Le chiocciole Slow Wine 2017

Dopo aver pubblicato le tre grosse novità che investono la guida Slow Wine 2017 (ne abbiamo parlatoquiqui e qui) oggi è il grande giorno in cui riveliamo le nostre Chiocciole. Sono cresciute di 5 come numero totale. Di queste 4 sono slovene, quindi chi teme un’inflazione da questo punto di vista può mettersi il cuore in pace! Inutile negare che sia il riconoscimento a cui siamo più affezionati e anche per questo lo pubblichiamo per primo. Tutte queste cantine le potete trovare (il 99% dei vignaioli sarà presente in carne ed ossa) a Montecatini Terme (PT) il 15 ottobre prossimo, in quella che si annuncia come la degustazione più importante dell’anno, con oltre 500 aziende e 1.000 etichette! Cliccate qui per prenotare il vostro posto in prima fila (sbrigatevi che abbiamo venduto un gran numero di biglietti, il doppio dello scorso anno a questo punto).

Abruzzo e Molise
Cataldi Madonna
Cirelli
Emidio Pepe
Praesidium
Torre dei Beati
Valentini
Valle Reale

Alto Adige
Alois Lageder
Cantina Terlano
Kuenhof – Peter Pliger
Manincor
Nusserhof – Heinrich Mayr
Pranzegg – Martin Gojer
Unterortl – Castel Juval

Basilicata
Cantine del Notaio
Musto Carmelitano

Calabria
‘A Vita
Sergio Arcuri

Campania
Antonio Caggiano
Ciro Picariello
Colli di Lapio
Contrada Salandra
Contrade di Taurasi
Fontanavecchia
Luigi Tecce
Maffini
San Giovanni
Tenuta San Francesco

Emilia-Romagna       
Camillo Donati
Gradizzolo – Ognibene
Paolo Francesconi
Vigne dei Boschi
Villa Papiano
Villa Venti
Vittorio Graziano

Friuli Venezia Giulia
Borgo San Daniele
Damijan Podversic
Edi Keber
Gravner
I Clivi
La Castellada
Le Due Terre
Meroi
Miani
Ronco del Gnemiz
Ronco Severo
Simon di Brazzan
Skerk
Skerlj
Vignai da Duline
Zidarich

Slovenia
Burja
Guerila
Klinec
Marko Fon

Lazio
Casale della Ioria
Marco Carpineti
Sergio Mottura

Liguria
Cascina delle Terre Rosse
Maria Donata Bianchi
Santa Caterina
Walter De Battè

Lombardia
Agnes
Andrea Picchioni
Ar.Pe.Pe.
Barone Pizzini
Calatroni
Cavalleri
Dirupi
La Costa
Togni Rebaioli

Marche
Andrea Felici
Aurora
Bucci
Collestefano
Fattoria San Lorenzo
La Staffa
Le Caniette
Pievalta

Piemonte
Alessandria Fratelli
Anna Maria Abbona
Antichi Vigneti di Cantalupo
Brovia
Ca’ del Baio
Carussin
Cascina Ca’ Rossa
Cascina Corte
Cavallotto Fratelli
Conterno Fantino
Dacapo
Pira & Figli – Chiara Boschis
Elio Altare
Elio Grasso
Elvio Cogno
Fiorenzo Nada
G.D. Vajra
Giacomo Brezza & Figli
Giuseppe Rinaldi
Iuli
Le Piane
Luigi Spertino
Mossio Fratelli
Pecchenino
Piero Busso
Roagna – I Paglieri
San Fereolo
Serafino Rivella
Sottimano
Vigneti Massa

Puglia
Attanasio
d’Araprì
Giancarlo Ceci
Gianfranco Fino
Morella
Paolo Petrilli
Polvanera
Severino Garofano Vigneti e Cantine
Vallone

Sardegna
Giovanni Montisci
Giuseppe Sedilesu

Sicilia
Arianna Occhipinti
Barraco
Castellucci Miano
Cos
Ferrandes
Frank Cornelissen
Girolamo Russo
Graci
I Vigneri
Marco De Bartoli
Tenuta delle Terre Nere
Valdibella

Toscana
Antonio Camillo
Badia a Coltibuono
Baricci
Boscarelli
Caiarossa
Caparsa
Castello dei Rampolla
Corzano e Paterno
Fabbrica di San Martino
Fattoi
Fattoria di Bacchereto Terre a Mano
Fattoria Selvapiana
Fontodi
Frascole
I Luoghi
I Mandorli
Il Paradiso di Manfredi
Isole e Olena
Le Chiuse
Le Cinciole
Montenidoli
Monteraponi
Montevertine
Podere Concori
Poderi Sanguineto I e II
Riecine
Salustri
Stefano Amerighi
Tenuta di Valgiano
Val delle Corti

Trentino
Eugenio Rosi
Foradori
Francesco Poli
Maso Furli
Pojer & Sandri
Redondel
Vignaiolo Fanti

Umbria
Adanti
Antonelli San Marco
Barberani – Vallesanta
Fattoria Colleallodole
Palazzone
Paolo Bea
Tabarrini

