai sentito parlare di Tor de Passeri, Cacchione, Albarosa, Chiapparone o Usignola? No? Bene, allora non avete mai degustato i vini dell'azienda vitivinicola Strade Vigne del Sole. L'Azienda come marchio nasce nell'aprile 1998, ma ha alle spalle l'esperienza e la cultura vinicola databile 1730, ma soprattutto del Cav. Antonio Cugini che fino al 1977 "serviva" i migliori locali di Roma con i suoi eccelsi vini, ma che a causa di un terribile incidente con il trattore, fu costretto a conferire le uve alle cantine sociali o venderle a vinificatori privati nonostante la determinatezza e la forza di volontà della moglie, Elisabetta e dei quattro figli allora ancora molto piccoli. Ciò nonostante, non ha mai abbandonato le oltre trentotto tipologie di vitigni autoctoni dei Castelli Romani, che con la corsa alla produzione degli anni '70-'80, erano ormai andate perse del tutto se non estinte. Oggi il Cav. Antonio Cugini con grande soddisfazione ha avviato all'antica professione il figlio Alessandro, classe 1975, ed insieme animati dalla passione di sempre e da quella cultura vinicola ormai persa, stanno ritirando fuori tutti quei sapori di un tempo che resero famosi in tutto il mondo i vini cosidetti "castellani" utilizzando esclusivamente vitigni autoctoni recuperati tanto da suscitare l’attenzione dei ricercatori di Conegliano Veneto e da ricevere lo status di azienda sperimentale. Dal 1998 ad oggi hanno recuperato dodici tipologie di vini che hanno portato l'azienda, nel corso degli anni, a ricevere numerosi riconoscimenti, fra i quali in ordine di tempo, quello ottenuto presso l'Enoteca Italiana di Siena, con l'ammissione del Grugnale, del Morato e del Tradizionale Rosso, quest'ultimo giudicato nel 2002 come miglior vino d'Italia per rapporto qualità prezzo al Salone del Gusto di Torino.

La vinificazione, che pur rispettando la tradizione si avvale di moderne attrezzature, prevede sempre una pressatura soffice, fermentazione in cisterne termocondizionate dove, per i bianchi, è prevista una temperatura controllata di 13° con il conseguente allungamento dei tempi di fermentazione di oltre due mesi, mentre per i rossi la temperatura sale a 23°. La scelta di questo formato intermedio è stata resa necessaria dalla ricerca di quei sapori di un tempo tipici dei vitignio autoctoni laziali che l'azienda cerca di difendere, da qui la necessità di avere selezioni delle masse per creare successivi tagli a seconda delle specifiche esigenze. I terreni, invece, sono localizzati a Montagnano, vicino ad Ardea, a Colle dell'Asino, vicino Ciampino, e a Valle Preziosa, vicino Grottaferrata dove, tra l'altro, si trova la nuova cantina.

Il Cavalier Cugini e suo figlio Alessandro mi hanno fatto degustare, durante la visita in cantina, molti dei loro vini che, a mio giudizio, trovo tutti gradevolissimi e dal rapporto qualità/prezzo straordinario costando al massimo dieci euro. Tra quelli da me provati metterei in risalto:

Adelaide 2005: da uve trebbiano giallo, trebbiano verde, malvasia rossa, pecorino, cesanese bianco, chiapparone, tutti in ugual misura, il vino ha un colore giallo carico e presenta al naso intensi aromi di pesca matura, frutto della passione e fiori gialli, ma anche splendidi richiami di salvia e peperone giallo, tipico sentore conferito dal vitigno pecorino. In bocca il vino è di media grassezza e avvolgente, con un finale molto lungo giocato su toni fruttati ed erbacei. Bellissima scoperta per un vino bianco unico.

Albarosa 2005: forse l'unico vino rosato da uve rosa. E già perchè il vitigno autoctono Albarosa è un uva a bacca rosa ciclamino che viene vinificata in rosso con una fermentazione sulle bucce per circa 10 giorni a 18°. Un vero caso raro. Il vino che ne esce si presenta di un bel colore rosa e presenta al naso sentori pepe rosa, menta, fragolina di bosco e ciliegia. In bocca è intenso, di buona sapidità, e dopo la deglutizione lascia il palato fresco in quanto ritorna la bella scia mentolata che avevamo sentito all'olfattiva. Grande vino che, grazie alla vinificazione in rosso, durerà per molto tempo senza che il colore ne risenta minimamente.

DR. LOOSEN: EMOZIONI DI RIESLING

L’azienda Dr.Loosen è stata di proprietà della famiglia per più di 200 anni. Quando Ernst Loosen ne ha assunto il controllo nel 1988, lui capì che con viti a piede franco con una età media di 60 anni nei vigneti più vocati nella Mosella centrale, aveva la materia prima per creare vini di sbalorditiva intensità e di classe mondiale. Per fare ciò, Ernst ridusse drasticamete le rese per ettaro, decise di usare solo fertilizzanti organici a discapito di quelli chimici, e introdusse pratiche di cantina col solo obiettivo di permettere al vino di svilupparsi in tutta la sua potenzialità utilizzando al minimo le pratiche tecnologiche. Dr. Loosen produce solo riesling che, secondo lui, è l'unica uva che permette di cogliere l'essenza del terroir e che, in aggiunta a questo, permette di produrre grandissimi vini sia secchi che dolci. Dr. Loosen produce riesling dalle sue vigne, classificate nel 1868 come “Grand Cru” nella classificazione prussiana, dislocate lungo tutta la valle della Mosella.

L'elevata qualità dei suoi cru è dovuta a tre fattori: anzitutto l'eccezionale clima che si ha lungo l'area della valle della Mosella. I pendii ripidi con esposizione a sud permettono all'uva di raggiungere una piena maturazione, le notti fresche, anche in piena estate, mantengono l’acidità caratteristica dell’uva, mentre la vicinanza del fiume riflette i raggi solari e trattiene il calore aiutando così l’uva a maturare e proteggendo le viti dalle gelate. L'altro fattore di qualità riguarda il terreno ricco di ardesia e sostanze minerali: il suolo roccioso di ardesia e le numerose rocce affioranti mantengono anch’esse il calore del giorno ed assicurano la piena maturazione. Uno strato superficiale sottile forza le viti a scavare in profondità nel terreno per reperire le sostanze nutrienti, producendo così vini di intensa mineralità e vibranti. Ultimo fattore di qualità è dovuto all'elevata età dei vigneti aziendali che hanno un'età media di oltre 60 anni (con punte di 120 anni) e ancora sono a piede franco visto che la fillossera non ha potuto svilupparsi lungo l'area della Mosella.

