Grandi vini da piccole vigne 2010. E io faccio il bis!!


Oggi tornerò con piacere a Castelvenere (BN) per la seconda edizione di Grandi Vini da Piccole Vigne, uno dei pochissimi, se non l'unico, festival del Sud dedicato alla biodiversità enologica.


Ecco le Piccole Vigne ospiti della Manifestazione di quest’anno:

Azienda Agricola Ciro Picariello – Capriglia Irpina (Avellino)
Cantina Contrada Salandra – Pozzuoli (Napoli)
Azienda Agricola La Sibilla –Bacoli (Napoli)
Cantina Bambinuto – Santa Paolina (Avellino)
Cantine Luigi Tecce – Paternopoli (Avellino)
Nanni Copè – Vitulazio (Caserta)
A Vita di Vigna De Franco – Cirò Marina (Krotone)
Azienda Agricola Bonavita – Faro Superiore (Messina)
Azienda Agricola Gennaro Papa – Falciano del Massico (Caserta)
Cantina dei Monaci – Santa Paolina (Avellino)
Cantina del Barone – Cesinali (Avellino)
Tenute del Fasanella – Sant’Angelo a Fasanella (Salerno).

Programma
Venerdì 27 Agosto
Ore 18,00
Palio della “Barbera Contadina”
Degusta con il gruppo Slow Wine Campania
Posti limitati – Prenotazione obbligatoria*

Ore 20,00
Apertura Banchi d’assaggio

Ore 23,30
Piccole Vigne Music Fest
DJ Set Salvatore Magnoni from Rutino
Il dj in vigna

Per info e prenotazioni Palio della Barbera Contadina: Pasquale Carlo 3297333423

Come sempre grazie a Luciano Pignataro e Mauro Erro per l'organizzazione. 

Seguite Percorsi di Vino per tutti gli aggiornamenti.  A presto!

Poggo Velluto e la mafia in vigna


Sono senza parole, ho letto la notizia sul blog di Davide Bonucci che a sua volta ha ripreso questa notizia sul Tirreno. In pratica l'azienda Poggio Velluto, sita a Seggiano, sul Monte Amiata, in provincia di Grosseto, non ha più un vigneto.

Poggio Velluto
Qualche bastardo con forbici laser ha distrutto ogni pianta, 2700 viti  sono state tagliate fin sotto l'innesto, sottto terra, alle radici.

vite recisa
Queste viti non cresceranno mai più e l'azienda, è facile comprendere, ha avuto un danno decine di migliaia di euro. Un’enormità per una piccola azienda che proprio quest’anno aspettava la gloria di imbottigliare, per la prima volta, il Montecucco doc e rientrare dell'investimento.
Secondo il Tirreno sarebbero stati tre, forse quattro attentatori che hanno impiegato due ore, tra venerdì e sabato, per recidere circa 2700 viti in un'azienda agricola di Seggiano usando delle forbici laser. È questa la ricostruzione dei carabinieri del nucleo investigativo al termine dei tre sopralluoghi effettuati negli ultimi giorni.

Ora gli investigatori scavano nel passato dei proprietari e nelle persone che ultimamente si erano fatte avanti per rilevare l'azienda. E intanto emergono due episodi inquietanti: il giorno dell'attentato i cani dell'azienda vicina sono stati uccisi, cani che che non avrebbero fatto la guardia soltanto alla loro azienda, ma che stavano in un pezzo di terra al confine con quella dove la vigna è stata completamente distrutta.
Cani quindi, che avrebbero potuto abbaiare, per avveritre e che avrebbero fatto scattare l'allarme se durante la notte qualcuno si fosse avvicinato a quegli appezzamenti di terreno
La proprietaria del fondo fortunatamente andrà avanti nel suo lavoro, non cederà all'intimidazioni di qualche mafioso interessato al suo fondo.

vite recisa
Insieme all'Enoclub Siena cercheremo di organizzare qualche iniziativa di sostegno, voi, se potete, comprare il loro vino o andate nel loro agriturismo. 

Il minimo è fornire loro sostegno morale!
 

I "cosi" del vino


Cosa è sto coso?


Dicono che serve a mantenere fresco il vino, dicono che i piccoli fori disposti sulla parte superiore creano un sistema di ventilazione e di protezione del vino contro agenti esterni, dicono che per realizzarli sono stati usati materiali preziosi come oro, platino e diamanti incastonati nella parte centrale. 
Dicono che Eckhart Cullman, che lo ha progettato, vuole indietro tra i 2.845 dollari e i 4.453 dollari per vendervi sto coso. 

Costano così care le padelle per fare le caldarroste?

Da Homo erectus a...Vino erectus


Franco Ariano, assicuratore di Cattolica, è una sorta di Eugène Dubois della viticoltura perché quello che andremo a descrivere, se confutato scientificamente, potrebbe essere una sorta di piccola “rivoluzione verde”.
Oggi parleremo del c.d. “metodo erectus” col quale quest’anno verrà prodotto il primo vino da “grappoli erectus”, cioè da grappoli che nascono e crescono dall’alto verso il basso, come Madre Natura vorrebbe.


Secondo Ariano, la pianta della vite, essendo un rampicante, striscerebbe a terra alla ricerca di un albero da colonizzare su cui crescere. Nel corso dell'evoluzione, per evitare che i grappoli marcissero a terra, l'uomo ha pensato di venirle in aiuto costruendole filari e pergolati. Un aiuto però incompleto, a detta di Ariano, perché nessuno ha mai pensato di aiutare anche i grappoli, oltre che il fusto della pianta e i germogli, a guadagnare la posizione verticale.
Come si può vedere nella fase della nascita, i grappoli di uva, nella maggioranza dei casi, nascono rivolti e tendenti al cielo ma, durante la maturazione, a causa dell’ aumentare del loro peso, questi grappoli calano verso il basso, curvano il rachide che li sostiene e nel punto di curvatura si creano degli ingrossamenti , che uniti alle depressioni vascolari interne , sempre in quel punto, ostacolano la fluida circolazione e lo scambio della linfa tra pianta e grappolo.


