Wine Enthusiast incorona il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti


Per la prima volta è un vino italiano a guidare “The Enthusiast 100”, edizione 2010, la classifica dei migliori vini del mondo secondo “Wine Enthusiast”, una delle riviste “a stelle e strisce” di critica enologica più consultate dagli appassionati americani e non solo e che sembra restare, fra quelle di oltreoceano, la più attenta all’eccellenza enoica del Bel Paese.
Il “campione” di questa speciale ed importante graduatoria è il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti, ma la pattuglia degli italiani è decisamente importante con ben 15 vini nei 100. 


A seguire troviamo: il Bolgheri Superiore Sorugo 2007 di Aia Vecchia (dodicesimo posto), il Passito di Pantelleria Ben Ryé 2008 di Donnafugata (ventiduesimo posto), il Bolgheri Superiore 2007 della Tenuta Argentiera (ventiseiesimo posto), il Barolo Coste di Rose 2005 di Bric Cenciurio (ventottesimo posto), il Barolo Persiera 2006 di Josetta Saffirio (trentaduesimo posto), il Barolo Rocche dell’Annunziata 2005 di Franco Molino-Cascina Rocca (trentaseisimo posto), il Barbaresco Serracapelli 2007 di Poderi Elia (quarantatreesimo posto), il Coevo 2007 di Cecchi (cinquantaduesimo posto), il Barolo Parafada 2006 di Massolino (sessantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Piancornello (sessantaquattresimo posto), il Tenuta Belguardo 2007 di Marchesi Mazzei (sessantacinquesimo posto), il Madre 2006 di Poggio Antico (settantaduesimo posto), il Barbaresco Vigna San Cristoforo 2007 di Pietro Rinaldi (settantatreesimo posto) e il Sondraia 2007 di Poggio al Tesoro (ottantottesimo posto).


Il meglio del 2010 enoico del Bel Paese viene fissato da “Wine Enthusiast” anche con i “verdetti” delle altre due classifiche che la rivista americana redige annualmente e che consegnano alle etichette italiane risultati lusinghieri.

Nella “Top 100 Cellar Selection”, la classifica dei vini da collezione, prodotti dalle migliori cantine, un’iniziativa relativamente recente di “Wine Enthusiast”, partita nel 2007, le etichette italiane sono ben 17: in testa troviamo il Bolgheri Superiore 2006, prodotto nella Tenuta Guado al Tasso, di proprietà della Marchesi Antinori (secondo posto assoluto), seguono il Barolo Costa Grimaldi 2006 di Poderi Luigi Einaudi (quinto posto), il Barolo Brunate 2006 di Vietti (diciassettesimo posto), il Giusto di Notri 2006 di Tua Rita (diciottesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Altesino (ventiseiesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Eugenio Bocchino (trentatreesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Gianni Voerzio (quarantatreesimo posto), il Bolgheri Superiore 2006 della Tenuta dell’Ornellaia (quarantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Corte Pavone (quarantaseesimo posto), il Barolo Cannubi Boschis 2006 di Lucaino Sandrone (cinquantaduesimo posto), il Vin Santo Occhio di Pernice 1997 di Avignonesi (cinquantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di San Polino (cinquantanovesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Uccelliera (settantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 de Le Chiuse (settantanovesimo posto), il Galatrona 2006 della Fattoria di Petrolo (ottantesimo posto), il Solengo 2006 di Argiano (ottantesettesimo posto), il Brunello di Montalcino Poggio all’Oro Riserva 2004 di Castello Banfi (novantaduesimo posto).

Cinque i vini italiani nella “Top 100 Best Buys”: il Alle Viole 2005 della Tenuta di Ceppiano (settimo posto), il Trento Talento Brut Rosè della Cantina Rotari del gruppo Mezzacorona (tredicesimo posto), il Pinot Grigio 2009 di Mezzacorona (trentaduesimo posto), lo Chardonnay Stemmari 2008 di Feudo Arancio del gruppo Mezzacorona (quantaquattresimo posto), il Salice Salentino Maìana 2006 di Leone de Castris (novantunesimo posto). 


Sono molto soddisfatta - spiega a WineNews Monica Larner, la corrispondente italiana di “Wine Enthusiast” e responsabile degli assaggi dei vini italiani - del fatto che, per la prima volta, la mia rivista assegni il primo posto ad un vino italiano. Senza fare inutili giri di parole i vini italiani restano i più amati negli Stati Uniti e spero che le nostre valutazioni abbiano l’effetto di riavvicinare gli appassionati americani anche ai vini più cari del Bel Paese. In questo senso - conclude la Larner - il fatto che sia proprio un Barolo a primeggiare, una tipologia cara, appunto, spero possa essere di buon auspicio per il rilancio dei vini più costosi, penalizzati dalla crisi”.

Fonte: www.winemag.com via Wine News

Roma, appello delle Città del vino: salvate vigneto Trinità dei Monti


Roma è la mia città per cui mi sembra quanto mai scontato riprendere la notizia comparsa tempo fa sui principali giornali che riguarda il vigneto di Trinità dei Monti. 

Simbolo del legame storico tra l’Italia e la Francia, voluto dalla città francese di Narbonne per celebrare la sua origine romana, il vigneto ornamentale nei giardini della Scuola Francese del Sacro Cuore a Trinità dei Monti in pieno centro a Roma, da cui ha origine la produzione limitata e preziosa del “Vino Gallico”, rischia di scomparire a causa della mancanza di cure e della necessità di una ristrutturazione.


A lanciare l’allarme sul grave stato di abbandono in cui versano le sue viti sono le Città del Vino, che denunciano come, ad oggi, manchi ancora l’accordo di collaborazione previsto fra Comune di Roma, Comune di Narbonne, ambasciata Francese presso la Santa Sede, Istituto Agrario “Emilio Sereni” di Roma e le stesse Città del Vino, per la sua gestione, rivolgendo il loro appello al sindaco di Roma Gianni Alemanno e all’ambasciatore francese presso la Santa Sede Stanislas de Laboulaye. 


Un accordo che - spiega il presidente delle Città del Vino Giampaolo Pioli - avrebbe previsto di affidare le operazioni di impianto e la lavorazione del vigneto ornamentale all’Istituto Agrario Statale “Emilio Sereni” di Roma, così come lo sviluppo di ulteriori scambi di esperienza tra giovani e cittadini delle due città, di Roma e Narbonne, per far sì che il vigneto diventasse un mezzo concreto per consolidare le relazioni ed i rapporti istituzionali fra comuni francesi e stranieri a sostegno della loro storia, delle produzioni di qualità e la loro valorizzazione e promozione”. 
Dall’anno di fondazione, nel 2004, ad oggi, infatti, ad occuparsi della gestione agronomica sono stati proprio gli studenti e gli insegnanti dell’Istituto, con la produzione delle prime bottiglie del “Vino Gallico” nel 2008, fino a non essere più autorizzati ad occuparsi del vigneto.