Come detto in precedenza, DR. LOOSEN possiede cinque vigneti che hanno le seguenti caratteristiche:

Bernkasteler Lay: è il vigneto presenta una pendenza più gentile rispetto agli altri ed è quello con maggior ardesia. Vini di grande ricchezza.
Wehlener Sonnenuhr: ha suolo molto sottile e l'ardesia blu è di una grande purezza. Questa caratteristica fornisce al vino una vivace mineralità e una delicata acidità. È un vino aristocratico ed affascinante che danza con grazia sul palato.
Ürziger Würzgarten: il vigneto presenta un suolo rosso, ricco di vulcanina e ardesia. Vini esotici, speziati.
Graacher Himmelreich: suolo con abbondante ardesia blu che garantisce ai vini una grande complessità e un potenziale di invecchiamento molto elevato.
Erder Treppchen: il terreno ricco di ferro e ardesia rossa si traduce in vini che sono muscolari e complessi, con una fine minerale ed intenso.
Erdener Prälat: il terreno è ricco di ardesia rossa e il vigneto è inserito all'interno di un microclima straordinariamente caldo che assicura sempre una eccezionale maturazione. I vini prodotto sono di grande potenza e nobiltà.

Le mie degustazioni:

Dr Loosen Ürziger Würzgarten Kabinett 2005: Al naso gli aromi di agrumi, in particolare buccia di limone e arancia amara, e frutta esotica lasciano spazio ad una spiccata mineralità data dal terreno estremamente ricco di ardesia. Al palato il vino è intenso, grasso e vigoroso con buona acidità. Chiude con bella persistenza su note di frutta e spezie esotiche. Da bere in una bella notte d'estate ma, se volete, da dimenticare in cantina per qualche anno. Darà ancora grandi emozioni.

Dr Loosen Bernkasteler Lay Riesling Kabinett 1999: naso molto intenso dove alla freschezza delle note di lime e di fiori gialli, si aggiunge un sottofondo minerale di idrocarburi e gesso. In bocca, nonostante l'età, si conferma ancora molto fresco e con una acidità vibrante. Chiusura su note di frutta gialla matura e fiori di acacia. Durerà ancora altri 10/15 anni.

Vino e Grana Padano: matrimonio d'amore

La storia del Grana Padano inizia intorno all'anno 1000 e fin dalle origini si lega alle vicende del territorio nel quale ancora oggi viene prodotto: la pianura del Po. Secondo la convenzione a ideare la fortunata ricetta furono i monaci dell'abbazia di Chiaravalle. Gli ingegnosi monaci scaldando il latte in capienti caldaie, ottennero un cacio consistente e di lunga conservazione. Da allora Grana Padano di strada ne ha fatta molta, sino ad ottenere dall'UE nel 1996 il prestigioso riconoscimento di D.O.P.

GRANA PADANO D.O.P. fino a 16 mesi

I caratteri organolettici di un Grana Padano stagionato 9 mesi sono rappresentati dalla granulosità e dalla colorazione bianca della pasta. La sua capacità di frantumarsi a scaglie è scarsa ed il formaggio presenta profumi non ancora complessi, che ricordano però il latte e la panna da cui si origina. In bocca ha tendenza dolce e una discreta grassezza. La sapidità è appena accennata e stimola una discreta salivazione. Per ottenere un abbinamento eccellente possiamo proporre vini bianchi giovani e freschi con profumi di frutta fresca mai invadenti oppure un grande Brut italiano o uno Champagne francese, magari di sboccatura non recente.

GRANA PADANO D.O.P. oltre i 16 mesi

Il Grana Padano stagionato 16 mesi si presenta con una colorazione leggermente paglierina e con una leggera granulosità. Gli aromi ricordano ancora il latte e la panna, ma emergono anche profumi più complessi di burro e fieno. In bocca la nota dolce si è molto attenuata e lascia il passo ad una discreta salinità ed una accennata piccantezza. E' un formaggio che stimola la salivazione, anche perchè dopo la sua deglutizione rimane sulla lingua una leggera e sottile patina di grasso. Il vino che sarà in grado di contrastare le caratteristiche di questo formaggio deve essere leggermente tannico e, quindi, un rosso di discreta intensità e persistenza, ma ancora giovane, fresco e in modo che si percepiscano sia gli aromi e i sapori dell'uva originaria, sia quelli complessi dovuti alla maturazione.

GRANA PADANO D.O.P. oltre i 20 mesi

Alla vista il Grana Padano stagionato 20 mesi e oltre si presenta evoluto; infatti, il colore è giallo paglierino carico; la granulosità è accentuata e si scaglia facilmente. Questo "magico" prodotto presenta aromi evoluti di burro e di fieno e note floreali di mais; in bocca è particolarmente solubile e friabile, con una sapidità e una piccantezza accentuata. Dopo la sua deglutizione, la bocca rimane colma di sapori, che si stemperano lentamente fornendo sempre nuove sensazioni. Il vino che accompagna questa stagionatura di Grana Padano deve essere in grado di contrastare le evidenti e prorompenti sensazioni del formaggio e, quindi, dovrà essere morbido, tannico, con una buona gradazione alcolica, intenso e persistente. Non dimenticate che il Grana Padano ben maturo si predispone, per contrapposizione di aromi e di sapori, a matrimoni elettivi con i vini passiti e liquorosi, che stemperano la tenue vena aggressiva, ricomponendo sul palato l'armonia e l'equilibrio.

(fonte Grana Padano)










































Presentato il vino della AS ROMA

L'altro ieri presso il Vinoforum dei giardini del lungotevere Maresciallo Diaz, sono stati presentati i Vini della Roma. Per la società giallorossa la prestigiosa casa produttrice Scrimaglio ha confezionato quattro prodotti: il Pinot Brut AS Roma, il Monferrato rosso Doc AS Roma, il Monferrato bianco Doc AS Roma e il Vino Rosè AS Roma. Tutti i vini, sono stati prodotti tra il Piemonte e Nizza e saranno distribuiti nel Lazio dalla Vernuccio Beverage. I vini della Roma sono già in vendita da una settimana con un costo consigliato di 20 euro a bottiglia e con previsioni di vendita di 100 mila unità.
Ha partecipato all'evento anche l'ex campione giallorosso Roberto Pruzzo. Oltre al "bomber di Crocefieschi", doveva essere presente l'ad giallorosso Rosella Sensi, che non ha potuto partecipare per la nascita del suo nipotino.
"Sono vini decisi e di carattere così come la Roma", ha detto Andrea Caloro, che si occupa dei brand della Roma in collaborazione con Cristina Sensi. Questo vino si andrà ad aggiungere ad altri importanti marchi che collaborano con AS Roma come Fiat, Alfa, Lancia, Juventus, Milan, Genoa, Bayern e Ajax.