Valle d’Aosta
La Vrille
Les Granges

Veneto
Bele Casel
Ca’ dei Zago
Casa Coste Piane
Corte Sant’Alda
Il Filò Delle Vigne
La Biancara
Le Fraghe
Leonildo Pieropan
Monte dall’Ora
Monte dei Ragni
Monte Santoccio – Nicola Ferrari
Prà
Silvano Follador
Sorelle Bronca
Vigneto Due Santi

Dopo la Brexit eccovi la Bittexit! - Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Oggi non vi parlerò soltanto di un grande prodotto alimentare, ma di quello che può succedere quando, essendo più “realisti del re”, ti scontri con leggi (in questo caso comunitarie) che servono solo ad ostacolare le piccole produzioni di qualità.
La Brexit la conoscete tutti; Bittexit invece, praticamente sconosciuto ai più, è il termine coniato per “l’uscita da se stessi”, cioè la perdita del nome (ovvero l’impossibilità di usarlo) di un formaggio di altissima qualità che, essendo fatto in maniera tradizionale, con attenzioni particolari e metodi di lavorazione antichi, non può più chiamarsi con il suo nome, bitto.


Il Bitto in questione è il Bitto Storico, che oramai da quasi 20 anni viene prodotto in 12 alpeggi tra i 1500 e i 2000 metri sulle Alpi Orobie.
La forma di produzione scelta è volutamente iperartigianale e affonda nella storia di questo formaggio: ogni alpeggio del Bitto Storico ha circa 40 vacche e 70 capre orobiche. Dal loro latte appena munto a mano (di solito siamo sull’80-90% di latte vaccino e il rimanente di capra) nasce il bitto. 
Ho detto appena munto e sottolineo appena munto! Infatti il latte viene lavorato ancora caldo in loco, in particolari strutture fatte da muretti a secco e grandi quanto una normale stanza (circa 4x4) ma senza tetto. Si chiamano Calècce qui il latte viene trasformato in bitto nella mezz’ora successiva alla mungitura. Come caglio viene usato lo stomaco essiccato di vitello o di capretto. Ogni alpeggio, che funziona solo nel periodo estivo, da giugno a fine settembre, produce ogni giorno al massimo 5-6 forme di circa 12 chili. Queste vengono poi portate a stagionare nella casèra-cantina di Gerola Alta.
Quindi non siamo solo di fronte ad un formaggio a latte crudo, ma ad un pezzo di storia che si ripropone oggi con una qualità altissima, tanto che Slow Food ne ha fatto un presidio.


Ho visitato a Gerola Alta la “cattedrale” del bitto storico, ho ammirato le quasi 3000 forme firmate (di proprietari che le acquistano e poi le lasciano a maturare anche per dieci anni) poste a stagionare e posso dire che il profumo e la bontà dei bitto degustati di 2-3-5 anni mi accompagnerà per molto tempo.
Adesso dovete tornare all’inizio e cancellare ovunque la parola “Bitto”, perché da questo mese il formaggio si chiamerà solamente “Storico”. Perché? Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: nel 2009 i produttori delConsorzio Bitto Storico abbandonarono la DOP Bitto in disaccordo con i metodi di lavorazione del disciplinare, perdendo così il diritto ad utilizzare il termine Bitto.
Loro continuarono ad usarlo perché lo ritenevano giusto e si beccarono così anche una multa per usurpazione del marchio. Oggi, dopo varie vicissitudini legali, mantenendo il nome Bitto rischierebbero un’altra multa che non potrebbero permettersi e così hanno deciso di togliere il nome Bitto al Bitto Storico. Davide in questo caso soccombe a Golia, cioè gli storici, con solo 1200-1500 forme di bitto all’anno non possono competere con chi (leggi produttori della DOP) ne produce venti volte tanto.
Pazienza, vuol dire che invece di andare a Gerola Alta a mangiare Bitto Storico, ci andremo per gustare lo “storico”, in barba a regole che portano sempre più all’appiattimento della qualità.

CENTRO DEL (B…..) STORICO
Via Nazionale 31 – Gerola Alta (Sondrio)

Per info e prenotazioni alla Casèra
Telefono : +39 0342 690081
Cell. Albino Mazzolini 3338938168
Mail: info@formaggiobitto.com
Presidente Paolo Ciapparelli Cellulare: +39 334 3325366

Lazio: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

Dopo un paio d’anni in cui avevamo riscontrato un miglioramento e una crescita qualitativa generale della produzione della regione, quest’anno ci vediamo costretti a tornare a considerazioni meno positive. Questo a causa sicuramente di un paio di annate poco favorevoli che hanno coinvolto molti dei vini degustati, ma anche per quella che ci sembra una fragilità complessiva del comparto. Sono infatti in pochi ad accettare l’idea che l’unica strada percorribile dal Lazio vitivinicolo per tornare al livello che gli compete è quella della ricerca della qualità, anche a costo di ridurre drasticamente le rese in certe annate o addirittura di rinunciare a produrle.

