Tenuta La Giustiniana: verticale storica di Gavi 1998-2008

Oggi parliamo di Gavi, un vino bianco da uve Cortese che in Italia è spesso sottovalutato mentre all’estero, dati alla mano, rappresenta uno dei nostri vanti enologici. Parliamo di Gavi e della Tenuta La Giustiniana, azienda agricola di antichissime origine che si estende per ben 110 ettari di cui 40 sono coltivati. Sita nel territorio di Rovereto di Gavi, La Giustiniana può vantare vigneti impiantati con perfetta esposizione a mezzogiorno ad una altitudine che varia tra i 300 e i 500 metri ed a una latitudine di 44°41' (la stessa dei celebri Graves francesi). Ad essi viene dedicata attenta e scrupolosa cura nella coltivazione: sono state sperimentate nuove forme di allevamento, i diserbanti chimici sono banditi come pure gli antibotritici per non avere le benchè minime alterazioni di profumi, le potature secca e verde limitano rispettivamente il numero di gemme e il carico di grappoli arrivando a rese di 50/60 quintali per ettaro. Minuziose analisi chimico-fisiche dei terreni e delle uve da essi ottenute, hanno convinto la Giustiniana, prima assoluta in Gavi, a vinificare separatamente due ben noti crus: Il Gavi D.O.C.G. del comune di Gavi vigneto Lugarara, prodotto su marne grigie plioceniche sovrastate da terreno vegetale di vecchia origine, e da frazione di sabbioni disciolti e ferrettizzati, ha caratteristiche di vino Gavi bianco particolarmente secco, acidulo con retrogusto mandorlato; Il Gavi D.O.C.G. del comune di Gavi vigneto Montessora, prodotto su un terreno dal particolare colore rosso cupo, coperto da alluvioni pleistoceniche ferrettizzato con base di ghiaie alterate intercalato da argille, è un vino ricchissimo di profumi e sfumature, morbido e secco al tempo stesso. Ho partecipato la scorsa settimana ad una interessante verticale dove sono state presentate undici annate (2008-1998) delle due tipologie di Gavi prodotte dall’azienda: Montessora, dall’omonimo cru e “Il Nostro Gavi”, vino nato dall'idea di creare un Gavi i cui artefici fossero i collaboratori commerciali di Giustiniana, per dimostrare che un grande vino nasce dalla scelta di grandi uve, dal territorio eletto e dalla passione e collaborazione tra uomini cultori e amanti del vino.