Chi può faccia qualcosa di concreto.

Fonte: Il velino

Milleduecento euro de che?????


Milleduecento euro, uno stipendio base per molte persone che lavorano in Italia. Milleduecento euro, un bel gruzzoletto per toglierci qualche soddisfazione o per realizzare uno dei nostri sogni del cassetto.

Come spendere al meglio milleduecento euro? Ecco alcune idee.

Un week end di lusso in una capitale europea......


Comprare un piccolo cinema casalingo in versione rigorosamente 3D


Regalare a tutta la famiglia una cena indimenticabile a El Celler de Can Roca. Ovviamente Menù Festival e biglietto aereo incluso.


Bere un La Tâche 2004 con i nostri amici


Qualcuno direbbe che con milleduecento euro...........



Il sito Bibenda invece ci avverte che con milleduecento euro possiamo comprare l’intera Collezione della guida Duemilavini, dal 2000 fino ad oggi.


Da quello che ho scritto i questi ultimi tempi sembra che abbia una partita aperta con Franco Ricci e Bibenda. Nulla di più falso, però è anche vero che leggendo certe cose no puoi non sorridere amaramente e fare qualche critica.
Chi potrebbe acquistare la collezione? Non di certo gli iscritti all'Ais, teoricamente i principali fruitori finali della Duemilavini, perchè la guida ce l'hanno "gratis" ogni anno in virtù della loro iscrizione all'Associazione. Ma poi, perchè spendere 100 euro di media a guida che ne vale 30 euro e la metà di queste le trovo su ebay a prezzi stracciati? 
Rarità, collezionismo estremo, voglia inconsulta di avere il numero 1 o semplice incoscienza?


Dalla coppa di Madame Pompadour al Fetish Cin Cin


Qual'è il bicchiere più adatto per lo champagne? La flûte o la coppa? Al giorno d'oggi la prima tipologia di bicchiere sembra essere la scelta più scontata ma non sempre è stato così.
Facendo una breve ricerca ho notato che la moda della coppa champagne è iniziata nel '700 e, secondo una leggenda, questo bicchiere sarebbe stato modellato sui celebri seni di Madame de Pompadour, amante di Luigi XV, re dal 1715 al 1774. 
La passione di Madame de Pompadour per lo champagne era ben nota: sempre lieta di berlo, a quanto pare, sembra anche che rivelasse con orgoglio alle dame di corte, desiderose di conoscere il segreto della sua bellezza e del suo aspetto sempre fresco, che tutto dipendeva soltanto «dal vino capace di farti apparire al meglio la mattina dopo una festa scatenata»

Ray as Madame Pompadour - William Russell Flint

Esiste però un'altra leggenda secondo cui la coppa di champagne sarebbe stata modellata in porcellana alla fine del XVIII secolo sul seno della famosa regina Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI.  
Altri miti fanno risalire l'origine della coppa all'Inghilterra, dove sarebbe stata disegnata senza un modello particolare, ma specificatamente per bere champagne.


Col tempo ci si è resi conto che la coppa risulta un contenitore non idoneo per bere le bollicine perchè non permette di apprezzare al meglio profumi e perlage dello spumante/champagne. 
Per tale motivo, solo recentemente però, si è diffusa la moda della flûte (termine francese che letteralmente significa "flauto") che,  al contrario della coppa, favorisce la risalita delle bolle e concentra in uno spazio ristretto tutti gli aromi liberati dal loro scoppio, prolungando così l'effervescenza dei vini frizzanti in generale.


Le cose si sa, in un mondo moderno come il nostro, hanno sempre una fine e a leggere i giornali di oggi, soprattutto nel mondo del cinema, sta avanzando una nuova moda: bere Champagne col tacco.
No, non mi sono sbagliato, è tutto vero. Quentin Tarantino, durante una serata in suo onore tenuta al New York Friars Club Roast, ha festeggiato con i tanti invitati sorseggiando dello Champagne dalle scarpe di Uma Thurman

Il brindisi fetish

Non c'è dubbio, ad Hollywood si fa tendenza e c'è da scommettere che i brindisi per il nuovo anno seguiranno la moda del Fetish Cin Cin. Ah, mi raccomando, se volete fare gli sboroni con i vostri amici potete tranquillamente dire che lo champagne ha tra i descrittori aromatici il cuoio........

La verticale storica del Chianti Classico Riserva "Il Campitello" di Monteraponi


Michele Braganti, anima di Monteraponi, sta lavorando da tempo al suo Chianti Classico e con fatica e tanta caparbietà e riuscito a farsi conoscere ed apprezzare dalle principali guide del vino. Bella scoperta, la stessa che ho fatto io circa un anno fa quando sono quasi stramazzato al suolo dalla goduria dopo che ho bevuto (grazie Armando) il suo Sangiovese da vigne alte (circa 700 metri).
A Radda qualcosa sta cambiando, da qua sta (ri)partendo la nuova evoluzione del sangiovese, quello vero, tradizionale, nobilmente contadino, e Braganti, assieme ad un altro manipolo di produttori illuminati capitanati da Martino Manetti, è l’espressione più sanguigna di questa Sangiorevolution.

Michele dal 1997 al 2002 ha venduto le uve ad altre aziende per cui la sua vera storia inizia nel 2003, millesimo faticoso che, nonostante tutto, tiene a battesimo il suo primo Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello”, un vino prodotto solo nelle annate favorevoli, dalla selezione delle uve di Sangiovese 90% , Canaiolo 8%, e Colorino 2%, provenienti dalle vigne più vecchie di circa 30—35 anni, con rese bassissime. Affinamento per 24 mesi esclusivamente in botti di rovere di Slavonia da 30 Hl. 

Michele Braganti che mescia...