Per permettere un migliore scorrimento delle sostanze nutritive Ariano ha messo i grappoli all’insù, capovolgendo la tipica struttura a piramide rovesciata che si forma nella crescita, non grazie ad una magia ma attraverso semplici spirali di metallo e sistemi di ancoraggio telescopici.

Così come l’uomo scimmia si e’ evoluto in Homo erectus, da oggi potremo passare dal grappolo scimmia al grappolo “erectus”.

Il metodo, che a più di qualcuno ha fatto storcere il naso, sembra però il preludio ad un’operazione di marketing che porterà a vendere vino “erectus” a oltre 2000 euro a bottiglia.
Tutto il metodo di produzione, infatti, sembra essere curato nei minimi dettagli, anche troppo. La fermentazione, alcolica e malolattica, avviene con reale selezione manuale, uno ad uno, dei migliori acini, senza l’ inoculo di lieviti alloctoni. La vinificazione prevede l’uso di pregiatissime  anfore  in vetro farmaceutico ad uso alimentare, appositamente realizzate per il vino “erectus”, mentre per la maturazione e l’affinamento si è previsto l’utilizzo di in piccole anfore, interrate in grotta, realizzate in vetro farmaceutico ad uso alimentare. Totale assenza di prodotti chimici.


Le prime cento bottiglie, e qua arriviamo alla parte più frivola del progetto, verranno vendute all’interno di apposite casseforti appositamente create per il vino in modo tale che questi, in ogni occasione, sia dotato di giusta temperatura (attraverso l’uso di impasto che avvolge la bottiglia composto dai diversi terrori di origine), corretta umidità (attraverso l’uso i 2 sfiati laterali e ad un sistema idraulico interno a ciascuna cassaforte, alimentato ogni 2 anni circa dal proprietario, mediante la pompa in dotazione annotando sul lato della cassa, sia data che quantità di acqua aggiunta), assenza di luce e di rumori, assenza di vibrazioni ambientali (attraverso l’uso della tecnica del disaccoppiamento) e protezione (attraverso l’uso di una robusta serratura a doppia mappa con sei leve asimmetriche).


Finisce qua? No! Ogni cassaforte, dal peso di oltre 30 Kg, ha in dotazione alcuni strumenti, ideati appositamente, per poter gestire il progetto “erectus”: prima di tutto la pompa/siringa che permette l’alimentazione periodica del sistema idraulico regolatore di temperatura ed umidità, poi lo speciale cavatappi estrattore, notevolmente più lungo, ricavato da barre piene di ottone nichelato senza il quale sarebbe impossibile aprire la chiusura della bottiglia “erectus”ed, infine, il coltello/spazzola e il ditale in pelle di protezione del pollice utili alla rimozione della gomma/cera lacca a protezione della chiusura della bottiglia.


Basta vedere questo video per capire di cosa sto parlando.

Ah, e se dopo aver speso 2.500 euro il vino “erectus” fa schifo? Usate l’apposita cassaforte, semplice no?!?


Gaspare Buscemi e il suo Alture 2004

L’occasione era il compleanno di Stefania e la Mucca Golosa, bellissimo ristorante sul lago di Bracciano, ha fatto da cornice ad una serata fatta di ottimo cibo e grandi vini.
L’occasione era troppo ghiotta, in carta avevano alcune bottiglie di Gaspare Buscemi, l’enologo artigiano, e non mi sono fatto sfuggire l’occasione di capire e valutare finalmente il suo lavoro. 
Gaspare Buscemi
Leggendo qualche nota su Buscemi mi è venuto in mente un personaggio di Ritorno al Futuro, il professor Emmett "Doc" Brown, l’inventore della bizzarra macchina del tempo. Similitudine azzardata certo ma, se si parla di invenzioni in campo enologico, Buscemi non è secondo a nessuno visto che può vantare la paternità di soluzioni tecniche come la pigiadiraspatrice che rispetta le uve, la pressa che rispetta la vinaccia, la “sbottigliatrice” per spumanti fino ad arrivare all'impianto di depurazione per i tappi di sughero. 

Soluzioni uniche che rendono attente e sicure le manualità operative ma che assicurano anche condizioni idonee allo svolgimento dei naturali processi della formazione del vino, presupposti che l’industrializzazione ha necessariamente sacrificato ma che sono fondamentali per l’artigianato. Ecco la parola magica, artigianato, ovvero rispetto della natura e della tradizionale cultura, indiscutibilmente contadina e artigiana, dalle quali derivano, perché solo così possono esserne autentica espressione. 
La cantina
Gaspare Buscemi è un artigiano del vino e produce nettari destinati a dare emozioni non standardizzate. Ordinando l’Alture 2004 ho capito cosa significhi il suo lavoro.
Il vino è espressione delle colline goriziane e udinesi, un mix dei vari pinot (bianco in prevalenza) più friulano e ribolla gialla. Annusando e bevendo il vino ho capito cosa significhi il termine purezza territoriale perché tutto riconduce a quelle colline e al loro terroir. C’è nitidezza minerale, la roccia bianca è come se l’avessi sul mio tavolo, c’è la casta luminosità dei fiori bianchi, c’è la limpidezza della frutta bianca, pera e pesca su tutti.
Questa leggerezza caratteriale la ritrovo anche al sorso, pulito, lineare, di grande vena acida e, soprattutto, di bella persistenza e chiusura su note minerali e di glicine. Bottiglia finita in un attimo ma che faremmo bene a tenerci in cantina per anni.
Se seguirete il mio consiglio sappiate che Buscemi, convinto della capacità del suo vino di reggere gli anni, imprime sulla bottiglia, un po’ per sfida, anche la data di imbottigliamento…

Pensieri di Agosto: gli U2, la multa e il Barolo


Immaginate di prendere una multa da mille euro, cosa fareste un attimo dopo che vi è stata notificata?