Montessora 2008: giovane e prorompente, si caratterizza per sensazioni di susina, pera abate, mela, biancospino e un delicato tocco minerale. In bocca entra morbido anche se cede quasi subito il passo ad un attacco acido corroborato da una sapidità che lascia la bocca leggermente salina. Finale ammandorlato.
Montessora 2007: al naso stavolta la fanno da padrone i toni floreali subito accompagnati da una frutta a polpa bianca e da una vena minerale che col passare del tempo assume toni agrumati. Bocca di grande morbidezza (c’è più alcol rispetto al 2008) che cede leggermente in acidità rispetto all’annata precedente. Sintomo di un invecchiamento già visibile? Vediamo se le annate successive avranno questo trend;
Il Nostro Gavi 2006: cambiamo tipologia ma non livello emozionale, qua la nota olfattiva principale è un fresco minerale che arriva ai toni della silice, della pietra focaia, sensazioni che cedono gradualmente il passo ad un fruttato ed ad un floreale bianco. Palato sapido, di grande spessore acido, bella struttura. Dei tre Gavi sembra decisamente il meno vecchio. Trend non confermato…
Montessora 2005: i colori si fanno più carichi, le sensazioni olfattive più mature ed esce un bellissimo soffio di macchia mediterranea. Al palato la mineralità si trasforma subito in sapidità, talmente importante che stavolta l’acidità le fa da stampella. Un Gavi di grande vivacità, struttura e che lascia il cavo orale con una gradevole scia di ginepro e mela golden;
Il Nostro Gavi 2004: ancora una volta questo vino spicca per mineralità da pietra focaia, per note ferrose e per un impatto fruttato maturo. Un vino che sembra provenire direttamente dal terreno. In bocca torna alla grande, tutto è incentrato sulle note acido-sapide, la morbidezza arriverà col tempo..
Montessora 2003: annata calda, difficile, anche se questo Gavi si difende con un naso maturo ma non cotto e una bocca di grande morbidezza che riesce a bilanciarsi soprattutto grazie alla sapidità del vino. Un Gavi ben fatto, si vede che hanno lavorato bene sia in vigneto che in cantina. Il Nostro Gavi 2002: altra annata difficile e altro vino che comunque è riuscito bene soprattutto grazie ad un complesso minerale, che ritorna, che sfuma in tutte le sue declinazioni. Non è particolarmente complesso anche se, bevendolo, è fresco e piacevole grazie alla sferzante spina acida. Sicuramente il vino più pronto e godibile;
Montessora 2001: la grande maturità del vino si estrinseca in un quadro olfattivo caratterizzato da aromi di mela golden matura, frutto della passione, albicocca matura, fiori gialli appassiti. Bocca di grande struttura, raffinata, il vino si espande in bocca e la sapida mineralità rappresenta la chiosa di un sorso fresco e integro. Bella la persistenza. Ancora un volta un vino che, nonostante il naso, sembra di grande giovinezza;
Montessora 2000 (da Magnum): la vera sorpresa della serata, sarà che il vino proveniva da una magnum ma, se lo avessimo bevuto alla cieca, avremmo detto che si trattava forse dell’ultima annata in commercio. Il colore è giallo paglierino non carico, il registro olfattivo è fresco, ci troviamo la pesca, la pera, i fiori di campo, un delicato minerale. La bocca è viva, sapida, elegante, di grande equilibrio tra morbidezza e acidità. Grande vino che ha stupito anche chi lo ha prodotto!
Montessora 1999: un vino la cui nota ossidativi/evolutiva è percepibile, il tema olfattivo è delineato dalla maturità della pesca e della mela, escono i fiori appassiti e la macchia mediterranea. Al palato l’attacco morbido è subito bilanciato dalla vena acida che, come è accaduto anche con gli altri vini, mette la freccia donando freschezza e grande beva. Bella persistenza finale.
Montessora 1998: il vino più maturo e, forse, dal quadro aromatico più suadente: cotognata, frutta tropicale matura, miele, caramella d’orzo, pesca sciroppata, spezie orientali e piacevole mineralità. In bocca c’è tutta l’eleganza del tempo che passa, abbiamo di fronte una signora di mezza età che è ancora affascinante nonostante i capelli grigi. La struttura non cede nulla, soprattutto la vena acida è ancora viva, fresca e propulsiva. Chiude con bei ricordi di frutta matura e bouquet di fiori gialli. Un ottimo Gavi che potrà andare avanti ancora per qualche anno.

Conservare lo Champagne? Ci pensa Porsche...

Una volta Armani faceva solo i vestiti, Hello Kitty era solo un cartone animato e la Porsche si occupava solo di macchine. Una volta.
Oggi, purtroppo aggiungo io, se siete degli appassionati di bollicine made in France sapete benissimo che bere un flute di ottimo champagne non ha senso se non lo si fa rispettando una liturgia che va dalla coltivazione delle uve all’immagazzinamento del prezioso nettare divino. Il problema dell’invecchiamento dello champagne infatti è molto importante, in quanto una cattiva conservazione finisce per inficiarne gravemente il gusto.

Proprio per questo motivo Veuve Clicquot ha creato, grazie alla collaborazione dei tecnici del Porsche Design Studio, Vertical Limit, una vera e propria cantina anche se in senso moderno, molto elegante e raffinata, in cui conservare le singole bottiglie di pregiato champagne nelle condizioni ottimali.

In questo caso il concetto di cantina, di solito un luogo buio ed angusto, dal quale tenere lontani gli ospiti, viene completamente ribaltato, visto che Vertical Limit rappresenta un elemento di arredo che invece va mostrato a tutti.

La struttura, costruita interamente in acciaio e alta 1,80 metri, può ospitare fino a 12 bottiglie disposte in senso orizzontale; il materiale utilizzato è acciaio assemblato a mano, mentre all’interno la temperatura costante sarà di 12 gradi centigradi come nelle blasonate cantine francesi.

Vertical Limit sarà prodotto in edizione limitata, soltanto 25 pezzi, e sarà acquistabile esclusivamente nei Porsche Design Store di New York e Los Angeles ad un prezzo di 70.000 dollari (una schiocchezzuola..).

Ma con tutti quei soldi non mi affitto a vita una sana e "vecchia" cantina di tufo??

Le sagre enogastronomiche hanno ancora senso? Il caso della sagra del vino di Marino..