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2003: è il primo anno di tutto, di Michele che si mette a fare il suo vino, delle botti che sono state appena acquistate, del caldo che fino ad allora non era stato così opprimente e che ha costretto a vendemmiare per la prima volta a fine settembre. Il Campitello si presenta scuro, maturo, scalciante di frutta nera, cuoio, grafite e un tocco di affumicato che deriva dal legno ancora non perfettamente digerito. Bocca caratterizzata dall’annata con un tannino verde ed un’acidità che fatica a progredire. Partenza a rilento ma promettente.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2004: l’annata promette davvero bene, il 2003 è un lontano ricordo. Il Chianti ha un naso ancora giovanissimo dove si colgono note di ciliegia, ribes, viola mammola, bacche, cuoio, tabacco. Ancora un leggerissimo affumicato segno che le botti grandi stanno invecchiando a dovere. Bocca equilibratissima, precisa, anche se pecca  un po’ in chiusura dove il vino risulta non troppo persistente. Altro passo in avanti per Michele che comincia a prenderci la mano.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2005: Michele è molto orgoglioso di questo vino sebbene abbia evitato di metterlo in commercio causa pessima annata in Chianti. Lo presenta un po’ emozionato, titubante, vuole capire da noi se il vino che ha tra le mani è davvero un brutto anatroccolo, se ha fatto bene a non tradire le attese dei suoi clienti. Versandomelo nel bicchiere mi dice:”Andrea questo è il vino più nebbioleggiante che ho”. Aveva ragione. Il colore nel bicchiere è un rosso rubino scarico e si percepiscono fin da subito al naso le sensazioni di piccoli frutti terziarizzati, buccia d’arancia, spezie avvolgenti, viola. Davvero un quadro olfattivo di carattere langarolo. In bocca l’annata ci mette del suo e il Chianti mostra tutti i suoi limiti vista la poca acidità e il tannino un po’ sgranato. A dispetto di tutto questo è  un vino leggiadro che si lascia bere senza troppi problemi.

La verticale...

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2006: questo è un anno importante perché arriva in cantina un nuovo enologo: Maurizio Castelli. Il cambiamento c’è e si sente nel vino che acquista, complice anche la buona annata, maggiore personalità e spessore. Al naso si presenta molto profondo, aristocratico, con rimandi di bacche selvatiche, ciliegia, tabacco, cuoio, china, erbe aromatiche. Palato di grande equilibrio ed ampiezza anche se, come vedremo, preferisco il finale turbo del 2007.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2007: rispetto all’annate precedente questo Chianti è più verticale che orizzontale. Per intedersi, non avrà l’ampiezza dei profumi del 2006 ma la freschezza e la croccantezza del frutto che ritroviamo nel bicchiere è davvero da applausi così come incantevole è la sua balsamicità. Palato vellutato e caratterizzato da una eccellente spina acida che infonde al Campitello 2007 una progressione gustativa commovente che si interseca con ritorni fruttati e minerali. Grande futuro.

Chianti Classico Riserva Docg “Il Campitello” 2008: campione da botte difficile da valutare visto che aveva bisogno di qualche travaso per togliersi di dosso il lavoro di cantina. 

Ecco la vera bomba di Wikileaks: Sarkozy ama il Calvados!



A volte è proprio vero il detto che chi ha il pane non ha i denti. 


Sappiamo tutti quanti che Wikileaks negli ultimi giorni sta rendendo pubblici tutta una serie di documenti che, teoricamente, dovrebbero far tremare le gambe ai potenti della Terra. 
Io, per ora, ho letto solo una serie di banalità: Berlusconi che fa i festini, la Russia che è mafiosa, gli USA che fanno la spia, l'Afghanistan corrotto, la Cina che odia Google, Sarkozy che non ama il vino......

Che cosa?????? Fermi tutti, ecco il vero scoop, la vera bomba che potrebbe far tremare le cantine di tutto il mondo e far saltare le sedie di molti potenti.
La notizia giunge da fonte non diplomatica, nome in codice “Agente YSL”, che racconta, in un documento confidenziale, come la qualità del vino all’Eliseo sia assolutamente peggiorata dall’insediamento di Sarkò, amante non del nettare di bacco, ma del Calvados, il brandy di mela tipico dell’omonimo distretto della Bassa Normandia, che ama bere con ghiaccio e Cola.


Ma vi rendete conto? Quel manichino di Carlà sì e uno Chateau Lafite no??? Uno che potrebbe bere tutto il meglio del meglio del''enologia mondiale si accontenta di un cocktail che, se non fosse per il Calvados, spero di annata, potrebbe essere il preferito da Corona e Belen?

C’è di che preoccuparsi insomma, specie perché, racconta la fonte anonima ma verificata, con una cantina presidenziale allo sbando e quasi in abbandono, persino gli accostamenti “con la pur sempre eccellente cucina”, lasciano a desiderare: basti dire che con un piatto di pesce (di cui, ahinoi, non si sa di più…) è stato servito “un vino rosso del Rodano particolarmente alcolico e robusto. Con il pesce!”.


Sarkò, se mi leggi, vorrei aiutarti e rendere il tuo bere meno banale. Eccoti la ricetta per un cocktail più fighetto, alla Carlà per intenderci. 


  • 60 mi. di Calvados
  • 30 ml. di succo di limone
  • 1 cucchiaio di sciroppo di granatina
  • 15 ml. di sciroppo di zucchero
  • 280 ml. di soda
  • cubetti di ghiaccio
Preparazione

La preparazione è molto semplice e non richiede una particolare attrezzatura.

Versate il tutto in bicchiere di tipo “Collins” riempito di ghiaccio.

Mettete poi nel bicchiere un cucchiaino o un bastoncino o altro, in modo che poi il fruitore possa mescolare a piacere.

Il vino è seduzione...soprattutto a New York!!


Che certi vini fossero erotici e seducenti non è una grande scoperta, ma che una degustazione potesse diventare una sorta di peep show stile Colpo Grosso questo no, vi giuro, non me l'aspettavo.
Capita però che a New York l'italianissima Alessandra Rotondi, sommelier AIS, si inventi una formula chiamata Wine Seduction grazie alla quale, all'interno di cene o veri e propri corsi, parla di vino come strumento di seduzione secondo criteri di scelta che non solo devono tener conto dell'abbinamento col cibo, ma anche e soprattutto dell'atmosfera e della situazione.



La formula comune prevede una cena con almeno quattro portate e quattro vini da degustare. Si inizia dalle bollicine (spumante, prosecco o champagne) per poi passare, in sequenza, ad un bianco, un rosso ed un vino dolce.
Inizialmente si parla in maniera tecnica del vino decantando l'azienda, l'uva, la lavorazione e la descrizione organolettica poi, ed è questo il momento clou, si passa a magnificare il vino dal punto di vista seduttivo. In che modo?
Si invita il pubblico ad immaginare il wine tasting come se fosse un corteggiamento del quale ogni vino diventa una fase: c'è prima l'approccio, poi la scoperta, la conferma ed, immancabile, il lieto fine!