Come minimo fareste un elenco di tutti i vari vizi e vizietti a cui dovreste rinunciare per via di quel tremedo pezzo di carta che vi ha infranto in un attimo tutti i sogni di questa calda estate. Vino compreso.


Se foste invece dei VIP le cose andrebbero diversamente e non dovreste più rinunciare al vino. Anzi, lo berreste di più e anche di ottima qualità.
Siamo al paradosso, è vero, ma in Italia succede anche questo, soprattutto se siete la rock band più famosa del mondo.
I fatti: Bono Vox & Co., prima del loro recente concerto di Torino, hanno dovuto pagare una multa di mille euro per aver protratto oltre le 23 le prove

Hanno violato la legge italiana e,di conseguenza sono stati puniti.

Puniti??????? Ma vaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

La Regione Piemonte, per farsi perdonare l’irriverente contravvenzione ha donato cinque bottiglie di Barolo Borgogno d'annata (ciascuna corrispondente all'anno di nascita dei membri della band) e del «quinto» U2, il produttore Paul McGuinness. 
Ah,  però, e tutto questo per aver violato la legge.......


Il gruppo, con Bono in testa, si è detto molto contento del regalo. Anche perchè si tratta dell’inizio di una storia d’amore tra i 4 musicisti, più il loro manager, e il Barolo, vino da sempre osannato oltreoceano. 
I cinque hanno accolto l’invito dei due assessori regionali, Michel Coppola alla Cultura e Alfredo Cirio al Turismo, dal produttore di Barolo Borgogno e di Andrea Farinetti (figlio di Oscar Farinetti, il guru di Eataly, che ha appena aperto una sede anche a New York) a venire nei prossimi mesi a Barolo per firmare ognuno una barrique di vino. In cambio i cinque riceveranno a testa, tra due anni, il tempo necessario al vino per “farsi”, 250 bottiglie con il proprio nome sull’etichetta.



La prossima volta che un vigile vi multa a Roma provate a chiedergli una bottiglia di Frascati, tanto che importa, quest'uomo dovrà pagare l'affronto o no? Magari Fontana Candida vi regala anche ua barrique usata...

Fonte: Corriere.it e Winenews.it

"Gomiti alle stelle"!!


Il Movimento Turismo del Vino sicuramente è un'istituzione che nasce nel 1993 con l’obiettivo di promuovere la cultura del vino attraverso le visite nei luoghi di produzione. Fine meritevole se spesso rimane puramente teorico. Spesso tutte le feste organizzate dalla suddetta istituzione,  Cantine Aperte o Calici alle Stelle non fa differenza, alla fine finiscono con una ubriacatura collettiva dei cosiddetti enoturisti che, nella maggior parte dei casi, tutto sono meno che  appassionati della cultura del vino. 


Non nascondiamoci dietro un dito, a Calici alle Stelle le persone ci vanno per passare una nottata per mangiare e bere gratis mentre le aziende, sì la colpa è anche loro, aderiscono per cercare di vendere qualche bottiglia in più.
Il risultato di questa alchimia enogastronomica lo possiamo leggere nelle pagine della cronaca del Corriere del Mezzogiorno di qualche giorno fa. 

Eccola la cultura del vino!

LECCE — Oltre cento persone sono state soccorse nella notte di San Lorenzo. Reduci dal vino servito a «Calici di stelle», la festa enogastronomica nel centro storico di Lecce e dai falò sulle spiagge vicine, in tanti sono finiti al pronto soccorso per il troppo alcool. 

LA FESTA E L'ALCOOL - Musica, divertimento e qualche bicchiere di troppo hanno avuto effetti devastanti. Tanto da trasformare la festa in una disavventura. Così molti giovani e anche adulti hanno trascorso la notte delle stelle all’ospedale Vito Fazzi di Lecce per disintossicarsi da vino e cocktail di ogni genere. Gran lavoro quindi per i medici del 118 che soltanto in città hanno soccorso ben centodieci persone completamente ubriache. 
Ad accusare i malori sono stati soprattutto gli ospiti di «Calici di stelle», la manifestazione dedicata all’enogastronomia che nella notte tra martedì e mercoledì ha riempito di gente i vicoli del centro barocco. 
Qui molti appassionati di vino, tra cui folle di turisti, hanno esagerato nell’assaggiare bianchi e rossi insieme, bevendo a volontà per ore. Poi sono arrivati i primi malori e le chiamate al pronto soccorso. C’è stato addirittura chi è svenuto per strada dopo aver alzato troppo il gomito. Alle prime richieste di aiuto sono subito intervenuti gli operatori del 118. 


Eppure la manifestazione, organizzata da Movimento turismo del vino e Apt Lecce, aveva uno slogan ben preciso: «Bevi responsabilmente».  
È stato l’assessorato al Turismo della Regione Puglia ad organizzare la campagna di sensibilizzazione alla sicurezza che evidentemente è stata ignorata da quanti hanno preferito fare il pieno di cibo e vino


E' questo il prezzo della cultura del vino?

Che ne pensa Chiara Lungarotti, presidentessa del Movimento del Vino?