Ormai c’è una vera e propria mobilitazione contro le sagre paesane, troppe e soprattutto troppo poco controllate dagli enti competenti.
La media è altissima, in Toscana ad esempio si fanno circa mille sagre all’anno e, se moltiplichiamo tutto questo per le varie Regioni di Italia, possiamo ben capire la portata del fenomeno che è soprattutto concentrato in estate e durante i periodo festivi. Ma perché le sagre sono oggi contestate? Per vari e ragionevoli motivi:
  • solo due su tre sono autentiche, le altre sono “false“ sagre e propongono prodotti o piatti che non sono del territorio;
  • non c’è alcuna attenzione alle questioni ambientali o di igiene;
  • si crea danno alla ristorazione per via di una concorrenza a volte “troppo” sleale. I menù, infatti, durante queste feste vengono proposti dalle Pro loco a prezzi popolari grazie alla minor presenza di costi e tasse;
  • a volte gli incassi non sono destinati a fini umanitari ma vengono destinati ad “altro”;

Ma perché sta Percorsi di Vino si interessa delle sagre ora? Semplicemente perché non capisco il senso della Sagra del Vino di Marino. Sicuramente è una delle sagre italiane più antiche, sicuramente è territoriale e tutto quello che volete però, e qualcuno me lo spieghi, che vantaggio può dare, oggi, al mondo del vino, soprattutto laziale? Il nostro vino, quello della mia Regione, è poco considerato sia dalle guide sia dagli addetti ai lavori (sommelier, ristoratori, etc.), il vino dei Castelli Romani è in piena crisi, nel Lazio, secondo le ultime statistiche, c’è mediamente una resa per ettaro di oltre 120 quintali. La sagra del vino dovrebbe, pertanto, essere un’occasione per tutti i produttori di presentare i loro vini, di far vedere alla gente che, forse, si sta facendo qualcosa di buono, che qualcosa si sta muovendo, che ci sono giovani vignaioli che stanno percorrendo una strada diversa dai loro nonni. Le cose però stanno diversamente, nulla viene valorizzato, durante la festa il vino migliore che puoi bere, spesso gratis, è appena migliore di quello che compri presso il peggiore discount, per la rievocazione del corteo storico vengono invitati come star di eccezione Costantino Vitagliano e Sara Varone ed Eva Henger.
Di cosa stiamo parlando allora? Di rilanciare e valorizzare un territorio ed un vino?

Il corso sul sangiovese regala un'altra perla: Podere Il Palazzino - Grosso Sanese 2004

Oggi Percorsi di Vino vi porta a Monti in Chianti, a circa 400 metri di altezza s.l.m., in una delle zone più belle della Toscana e in uno dei più grandi Cru del Chianti Classico. Qua, fin dal 1793, sorge podere Il Palazzino, dimora che fa parte di quell’insieme di casolari e fattorie che furono costruite in quegli anni da Pietro Leopoldo, il Granduca di Toscana, che durante la riforma agraria introdusse una serie di miglioramenti in ogni campo, dall’economia all’amministrazione.
La famiglia Sderci, attuale proprietaria, ha acquisito il podere solo a metà ‘800 anche se, a quel tempo, ancora non si parlava di vino. Dobbiamo arrivare al 1970 affinchè questa parola cominci a diventare di uso comune al Palazzino, in quel periodo Andrea e Alessandro Sderci, poco più che ventenni, cominciarono a piantare i primi vigneti di Sangiovese andandoli a sostituire a ulivi e vigneti sparsi un po’ dovunque. L’obiettivo è semplice: attraverso l’ausilio di base rese per ettaro, scrupolose selezioni delle uve, fermentazioni in legno e affinamento in barriques e piccole botti, si cerca di produrre un grandissimo Chianti Classico.
Con la vendemmia '81 nasce il Grosso Sanese, da una piccola grande vigna di circa due ettari attigua al fabbricato aziendale. Il terreno ha una bellissima esposizione a sud-sudest, il suolo è calcareo di medio impasto e composto principalmente di alberese e galestro; le viti vengono potate con il metodo a cordone speronato, con un numero massimo di sei gemme. La resa viene limitata a 50/60 ql. a ettaro per una produzione totale di circa 10.000 bottiglie all'anno. La fermentazione si svolge in tini di rovere tronco conici da 50 hi. II processo di fermentazione e macerazione si prolunga in genere per circa trenta giorni, successivamente il vino viene passato in barriques dove prosegue la fermentazione malolattica.
L'affinamento in barriques di rovere di Allier (di cui un 30% viene rinnovato ogni anno) ha una durata di quattordici/diciotto mesi, dopo di che si procede al taglio finale e all'imbottigliamento. Prima della commercializzazione il vino riposa per altri sei mesi in bottiglia.
Abbiamo parlato troppo, il Grosso Sanese 2004 è un vino che non ha bisogno troppo di parole, lo possiamo capire anche ad occhi chiusi, annusando il nostro calice questo Chianti sembra quasi “nebbioleggiare” con la sua profondità, la sua complessità e quell’austerità che un po’ spiazza quelli che cercano nel Sangiovese un vino “facile” e subito pronto. Il vini si apre col passare del tempo, non va di fretta il Grosso Sanese, cavalca il tempo avanzando comunque inesorabile come inesorabili e netti sono tutti i profumi che sprigiona, dal frutto nero selvatico al cuoio fino ad arrivare alla terra, alla roccia, quel calcare che dà vigoria e potenza al tutto.
Bocca splendida, qua c’è tutto, c’è struttura, potenza, eleganza, finezza, persistenza, tutto è amalgamato ed armonico. Credetemi, un grande Chianti Classico, 25 euro di grande edonismo. Peccato che la vigna, ormai vecchia, sia stata espiantata per essere poi, successivamente, reimpiantata: dovremo aspettare qualche anno per vedere di nuovo questo vino in commercio per cui, se lo volete, assaltate le vecchie annate.