Per chi volesse vedere come si svolgono questo tipo di cene basta cliccare sul video che segue...


Che ne dite? A me questa atmosfera newyorkese, glamour, vagamente sentimental-sessuale, fa venire in mente Sex and The City con i suoi personaggi pieni di frustrazioni inutili.
Brava Alessandra che, non vergognandosi, trae da questi eventi un bel profitto commerciale ma, per favore, evitiamo di confondere la cultura del vino con un paio di gambe e due tette.


Sulla moralità del vino in Italia


Durante la presentazione a Roma delle Guide Ais (Vino, Olio, Ristoranti), Franco Maria Ricci, patron di Ais-Bibenda, ha parlato di moralità all’interno di un “j’accuse” sul mondo del vino. Le frasi più importanti sono state riprese da Winenews.it:

Non è morale presentare sul mercato la bugia dei vini di qualità offerti a 2 euro

Non è morale - continua - che, in questo 2010, non ci sia stata alcuna dimostrazione concreta di un serio investimento culturale ad opera di chi è preposto istituzionalmente a questo impegno. Né è morale partorire da anni un programma scolastico di 5 anni per la Scuola Alberghiera nel quale vengono concesse alla cultura del vino 5 ore in tutto”.

"Non è morale presentare al pubblico televisivo etichette di vino con pecette colorate per coprire l’autore di un capolavoro".

"Non è morale che non sia mai nata una “squadra Italia” del vino di qualità per invidie e gelosie acerrime tra i produttori".

E "non è morale per il vino l’ottusità culturale del chilometro zero a beneficio del fiasco e del boccione. Non è morale operare dei ricarichi assurdi del vino, i più prepotenti e significativi sottolineati dalla ristorazione”.


Ricci è un oratore affabile, convincente, ha fatto davvero tanto in questi anni per il vino in Italia, però sentire parlare di valori etici da lui mi ha provocato un senso di sdegno. Avete presente Berlusconi che parla di valori cristiani e di famiglia? Ecco, lo stesso ripulso.

Non mi scordo infatti quanto letto negli ultimi anni sulle principali riviste on line di vino. Riviste libere. Se date uno sguardo qua leggerete che l'ormai ex presidente dell'Associazione Italiana Sommeliers e dell'associazione internazionale Worldwide Sommelier Association, Terenzio Medri, e il presidente della sezione regionale del Lazio dell'Ais ed editore di Bibenda, Franco Ricci, sono stati condannati per violenza privata (art.610 cp) nei confronti del giornalista Paolo Morelli.


La vicenda risale al settembre 2005, quando Paolo Morelli, sommelier onorario, faceva parte del collegio dei probiviri dell'Ais cui fu sottoposta una denuncia per attività in concorrenza con l'Ais da parte di Ricci. Secondo quanto riportato nel decreto penale di condanna emesso dal Gip del Tribunale di Forlì Rita Chierici, Medri e Ricci misero in atto atteggiamenti intimidatori nei confronti di Morelli per "costringerlo ad acconsentire all'archiviazione della denuncia" avanzata da un socio nei confronti di Ricci. Morelli fu poi privato della qualifica di sommelier onorario, espulso dall'Ais e la denuncia contro Ricci fu archiviata.  

Medri e Ricci, sono stati condannati a 570 euro di multa ciascuno (coperta da indulto), quale sostituzione di 15 giorni di reclusione.

Già una cosa del genere avrebbe dovuto portare Ricci, eticamente e moralmente, alle dimissioni.

Metto altra carne al fuoco. Vorrei ricordare a tutti il caso della rivista Il Mio Vino Professional” che, nel 2006, ha duramente attaccato Ricci in un articolo chiamato "Bibenda Pigliatutto". In particolare, nel lungo articolo comparso sul mensile, che in parte riprende alcuni stralci di una denuncia inviata dal sommelier Salvatore Enna all'Associazione, si può leggere :

“...a chi non fosse superficiale e distratto fruitore delle attività della sede romana dell’Ais, non sarà passato inosservato che si sono sempre più frequentemente presentate, negli ultimi tempi, situazioni ambigue e confuse. Ambiguità e confusione che riguardano sia i corsi tenuti presso la sede che altre manifestazioni, senza escludere tutto quello che ruota attorno al nome Bibenda. In verità, sembra quasi di assistere ad una progressiva perdita di visibilità da parte dell’Ais nazionale o regionale a favore di una società privata con fini di lucro che si chiama Bibenda Editore srl”.

Secondo quanto pubblicato sempre da “Il Mio Vino Professional”, quindi :

“approfittando della sua posizione all’interno dell’Ais, Franco Ricci, manovrerebbe in modo da usare le risorse e la credibilità dell’associazione per portare visibilità e guadagni alla sua società” essendo egli “l’unico legame tra Ais Roma e Bibenda srl”, di cui è “proprietario praticamente assoluto, il 94,5% delle quote sono in mano sua...”.

In risposta a simili accuse il Consiglio direttivo dell'A.I.S. di Roma, in accordo con Bibenda Editore, ha inviato nel mese di maggio 2006 una mail ad un cospicuo numero di produttori vinicoli, dichiarando quanto segue: 

"Vi comunichiamo che il Consiglio Direttivo di Associazione Italiana Sommelier Roma, d'accordo con Bibenda Editore, ha deciso di non pubblicare sulle Edizioni DUEMILAVINI e BIBENDA, notizie e/o recensioni di Aziende Vinicole che si avvalgono di messaggi pubblicitari a mezzo di testate che la scrivente Associazione non riconduce a degna professionalità (richiesta/pubblicazione di articoli a pagamento) e che rivolgono attacchi provocatori e infamanti nei confronti di terzi, come anche recentemente accaduto. Questa decisione è stata presa soprattutto al fine di proteggere le Aziende presenti nelle nostre Edizioni e per evitare pericolose confusioni, nel rispetto dei nostri lettori. Associazione Italiana Sommelier Roma Il Consiglio Direttivo".

Da che pulpito viene la predica?

 

Fonti: Tigullio Vino - Esalazioni Etiliche - Enopress

Sei anni senza Gino Veronelli


Non l'ho conosciuto, al tempo il vino era ancora una cosa profana ma, nonostante questo, lo considero il mio maestro, forse è il maestro di tutti noi che cerchiamo di scrivere di vino. 