Insomma, la sequenza di 2014 – con le abbondanti piogge e le grandinate che si sono abbattute in zone fondamentali per l’enologia della regione, come nelle terre del cesanese – e del caldissimo 2015 – partito sotto ottimi auspici ma che alla fine ha prodotto bianchi spesso pesanti, senza la freschezza e la giusta acidità in grado di dare lunghezza e piacevolezza – non ha certo aiutato i produttori del Lazio, ma ci sembra anche che la difficoltà di dare una continuità qualitativa alla produzione sia generale, a parte le solite poche eccezioni.
Una criticità che si è evidenziata soprattutto nella zona dei Castelli Romani e nella denominazione Frascati, ma che ha lasciato il segno anche in altre zone, come il Viterbese o la provincia di Latina, dove non possiamo non constatare come i vini bianchi del 2014, che pure da molti non erano stati considerati all’altezza degli anni precedenti, stiano dando più soddisfazioni degli omologhi del 2015. Non a caso sono solo tre i vini bianchi premiati con i Tre Bicchieri, e questo in una regione bianchista per il 70% della produzione complessiva.
E a proposito dei Tre Bicchieri, vanno segnalate due novità, una assoluta e una relativa. La prima riguarda l’Habemus ‘14 dell’azienda San Giovenale di Emanuele Pangrazi, un vino che ha letteralmente inventato un territorio e creato una nuova referenza sulla carta dei vini del Lazio. La seconda è un graditissimo ritorno, che era già stato realizzato con la versione in bianco: il Fiorano Rosso diAlessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. La versione 2011 farà tornare in mente i vecchi Fiorano dello zio Alberico, a chi quei vini ha bevuto e amato.
Per quanto riguarda gli altri vini premiati, andiamo dai classici, come il Poggio della Costa di Sergio Mottura o il Montiano della Falesco, a quelli che lo stanno diventando, come il Frascati Superiore Epos Riserva di Poggio Le Volpi, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus diAntonello Coletti Conti, fino alla conferma della qualità dell’intuizione di Antonio Santarelli di Casale del Giglio di scegliere i terreni sabbiosi di Anzio per realizzare un Bellone in purezza come l’Antium.
Antium Bellone 2015 Casale del Giglio
Cesanese del Piglio Sup. Hernicus 2014 Coletti Conti
Fiorano Rosso 2011 Tenuta di Fiorano
Frascati Sup. Epos Ris. 2015 Poggio Le Volpi
Habemus 2014 San Giovenale
Montiano 2014 Falesco
Poggio della Costa 2015 Sergio Mottura

Marche: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

In questa edizione della Guida la regione tinge ancor più di bianco la propria lista delle eccellenze. Su 20 Tre Bicchieri ben 14 vanno al Verdicchio, declinato tra la sponda jesina e quella matelicese, e 3 all'Offida Pecorino. Ma i numeri, pur eloquenti, non riescono a spiegare la grande vivacità e l'innalzamento del livello qualitativo che si vive nei distretti citati. Il primo effetto è un continuo rinnovamento dei premiati: ogni azienda deve ogni anno dimostrare di meritare l'encomio e nessuno può pensare di vivere sugli allori.

In alto i calici dunque per chi come Bucci, Casalfarneto, Tenuta Spinelli, Velenosi, Tenuta di Tavignano, Sparapani-Frati Bianchi, Belisario e Collestefano riesce a confermarsi rispetto all'edizione 2016, vincendo il confronto con agguerriti colleghi. Tornano al Tre Bicchieri, chi dopo una sola edizione senza premio e chi dopo qualche anno, Pievalta, Poderi Mattioli, Marotti Campi, Montecappone, Bisci e La Monacesca. E c'è chi debutta, senza distinzione di dimensione: da una parte il taglio artigiano di alto profilo di Sabbionare, dall'altra Tenuta Cocci Grifoni, uno dei nomi più noti in regione, giunta finalmente all'agognato riconoscimento con un vino magnifico dedicato a Guido Cocci Grifoni, l'artefice del salvataggio del pecorino e suo primo diffusore sulla direttrice collinare posta tra Marche e Abruzzo.
Segna il passo il comparto rosso: se il nome del Conero torna a incidere il suo nome nel palmarès grazie al portentoso Campo San Giorgio '11 di Umani Ronchi, importanti distretti viticoli come Piceno e Maceratese perdono posizioni. Annate climaticamente difficili per il montepulciano, il sangiovese e per le uve a bacca nera in genere di certo non hanno giovato ma occorre non abbassare la guardia sotto il profilo della maturità fenolica, dell'appropriato uso del legno, diffidare dalle eccessive concentrazioni di frutto ed estratti.
Appaiono quindi come gemme di brillante modernità il vino di un navigato vigneron come Marco Casolanetti con il suo Kupra '13 e quello di un esordiente d'incredibile passione come Emanuele Dianetti che ha sorpreso tutti con il suo Offida Rosso Vignagiulia '13. Ma non ci si fermi solo ai premiati: tra le diverse aree delle Marche si annida tanto talento e con molta probabilità abbiamo sotto gli occhi qualche stella degli anni a venire. Aguzzate il naso e il palato. Mettetevi alla ricerca. Noi siamo certi che non rimarrete delusi.
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Crisio Ris. 2013 CasalFarneto
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Lauro Ris. 2013 Mattioli
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Salmariano Ris. 2013 Marotti Campi
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Paolo Ris. 2013 Pievalta
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Sisto Ris. 2014 Fazi Battaglia
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Utopia Ris. 2013 Montecappone
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Villa Bucci Ris. 2014 Bucci
Conero Campo San Giorgio Ris. 2011 Umani Ronchi
Offida Pecorino Artemisia 2015 Spinelli
Kupra 2013 Oasi degli Angeli
Offida Pecorino Guido Cocci Grifoni 2013 Cocci Grifoni
Offida Pecorino Rêve 2014 Velenosi
Offida Rosso Vignagiulia 2013 Dianetti
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Il Priore 2014 Sparapani - Frati Bianchi
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Misco 2015 Tavignano
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Sabbionare 2015 Sabbionare
Verdicchio di Matelica Collestefano 2015 Collestefano
Verdicchio di Matelica Mirum Ris. 2014 Monacesca
Verdicchio di Matelica Vign. B. 2015 Belisario
Verdicchio di Matelica Vign. Fogliano 2013 Bisci