Le dichiarazioni di Andrea Caloro
"Questa iniziativa nasce da un'idea della Sensi. E' un'operazione di livello eccelso e ci auguriamo presto di brindare ai successi della Roma, lo speriamo tutti. Questa è un'operazione che vuole valorizzare il marchio giallorosso anche fuori dal campo, cercheremo di entrare in nuovi mercati. In fondo è un vino italiano". (fonte Romanews)

Volete che commenti? Sono romanista per cui sarei di parte ma, di certo, a livello enologico ne avremmo fatto senz'altro a meno visti i 20 euro, minimo, di costo a bottiglia. Rosella compraci Drogba e lascia stare il vino...che ti fa male



Dopo il Brunello ora tocca al Montepulciano...

MONTEPULCIANO (SIENA), 6 GIU - Dopo il Brunello, anche il Nobile di Montepulciano, altro importante vino toscano, finisce nel mirino della magistratura. S'indaga per accertare se il Nobile sia stato tagliato, a partire dal 2004, con uve provenienti dal centro e dal nord Italia. Nelle scorse settimane la GdF ha sequestrato 120mila hl di vino di 'Cantina Vecchia' e sono indagati per frode in commercio il titolare dell'azienda Enrico Trabalzini e il presidente del Consorzio del Nobile Luca Gattavecchi. (fonte Ansa)
Piccolo commento: Si stanno scoperchiando le pentole, e come consumatore chiedo, anzi, esigo che si faccia pulizia nel mondo del vino perchè mi son rotto, se le cose stanno davvero così, di essere truffato. Se volete realizzare un vino più internazionale e più commerciale, per me va bene, ma allora fate un Igt e lasciate stare la Docg e non prendeteci per i fondelli. Vogliamo chiarezza ed onestà. Per fortuna che ci sono ancora tanti piccolo vignaioli che realizzano perle enologiche non per il grande pubblico. Grazie di esistere.

Vini del Mondo a Spoleto: piccoli appunti di degustazione - seconda parte

Torniamo ora nella regione Marche per degustare un vino che fa sempre un pò discutere, lo si odia o lo si ama alla follia: il Kurni. Da uve Montepulciano, il Kurni trascorre un periodo di affinamento di 18/20 mesi in barriques sempre nuove di diversi legni (Vosges, Tronçais, Allogny, Allier, Never e Missuri). Vino di straordinaria potenza e dalla grande concentrazione antocianica, l'annata 2005 presenta al naso note di frutta di bosco matura, moka e sottobosco. In bocca il vino è potente, carnoso, quasi masticabile e presenta un discreto residuo zuccherino che può spiazzare il bevitore che si aspetta un normale montepulciano. Un vino estremo che può dividire.
Cambiamo regione e andiamo verso le Cantine Ceci di Torrile, che presentano vari prodotti tra i quali spicca ormai il noto Otello Nero di Lambrusco, un vino di grande eleganza, sia a livello di packaging, con la bellissima bottiglia nera e l'etichetta dorata, sia a livello gustativo, dove la cremosa spuma color viola dà il benvenuto a intriganti note olfattive di fragolina, lampone e iris. Al palato il vino è corposo ed equilibrato, dotato di buona frescezza e di un tannino presente ma non ruvido. Bella persistenza finale in cui tornano le note fruttate. Altro vino presente allo stand delle Cantine Ceci era il Desdemona brut (charmat da uve Malvasia, Riesling ed una piccola percentuale di Pinot Nero con etichetta in pelle) dalle belle note fruttato/floreali e che, dal mio punto di vista, andrà bene come aperitivo dentro qualche locale di Milano Marittima. Preferisco la strada qualitativamente intrapresa per il lambrusco, il Desdmona mi sembra più che altro una efficace operazione di marketing stile glamour.
Grande scoperta è stata Vittorio Graziano, libero vignaiolo (praticante) come si ama definire, che ha nella sua filosofia scoprire e realizzare il potenziale del territorio, includendo in esso lo studio e l’osservazione del clima,del terreno,i vitigni e la cultura storica della tradizione enologica locale. Il suo Lambrusco Fontana dei Boschi, da uve grasparossa, è un vino senza compromessi, con una spuma cremosa e presenta al naso note di piccoli frutti rossi, viola e spezie, avvolte da un carattere di rusticità che lo rendono molto legato al territorio. Al palato, grazie al suo estratto e agli oltre dodici gradi, il vino si presenta caldo e di buona struttura, con un finale di grande persistenza e sapidità. Un vino che finisce all'istante nel bicchiere se abbinato ad un bel piatto di salumi.