Gino Veronelli è morto il 29 Novembre di sei anni fa e su Carta possiamo leggere il suo ultimo scritto, il suo testamento. Lo pubblico perchè fa venire i brividi.

L’isolotto di Santo Stefano è il “resto” di una antica eruzione sottomarina, una successione di basalti e di tufi. Il più orientale e piccolo dell’arcipelago pontino, ha forma ellittica con un diametro massimo di 750 metri da est ad ovest, minimo 500 da nord a sud; la circonferenza è di 2 chilometri, l’altezza di 68 metri.
Gli è stato dato il nome in onore di Santo Stefano, martire del 35 d.C.. Un suo discorso ripercorreva la storia di Israele, da Abramo a Gesù, e metteva in evidenza il disegno di Dio e l’infedeltà del popolo. Gran scandalo. Gli oppositori, furibondi, lo condussero fuori città e lo lapidarono. All’esecuzione era presente Saulo, il futuro Paolo apostolo, che: “approvava e stava a guardia dei mantelli dei lapidatori”.
Sì, alla bellezza e alla serenità sconvolgenti dei panorami, lugubre la storia. Già dagli imperatori romani, fu luogo di deportazione. Augusto vi relegò la figlia Giulia; Tiberio, Agrippina; Nerone, la moglie Ottavia, e qui la fece uccidere. Qualche secolo dopo, Ferdinando IV eresse l’Ergastolo (la E, maiuscola, è voluta: millanta i santi e i martiri che vi furono rinchiusi). Penitenziario eretto nel 1794-95 a tre piani, 99 celle e un cortile per l’aria dei carcerati.
L’isolotto era stato acquistato, anni sessanta, da un vignaiolo mitico, Mario D’Ambra (meditava d’impiantarvi vigne di forrastera e di perèpalummo). Un suo contadino abitava quello che era stato – fuori dalle mura del carcere – una avanguardia. Grande sala con un camino e vari vani per gli ospiti, cacciatori, soprattutto da che l’isolotto ha fama per il passaggio di beccacce e beccaccini (il contadino, un genio, aveva provvisto ad una minima conigliera; ad ogni sacrificio ubriacava le bestiole di alcol, così che non avessero il rigor mortis).
Fui il solo ospite con le mie quattro donne: Maria Teresa, moglie, Bedi, Chiara e Lucia, figlie.
Dedicavo le ore familiari al mare (luogo migliore: una buca basaltica, prediletta, anni annorum, da Agrippina); le ore notturne, solo mie, all’Ergastolo, per “ricerche” sul santo martire, Gaetano Bresci.
Ho camminato i lunghi corridoi e le celle; ho sostato – si arrovesciava il cuore – nelle “gabbie” di rigore, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo, sottosuolo. Chi v’era rinchiuso non poteva stare eretto.
Sapevo della lunga detenzione, in quelle celle, cui era stato costretto il giovane atleta, giunto di lontano, per attentare e uccidere, 29 luglio 1900, re Umberto I. Lo aveva fatto. Ed oggi ci si rende ben conto: aveva sbagliato. Oggi.
Era venuto dagli States ove collaborava a “La questione sociale”, inferocito per le repressioni vili e sanguinarie di Bava Beccaris, fine Ottocento. Si era convinti, allora, che uccidere un re, colpevole verso l’umanità, fosse un atto risolutivo. Fu rinchiuso in una delle gabbie, sottosuolo, in Santo Stefano.
Se la cammini, l’isola, anche nei luoghi più incantati per l’ardire senza uguali della bellezza, appena appena ti estranei, senti voci, non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni di cui fu oggetto, in quelle gabbie, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo. Visse da uomo libero. Non rinnegò la sua idea. Non ottenne un metro, per un metro, per un metro, di più. Non ergastolo.
Fu condanna alla morte. Morì pesto e battuto nella carne (la sua anima non poteva essere battuta, pestata, offesa; era l’Anima), dieci mesi dopo la reclusione, 22 maggio 1901.
Maria Teresa e le figlie – in quel periodo tra i più belli della nostra vita – una volta sola si accorsero del mio turbamento. Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce (ti voltavi ed era un paradiso: il mare e, un po’ decentrata, l’Isola di Ventotène). Una frase all’ingresso: “Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio”, minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci.
Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa. Mi prese la mano. Ammutolite le bimbe.
L’Anima è il rispetto dell’altro. La giustizia di Dio una palla. Quella degli uomini dovrebbe perseguire i criminali tipo Bush e Bin Laden. Dovrebbe colpire tutti coloro che schiavizzano l’umanità per diventare, giorno via giorno, più ricchi.
Leggi il documento emesso dall’Arci, Comitato regionale toscano, sulle ignominie della famiglia Bacardi (www.arcitoscana.org/internazionali/inibac.htm). Abbi il minimo, civile coraggio di sbattere in faccia il loro rhum che ti fosse offerto.

Avete capito, giovani lettori: questo è un testamento. Entro in clinica oggi pomeriggio per una operazione da cui, di solito, non si esce. Per la prima volta ho la gioia di essere stato il vostro Maestro.


#Colfóndo1 Bis chez Jacopo Cossater


Grazie a Jacopo Cossater posso dire che anche io, in ritardo, che ho partecipato a #Colfòndo1….bis.
Certo, non siamo proprio a Casonetto d'Asolo e mancano i produttori con i quali interloquire ma, nonostante questo, all’interno dell’ExEliografica di Perugia tira lo stesso una bella aria, c’è voglia di scoprire, capire e, perché no, dire la nostra sull’argomento.


Il prosecco Colfòndo o, per dirla alla francese, Sur lie, non è altro che il prosecco storico del trevigiano quando, a causa delle vendemmie spesso tardive, i vini rimanevano dolci causa basse temperature per poi ripartire in fermentazione a primavera quando ritornava il caldo.
Il risultato è un vino torbido, naturale, che conserva tutti i suoi lieviti che, per effetto dell’autolisi dovrebbero aver fornito al prosecco spalle ampie e forti e un carattere piuttosto indomabile.


Otto bottiglie in degustazione cieca (anche se qualcuno ne contava nove…..) divise per area geografica.

La BassetaDoc Treviso: è il prosecco che forse ha avuto la maggiore evoluzione nel bicchiere. Parte inizialmente serrato con una nota sulfurea a coprire il ventaglio aromatico che, col passare del tempo, si è schiuso e c’ha parlato di sensazioni di pesca, agrumi, frutta tropicale e un tocco minerale. Al palato purtroppo mi ha deluso, è sfuggente dal centro bocca in poi e non riesce a farsi ricordare come dovrebbe.