Sono questi i veri appassionati oppure i veri enoturisti sono quelli che rifuggono queste manifestazioni perchè loro in cantina ci vanno tutto l'anno (magari trattati anche come tali)?

Domande alle quali chiederò risposta, prima o poi.

Anche il vino è una questione di sinistra e di destra. Parola de "Il Giornale"

E lo sapevo che alla fine la si buttava in politica, ancora destra contro sinistra e io ne ho le …… piene.

Non sono un militante di sinistra ma Carlin Petrini (stesso mio cognome anche se non è nemmeno un lontano parente) ha ragione: basta con le mega produzioni che non fanno altro che alimentare il mercato dei bottiglioni di vino che fa cagare venduto nei discount.
Non sono un enogastro-chic, non pretendo vino buono solo per i ricchi, voglio solo produzioni rispettose di tre componenti: lavoro, vigna e cantina. La qualità sarà una conseguenza logica sia per i vini da ricchi sia per i vini sfusi, da “poveri”.

Tratta da Sorgentedelvinolive.org
Luigi Mascheroni, nel suo articolo su “Il Giornale”, critica l’uomo d’affari Petrini incolpandolo di volere prezzi alti per il vino buono che, in tal caso, rappresenterebbe solo un prodotto di elite, la stessa alla quale appartiene il fondatore di Slow Food.

Questo è un estratto dell’articolo di Mascheroni:

Che gusto c’è a poter bere tutti meglio? A pensarci bene, nessuno. Almeno per i veri vignerons, per i gourmet più raffinati, per gli enogastro-chic... per quelli che il cibo e il vino li vogliono di qualità ma non di quantità, per pochi e non per tutti, «bio» ma non anche tuo, di lusso ma non di massa, quelli del «che bello stare a tavola ma solo con chi dico io»... Lo insegnano due-tre millenni di civiltà: le cose, più sono per pochi più sono ricercate. E quindi inevitabilmente più buone. Se sono alla portata di tutti, perdono «sapore». Da chic diventano cheap. Così, che il 2010 si preannunci un’annata speciale, con tanto vino e di buona qualità, ai radical-food and wine la cosa non va giù”.

Carlin Petrini
Che strano, Il Giornale vuole più vino per tutti mentre Slow Food lo nega. Si è invertita la politica oppure qualcuno distorce la realtà?

Diciamo che forse Mascheroni non ha capito o letto alcuni passaggi dell’articolo di Petrini.
Sulle colonne di Repubblica si sostiene che produrre tanto non conviene perché le cantine sono piene di vino che non si vende, cosa che favorirebbe la diffusione di commercianti spregiudicati e industriali che speculano sul lavoro dei vignaiolo e che mettono in giro vino a basso costo tutt’altro che ottimo. Volete bere mondezza? Prego, accomodatevi, tanto c’è vino per tutti.

Quanto al presunto rialzo dei prezzi auspicato da Petrini è possibile che non sia stato letto questo suo passaggio:”in realtà, in un momento così drammatico, i vigneron italiani dovrebbero prendere esempio dai cugini francesi: qualche anno fa, in un momento di vacche magre, i produttori di Champagne decisero di diminuire la produzione del 30%. Una scelta come quella francese sarebbe non solo auspicabile, ma anche possibile, perché i produttori potrebbero declassare una parte dei loro grandi vini potendo contare su denominazioni meno importanti che in gergo vengono chiamate di ricaduta: basti pensare al Langhe Nebbiolo, al Rosso di Montalcino o di Montepulciano, così come al Valpolicella Rosso”.

Caro Mascheroni sai questo cosa vuol dire? Bere meglio, tutti, e a basso prezzo. Strano che ti occupi di vino dopo aver letto le tue perle nell'articolo su Balotelli apparso sempre su Il Giornale. Di cosa ti occupi? Di vino o di calcio?


Per concludere inviterei i lettori a dare uno sguardo anche al blog Sapori del Piemonte e a questo manifesto. Forse prima di prendere la penna bisognerebbe informarsi ed accendere il cervello?


Il mondo del vino italiano secondo Carlin Petrini


E' notizia di qualche ora fa, anche la Marchesi de' Frescobaldi annuncia che il 2010 sarà la solita grande annata.
Il Direttore di produzione Lamberto Frescobaldi col sorriso a 100 denti annuncia che "se l'andamento climatico restera buono, potrebbe essere un'annata memorabile come l'85 e il '97, con vini molto equilibrati, tannini levigati e buone acidita".
 

Ci risiamo, la solita tiritera estiva. Fortuna che a dare voce a tutti noi che amiamo il vino e sappiamo davvero le cose come stanno ci pensa, tra gli altri, Carlin Petrini.
Sulle pagine di Repubblica il patron di Slow Food non le ha mandate a dire a tutti questi industriali e maghetti del vino che col loro operare distruggono la passione dei veri vignaioli. E la nostra.

Ecco i punti principali del suo intervento:

Da inizio agosto è partito il tam tam mediatico e si sono alzate inopportune grida di giubilo per il sorpasso di produzione degli italiani sui francesi. Secondo i dati diffusi da alcune associazioni di categoria risulta che la produzione di vino italiano potrebbe (e l'uso del condizionale è d'obbligo) segnare un aumento fino al 5%.......

Oltre a non appassionarmi più di tanto, trovo questa sfida anche un po' inutile. Una vendemmia si giudica, come mi insegnano i miei amici viticoltori, non solo dopo aver portato le uve in cantina, ma alcuni mesi dopo.