Vini del Mondo a Spoleto: piccoli appunti di degustazione - prima parte

E' la terza volta ormai che partecipo a questa bella rassegna enogastronomica. Passeggiando con la mia ragazza (ormai prossima sommelier) ed i nostri fidi calici appesi al collo, ho potuto scoprire e, in alcuni casi, riscoprire, alcune piccole chicche enologiche. Quali? Anzitutto l'azienda vitivinicola Ciù Ciù (strano nome vero?), di proprietà della famiglia Bartolemei che, con i suoi cento ettari di vigneto situtato nella zona di Offida, produce dei vini molto interessanti al centro dell'area di produzione del Rosso Piceno Superiore. Il primo vino degustato di questa azienda si chiama LE MERLETTAIE, uva pecorino 100%, che presenta al naso note di erbe di campo e fiori di biancospino con un lieve accenno vanigliato dato dal passaggio in rovere del vino. Al palato e fresco, rotondo e avvolgente, dotato di una grande sapidità. L'altro vino degustato di questa azienda è stato l'OPPIDUM 2002, un montepulciano in purezza, dai bei profumi di visciola, mora, viola passita, caffè e spezie dolci e dotato di una bocca molto morbida ed elegante e dotata di una bella corrispondenza all'olfatto. Vini, certo, da non strapparsi (per ora) i capelli, ma provenienti comunque da un'azienda che sta puntando decisa per la qualità lasciandosi alle spalle un passato da vini sfusi.
Altra cantina degna di menzione è la marchigiana Conti di Buscareto, che ha come obiettivo riscoprire e mettere a dimora i vecchi vitigni marchigiani per poi vinificarli in una chiave nuova, moderna, seguendo processi produttivi e qualitativi all’avanguardia della tecnica enologica attuale. Di questa azienda agricola ho degustato l'AMMAZZACONTE, da uve verdicchio accuratamente selezionate e vendemmiate tardivamente, che presenta un naso fine e delicato giocato sulla frutta gialla matura e note floreali. In bocca è fresco,intenso, dotato di buona persistenza e sapidità. Altro vino degno di nota è la LACRIMA DI MORRO D'ALBA, vino non certo complesso, ma di un bellissimo naso dove spiccano i sentori di petalo di rosa appassita, frutti di sottobosco e pepe rosa. Bocca calda, morbida, con tannini ben equilibrati ed una buona persistenza aromatica finale.
Altra bella scoperta è stata la Cantine Leonardo di Taurasi, che da anni concentra ogni sforzo nella coltura specializzata della vite e nella sperimentazione di cantina. Come è facile pensare, la famiglia Leonardo, attravero il marchio Contrade di Taurasi, pone particolare attenzione all'aglianico da cui esco un bellissimo vino, il Taurasi, che ho degustato nella splendida versione base dell'annata 2001. Al naso intensi profumi di prugna appassita, marasca, viola passita e spezie nere. In bocca è potente, intenso, aristocratico, con un tannino giustamente vigoroso ma vellutato. Bella versione di taurasi e sono molto curioso di bere la riserva che, a quanto mi dice il produttore, è difficile trovare. Sempre della stessa cantina, ho degustato un bianco da uva autoctona, il gresco moscio o Grecomusc', un 2006 dagli aromi olfattivi molto decisi che vanno dalla frutta gialla non troppo matura, alla mandorla e al fieno selvatico. Bello il palato dove equilibrio e armonia si sposano in maniera eccelente con un finale molto lungo e persistente. Bottiglia molto rara e, a quanto mi dice il produttore, da lungo invecchiamento.

Alois Kracher Cuvée Eiswein 2005: una perla venuta dal ghiaccio

L'icewine (in tedesco, Eiswein) è un vino dolce caratterizzato da elevata acidità e da un redisuo zuccherino tra i 180 g/L e i 320 g/L. Prodotto principalmente in Germania, Canada ed Austria, il processo per ottenere l’icewine è ingegnoso ed unico al mondo e prevede la presenza di una serie di condizioni particolari: anzitutto il freddo. L'uva, lasciata sulla vite fino ai mesi invernali e sottoposta alla ripetute gelate, acquisirà in tal caso un maggior carico di aromaticità, di zuccheri e di acidi. Le uve, poi, dovranno essere raccolte, rigorosamente a mano, ad una temperatura di almeno -7° C (-8° C per gli icewine prodotti in Canada). La vendemmia e la successiva pigiatura dell'uva deve avvenire prima che questa scongeli in appositi locali termocondizionati. L’acqua contenuta nel frutto sotto forma di cristalli di ghiaccio non sarà estratta e l'unica cosa che verrà prodotta sarà un’esigua, ma preziosa percentuale di succo altamente concentrato. Il succo dell’uva Icewine è pari a un quinto circa di quello spremuto dagli acidi non congelati. In altre parole una vite riesce a produrre il mosto necessario per una bottiglia di vino, mentre una pianta d’uva Icewine ne fornisce a sufficienza solo per un bicchiere.
L'elevato livello di zuccheri nel mosto porta ad un più lento processo di fermentazione che può durare anche mesi di tempo per completarsi (rispetto ai pochi giorni o alle poche settimane per i vini "normali"). A causa degli elevati rischi di produzione (se la gelata non arriva le uve possono essere attaccate da muffa), della minor resa per pianta e della difficoltà del processo di fermentazione, gli icewine sono notevolmente più costosi di vini da tavola.

La Degustazione

Alois Kracher, purtroppo scomparso lo scorso anno, è stato sicuramente uno dei migliori produttori di vini dolci del mondo. La sua azienda, con sede a Illmitz ,nella regione austriaca del Burgenland, ha circa 7.5 ettari a vigneto e produce solo vino di elevata qualità ottenute da uve Welschriesling, Chardonnay, Traminer, Scheurebe, Muskat – Ottonel ed altre varietà sperimentali.
La Cuvee Eiswein 2005 è uno strepitoso "vino del ghiacchio" composto da un 50% di Welschriesling e un 50 % di Chardonnay. Di un giallo dorato brillante, presenta un naso molto ricco dove spiccano le note di miele di acacia, fico secco, albicocca disidratata, arance amare e iodio, contornate da sfumature minerali dove è facile riconoscere lo iodio e la nota di idrocarburo tipica del vino. In bocca il vino è morbido e dotato di una grandissima freschezza. Grande corrispondenza gusto olfattiva per questo vino che è dotato, una volta degludito, di un grande finale giocato su una bellissima armonia di fondo. Grandissimo vino austriaco che, con i suoi 30 euro di costo, rappresenta un vino dal fantastico rapporto qualità - prezzo.


Evviva il vignaiolo VIP!!