Lorenzo GattiDoc Treviso: sicuramente il prosecco sur lie più estremo che ho bevuto a Perugia. Il naso gioca su note abbastanza dolci dove ritrovo la mandorla amara, il caramello e la banana matura. Al palato è molto meglio del precedente, è abbastanza ampio, persistente, coerente col naso visto che in chiusura ritrovo un finale leggermente amarognolo. Per me rappresenta una versione troppo estrema di prosecco che difficilmente berrei in maniera compulsiva.


Bele CaselDocg Asolo: pur avendolo bevuto più volte a Roma ho fatto fatica a riconoscerlo alla cieca visto che ha tirato fuori delle note, estreme, che prima non avevo mai notato a questi livelli. Bocca e palato monocorde dove la nota di succo di pera l’ha fatta da padrone per tutta la degustazione. Si salva dalla catastrofe per una nota minerale che ogni tanto riesco a percepire. La bocca resta comunque equilibrata e dalla buona persistenza finale. Monocorde e forse bottiglia non ok.


Biondo Jeo - Docg Asolo: ad Asolo la pera rappresenta un descrittore tipico del prosecco sur lie perché anche questo vino ce l’ha bella in mostra anche se in maniera più discreta del precedente. Rispetto a Bele Casel, inoltre, l’olfattiva mostra maggiore ampiezza visto che ritrovo odori agrumati e di frutta bianca appena matura. Lieve minerale. In bocca manca dello sprint giusto per essere ricordato. Un gregario di lusso.

Costa di là - Docg Conegliano: acciderbolina che colore, un oro brillante carico che con la mente, anziché in Veneto, mi porta già al Sud. Il naso non tradisce le attese snodandosi tra profumi di mela golden, agrumi, fiori gialli di campo, miele, tabacco dolce. Bocca di bella struttura, intensa dove ritornano le sensazioni olfattive. Chiusura amara, troppo per i miei gusti. Altra interpretazione estrema che, forse, con la tradizione non c’entra un tubo.

Zanotto - Docg Conegliano: è il prosecco col fondo più scarico di colore di quelli bevuti fin d’ora, scarico e anche poco velato. Il naso mi stupisce fin da subito perché tira fuori intense e affascinanti aromi di pietra focaia, fiori di mandorlo e mela. In bocca è puro, preciso, sapido, fresco, non so perché ma a tutti noi ci è sembrato più un Franciacorta che un prosecco. Resta il più nitido ed equilibrato della batteria.

Casa Coste PianeDocg Valdobbiadene: un vino intimo, sussurrato, dove andare a ricercare col tempo la tanta frutta e fiori di cui è composto il suo leggiadro ventaglio aromatico. Anche in bocca è così, timido, soave, preciso, senza estremismi riesce a piacermi sorso dopo sorso.


Frozza - Docg Valdobbiadene: avevo sentito parlare di questo produttore di nicchia sui principali forum enogastronomici italiani per cui avevo tanta curiosità di assaggiarlo. Sia il naso che la bocca confermano che a Valdobbiadene ricercano la purezza e la precisione gustativa, tutto è didattico, nessuna forzatura e, per certi versi, voglia di evolvere. Frozza gioca molto con la frutta bianca e con i fiori. Assaggio sapido e di buona freschezza. Precisino come uno scolaretto in grembiule e fiocco. Rimane, forse, quello più tradizionale assieme al Casa Coste Piane.


Il 2010 per il Brunello di Montalcino? L'ennesima annata da leggenda!!


Tratto dal sito Winenews vi propongo un articolo molto interessante dove i principali produttori di Brunello si sbilanciano sull'annata 2010. Leggiamo! 

BRUNELLO DI MONTALCINO: IL 2010? VENDEMMIA ECCEZIONALE. IL PRESIDENTE RIVELLA: “ANNATA ECCELLENTE”. IL FATTORE VINCENTE? FORZA DEL TERRITORIO E SAPER FARE DEI VITICOLTORI. LO DICONO ESPERTI E PRODUTTORI. IL PROFESSOR SCIENZA: “VENDEMMIA A 5 STELLE".

Un raccolto in controtendenza rispetto agli altri territori della Toscana lascia intravedere una delle migliori annate degli ultimi anni. È questo il parere concorde di esperti e produttori che, a due mesi dalla vendemmia, hanno tracciato un primo bilancio della raccolta e si esprimono su quello che potrebbe essere il Brunello 2010, confermando, come sottolinea il presidente del Consorzio, Ezio Rivella, le previsioni di un’annata di ottimo livello qualitativo che avevamo preannunciato lo scorso ottobre”.
 
Per Vittorio Fiore, enologo e consulente, che opera a Montalcino dagli anni Settanta “i vini ottenuti in questa vendemmia - iniziata comunque con ritardi che sono andati da un minimo di 8 ad un massimo di 14 giorni - manifestano quindi caratteristiche straordinarie per il Sangiovese, sia sotto il profilo organolettico (al momento ancora in fase evolutiva), sia sotto quello dei parametri compositivi, che - oltre ad una gradazione alcolica di ottimo livello ed, in alcuni casi, anche piuttosto alta - presentano valori di polifenoli totali, di antociani e di estratto molto elevati e raramente riscontrabili in questo vitigno”.
 
Un grande territorio e un’annata da grandi viticoltori”. Questa la sintesi della raccolta 2010 secondo Giancarlo Pacenti dell’azienda Siro Pacenti e vicepresidente del Consorzio del Brunello. “Un risultato possibile - in una annata che si era presentata all’inizio abbastanza complessa- solo grazie alla grandissima capacità dei viticoltori di Montalcino”. Per il vino “ottima struttura, profumi intensi e soprattutto grande equilibrio insieme ad una eleganza straordinaria. Caratteristiche che é difficilissimo avere tutte insieme nella stessa vendemmia. Per me una delle più grandi vendemmie di sempre”.
 
Parere condiviso da Franco Biondi Santi, storico produttore del Brunello che, con la Tenuta il Greppo, è forse colui che ha visto più vendemmie di Brunello in assoluto “la raccolta 2010 è stata straordinaria. Il buon andamento climatico di Settembre ha dato come risultato acini piccoli con la buccia molto spessa, colorita e ricca di pruina. I mosti sono risultati molto zuccherini con acidità totale ottimale”.