Tutta la crisi del vino di Frascati!

La notizia è stata già pubblicata da più parti: un centinaio di agricoltori hanno pestato l'uva dei Castelli Romani nel centro di Roma, dinanzi al palazzo della Provincia, per protestare contro gli alti costi della filiera che coinvolge la produzione di vino Frascati che, in questa situazione di crisi, avrebbe bisogno di un sostegno e di un rilancio. Negli ultimi 40 anni il prezzo delle uve del 'Frascati' è diminuito fino a livelli che oggi - sottolinea la Coldiretti - non garantiscono più neanche la copertura dei costi di produzione per effetto di un sistema drogato che ha finito col favorire soggetti esterni alla filiera agricola e impoverito le aziende. I prezzi proposti per le uve quest'anno sono quasi dimezzati rispetto ai 43 euro/quintale dello scorso anno. A rischio, sottolinea l'organizzazione, "non c'è dunque solo una attività economica, ma un intero sistema produttivo, ambientale e culturale fortemente radicato al territorio come quello del Lazio che può contare su 30 mila ettari circa di vigneto dai quali si producono mediamente oltre 2,7 milioni di ettolitri di vino all'anno". E’ chiaro che, pur essendo solidale con questi agricoltori che rischiano di entrare in seria crisi (se già non lo sono), due cose mi vengono in mente pensando al Frascati:
  • questi vignaioli perché invece di produrre 150/200 quintali per ettaro non si adeguano ad una viticoltura di qualità abbassando drasticamente le rese? Se fate un giro per i Castelli Romani trovate più tendoni che abitanti…
  • si lamentano del caro bottiglia? Il male di Roma, a livello di qualità di vino, sono sempre state e, forse, saranno tutte le fraschette e le osterie turistiche del centro che comprano vino a pochissimi cent al litro per poi rivenderlo, targandolo “della casa”, a 10/12 euro il litro. Perché allora questi valenti agricoltori non cambiano rotta producendo e commercializzando un vino che non permetta a questi osti da quattro soldi di fare sto giochetto? Negli anni passati gli è andato bene questo connubio, tanto Roma se beve tutto dicevano. E ora? Ora che c’è la crisi vi lamentate di scelte sbagliate? Solo i lungimiranti ora stanno gongolando.
Scusate lo sfogo ma, per me, Roma deve evitare di bersi tutta sta mondezza!

Un anno da wine blogger...