Umbria: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

L’Umbria del vino vanta importanti radici storiche, ben precise e documentate, che ne attestano la rilevanza. Nonostante sia una piccola regione è facile rintracciare al suo interno aree distinte, diverse sottozone e territori enologicamente eterogenei, sul piano di suoli, clima e varietà coltivate.

Più di recente, il successo del vino umbro è passato in gran parte per i rossi, allineandosi a un trend nazionale e internazionale che sta rapidamente cambiando, facendo riemergere una terra molto vocata anche per i bianchi. Non a caso la sua area storicamente più famosa è Orvieto e non a caso proprio questa zona, negli ultimi anni, offre segnali incoraggianti e una ritrovata vitalità.
L’annata 2015, asciutta e solare, capace di assecondare il profilo mediterraneo dei vini, ha regalato una media molto alta e alimentato il trend. Una lettura approfondita della guida ne dà testimonianza, così come quella dei vertici.
In zona i Tre Bicchieri non si fermano all’eccellente Cervaro della Sala ‘14, giocato su un’estrema finezza di fondo, ma toccano grandissime versioni il Campo del Guardiano ’14 Palazzone e Orvieto Classico Superiore Il Bianco ‘15 Decugnano dei Barbi.
Poco distante, a Todi, i Grechetto dimostrano grande dinamismo. Molti i vini degni di nota anche se a primeggiare è il Superiore Fiorfiore ’14 della brillante cantina Roccafiore, capace di livelli mai toccati in precedenza e premiata per la Vitivinicoltura Sostenibile per l’impegno dimostrato fin dalla sua nascita. Mettiamoci che molti Trebbiano Spoletino hanno fatto bellissime figure e il quadro è completo.
E i vini rossi? Anche qui le novità non mancano, a cominciare dai deliziosi Ciliegiolo di Narni, varietà e vino caparbiamente riportati in auge dai produttori dalla zona. Le etichette da segnalare sono diverse ma la migliore, almeno secondo il nostro giudizio, è il Brecciaro ‘14 di Leonardo Bussoletti. Nel segno della finezza e dell’eleganza anche il Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio ‘11 dei Lungarotti, bottiglia mitica della regione, capace oggi come ieri di un fascino straordinario. Concludiamo, infine, con i rossi più strutturati. Un percorso che passa per forza di cose per una terra generosa e giustamente celebrata come Montefalco. Meno del solito i premiati, complice anche l’incidenza di un millesimo, il 2012, che ci pare aver dato vini più faticosi, tannici e monolitici di altri. Nonostante questo la spuntano tre Sagrantino: il deciso quanto brillante Collepiano di Marco Caprai, l’originale e saporito cru Campo alla Cerqua di Giampaolo Tabarrini e (novità) quello di un produttore dallo stile seducente e raffinato, Pardi, finalmente sul gradino più alto del nostro podio.
Brecciaro 2014 Bussoletti
Cervaro della Sala 2014 Castello della Sala
Montefalco Sagrantino 2012 Pardi
Montefalco Sagrantino Campo alla Cerqua 2012 Tabarrini
Montefalco Sagrantino Collepiano 2012 Arnaldo Caprai
Orvieto Cl. Sup. Campo del Guardiano 2014 Palazzone
Orvieto Cl. Sup. Il Bianco 2015 Decugnano dei Barbi
Orvieto Cl. Sup. Luigi e Giovanna 2013 Barberani
Todi Grechetto Sup. Fiorfiore 2014 Roccafiore
Torgiano Rosso Rubesco V. Monticchio Ris. 2011 Lungarotti

Soave Versus 2016: la Top Five di Percorsi di Vino

Soave Versus 2016 è stata decisamente una edizione da record, non solo per le 50 (!!) cantine presenti alla manifestazione ma anche, e soprattutto, per la qualità media delle centinaia interpretazioni del Soave declinato nelle tipologie Classico, Superiore e Recioto che hanno fatto letteralmente "impazzire" i tanti degustatori presenti visto che era impossibile assaggiarli tutti in poche ore.