Il vino e' sempre piu' una passione per i personaggi famosi. Soprattutto nel mondo dello sport e dello spettacolo, ma anche della musica, della moda e della cultura sono in molti quelli che hanno deciso di investire in vigneti. Quello che prima era un hobby e' diventato, per alcuni, un vero e proprio business. E gli esempi non sono pochi.
L'attrice Ornella Muti ha, ad esempio, acquistato l'abbazia di Vallechiara in provincia di Alessandria e produce Dolcetto d'Ovada. Stefania Sandrelli con Giovanni Soldati, nella fattoria Villa Nano sulle colline senesi, hanno puntato sul Chianti docg 'Acino d'uva', mentre Ottavio Missoni ha vigneti nelle Langhe. Claudia Mori con il marito Adriano Celentano, ha acquistato un podere vicino a Radda in Chianti, con annesso vigneto. Al Bano, ormai da decenni, produce vino bianco e rosso nella sua tenuta di Cellino San Marco. La regista Lina Wertmuller e' socia dall'anno di fondazione, il 1979, dell'azienda agricola di Rodendo Saiano, a Brescia in Franciacorta. Tra i cantautori anche Ron ha investito in vigna producendo un rosso e un bianco Igt nell'Oltrepo' Pavese con l'etichetta 'Fracent'anni'. Lucio Dalla imbottiglia, invece, vino rosato in Sicilia. Non mancano neanche gli artisti stranieri che hanno eletto l'Italia a qualcosa di piu' che ad una semplice meta turistica. Tra questi spiccano, sempre in Sicilia, Mick Hucknall e Carole Bouquet: la voce dei Simply Red Sicilia produce Nero D'Avola, mentre l'attrice francese ha legato il suo nome al Passito di Pantelleria. Nell’isola l’ex di Depardieu è proprietaria di vigneti, uliveti e piantagioni di capperi. Uno dei primi, tra i vip, ad arrivare nel Chianti e' stato, invece, Sting che da tempo 'firma' il suo vino. Per non parlare dei manager. A Montalcino l’ad della Time Warner , Richard Parsons produce un ottimo Brunello. Ma anche il mondo dello sport non resta a guardare. Il campione mondiale di apnea Gianluca Genoni, sempre nell'Oltrepo', produce tre varieta' di vino biologico (rosso,bianco e moscato) dai nomi legati alle sue immersioni. L'ex patron della Lazio, Sergio Cragnotti produce bottiglie pregiate di Nobile di Montepulciano con tre anni di invecchiamento.
Il piu' noto nel mondo del calcio e' Nils Liedholm. L'allenatore dello Roma tricolore a Cuccaro Monferrato, nella sua fattoria, produce da anni vini di qualita' ottenendo per il suo lavoro piu' di un premio. In passato ha anche messo in bottiglia un Barbera con una speciale etichetta sullo scudetto della Roma. L'ultimo in ordine di tempo e' stato Paolo Rossi che in Val d'Ambra, tra le colline aretine, ha iniziato a produrre il 'Borgo Cennina'. Dal calcio al ciclismo: Francesco Moser per molti anni socio della Cantina La Vis, una delle piu' importanti realta' cooperative del mondo del vino italiano produce nell'azienda di famiglia oltre 100.000 bottiglie. La 'febbre' del vino coinvolge anche i campioni delle quattro ruote. Jean Alesi, indimenticato pilota della Ferrari, producenel suo Chateau de Segreis, circa quattro ettari vitati, un Cote du Rhone apprezzatissimo dal nome 'Clos de l'Hermitage.' Portano invece la firma di Jarno Trulli, prima guida del Team Toyota, i vini dell'azienda Podere Castorani, in provincia di Pescara.


(fonte ANSA)

Aveva ragione Mario Soldati sull'asprinio d'aversa.......

Il vino Asprinio è un tipico prodotto dell'Agro Aversano la cui origine si perde nella notte dei tempi. Sappiamo per certo che in quella terra nota come Liburia esisteva “un'uva che non aveva eguali”. Si sa che in epoca normanna Louis Pierrefeu, cantiniere di corte di Roberto d'Angiò, individuò nei dolci declivi vicino Aversa il suolo ideale per impiantare le viti che assicurassero alla corte normanna una riserva di spumante al posto dello Champagne che a quei tempi era difficile da trasportare. Oggi la zona di produzione di questo vino comprende il territorio di diversi comuni delle province di Caserta e di Napoli e ora, come al tempo degli angioini, l’uva viene coltivata con il classico metodo detto ad "Alberata Aversana". Tale sistema di viticoltura è unico in quanto le viti, dette maritate poiché si appoggiano appunto ai pioppi, si innalzano anche oltre i 10-15 metri di altezza. Vi immaginate ora quegli intrepidi vendemmiatori equilibristi che raccolgono l’uva su scale altissime? Viti, inoltre, franche di piede, come in era pre-fillosserica? Queste sono alcune delle caratteristiche che rendono unico, ineguagliabile l'Asprinio di Aversa, a tal punto che Mario Soldati nel suo libro Vino al Vino scrisse: "Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’Asprinio no. L’Asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta... Che grande piccolo vino!".

Le Cantine Grotta del Sole nascono nel 1992 grazie alla voglia della famiglia Martusciello di dare il via ad un vero e proprio lavoro di ¨riscoperta enologica, con il preciso intento di valorizzare e, in alcuni casi di riscoprire, alcuni vini campani di qualità come come la Falanghina e il Piedirosso dei Campi Flegrei, l`Asprinio dell`Agro Aversano, il Gragnano e il Lettere. In virtù di questo amore, vengono prodotti vini che possano esaltare le qualità e le potenzialità dell'uva, senza stravolgerne i gusti e gli aromi, senza cioè produrre vini dal "gusto d'impresa", banalizzazioni standardizzate della moderna enologia. Qualità tradizione, tipicità, genuinità, cultura. Sono le linee conduttrici del programma enologico di studio e recupero "Grotta del Sole".


La degustazione: Asprinio d'Aversa Extra Brut 1997 DOC Grotta del Sole

Il vino, di un perlage abbastanza persistene e fino, si presenta di un colore dorato brillante. Al naso è subito marcata la caratteristica dell'uva con i tipici sentori sentori agrumati, soprattutto di cedro, miele e frutta secca. In bocca lo spumante, nonostante l'età, si mantiene fresco ed equilibrato, con un finale molto lungo giocato su note citrine che lasciano il palato pulito e pronto per il prossimo boccone...... di mozzarella di bufala. Già, io consiglio vivamente questo abbinamento, soprattuto ora in estate, perchè l'asprinio d'aversa, con le sue caratteristiche di freschezza ed acidità, ben si sposa con le note grasse della mozzarella di bufala campana DOP. Buon appetito!







Notizie flash dal mondo del vino: eletto il miglior sommelier del mondo

Lo statunitense Aldo Sohm ha vinto il premio 'Miglior sommelier del Mondo 2008' nel concorso organizzato per la prima volta in Italia - viene spiegato dagli organizzatori in un comunicato diffuso a Milano - dalla Worldwide sommelier association (Wsa). L'americano ha preceduto lo spagnolo Roger Viusà Barbarà (campione europeo in carica) e il portoghese Manuel Joaquim Duarte Moreira, classificati entrambi secondi a pari merito.Le finali si sono svolte a Roma con una prova di degustazione, una correzione di una carta dei vini, una prova pratica di servizio e un test di abbinamento cibo-vino. Al concorso hanno partecipato 14 sommeliers professionisti provenienti da altri Paesi aderenti alla Wsa. Il premio al Miglior Sommelier del Mondo 2008 Comunicatore del Vino e del Cibo è andato al giornalista Marcello Masi, curatore della trasmissione televisiva 'Eat Parade' e vicedirettore del Tg2. La prossima edizione del mondiale si svolgerà nel 2010 a Barcellona. (Fonte Ansa)
Vabbè nel 2010 mi presento io!
AMMERICANO TE M'HAI PROVOCATO E IO TE DISTRUGGO!!

Cesanese del Piglio DOCG: seconda parte dell'intervista a Coletti Conti

Parliamo del nuovo disciplinare. Ci sono dei miglioramenti rispetti al vecchio?