Il fatto che la vendemmia sarà ricca non mi conforta più di tanto se questa abbondanza non farà che aumentare il processo di svendita del vino sfuso che è gia in corso da più di un anno a questa parte. Le settimane che precedono la vendemmia sono le più febbrili per i mediatori del vino che per conto dei grandi commercianti e imbottigliatori girano le cantine italiane a caccia dell'affare. 

Da una parte trovano produttori che non essendo riusciti a vendere il vino che avevano prodotto sono obbligati a svuotare la cantina per fare spazio al nuovo raccolto e dall'altra un mercato che sta richiedendo vini dal basso costo e non fa così tanto caso alla qualità di quello che consuma.

Carlin Petrini
Ma quali sono le cause di questa situazione così deprimente? Diciamo che il governo del limite, che dovrebbe regolare il mondo agricolo, è andato a farsi benedire. Sono quindici anni che predichiamo nel vento dicendo che le viti vanno piantate solo nelle zone ad alta vocazione evitando di aumentare a dismisura le superfici vitate. Tutto inutile. Il Barolo, il Barbaresco, il Brunello hanno raddoppiato le bottiglie in commercio nel giro di un decennio. L'Amarone è passato da quattro milioni di pezzi agli attuali sedici.

Ma in cosa consiste questo governo del limite nel settore vitivinicolo? Semplice: nei momenti in cui il mercato tira occorre contenere i nuovi impianti e non esagerare con l'aumento dei prezzi; nei momenti di crisi bisogna ridurre la produzione dei vini di eccellenza e salvaguardarne il prezzo.
In Italia si è fatto l'esatto contrario. Molti dicono che le diverse categorie di produttori (vignaioli, industriali, commercianti) sono tra loro inconciliabili. In realtà in un momento così drammatico, i vigneron italiani dovrebbero prendere esempio dai cugini francesi: qualche anno fa, in un momento di vacche magre, i produttori di Champagne decisero di diminuire la produzione del 30%. 
Tutti uniti: vignaioli, cooperative sociali e industriali. In Italia manca una visione comune, una politica di sviluppo che riesca a mettere d'accordo un mondo lacerato da troppe divisioni e incapace di dialogare per gestire al meglio la situazione economica e, se fosse possibile, progettare seriamente il futuro. Una scelta come quella francese sarebbe non solo auspicabile, ma anche possibile, perchè i produttori potrebbero declassare una parte dei loro grandi vini potendo contare su denominazioni meno importanti che in gergo vengono chiamate di ricaduta: basti pensare al Langhe Nebbiolo, al Rosso di Montalcino o di Montepulciano, così come al Valpolicella Rosso.


Bisogna tutelare i nostri grandi vini come veri patrimoni nazionali e la loro gestione non dovrebbe ricadere nelle mani di pochi imbottigliatori pronti a speculare quando il mercato è in affanno. Gli stessi produttori dovrebbero limitare la loro produzione unicamente alle zone più vocate, ai cru storicamente riconosciuti come tali, e ai vigneti con piante più vecchie. Altrimenti l'eccellenza rischia di essere svilita e assistiamo così alla vendita di bottiglie di Barolo a 8 euro negli autogrill italiani, presi d'assalto in questi giorni da vacanzieri frettolosi.
Questa deriva è manna per commercianti spregiudicati e industriali a cui non interessa la qualità, non mette ansia alle grandi firme (che magari svendono le eccedenze sotto banco), ma distrugge il prestigio dei grandi vini e mette in ginocchio le miriadi di piccoli e medi produttori che, in questi ultimi vent'anni, hanno realizzato il rinascimento del vino italiano. Per la prima volta in tanti anni ho sentito invocare un po' di grandine per ridurre le eccedenze, magari nelle vigne dei vicini.

Il suo pensiero è  anche il mio pensiero e spero sia anche il vostro.

Fonte: Repubblica.it

Percorsi di Agosto: a Taurasi per la XI Fiera Enologica Taurasi Docg – Taurasi (Avellino) – Dal 13 al 15 agosto 2010


Ogni giorno, dal 13 al 15 agosto, degustazioni, laboratori del gusto, musica live con due palchi – uno presso Porta Maggiore, l’altro in Largo Mangiante – dove si alterneranno i vari gruppi ospiti, convegni, banchi d’assaggio, visita alle cantine e ai vigneti, area enogastronomica con stand delle aziende vitivinicole, spettacoli itineranti e mostre fotografiche, per tre giorni che, anche quest’anno, richiameranno migliaia di appassionati. 


Basti pensare che l’evento in questi anni ha tagliato il traguardo delle 300mila presenze, con una media di 30mila visitatori a edizione. Motore di questo evento, da sempre, il vino e la sua “cultura”, elementi di punta dell’economia campana. Il vino, il Taurasi in particolare, come solido punto di riferimento per l’intero territorio e testimone di una produzione di eccellenza che ne ha segnato la storia e ancora potrà caratterizzarne il futuro, con attente politiche di valorizzazione e predisponendosi ad aperture, confronti e collaborazioni continue, come da sempre è nello spirito della Fiera.

A Taurasi il vino lascia la propria impronta in tutti i sensi, negli incontri scientifici tra operatori del settore, specialisti ed enologi, nelle degustazioni guidate e in generale nei momenti di riflessione, di svago e cultura che ne caratterizzano le giornate. Una manifestazione dai grandi numeri, che attira in pochi giorni migliaia di visitatori, allegramente mescolati ad esperti, appassionati, aziende, studiosi, operatori, professionisti del settore. Una manifestazione da undici anni ricca di contenuti, di attività e soprattutto di passione, valore aggiunto che da solo è in grado di trasformare una festa in evento. 