Questa mia (mini)classifica, perciò, non può essere esaustiva ma rappresenta, dopo un centinaio di Soave degustati, una sorta di lista, assolutamente personale ed istintiva, dei cinque Soave che sono corso comprare in enoteca una volta uscito dal Palazzo della Gran Guardia di Verona. Pronti per i miei consigli per gli acquisti?

Corte Mainente - Tovo al Pigno 2015: Davide e Marco Mainente sono l'ultima generazione di questa interessante azienda famigliare, situata a due passi dal castello di Soave, che oggi può vantare circa 12 ettari di vigneto coltivati quasi esclusivamente a garganega. Il Tovo al Pigno rappresenta il loro Cru (1 ettaro circa) che nasce nella zona del Soave Classico appena sotto il vulcano Foscarino. Da questi terreni composti da basalto, da qui il nome Tovo, nasce questa garganega in purezza che è un inno alla sapidità e al carattere del territorio.



Fornaro - Capitello del Tenda 2014: Damiano lo avevo conosciuto allo scorso Soave Versus e da subito, forse complice la sua giovane età, mi era piaciuta la sua interpretazione del Soave che trova la sublimazione del Capitello del Tenda, vigneto di circa un ettaro, che in questa seconda annata di produzione si caratterizza per tanta freschezza associata ad una complessità che, visto il millesimo in questione, non ti aspetteresti. Credetemi, sto ragazzi va seguito!


Le Battistelle - Roccolo del Durlo 2014: questo Cru, uno dei più belli del Soave Classico e appartenente una volta alla nobile famiglia dei Durlo, si trova localizzato nella parte alta del monte Castellaro ("Roccolo" ovvero cima della montagna) e si caratterizza per l'estrema ripidità dei vecchi vigneti di garganega, piantati su roccia basaltica, la cui età spesso travalica il secolo. Il vino che ne deriva è di chiara matrice vulcanica anche se il corredo olfattivo viene impreziosito da soffi di pompelmo rosa, mughetto e resina. Palato scorrevole, salmastro e ricco di personalità.


Coffele - Alzari 2014: come ogni anno i vini presentati al banco da Chiara Coffele si distinguono per i loro tratti distintivi ben definiti e questo Alzari ne è un chiaro esempio visto che che cattura il palato senza eccessi nonostante un chiaro stampo modernista (il 40% delle uve compie un appassimento per circa 40 giorni a cui segue una maturazione del vino in botti di rovere francese da 15 hl per 10 mesi). L'ottima integrazione del legno, il fine bilanciamento e la persistenza sapida di questo vino fanno dell'Alzari un Soave Classico da prendere ad esempio per tutti quelli che vorrebbero interpretare il territorio in chiave trendy.



Gini - La Froscà 2014solo due grandi vignaioli come Sandro e Claudio Gini potevano tirar fuori un grande Soave Classico da una annata piovosa come la 2014 e da un Cru "freddo" come il Froscà. Questa garganega in purezza è un gioiello dalla mille sfaccettature fruttate e floreali il cui cuore, però, pulsa di animo nobile e territoriale che rimanda senza sconti al terreno tufaceo della collina dove sono piantate le vecchie vigne che oggi hanno mediamente 80 anni di età. La grana e la dirompente persistenza del vino, su note di pietra focaia, dovrebbe essere brevettata e posta come esempio di classe a tutti i corsi per sommelier di Italia.



Molise ed Abruzzo: i tre bicchieri 2017 Gambero Rosso

Abruzzo


Il comparto vitivinicolo abruzzese non è mai stato tanto in salute. Perlomeno a giudicare dal livello medio della produzione, in continua ascesa, e sempre più competitivo per rapporto qualità prezzo. Non sono tanti i distretti europei dove è possibile bere così bene spendendo così poco. Ma la straordinaria convenienza delle gamme “entry level” rischia talvolta di togliere appeal ai progetti più ambiziosi. E rappresentano vere e proprie eccezioni i vini abruzzesi che rivaleggiano nel segmento premium con le etichette mito dei più blasonati terroir mondiali. Se aggiungiamo la quota consistente di sfusi imbottigliati fuori regione, diventa più chiaro perché l’Abruzzo fatichi ancora a trovare una dimensione pienamente riconosciuta presso il pubblico specializzato. Ma lo scenario è decisamente incoraggiante.
Si allarga la rosa di opzioni caratterizzate e affidabili, ogni anno è più difficile scegliere i “titolari” della nostra Guida e quelli che restano fuori solo per motivi di spazio. Nel primo gruppo convivono armonicamente marchi storici e nomi emergenti, piccole imprese artigiane e aziende di grandi dimensioni, e una fitta rete di cooperative ben strutturate per affrontare le sfide dei mercati. In tutte le zone, inoltre, si infoltisce il gruppo di realtà “verdi”, che puntano su protocolli biocompatibili in vigna e soluzioni “modernamente antiche” in cantina: fermentazioni spontanee, vinificazioni “sottrattive”, affinamenti modulari, con le anfore e il cemento ad affiancare le botti di legno e l’acciaio.
Non deve allora ingannare la sensibile riduzione del numero di Tre Bicchieri, in buona parte legata ai limiti delle vendemmie protagoniste negli ultimi test. Come la fredda e umida 2014, complicata per i rossi più rappresentativi, o la speculare 2015, non certo la migliore possibile per i principali bianchi e rosati quanto a profondità sapida e nerbo.
Come sempre tocca al Montepulciano il ruolo di “azionista di maggioranza” dell’eccellenza regionale, con le sue molteplici declinazioni territoriali e stilistiche, tipologia Cerasuolo inclusa. Ma ci conquistano anche le più autorevoli interpretazioni di Pecorino e Trebbiano, capaci di restituire quello speciale connubio di Adriatico e Appennino che rende così originale il paesaggio abruzzese.
Cerasuolo d'Abruzzo Villa Gemma 2015 Masciarelli
Montepulciano d'Abruzzo 2012 Valentini
Montepulciano d'Abruzzo 2014 Villa Medoro
Montepulciano d'Abruzzo Amorino 2012 Castorani
Montepulciano d'Abruzzo Chronicon 2013 Zaccagnini
Montepulciano d'Abruzzo Colline Teramane Zanna Ris. 2011 Illuminati
Montepulciano d'Abruzzo Luì 2013 Terraviva
Montepulciano d'Abruzzo Mo Ris. 2012 Tollo
Pecorino 2015 Tiberio
Pecorino Frontone 2013 Cataldi Madonna
Trebbiano d'Abruzzo Bianchi Grilli per la Testa 2014 Torre dei Beati
Trebbiano d'Abruzzo V. del Convento di Capestrano 2014 Valle Reale