Veniamo ad un sommario esame delle più importanti differenze. Il nuovo disciplinare prevede una densità di impianto minima di 3.000 ceppi/ha, mentre il disciplinare del 1973 non prevedeva, in proposito, alcuna limitazione. La densità di impianto minima richiesta dal nuovo disciplinare renderà impossibile l’impianto di vigneti a tendone, pratica molto comune negli anni passati. Il vecchio disciplinare prevedeva una produzione massima di 125 q.li/ha, con una tolleranza del 20%; in pratica era consentito produrre fino a 150 q.li/ha! Non essendovi limite riguardo alla forma di allevamento ed alla densità di impianto, poteva giungersi, in perfetta conformità alle prescrizioni del disciplinare, all’assurdo di un vigneto allevato a tendone con densità di 1100 ceppi/ha che produce 150 q.li di uva, con una produzione di circa kg.13,5 per pianta! Il nuovo disciplinare prevede, per la tipologia base, una produzione massima di 110q.li/ha e, per la tipologia “Superiore”, una produzione massima di 90 q.li/ha; combinando questi dati con la densità minima imposta dal nuovo disciplinare, avremo una produzione massima per la tipologia “base” di circa Kg.3,6 per pianta e, per la tipologia “Superiore” di circa Kg.3,0 per pianta. Il miglioramento è di palmare evidenza. Tenga conto, poi, che le c.d. “aziende guida” si attengono a “disciplinari aziendali” ben più rigorosi, con densità di impianto comprese tra 4.000 e 5.000ceppi/ha e con produzioni per pianta non superiori a kg.1,5.

Scorrendo il nuovo discipliare, si legge che è ammesso l'uso di un 10% di altre uve. Questo può aprire la strada a vini "poco tipici" che, tra l'altro, non sfrutterebbero il potenziale del cesanese?

Il vecchio disciplinare, attualmente in vigore, prevede il Cesanese, Comune o di Affile, per un minimo del 90%; il restante 10% può essere costituito da Montepulciano, Sangiovese, Barbera, Trebbiano toscano (Passerina), Bombino bianco (Ottonese); il nuovo disciplinare prevede invece, per quel 10% residuo, la possibilità di impiegare esclusivamente uve a bacca rossa la cui coltivazione è consentita nel territorio amministrativo della Regione Lazio. Ciò comporta, innanzitutto, l’eliminazione delle uve a bacca bianca (e non mi sembra cosa da poco); per quanto riguarda il temuto “inquinamento” del Cesanese con Merlot e/o Cabernet, e conseguente perdita di tipicità del nostro prodotto.... beh, voglio rassicurarvi: i primi a voler tutelare la tipicità del cesanese siamo noi produttori! Nessuno di noi si sogna di "merlottizzare" o "cabernettizzare" il Cesanese: se facciamo questo lavoro è per passione ed amore verso questo prodotto! La sua “diversità” è la nostra principale opportunità di successo! L’introduzione di quella clausola nel disciplinare è null’altro che espressione degli indirizzi di politica legislativa del Comitato Nazionale per la Tutela e la Valorizzazione delle Denominazioni di Origine, organo del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ed è conforme a quanto si è fatto per la maggior parte dei disciplinari di più recente approvazione, anche per quanto riguarda le D.O.C.G..

Qualche esempio? Disciplinare del “Valtellina Superiore” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possono concorrere altri vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati per la provincia di Sondrio fino ad un massimo del 10% del totale. Disciplinare dello “Sforzato di Valtellina” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possonoconcorrere altri vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati per la provincia di Sondrio fino ad un massimo del 10% del totale. Disciplinare del “Taurasi” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possono concorrere altrivitigni a bacca rossa raccomandati o autorizzati per la provincia di Avellino, fino aun massimo del 15%. Disciplinare del “Nobile di Montepulciano” D.O.C.G. Art. 2, 3°co.: .....possonoconcorrere fino ad un massimo del 20% (!) i vitigni raccomandati e/o autorizzati perla provincia di Siena purché la percentuale dei vitigni a bacca bianca non superi il10%. E così via.

Ringranziando Anton Maria Coletti Conti per la cortesia nel rilasciarci questa breve intervista, Percorsi Di Vino cercherà nel futuro di approfondire ancora di più il tema della salvaguardia delle tipicità, attraverso interviste ad altri produttori.

Cesanese del Piglio DOCG: l'opinione di Coletti Conti

Percorsi Di Vino ha chiesto al più grande produttore di cesanese del Lazio (e non solo) un'opinione circa l'introduzione della prima DOCG del Lazio. Questa la prima parte dell'intervista.

Sig. Coletti Conti, secondo lei ci saranno solo "vantaggi" per questo importante riconoscimento?

Bisognerebbe, prima di tutto, mettersi d’accordo su una questione fondamentale: cosa intendiamo per “vantaggi”? Se per “vantaggi” intendiamo quelli meramente commerciali, ritengo che, nel breve periodo, il riconoscimento della DOCG possa portare qualche beneficio, non fosse altro che per la curiosità che può destare, nel consumatore e/o nell’appassionato, l’attribuzione al Cesanese del Piglio della prima DOCG del Lazio.Tengo, tuttavia, a sottolineare che ho usato la locuzione “nel breve periodo”, perché l’approccio del “curioso” è sempre, e giustamente, attento e severo: colui il quale, spinto dalla curiosità suscitata dal prestigioso riconoscimento, per la prima volta assaggerà un Cesanese del Piglio, si aspetterà, come è giusto, un prodotto di eccellenza! Se il vino non risponderà alle sue aspettative, la stroncatura giungerà definitiva ed inesorabile e non riguarderà solo la bottiglia degustata, ma coinvolgerà l’intera denominazione. In tal caso il riconoscimento della D.O.C.G. si rivelerà un autentico boomerang!
A tal proposito c’è da dire che, almeno per quanto ne penso, negli ultimi anni il Cesanese del Piglio, in termini qualitativi, ha fatto passi da gigante: chi realmente conosce i trascorsi del Cesanese del Piglio non può che convenire con me se affermo che, fino a dieci anni fa, vini come il Torre del Piano, il Dives, il Colle Forma, il San Magno (e forse qualcos’altro) ce li sognavamo. I progressi ottenuti sono il frutto della ricerca, del lavoro, della creatività, dell’abnegazione e della testardaggine (e, in qualche caso, della “follia”) di uno sparuto gruppo di produttori “illuminati” che, contro ogni evidenza derivante dalle esperienze del passato, hanno creduto con determinazione nel Cesanese ed hanno perseguito, tra mille scetticismi e difficoltà, la difficile strada della qualità. Ora arriva la D.O.C.G, ed è lecito chiedersi quale sia lo stato dell’arte: la risposta si trova nelle righe appena scritte. Esistono alcuni prodotti di ottima fattura e ben degni del riconoscimento che, comunque, certamente vedranno ancora, nei prossimi anni, un ulteriore, deciso miglioramento qualitativo. C’è, poi, una serie di prodotti di buon livello che necessita, certamente, di una crescita qualitativa più sensibile; riguardo a queste ultime realtà sono, comunque, molto fiducioso: vivo su questo territorio ed ho il polso della situazione. C’è un grande fermento nel nostro comprensorio, una forte e sana voglia di far bene, di crescere, di affermarsi; ci sono molti giovani in gamba, intelligenti e fattivi, che, incoraggiati e stimolati dai risultati raggiunti dalle “aziende-guida”, profondono energie e risorse sul Cesanese, e sono certo che i risultati di tanto impegno non tarderanno a manifestarsi.