E’ un po’ di tempo che mi diletto a scrivere di vino, in internet ho questo diario digitale dove appunto tutte le sensazioni su ciò che bevo cercando di condividere le mie emozioni con quelle poche persone che mi seguono. Dicono che sono un wine blogger e come tale faccio parte di questo mondo, della blogosfera.
E’ più di un anno che redigo questo piccolo blog e, volente o nolente, sono dovuto entrare in relazione con gli altri colleghi di tastiera (una volta si diceva pen friend), a piccoli passi sto entrando nel mondo dei wine blogger, un microcosmo che ha caratteristiche specifiche e che, forse, non è altro che lo spaccato della nostra società attuale.
Ma di cosa parliamo? Senza che si offenda nessuno posso dire che, ad oggi, questo mondo (forum compresi), secondo la mia personale opinione e con le dovute eccezioni, ha queste caratteristiche:
  • Molti wine blogger si conoscono, sono amici o pensano di esserlo. Questo genera due tipi di fenomeni: all’interno di molti blog i commenti spesso vengono fatti sempre dagli amici/colleghi wine writer, sono poche le persone veramente esterne che partecipano alla discussione dicendo la propria. Tutto ciò certamente non è disdicevole, anzi, però c’è il rischio di creare una sorta di circolo chiuso che spinge il semplice appassionato, il neofita, a non intervenire mai per paura di essere crocifisso stile Fantozzi. L’altro aspetto è che questo pugno di wine blogger, spesso influenti nell’ambiente, creano una sorta di casta, un piccolo ordine professionale con tutti i difetti che questo si porta dietro. Entrare nel giro è difficile, se non fai parte di una certa scuola di pensiero (e ce ne è più di una) rischi di venire respinto con forza in quanto personaggio potenzialmente pericoloso per il loro ego. La prova? Vedere come sono stato trattato a Maggio durante le nomination per il miglior blog di vino.
  • Se entri nel giro giusto, se sei popolare, allora godi di grandi tutele e tutti ti linkano anche se scrivi delle vaccate tremende;
  • I wine blog sono spesso autoreferenziali e, per questo, non universalmente comprensibili;
  • I wine blogger pensano, forse sperano, di capire davvero di vino e guai a contraddirli, potrebbero sparare bordate di insulti incredibili e sbatterti in faccia il loro diploma di sommelier;
  • Guai a stilare classifiche o a pubblicizzare qualche iniziativa personale, verresti subito bombardato di critiche, spesso non costruttive;
  • Attenzione massima anche quando si recensisce un vino, i produttori a volte sono permalosi e pensano di fare il vino migliore del mondo. Diplomazia ed indipendenza devono sempre viaggiare a braccetto.
La domanda, come direbbe qualcuno, nasce spontanea: ma è così tremendo sto mondo? Come ho scritto in precedenza, ribadisco anche ora che le eccezioni sono tante, tantissime, e c’è il serio “rischio” di divertirsi sul serio e conoscere, anche indirettamente, tanta gente seria, simpatica e appassionata. A volte penso di essere Alice nel Paese delle Meraviglie o un orso in una mare di barattoli di marmellata.
Il mondo che abbiamo fuori sta anche qua dentro, basta scegliere, selezionare, a volte tapparsi il naso, e alla fine vedrete che pure voi vorrete essere un wine blogger, c’è spazio per tutti qua ma non dite che ve l’ho detto io….

Fattoria del Cerro Vinsanto "Sangallo" 2003

Fattoria del Cerro, acquistata nel lontano 1978 da Saiagricola S.p.A., anni difficili quelli, quasi pionieristici, quando Montepulciano e i suoi vini stavano vivendo un singolare periodo di crisi, sia d'immagine che di vendite. La denominazione di origine controllata è garantita non era ancora entrata in vigore e lo sarebbe stata solo a partire dalla vendemmia del 1980 e i vini sarebbero poi stati messi sul mercato solo dal Gennaio del 1983.

La Fattoria del Cerro non solo ha tenuto duro ma è stata anche traino della crescita qualitativa di tutto il comparto del Vino Nobile e oggi, con i suoi 93 ettari iscritti all'Albo del Vino Nobile, è la più grande realtà privata produttrice di Vino Nobile di Montepulciano, in provincia di Siena. L’azienda, però, con i suoi 173 ettari di vigneto totale non produce solo Vino Nobile e Rosso di Montepulciano, ma commercializza tutta una gamma di vini che spazia dal Chianti dei Colli Senesi allo Chardonnay di Toscana, dal Brandy fino ad arrivare, ovviamente, al Vinsanto di MontepulcianoSangallo”, vino dolce prodotto in onore di Antonio Giamberti da Sangallo - detto il Vecchio che costruì nei primi del ‘500 la Chiesa di San Biagio a Montepulciano, capolavoro tardorinascimentale che possiamo visitare nella città poliziana.