Molise

Parlando di viticoltura eroica facciamo riferimento anche all’epopea di agricoltori e produttori che con coraggio e determinazione portano avanti il loro lavoro in zone per molti versi invisibili sulle mappe del vino mondiale. Partiamo da qui, per l’annuale ricognizione sulle migliori bottiglie e cantine del Molise: è una sparuta rappresentanza, per questo va incoraggiata e sostenuta.
Ne siamo convinti, prima o poi emergerà a pieno il valore aggiunto del suo essere territorio di confine e frontiera. Crocevia di popoli e culture, ponte naturale tra basso Abruzzo e Frusinate interno, Sannio e Daunia, Adriatico e Appennino. Influenzato da un variegato puzzle geologico e altimetrico, e da un vasto campionario di tradizioni produttive e ampelografiche, ostiche da tenere insieme in un racconto organico. Molteplicità che troppo spesso finisce per sfociare in confusione o, peggio, viene neutralizzata da un modello enologico in buona parte sorpassato, anacronistico e in ultima analisi ingenuo.
Al netto delle difficoltà commerciali e di posizionamento, i più ambiziosi vignaioli della regione potrebbero e dovrebbero osare di più per far emergere la personalità peculiare dei loro rossi da montepulciano, aglianico e soprattutto tintilia. Senza trascurare le doti di fragranza e freschezza dei più riusciti bianchi a base falanghina, greco, trebbiano, malvasia, con qualche concessione “internazionale” a sauvignon e chardonnay.
Speranze di ulteriore crescita ben riposte, crediamo, nel percorso segnalato da realtà decisamente in forma come Borgo di Colloredo, Claudio Cipressi, e Tenimenti Grieco, titolari inamovibili della nostra selezione molisana. Alle finali nazionali approdano tre etichette ed è un risultato da non sottovalutare alla luce del numero risicato di assaggi. Così come è da sottolineare la brillante prova dell’unico Tre Bicchieri assegnato, il Molise Tintilia ’13 della Di Majo Norante, storica cantina di Campomarino nonché leader indiscussa della vitienologia regionale.
Molise Tintilia 2013 Di Majo Norante

Fattoria Ambra - Rosato di Carmignano Vin Ruspo 2012 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Roberto Giuliani

Sapevo che lo avevo lasciato nello stanzino. Intravedevo il colore evoluto. “Deve essere morto”, pensavo. Sbagliato! E’ vivissimo, ancora con una bella vena acida e un bouquet profondo e complesso, di olive, prugne, muschio, tabacco, incredibile… Non si finisce mai di imparare! Avercene ancora…


Basilicata: i tre bicchieri del Gambero Rosso 2017

La Basilicata del vino è un giacimento prezioso finora sfruttato solo in parte. La maggior parte dei consumatori è familiare con la più importante denominazione regionale, l’Aglianico del Vulture, che recentemente ha ottenuto, per la tipologia Superiore e Superiore Riserva, la denominazione d’origine controllata e garantita.