Per Rudi Buratti, enologo di Castello Banfil’alto contenuto zuccherino ed un’importante acidità, uniti a polifenoli perfettamente maturi e colori intensi nei vini rossi sono le principali caratteristiche di quest’ultima vendemmia, un’eccellente premessa per vini di altissima qualità e da lungo invecchiamento. Il Sangiovese esprime in quest’annata la complessità dei profumi e l’eleganza ben strutturata della sua trama tannica. Un’annata, quindi, caratterizzata da un eccellente livello qualitativo che lascerà sorpresi gli amanti del Brunello e di tutti i vini di Montalcino. Ancora una volta Montalcino dimostra di essere un territorio unico, ad altissima vocazione viticola che premia i produttori che sanno interpretare al meglio la gestione viticola nelle differenti sottozone”.
 
E’ il parere anche di Patrizio Cencioni, che guida l’azienda Capanna abbiamo ottenuto dei vini di ottima qualità. Il risultato è senz’altro molto superiore alle aspettative che avevamo in estate, quando le abbondanti piogge primaverili avevano determinato un ritardo nella fase vegetativa delle viti. Invece, il buon clima diurno e le temperature notturne piuttosto basse del periodo successivo hanno portato a una maturazione progressiva delle uve, caratterizzate da un’elevata acidità. Queste caratteristiche si sono riscontrate ancor più nei vini nuovi: gradazioni alcoliche elevate con alte acidità totali, a cui si aggiungono alta quantità e buona qualità dei polifenoli”.
 
Fabio Ratto di Antinori Agricola sottolinea come “l’andamento climatico, abbinato ad attente cure agronomiche, ha consentito di ottenere uve di grandissima qualità. Le giornate di sole che hanno caratterizzato la raccolta hanno permesso una perfetta maturazione dei grappoli, regalandoci una materia prima di qualità eccellente. I vini si sono presentati sin dai primi giorni di vinificazione ricchi di meravigliosi colori e di tannini morbidi. Quella del 2010 a Montalcino è stata sicuramente una vendemmia “superiore”.
 
Per Fabrizio Bindocci, agronomo ed enologo della Tenuta Il Poggione “le giornate calde e ventilate di settembre ed ottobre hanno portato a maturazione perfetta le uve Sangiovese raccolte manualmente da metà settembre a metà ottobre. I vini sin dai primi giorni di fermentazione presentavano un colore intenso, carico, con tannini abbastanza morbidi preannunciando, almeno qui a Montalcino, una vendemmia decisamente ottima”.
 
Per Ermanno Morlacchetti delle Tenute di Castelgiocondo e Luce della Vite, “attualmente in cantina i nuovi vini rispecchiano le caratteristiche delle uve: importanti gradazioni alcoliche, intensamente colorati di ottima struttura e di assoluto pregio, indici che ci fanno pensare ad un’“annata da leggenda”. 

Anche Edoardo Virano, direttore delle Tenuta Col d’Orcia, evidenzia come “i vini ottenuti dalla vendemmia 2010 sono straordinariamente fruttati e colorati, caratterizzati da tannini maturi e persistenti adatti ad un lungo periodo di invecchiamento e longevi nel tempo. Fin dalle prime fasi della macerazione si è potuto notare un’ottima estrazione sia del colore sia dei tannini. Il risultato finale è una grande vendemmia, sicuramente una delle migliori degli ultimi anni”. Giacomo Neri, proprietario di Casanova di Neri, “poche volte nella mia esperienza di cantina ormai più che ventennale ho visto una così alta qualità. Le uve raccolte hanno dato vini di grande equilibrio, con profumi netti, ottima acidità, colori intensi e valori di polifenoli alti e di qualità”.

Ma cosa rende questo territorio così speciale d produrre annate di alta qualità anche in periodi dove gli altri territori faticano ad ottenere risultati?
Per il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura ed enologia alla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano - che definisce quella del 2010 “un’annata a 5 stelle” che ha avuto in generale un andamento climatico complicato che però a Montalcino i viticoltori hanno saputo interpretare nel modo migliore anche grazie ad un territorio incredibile che ha dimostrato ancora una volta di essere l’unica vera terra di elezione per il sangiovese. “Ne sono testimonianza i vini appena svinati che presentano caratteristiche di grande eleganza, non disgiunta da struttura e lunghezza in bocca, caratteristiche non trascurabili per un vino da destinare ad un invecchiamento la cui durata non ha riscontro in nessun’altro vino nel mondo.
 
Ma perché gli effetti di un andamento climatico poco favorevole non hanno intaccato l’integrità dei vini di Montalcino? Penso che la risposta risieda solo in una semplice constatazione: i vigneti di Sangiovese presentano un equilibrio vegeto-produttivo che consente loro di ammortizzare con grande efficacia le forzature e le conseguenze negative dell’eccesso di pioggia sull’uva. Questo equilibrio ha diverse origini, talune sono il risultato di un ambiente pedoclimatico di grande vocazione per i vini da lungo invecchiamento (il drenaggio dei suoli, la loro ricchezza di scheletro, la bassa fertilità chimica, altre invece risiedono nel “saper fare” dei viticoltori, che nel corso della loro lunga storia hanno sempre tenuto in considerazione due principi fondamentali nella produzione del Brunello: la fedeltà al territorio ed il loro onore di produttori. In pochi luoghi del mondo, celebri per la qualità dei loro vini, è possibile vedere come a Montalcino dei vigneti così ben tenuti e delle uve dalla maturazione così regolare, anche in anni difficili, a testimonianza che un vigneto in equilibrio con il territorio che lo ospita ha dentro di sé la capacità di reagire a qualsiasi insulto climatico".

Ad ognuno di noi le proprie valutazioni.......

Arte e vino a Roma: I vini dell’Imperatrice. La cantina di Joséphine alla Malmaison


Ancora arte abbinata al vino. Questa volta vi propongo una interessante mostra al Museo Napoleonico di Roma dove tra preziosi calici per lo champagne, bicchieri per acqua e vino, caraffe, rinfrescatoi, etichette e bottiglie sono in mostra “I vini dell’Imperatrice. La cantina di Joséphine alla Malmaison (1800– 1814)” che, dopo la tappa parigina e quella svizzera, é stata presentata stamattina al Museo Napoleonico di Roma.


L’esposizione promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale – Museo Napoleonico, realizzata in collaborazione con la Réunion des musées nationaux, il Musée national des Châteaux de Malmaison et Bois – Préau e il Musée Napoléon Thurgovie, château et parc d’Arenenberg, è a cura di Maria Elisa Tittoni e Giulia Gorgone, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. 