In sintesi, sono motivatamente ottimista, pur nella consapevolezza che la strada da percorrere è, per tutti, ancora ben lunga e che nessuno può essere tanto stupido dasentirsi “arrivato”. La D.O.C.G. ha, in questo senso, una duplice valenza: da un lator appresenta il riconoscimento dei tanti sforzi profusi, con buon successo, negliultimi anni; dall’altro lato fungerà da stimolo, per tutti gli attori del territorio, verso il perseguimento di obiettivi vitivinicoli sempre più alti. Ed è su questo secondo aspetto che tutti noi “cesanesisti” dobbiamo porre la massima attenzione: dobbiamo, in altri termini, vivere la D.O.C.G. come la fonte di nuove, ineludibili responsabilità.






Cena Enoclub Roma con i vini di Casale Marchese

Giovedì 29 Maggio Enoclub Roma propone una cena degustazione con i vini dell’azienda Casale Marchese. Vi aspettiamo dalle ore 20.30 presso il ristorante “La Locanda dell’Interprete” – Via del Pigneto 207 – Roma.

Il menù della serata sarà il seguente:

Vitello tonnato - cottura lenta - servito con salsa gribiche, abbinato al CLEMENS di Casale Marchese

Penne con polpette di carne, asparagi e limoni canditi, abbinato al Rosso di Casale Marchese

Filetto mignon (100gr.) "rafforzato" dal caciocavallo podolico e la pancetta steccata con gelato di zucchine e semi di mostarda, abbinato al Marchese de' Cavalieri di Casale Marchese

Lasagna di panna cotta e frutta fresca, abbinato al Frascati Cannellino di Casale Marchese
Pane e acqua inclusi nel prezzo.

Costo soci enoclub 25 euro, nuovi associati 30 euro. Tutte le informazioni su www.enoclubroma.it o al 339/5728595

ARRIVA LA PRIMA DOCG LAZIO, E' IL CESANESE DEL PIGLIO

ROMA - Il Comitato Nazionale Tutela Vini ha dato ''parere positivo'' per il riconoscimento della Denominazione d'Origine Controllata e Garantita al Cesanese del Piglio che si avvia cosi' a conquistare l'ambito titolo di 'prima Docg del Lazio'. Il nuovo disciplinare, discusso in audizione pubblica, e' stato approvato ieri sera e prevede due tipologie: Cesanese del Piglio e Cesanese del Piglio Superiore, con la menzione di 'Riserva' per i vini invecchiati oltre 18 mesi. Il via libera definitivo avverra' con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il presidente del Consorzio di Tutela Paolo Perinelli nel manifestare ''grande soddisfazione per riconoscimento di particolare pregio qualitativo raggiunto grazie alla determinazione di tutti gli attori del territorio'', esprime gratitudine alla Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo (Arsial) che ha sostenuto fin dalla nascita il progetto, con professionalita' e competenza. Dopo la volata al traguardo della Doc nel 1973 ''ora - sottolinea Perinelli - spettera' agli 85 viticoltori e 20 aziende produttrici valorizzare il traguardo raggiunto perche' la prima Docg del Lazio non si confrontera' nel mercato con i grandi numeri, ma con la qualita' e la coerenza dei suoi prodotti''. (fonte ANSA)
Ora mi pongo queste domande:
  • siamo sempre sicuri che un vino DOCG sia sempre e in assoluto qualitativamente migliore?
  • il nuovo disciplinare prevede che il Cesanese del Piglio si potrà fregiare del titolo Docg se costituito dal 90% di Cesanese d’Affile e/o Comune e dal restante 10% di vitigni a bacca rossa autorizzati dalla Regione Lazio. Pertanto, è stata prevista la possibilità di "aggiustare" il vino con uve non ancora meglio precisate (son sicuro che ci sarà il Merlot) che potrebbero in qualche modo rendere il vino non così tipico. Sarà cura, a questo punto, dei produttori di qualità di evitare questa spersonalizzazione e far uscire sul mercato bottiglie di cui non si sente la mancanza.

Spero mi possiate aiutare a risolvere queste domande.......

Krug 1996: tutta l'emozione di uno champagne

L'azienda

Nel 1843 Joseph Krug fonda la sua azienda con un solo obiettivo: produrre uno champagne che avesse uno stile diverso dagli altri. Le successive generazioni hanno continuato a perseguire questo obiettivo arrivando, anno dopo anno, a risultati sempre migliori e portando il marchio Krug nell'olimpo dello champagne.
L’eccezionale qualità del vino della Maison Krug nasce prima di tutto da una attenta selezione delle uve che provengono da un mosaico di piccolissimi vigneti e conferite da viticultori legati all’azienda da generazioni.
La filosofia produttiva Krug prevede che tutti i vini base siano fermentati in fusti di rovere (pieces) da 205 litri di almeno tre anni (il che rallenta l’evoluzione e aumenta la capacità di conservazione), e che l'assemblaggio delle partite sia curato ancora dalla famiglia. Quest’ultima attività viene effettuata annualmente, generalmente a febbraio, da una equipe di “nasi esperti” al fine di ricercare e ricreare ogni anno lo stile Krug. In tale ambito un ruolo importante nella ricerca di questa costanza stilistica e qualitativa lo giocano i “vini di riserva” della Maison che sono una selezione dei migliori vini delle annate precedenti, vecchi anche di dieci anni, accuratamente conservati: materia prima preziosissima per uno champagne nella cui cuvée, l’assemblaggio, entra ogni anno un’alta percentuale di “vini di riserva”, talvolta quasi il 50 per cento. Una volta creata la cuvée, il vino invecchierà nelle cantine Krug per almeno 6 anni prima di rivelarsi al mondo. Alla fine avremo al palato un vino fatto di tradizione, lavoro e pazienza.