Ed è proprio l’Aglianico che nasce dai contrafforti del Vulture fino a Venosa che vengono le etichette più rappresentative della regione. Quest’anno sono quattro i vini premiati, tre di questi, quelli di Terre degli Svevi, Cantine del Notaio e Titolo sono degli habitué dei Tre Bicchieri, mentre l’ottimo Gricos ’14 di Grifalco di Lucania debutta felicemente nel club dei vini premiati.
Il dato importante emerso dalle degustazioni è che nelle nostre finali erano ben 18 i vini lucani. Tutti Aglianico del Vulture, con l’unica stimolante novità del Vulcano 800 di Terre dei Re, un elegante pinot nero che nasce in alta quota e che ci dà la percezione delle potenzialità di questo straordinario terroir.
L’epopea dei vini etnei forse sta contagiando anche la tranquilla Basilicata? Vedremo nascere nuove aziende e affermarsi nomi della tradizione sul mercato internazionale nei prossimi anni? Sinceramente ce lo auguriamo, perché gli ingredienti per una storia di successo qui ci sono tutti. Mentre chiudiamo quest’edizione della Guida la notizia che un marchio storico come Paternoster sia stato acquisito da un gruppo importante come la veneta Tommasi Viticoltori – che si affianca alle acquisizioni recenti della Feudi di San Gregorio (Basilisco) e del gruppo Farnese (Vigneti del Vulture), per non parlare di una realtà ormai consolidata come Terre degli Svevi del GIV, non fa che avvalorare quest’ipotesi. Uva, territorio e clima sono tra i più felici del meridione per una produzione di vini di classe, e il successo del brand Paternoster (che inanella ben due vini alle nostre finali) è emblematico di queste potenzialità.
Ma la Basilicata del vino non si limita al comprensorio del Vulture. Ci sono denominazioni che stanno lavorando per emergere. Grottino di Roccanova, Terre dell’Alta Valdagri e soprattutto la denominazione Matera danno incoraggianti segnali di attività. Soprattutto quest’ultima, che si declina in varie tipologie, tra le quali Moro e Primitivo sembrano le più promettenti, siamo sicuri che in un immediato futuro potranno affiancare il Vulture nell’esprimere in modo più articolato il grande potenziale qualitativo dell’enologia lucana.
Aglianico del Vulture Gricos 2014 Grifalco della Lucania
Aglianico del Vulture Il Repertorio 2014 Cantine del Notaio
Aglianico del Vulture Re Manfredi 2013 Re Manfredi - Cantina Terre degli Svevi
Aglianico del Vulture Titolo 2014 Elena Fucci

Tredici Gradi a Viterbo, un’osteria che parla Slow Food - Garantito IGP

di Roberto Giuliani
Se c’è una provincia nel Lazio che merita assolutamente di essere visitata, questa è Viterbo, il suo centro storico è uno dei più affascinanti e ricchi di storia di tutta la regione, se poi avete la fortuna di capitarvi il 3 settembre, potrete assistere ad uno straordinario evento: il trasporto della Macchina di Santa Rosa, un enorme baldacchino con in cima la statua della santa, patrono della città, che viene sostenuto da ben 120 “facchini di Santa Rosa” lungo un percorso che attraversa le piazze e le vie principali, fino alla sua deposizione presso il Santuario di Santa Rosa (circa 1200 metri). Oggi la struttura è completamente rinnovata, opera dell’architetto Raffaele Ascenzi, realizzata con vetroresina e metalli leggeri, ciò nonostante pesa la bellezza di 51 tonnellate ed è alta quasi 30 metri. Certamente un’impresa titanica per i “facchini”, che in alcune vie particolarmente strette, sono costretti a ridursi ad un’ottantina di persone.


Ma Viterbo è anche gastronomia, cultura alimentare, è quindi giusto scoprire i locali più interessanti e meritevoli di attenzione, come l’Osteria Tredici Gradi (3DC Gradi) in piazza Don Mario Gargiuli, rinnovata appena due mesi fa, con tavoli e sedie colorati e un ambiente accogliente con due sale interne e una parte all’aperto.
Nata 9 anni fa, oggi è gestita da un gruppo di soci: Fabiana, Angelo, Luca, Antonio, Francesca e Jennifer, in cucina è Angelo Ricci a dettare le regole, proviene dalla stellata Trota di Rivodutri, non gli mancano quindi inventiva e ottima capacità di lavorare le diverse materie prime. La cucina di Antonio è un connubio di tradizione, fantasia e idee originali, ma sempre tenendo conto della tipologia di locale in cui si lavora.
Ho avuto modo di apprezzare come antipasto il “pacchetto con prosciutto e fichi”, fatto con pasta fillo, prosciutto, fichi, mandorle e riduzione di vino rosso, croccante al punto giusto e dai sapori molto equilibrati.

Ben eseguiti gli spaghetti con polpo, un piatto composto da pochi ingredienti ma tutti di ottima qualità, a partire dal pomodoro utilizzato, condito con prezzemolo aglio e spuma al vino bianco.

Il menu offre varie possibilità, si può puntare al pesce oppure ai piatti di terra, io ho optato per il “Persico Reale del Lago di Bolsena in crosta di zucchine” (con albume d’uovo, aglio, aceto e menta) accompagnato da coulis di zucchine alla scapece, portata gustosa e ben dosata nei vari ingredienti.

Anche il “Baccalà alla piazzaiola” si è rivelato un piatto ben congegnato, salato al punto giusto e condito con un sugo di pomodoro fresco piacevolissimo.