L’idea della mostra nasce dalla lettura dell’inventario, redatto nel 1814 dopo la morte dell’imperatrice Joséphine – prima moglie di Napoleone – nel quale è descritto il contenuto della cantina della Malmaison, dove erano custodite oltre 13.000 bottiglie. La lista dei vini offerti agli ospiti in visita al castello comprendeva un’incredibile quantità di diversa provenienza geografica. I migliori vini di Bordeaux, di Borgogna e di Champagne trovavano posto accanto ai vini del Languedoc-Roussillon, della penisola iberica, a vini italiani come il Picolit , il vermouth e il rosolio. La presenza del rhum e di “liquori delle isole” rimanda alle origini creole di Joséphine. 


La mostra vuole anche analizzare l’evoluzione, in epoca imperiale, della produzione vinicola e della sua commercializzazione grazie ai progressi dell’industria vetraria che incidono soprattutto sul perfezionamento della forma delle bottiglie.


Varie tipologie di bicchieri e di calici, esposti accanto a secchielli da ghiaccio, rinfrescatoi, coppe per il punch in cristallo e in argento, esaltano, grazie alla loro eleganza, la raffinata arte del ricevere e testimoniano i progressi tecnici della cristalleria francese facendo conoscere altresì l’evoluzione delle abitudini a tavola all’indomani dell’epoca rivoluzionaria. Una serie di oggetti posteriori all’Impero mostra le trasformazioni cui andarono incontro le produzioni di cristalleria, le tecniche di imbottigliamento e di etichettatura durante la prima metà del XIX secolo e fino all’alba del Secondo Impero.

Saranno esposti 148 oggetti legati alla cultura del bere e documenti provenienti dalle collezioni della Malmaison, di Fontainebleau, di Compiègne, dal Musée Louis-Philippe d’Eu, dal Musée Carnavalet, dal Musée des Arts Décoratifs, dal Musée National de Céramique di Sèvres, dalla Fondation Napoléon, dal Musée Napoléon Thurgovie, château et parc d’Arenenberg e dal Museo Napoleonico di Roma. In mostra anche materiali provenienti da collezioni private e dagli archivi di famose case di produzione vinicola come la Moët et Chandon.

Museo Napoleonico
 
Piazza di Ponte Umberto I, 1

Orari: martedì – domenica; ore 9-19. La biglietteria chiude 30 minuti prima; chiuso il lunedì.

Biglietto intero € 7 ridotto € 6: cittadini della comunità Europea di età compresa tra i 6 e i 25 anni e superiore ai 65 anni; cittadini residenti a Roma tra i 18 e i 25 anni; per le categorie previste dalla tariffazione vigente. 
Gratuito: sotto i 6 anni di età; cittadini residenti a Roma di età inferiore ai 18 e superiore ai 65 anni; per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Tutte le immagini qua: clicca 

Fonte: http://museiincomuneroma.wordpress.com

Tra Gambero Rosso e Vini del colli bolognesi...spunta la politica


Non ce la faccio più, manca solo che facciano una lettera di protesta a mago Zurlì o alla Posta del Cuore di Barbara Palombelli per spiegare quanto sono stati cattivi quelli del Gambero Rosso. Non fraintendetemi, non voglio difendere nessuno, però reputo stucchevole questa polemica che stenta a terminare. Al Gambero non piaccioni i vostri vini? Bene, fatevene una ragione e vedrete che vivrete bene lo stesso, tanto più se, come dite, le altre guide del vino vi danno punteggi lusinghieri.
Invece no, si va avanti e, come al solito, interviene la politica. Leggo su "Il Resto del Carlino" che l'assessore all'Agricoltura, Gabriella Montera, ha impugnato la penna per scrivere a Giorgio Melandri, il signor 'Gambero Rosso', e chiedergli delucidazioni. 

Giorgio Melandri. Fonte: Scatti di Vino


Melandri è finito nell'occhio del ciclone perché nell'edizione 2011 della celebre guida, considerata un po' la Bibbia del buon mangiare italico, ha speso parole poco tenere nei confronti del vino prodotto sui Colli. Questi i 'versetti' incriminati: “Nei colli bolognesi - scrive Melandri - la comunità di produttori fatica a trovare la cifra del territorio, stretta tra progetti legati ai vitigni internazionali sempre meno convincenti e l’incapacità di ragionare sul vino in termini di linguaggio. Il risultato sono in generale vini formali e poco originali, concepiti su un’idea di qualità che non fa i conti con il terroir”. 

Parole, queste, che avevano scatenato la 'rivolta' bolognese, capeggiata da Francesco Lambertini, conduttore della Tenuta Bonzara, che si era autoescluso dalla guida, nonostante fosse uno dei pochi 'superstiti'. Una rivolta sposata dai produttori dei Colli che, in coro, avevano giurato di non mandare più vini al 'Gambero'.

Vorrei premettere – esordisce l'assessore provinciale nella sua lettera - che mi guardo bene dall'invadere la sfera di giudizio sulla qualità, che non mi compete, così come non metto certo in discussione la sua autonomia critica, ma, come assessore all'Agricoltura della Provincia di Bologna, ritengo importante capire meglio qual è l'elemento qualitativo carente rilevato, perché le sue risposte non mi appaiono esaustive”. 

L'assessore Gabriella Montera
Montera sottolinea, poi, come Melandri, nella sua critica, non metta in discussione la qualità dei vino made in Bologna, ma punti il dito contro “la capacità di promuoverlo e commercializzarlo”. “Produttori e istituzioni – osserva l'assessore - hanno cercato di portare avanti congiuntamente un'azione di forma, per 'raccontare' meglio la nostra provincia, attraverso iniziative promozionali di valorizzazione dei prodotti e interventi di 'vetrina' del territorio, ma anche di sostanza: sono stati fatti ingenti investimenti per la riconversione e la ristrutturazione dei vigneti, e si è appena concluso il percorso di modifica del disciplinare, che ha determinato una significativa riduzione delle denominazioni d'origine per ottimizzare l'offerta”. 

L'assessore non nega che vi siano altri passi da fare “soprattutto nella capacità di investire sulla coesione per offrire un'immagine più forte e coordinata del territorio dei Colli bolognesi”, ma aggiunge: “Posso garantirle che oramai c'è una consapevolezza diffusa che questo è l'unico modo per poter competere con territori e produttori che hanno ben altre risorse”. 

La palla, o meglio il calice, ora passa a Melandri che, tra l'altro, aveva già risposto sulle questione nella pagine di Scatti di Vino.
The end?