Castello Marchionale

Si comincia venerdì 13 agosto con il Taurasi Tour, servizio transfer da tutta la Campania in programma ogni giorno dalle ore 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18 con visita alle cantine e vigneti con possibilità di pranzo negli agriturismi e ristoranti di Taurasi (contatti 388.7001516 – info@thewinebus.it). 
Alle 18, presso il Castello Marchionale, sede dell’Enoteca regionale, il convegno di apertura dedicato all’enoturismo, alla presenza di rappresentanti istituzionali ed esperti del settore. Alle ore 20.30, al Castello, degustazione guidata di Taurasi Docg e, alle 20.45, sempre presso il Castello, laboratorio del gusto con abbinamenti cibo-vino a cura dell’Associazione “Mesali”. Sempre alle ore 21, presso il Castello, si apriranno gli spazi dell’Associazione Italiana Sommelier, di Slow Food, i banchi d’assaggio dei vini d’Irpinia e i banchi di assaggio dei vini della regione ospite, che quest’anno è la Puglia. 
Nel centro antico, dalle ore 21, in programma live music, il duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. 
Alle ore 21 via alla musica live con Flash Dance School presso il palco di Porta Maggiore, a seguire, alle 21.30, i Pratola Folk, alle 22, al palco di Largo Mangiante, il Complesso del Carlino e, alle 22.30, sul palco principale di Porta Maggiore, i Tarumba.

Sabato 14 agosto si comincia sempre la mattina con il “Taurasi Tour”. Alle 20.30 al Castello continuano le degustazioni guidate di Taurasi Docg, i laboratori del gusto e i banchi d’assaggio, mentre nel centro antico, dalle ore 21, ancora live music, il duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. Alle ore 21, presso il palco di Porta Maggiore, la “Tau Band”, mentre alle ore 22, sul palco di Largo Mangiante, i Zeketam. Alle ore 22, a Porta Maggiore, Massimo Ferrante e ‘E Zezi, formazione inedita frutto di un progetto musicale che si esibirà per la prima volta in Irpinia.

Domenica 15 agosto in mattinata continua il “Taurasi Tour” e, alle ore 18, presso il Castello, si terrà la presentazione del libro “Intrighi – Carlo Gesualdo tra musica, amore e morte” di Giovanni Savignano. Alle 20.30 al Castello appuntamento con le degustazioni guidate di Taurasi Docg, i laboratori del gusto e i banchi d’assaggio, e centro antico dalle ore 21 spazio alla live music, al duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. Alle ore 21 al palco di Porta Maggiore i Fluido Ligneo, mentre alle 21.30, al palco di Largo Mangiante, la Shabadà Orchestra. A seguire Valerio Ricciardelli e, alle ore 22.30, gran finale a Porta Maggiore con Raiz e Radicanto, altro progetto musicale inedito di scena a Taurasi.


A Taurasi, è bene ricordarlo, si viene per divertirsi, per avvicinarsi al vino e al suo affascinante universo in maniera positiva e pulita. In Fiera è quindi bandita qualsiasi esasperazione nell’uso e nel consumo di alcol. L’organizzazione è stata tra le prime in Italia a promuovere campagne informative e di sensibilizzazione in tal senso e a farsi portavoce dei valori veri che ruotano attorno alla tradizione vitivinicola e alla produzione enologica.

UFFICIO STAMPA

XI FIERA ENOLOGICA

Tel. 320.4332561 – 339.8685903 – 392.9866587

E mail: fieraenologica2010@libero.it

Per informazioni

Pro loco Taurasi: www.prolocotaurasi.it

Pensieri di Agosto: la bruttezza delle etichette del vino

Continua il viaggio di Percorsi di Vino alla scoperta delle più originali etichette di vino.
 
Non vi aspettate stavolta nulla di simile a quanto abbiamo visto per Château Mouton Rothschild, oggi ho deciso di fare un passo indietro e pubblicare la TOP 5 delle peggiori etichette a livello internazionale (per l’Italia faremo un discorso a parte). 

Al primo  posto metterei questa:


E’ l’etichetta di un merlot della Romania prodotto dalla Vampire Wine. Esaminando il sito non possiamo che complimentarci anche per le altre bottiglie prodotte. In particolare meriterebbe una degustazione la Dracola…

Dracola
Al secondo posto mettiamo l’etichetta di un tempranillo spagnolo, distribuito dalla catena di supermercati Sainsbury's, sopra la quale è stata stampata la ricetta del pollo alla castigliana con paprika. Volete abbinarlo o no questo vino??!?!?!?!?

Etichetta Avanti

Etichetta dietro

Al terzo posto un’etichetta macabra di un’altra azienda californiana.


Se notate bene c’è una tigre che si lecca le labbra e per terra c’è il taccuino degli appunti e il cappello della persona che è stata mangiata dalla tigre. Da rimarcare anche la scritta “Bloody Good White”.

Al quarto posto un’etichetta natalizia di un merlot californiano. Oh, poi non dite che non vi fornisco idee originali per le prossime feste:


Al quinto posto, last but not the least, la “famosa” Fat Bastard Wine Company vi propone l’etichetta del suo chardonnay. Tutto un programma a cominciare dal nome, no?



Fuori concorso questo Sangiovese californiano dal nome Cane Felice…….


Dom Perignon, 300 anni dopo


Era il 1668 quando ad un fraticello astemio di nome Dom Perignon, economo dell’abbazia di Hautviller, venne attribuito il più arduo dei compiti: togliere dai vini della Champagne le bollicine, apparente difetto che li rendeva fuori moda e scarsamente apprezzati dall’alta aristocrazia francese che preferiva molto di più i vini fermi della Borgogna. 
Sembra strano ma è così, ai francesi non piaceva lo Champagne così come lo conosciamo noi, ci volle un po’ di tempo e la volontà di Luigi XIV di copiare i “vini frizzanti” dell’alta società inglese ai tempi di Carlo II, per far cambiare rotta al lavoro del frate permettendogli finalmente di dar vita a quel vino che gli fece esclamare davanti a tutti gli altri monaci: «Venite presto, fratelli, sto bevendo le stelle.