Infine, fra i vari dolci proposti, ho apprezzato la “Crostata con marmellata di visciole e scaglie di mandorle” e la “Crostata con crema di ricotta”. Da sottolineare che la filosofia aziendale è quella di valorizzare prima di tutto le materie prime del territorio e di puntare ad una qualità sempre alta, non a caso si possono trovare numerosi prodotti presidi Slow Food.

La carta dei vini è adeguata, con ampio spazio alle aziende locali e regionali, per poi concedersi un excursus sulle altre regioni italiane. La scelta è caduta sull’ottimo grechetto “Poggio Triale” 2015 di Tenuta La Pazzaglia di Castiglione in Teverina, da tempo passata di proprietà alla famiglia Verdecchia.

Prezzi più che corretti, sia dei vini che dei piatti, si può mangiare con una trentina di euro a testa vino escluso.
Osteria Tredici Gradi

Piazza Don Mario Gargiuli, 11 Viterbo
Tel. 0761 305596

Chiuso il lunedì in inverno, la domenica in estate; aperto a pranzo e a cena

Campania: i tre Bicchieri 2017 del Gambero Rosso

Bellezza e imprevedibilità. Sono le due carte del vino campano. In primo luogo, il vigneto regionale ci conduce su alcuni tra i siti più spettacolari dello stivale: la Costiera, le isole, le pendici di vulcani spenti, i monti picentini, parchi naturali a strapiombo sul mare come il Cilento. Su un territorio così frastagliato s’innesta un patrimonio ampelografico impareggiabile rilanciato da un numero di cantine di piccole e medie dimensioni in continuo aumento.

Trent’anni fa le cantine recensite nella prima edizione della Guida erano 8, quest’anno sono 106. La Campania del vino è difficile da contestualizzare, anche per la mancanza di un lavoro promozionale organico, ma è forse la regione che più di altre riserva il gusto della scoperta, dove più c’è da capire, raccontare e valorizzare. È fonte di vini autentici, espressivi, dall’imprevedibile evoluzione aromatica, saporiti, d’indole squisitamente mediterranea. In una parola, gastronomici. Il tutto a prezzi molto competitivi.
Tirando le somme, le degustazioni di quest’anno confermano uno scarto evidente: il livello dei bianchi è elevatissimo, con punte di eccellenza di livello internazionale, decisamente meno convincente la qualità media dei rossi per via di una gestione dei legni non sempre felice.
Partiamo dalle novità, ben quattro aziende centrano per la prima volta il massimo riconoscimento. Raffaele Moccia, l’artigiano dei Campi Flegrei, porta il Piedirosso nel circuito dei Tre Bicchieri; Ettore Sammarco, alla soglia degli 80 anni, piazza il colpo grosso con un vino che racconta una vigna terrazzata con vista da urlo su Ravello e ‘o mare; Maura Sarno vede premiata la sua tenacia con un Fiano di Avellino luminoso e ben ritmato; infine Mario Basco, alias Cacciagalli, si propone tra i più ispirati vignaioli regionali, con un vino contemporaneo, figlio di una viticoltura sana e tecniche di vinificazione ragionate e mai invasive: il suo Zagreo è tra i più goduriosi bianchi macerati d’Italia.
In totale sono 22 Tre Bicchieri. La vendemmia 2015 sorride al Fiano di Avellino, ben sei Tre Bicchieri, meno al Greco di Tufo, con alcuni campioni già molto pronti e meno taglienti del solito. Annata di luce e grande definizione per i vini della Costiera Amalfitana, con tanti vini piazzati in finale; buone notizie anche dal casertano e dal Sannio, distretto tra i più vitali e dal rapporto qualità prezzo più che attraente sul terreno dei bianchi. Nota a margine per il Taurasi, denominazione in chiaroscuro, di certo non supportata da millesimi poco felici, ma che evidenzia spesso scelte di cantina poco comprensibili. A mettere il carico sul profilo autentico e tutt’altro che lineare del panorama regionale, i nostri punteggi premiano di frequente i vini base, ribaltando le gerarchie aziendali.

Alois Caiatì 2014
Campi Flegrei Piedirosso 2015 Agnanum
Costa d'Amalfi Furore Bianco 2015 Cuomo
Costa d'Amalfi Ravello Bianco V. Grotta Piana 2015 Sammarco
Falanghina del Sannio Biancuzita 2014 Torre a Oriente
Falanghina del Sannio Janare 2015 Guardiense
Falanghina del Sannio Svelato 2015 Terre Stregate
Falanghina del Sannio Taburno 2015 Fontanavecchia
Fiano di Avellino 2015 Colli di Lapio
Fiano di Avellino 2015 Sarno 1860
Fiano di Avellino 2014 Picariello
Fiano di Avellino 2014 Rocca del Principe
Fiano di Avellino Pietramara 2015 Favati
Fiano di Avellino V. della Congregazione 2015 Villa Diamante
Greco di Tufo 2015 Pietracupa
Greco di Tufo V. Cicogna 2015 Ferrara
Montevetrano 2014 Montevetrano
Paestum Bianco 2015 San Giovanni
Sabbie di Sopra il Bosco 2014 Nanni Copè
Taurasi Coste 2011 Contrade di Taurasi
Trentenare 2015 San Salvatore

Zagreo 2015 I Cacciagalli