La degustazione

Presso la splendida cornice di Villa Le Corti, durante la mia partecipazione alla mostra mercato “Alla Corte del Vino”, ho potuto degustare una batteria di bellissimi champagne e spumanti tra cui un fantastico Krug 1996.
Potente, maestoso e dotato di un perlate finissimo ed elegante, al naso ci accoglie con un bellissimo quadro olfattivo dove possiamo ritrovare sensuali pennellate di aromi di agrumi secchi, pane tostato, banana verde, ananas, papaia e miele Il quadro aromatico si conclude con delle bellissime note di fiori gialli e pietra focaia. Lievi effluvi iodati.
Al palato lo champagne è cremoso, con una sapidità e una mineralità tipica dello stile Krug. Molto equilibrato, chiude lunghissimo su note di frutta gialla e miele. Ancora giovane potrà essere conservato e fatto maturare per altri 10/20 anni senza problemi.
Un vero “mostro” da avere assolutamente nella cantina personale. A chi interessa, 99/100 WS.

Finalmente la Calabria nel bicchiere: Ronco dei Quattro Venti 2005

La Calabria, un mare stupendo e un entroterra ricco di storia.
La Calabria con il suo peperoncino onnipresente e la cipolla rossa di Tropea.
La Calabria, terra di vini di qualità. No! Questo, purtroppo, non lo possiamo scrivere.

Eh sì perchè questa bella regione, dalle grandissime potenzialità in campo vitivinicolo, è un pò la cenerentola italiana in fatto di grandi vini e questo perchè la maggior parte dei vignaioli che ancora si ostinano a produrre vini di vecchia concezione, soprattutto rossi (l'unico bianco degno di nota è il riscoperto greco di bianco) legati più all'aspetto quantitativo che qualitativo. Se non ricordo male ho letto che l'80% del vino prodotto in Calabria è un vino da tavola, quindi senza etichetta, controlli, etc. Il classico vino del contadino come si produceva ai tempi della Magna Grecia.

In mezzo a questo piattume di fondo qualcosa comincia a muoversi e, seppur lentamente, qualche cantina si sta rinnovando puntando verso la qualità.

Una di queste è la Fattoria San Francesco della storica famiglia Siciliani.

Ci troviamo a Cirò nello splendido Casale San Francesco, antico convento francescano dove già nel 1578 i frati impiantarono dei vigneti, divenuto di proprietà della famiglia Siciliani dal 1777 dopo che fu soppresso con decreto di Ferdinando IV il 30 Ottobre del 1770.

Da quei vigneti ancora oggi si producono i vini della Fattoria San Francesco e l'antico convento, oggi Casale San Francesco, è il centro dell'attività agricola dell'azienda condotta oggi da Francesco Siciliani che, dopo aver mosso i primi passi all'interno della cantina di famiglia, facendo bagaglio di una consolidata esperienza nel settore, ha realizzato una sua cantina ad alta tecnologia.

Lo stabilimento di 2000 mq, di cui seicento interrati ne costituiscono la bottaia, ha una capacità produttiva di oltre un milione di bottiglie l'anno, ed è dotato di silos d'acciaio e macchinari che consentono metodi di vinificazione all'avanguardia. La scelta del controllo di qualità che accompagni le uve lungo tutto il ciclo colturale fino all'imbottigliamento, è stata la carta vincente della Fattoria San Francesco per ridare prestigio alla vocazione della sua terra, per troppo tempo offuscata da produzioni più attente alla quantità che alla qualità.La valorizzazione dei vitigni che hanno reso celebre fin dall'antichità la produzione del Cirò, caratterizza dunque la filosofia dell'azienda.


Dal Gaglioppo, vitigno di impianto collinare, dalla tipica forma ad alberello, si produce il vino che vorrei presentare, il "Ronco dei Quattroventi" dell'annata 2005, un Cirò rosso classico, felice espressione delle potenzialità di questo vitigno elevato in barrique francesi per 12/13 mesi.

Di un colore rosso rubino profondo, al naso il vino è molto complesso con belle note fruttare di marasca, prugna secca e ribes. Ruotando di nuovo il bicchiere escono le note scure, quasi ematiche, seguite da sfumature di cannella, tabacco da pipa, liquerizia. Bella scia balsamica di contorno. In bocca il vino gioca le sue carte vincenti sull'equilibrio e sulla sapidità, avvolgendo il palato con un tannino avvolgente ma non invadente, tipico del vitigno. Finale molto lungo giocato su note minerali e speziate.

Bellissimo vino e una bellissima sorpresa per me che non avrei mai pensato che da questo vitigno autoctono, il gaglioppo, si potesse tirar fuori un vino di questa classe ad un prezzo più che onesto (circa 20 euro). Speriamo che la famiglia Siciliani faccia da traino per tutti.

MAI PIU' "BRUNELLOPOLI". PETIZIONE ON-LINE

Percorsi Di Vino, al fine di tutelare uno dei vanti dell'enologia italiana nel mondo, aderisce alla campagna promossa dall'Enoclub Siena (http://www.petitiononline.com/brozzi/petition.html).

Ecco il testo integrale:

Come gruppo di appassionati di vino chiediamo il rispetto per la tradizione del sangiovese grosso coltivato a Montalcino.


La moderna agricoltura, con massiccio uso ed abuso di chimica, rischia di impoverire il terreno al punto da privarlo dei suoi componenti naturali, incapace di sopravvivere senza importanti e frequenti “flebo” di chimica. E’ il momento di incentivare con più forza una maggior tutela del valore biologico del terreno coltivato secondo criteri di naturalità.


Chiediamo il rispetto del ciclo di lavorazione tradizionale in cantina. Stop all’uso di mosti da uve non autoctone, stop ai lieviti selezionati, stop all’uso eccessivo di legni piccoli per la maturazione e in generale a tutte quelle pratiche che possono minare la naturalità e la tipicità del Brunello di Montalcino.


Sollecitiamo severità nei controlli da parte delle autorità preposte e confidiamo nel controllo interno da parte del Consorzio per il rispetto di questi imprescindibili elementi della tradizione.


Un vino snaturato è un vino che imbarbarisce i gusti del consumatore meno evoluto e altera la fiducia tra consumatore attento e produttore, la base per un duraturo rapporto commerciale, umano e di amicizia con la realtà produttiva di uno dei più grandi vini toscani, italiani e del Mondo: il nostro amato Brunello.


Enoclub Siena