Colmo di gioia, il cellérier dell’abbazia cominciò a fare esperimenti di vinificazione fino a che, da gran conoscitore di uve e terroir qual’era, non si inventò la prima cuvèe andando a mescolare più vini base derivati da diversi vitigni, vigneti e annate al fine di creare un nuovo vino che sia superiore a ognuno dei suoi componenti. 
Chissà se, a quel tempo, poteva immaginarsi il futuro successo dello Champagne, chissà se ride o piange a vedere quaggiù schiere di sommelier decantare quella strana bottiglia che porta il suo nome, chissà se, trecento anni dopo, il Dom Perignon 1964 che ho nel bicchiere è minimamente simile a quello da lui “inventato”. Chissà.


Di certo il nostro fraticello non conosceva il biscotto Plasmon, il torroncino alle mandorle o la caramella mou, non poteva sapere che il suo vino invecchia bene, benissimo, fornendo emozioni a distanza di anni.  
on poteva sapere che mettendo il naso riesco a sentire il caffè, gli agrumi canditi, la frutta secca, il caramello e la pesca, sì la pesca, quello stesso frutto che, insieme alla cannella e all’acquavite “bruciata”, rappresentava la ricetta segreta, confidata in punto di morte al suo successore, per ottenere un grande Champagne. 


Bere questo 1964 non vuol dire solo appropriarsi di un tocco di storia del vino ma, soprattutto, far propri i sogni e le speranze di quel fraticello francese perché davvero, ancora dopo 300 anni, quelle bollicine mi hanno permesso, anche solo per un secondo, di poter vedere le stelle.

Letture di Agosto: il vino in Iraq

Interessante questo articolo scritto da Riccardo Lagorio che ci porta in Iraq dove, all'interno dei monasteri cristiani, si produce ottimo vino. Leggiamo questi splendidi appunti.

Probabilmente sono trascorsi 8000 anni da quando le popolazioni della Mesopotamia iniziarono a spremere uva, attendere un conveniente periodo per la fermentazione del mosto ed infine utilizzarne il risultato per cerimonie civili e religiose.

Nasceva così, grazie all’operosità di archetipi vignaioli, la cultura di uno dei prodotti più consumati al mondo, prendeva corpo il vino più antico al mondo, celebrato da assiri e hittiti. Malgrado i periodi bui di repressione cristiana – la più recente ha coinciso con il governo di Saddam Hussein, che mise al bando i costumi, finanche alimentari, della cittadinanza caldea e maronita del Kurdistan iracheno, che ha per capitale Erbil - sopravvive nei monasteri e nelle comunità cristiane l’usanza di produrre il vino.

Riccardo Lagorio
Se per i monasteri è quasi d’obbligo poter contare su un quantitativo ancorché minimo del prezioso liquido per celebrare il mistero dell’eucarestia; per i contadini è fonte di reddito integrativo alla frutta ed alla verdura che dalle colline prende la strada delle città.
Peraltro nelle scarse fonti letterarie del VII secolo, prima dell’avvento della religione islamica, c’è evidenza di diffuso consumo d’alcool nei territori musulmani al tempo di Maometto, prima che lo stesso le dichiarasse haram (tabù).

Accanto allo scritto di Al Bukhari che registra un elevato numero di bevande alcoliche presenti nella penisola arabica, il lavoro di Omar Ibn al Khattab descrive bevande ottenute fermentando uva, datteri, orzo, frumento o miele.

I villaggi di Dhok, Haudian, Diana e Sersenk, a circa 400 chilometri da Erbil, e di Koisangiak, a 200 chilometri dalla capitale, sono tra i maggiori centri produttori di vino mentre la scuola di Shaklawa, diretta da monaci e che dista meno di un’ora e mezza di strada da Erbil, si distingue per la lunga tradizione di produzione di vino, accertata da oltre cinquecento anni.
Si può affermare senza errore che i maggiori produttori di vino in Iraq e in Mesopotamia sono proprio i monaci che vivono nei monasteri ed utilizzano il vino anche come strumento di ospitalità ai visitatori.

Akram Sliwa Sheer conduce uno dei tanti negozietti di alcolici che si possono trovare nel quartiere di Ankawa vicino alla chiesa dedicata a San Giuseppe, ma soprattutto intrattiene regolari rapporti con i piccolissimi produttori di vino delle colline anche grazie all’esperienza pastorale del fratello nel monastero di Shaklawa.

Sono gli stessi cittadini a volere aperti i loro negozi tradizionali. In quest’area di Erbil, dove vivono perlopiù cristiani, si sono sempre venduti alcolici – dice - il governo attuale ci ha dato la possibilità di mantenere i nostri negozi; anzi stanno nascendo dei pub dove possiamo ritrovarci senza nessun pericolo perché i potenziali contestatori non hanno accesso”.
Nel suo negozio, come negli altri negozi della città che vendono alcolici, non è possibile trovare in vendita vino iracheno, ma dopo una amichevole chiacchierata Akram non esita a offrire tre tipologie di vino rosso che proviene dal nord del Paese.

Non è data sapere la varietà di uva utilizzata, ma solo che si tratta di black grapes, uva nera. Esiste un’altra tipologia di uva (il termine varietà sarebbe in questo caso troppo… sofisticato) denominata king grapes, che ha bisogno di più lavoro per crescere e con quella, dice, si produce pochissimo vino.

Momento di degustazione
 Alle temperature estive che sfiorano i 50 gradi l’uva ottiene un elevato grado zuccherino. I vini sono presentati in improbabili bottiglie, usate originariamente per contenere arak od ouzo greco, whisky o altro ancora, chiuse ermeticamente da tappi a vite.

Il primo che è stato per così dire stappato proviene dalle uve dell’orto del monastero di San Mattia a Bahshika, nel nord dell’Iraq.
Porta colore rosso intenso con riflessi mattonati, piacevolmente speziato di cannella e noce moscata al naso, alla bocca è vigoroso, imponente, piacevolmente grondante di susina appassita e lampone.

Il vino del secondo bicchiere è dell’orto della chiesa di Alkosh, all’interno della zona protetta di Ninive.
Il liquido è denso, seducente, dal colore rosso intenso inaccessibile quasi. Ha poco più di un anno di vita.
L’olfatto è impressionato dal profumo di nocciola e frutta secca, scorgo un vago aroma di pepe e rosa che si dilata in bocca, la corteggia, la conquista, la penetra con ruvida grazia.
Il gusto è lungo, infinito, di elevata alcolicità ammorbidita dal grado zuccherino.

Il terzo vino proviene dalle campagne di Shaklawa; ha cinque anni ed è considerato da Akram un vino prezioso.
Il colore è ambra, sul fondo della bottiglia si scorgono sedimenti. Il naso percepisce le note alcoliche amplificate poiché manca del tutto della armonia dei precedenti bicchieri.
Si distingue per l’abboccato secco e le evidenti note alcoliche che lungi dall’essere stucchevoli conquistano per semplicità e compostezza.

Malgrado la piacevolezza dei vini, stiano tranquilli i vignaioli italici: non potranno mai temere la concorrenza dei monaci iracheni sotto il profilo commerciale.
Tuttavia questi elaborati enoici sono un appuntamento culturale imperdibile per raccontare la storia e la vita attuale delle comunità cristiane del Kurdistan iracheno, un orgoglioso drappo sventolato per esibire la propria tormentata appartenenza religiosa.

Pensieri di Agosto: Marco Caprai e la crisi del Sagrantino di Montefalco


Marco Caprai
Marco Caprai usa l'ironia per spiegare la crisi profonda del settore vitivinicolo umbro. L'inventore del Sagrantino usa una frase cara a Tomasi di Lampedusa, principe di Salina per fotografare il momento:
"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi."

Ma che c'azzecca il Gattopardo col vino umbro?

"Qui da noi in questi anni tutti hanno pensato che solo cambiando i presidenti di vari consorzi presenti sul territorio si potesse reggere l'urto della crisi e ridare fiato ad un settore che continua a vivere un momento difficile. Ho usato l'ironia per spiegare la crisi che questo settore così importante per l'Umbria sta vivendo. Il territorio non attrae più perché in questi anni la politica non è riuscita a vendere il prodotto "vino umbro". Non c'è stato un progetto unico, non c'è stata una campagna pubblicitaria in grado di vendere il sistema Umbria nel suo insieme. I singoli produttori sono stati lasciati soli a vendere il loro prodotto, in una guerra tra poveri che non ha portato da nessuna parte."

Marco Caprai è duro:

"i presidenti dei consorzi cadono come birilli, qualche consorziato esce e la macchina va avanti convinta che i problemi non ci sono o se ci sono basta un cambio di presidenza per risolverli."

Ma allora che fare? Qual è la via maestra per promuovere il vino umbro?

"La via maestra è promuovere il vino umbro, appunto. Non il singolo vino. Per esempio Sagrantino, Grechetto o Orvieto. É qui che la politica ha fallito. L'America investe sul vino californiano, la Francia sul Bourdeaux. Territori vastissimi che presentano una serie di vini pregiati promossi all'interno di un progetto unico complessivo. Noi invece ci presentiamo alle fiere nazionali e internazionali con singole etichette che se riescono a far colpo è solo per una botta di fortuna, non per un progetto alle spalle. É la guerra dei poveri insomma."

Caprai entra poi nello specifico.

"a Montefalco, la metto sul paradosso, la piglio a ridere per non piangere: siamo in mano a una politica gattopardesca che spera attraverso l'erga omnes, cioè l'imposizione a tutti i produttori delle regole e dei controlli indipendentemente che siano o meno soci del consorzio - di tappare i buchi di bilancio e di evitare di dare troppe spiegazioni."

Ma così, sottolinea Caprai, non si può andare avanti.

"Serve un colpo di reni, serve un azzeramento della situazione, ma se a Montefalco "governano" i Gattopardi il cambiamento non ci sarà e la crisi diverrà irreversibile. Le responsabilità ricadranno sugli autori di questo disastro dal quale né le istanze di governo locale né la Regione Umbria possono chiamarsi fuori, ma i danni li pagheremo tutti. 
É auspicabile arrivare a una politica seria del settore in grado di vendere e promuovere l'Umbria come sistema complessivo. In questi anni la Regione ha speso sul vino tanti soldi ma senza criterio, senza una strategia. Serve una logica d'impresa, diminuire per esempio le produzioni e le rese, dare garanzie di restare sul mercato a chi ha investito, puntare sulla qualità. 
Spendere meno ma su progetti precisi, misurati. Gli operatori non possono essere lasciati soli, serve una politica seria, vera di supporto. Ai consorzi in questi anni è stato detto "armatevi e partite", ma divisi non si fa sistema. 
Faccio un esempio di come la politica abbia fallito. Ultimamente un milione e 800mila euro di fondi "ocm" riservati al vino sono ritornati indietro perché è stata sbagliata la programmazione"