Il Vinsanto, come da tradizione, è a base di Pulcinculo (Grechetto) e Trebbiano i cui grappoli sono stesi sui cannicci per avvizzire. In tale ambito, l’attività di appassimento avviene all’interno della Fattoria del Cerro che, per questo, ha destinato l'ampio sottotetto del "Podere Argiano" che, essendo ben aerato e giustamente umido, è il miglior ambiente per farle giungere sane fino a gennaio, o addirittura a febbraio, quando vengono pigiate. Il vino viene poi fatto maturare all’interno dei classici caratelli per minimo tre anni al fine di permettergli di sviluppare complessità ed armonia, caratteristiche tutte che ritroviamo nei grandi vini dolci.

Nel mio bicchiere è stato versato il millesimo 2003, di un suadente colore oro fulvo che al naso esprime un quadro olfattivo caratterizzato da frutta stramatura, uva sottospirito, vaniglia, cannella, leggero mentolato ed una punta di tabacco biondo. In bocca il calore e la dolcezza dell’annata calda vengono subito compensati da una bella vena acida che impedisce, fortunatamente, ogni stucchevolezza. Palato cremoso, ricco di ritorni di frutta stramatura e spezie dolci. Chiude sapido con una persistenza che certo non ci fa strappare i capelli.
Un Vinsanto buono anche se il confronto con altre tipologie potrebbe risultare abbastanza deleterio, sia per la complessità che per la persistenza complessiva del vino.
Da provare forse in annate migliori?

La Porta di Vertine 2006, un grande Chianti Classico Riserva

Ieri sera ho iniziato all’AIS di Roma il corso sul Sangiovese curato e condotto da Armando Castagno, un uomo, e anche un amico, che trasuda passione per il vino da ogni poro della sua pelle.
Gaiole in Chianti e Castelnuovo Berardenga sono stati le prime zone che il docente ha preso in considerazione, si parla ci Chianti Classico, un vino che, come vedremo, è capace e sarà capace di darci emozioni uniche, da riscoprire.
Il vino del Gallo Nero lo troviamo ormai dappertutto, dal discount sotto casa al supermercato delle stazioni di servizio, troppa robaccia in giro, difficile ormai trovare qualcosa di decente se non si è consigliati da persone col pelo sullo stomaco. Ecco, il corso sul Sangiovese vuole insegnare proprio questo, vuole accompagnarci per mano alla ricerca del vero Sangiovese, quello territoriale, quello emozionante e che berremmo a tavola in un solo sorso, magari accanto ad una bistecca fiorentina.
Uno di questi piccoli grandi capolavori enologici porta la firma della Porta di Vertine, azienda nata solo nel 2006 quando Dan ed Ellen Lugosch acquistano un vigneto a forma di anfiteatro nel borgo di Vertine, a Gaiole, nella zona del Chianti Classico con l’obiettivo di nell’esplorare le caratteristiche del Sangiovese, selezionando vigneti e scegliendo i terreni che meglio ne fanno risaltare complessità e la sua attitudine all’invecchiamento. La Porta di Vertine deve moltissimo a tre uomini: Giacomo Mastretta, responsabile ed enologo, l’agronomo Ruggero Mazzilli, sotto la cui guida i vigneti sono stati convertiti al metodo biologico e, soprattutto, Giulio Gambelli, consulente enologo, maestro assaggiatore e una leggenda nel mondo del Sangiovese.
I vigneti sorgono su terrazze abbandonate nelle quali, grazie alla composizione del terreno ricco di galestro ed alberese che, essendo piuttosto povero, riduce naturalmente la vigoria della pianta, limitando la rese in modo naturale.
La vinificazione dei vini è naturale, a La Porta di Vertine si opera nella convinzione che, intervenendo il meno possibile durante la vinificazione, le caratteristiche dei vigneti traspaiano più chiaramente. In cantina i lieviti naturali e la temperatura ambiente la fanno da padrone. Il fatto che la cantina non abbia alcuno strumento di controllo della temperatura non è considerato un impedimento, ma parte della filosofia di non intervento.
Il Chianti Classico Riserva è il vino di punta dell’azienda ed è il frutto della selezione dei migliori grappoli della vigna della Conca d’Oro e del Campino dei Visconti a Vertine.
Alla metà di Ottobre i grappoli sono stati raccolti manualmente in piccole cassette. Non c’è aggiunta di solforosa in questo stadio. L’uva viene semplicemente disparata e messa in piccole vasche di accaio e cemento senza essere pigiata. La fermentazione si svolge ad opera dei lieviti indigeni, senza alcun controllo diretto della temperatura: la freschissima temperatura naturale della cantina ne facilita uno svolgimenti molto lento e regolare, preservando così il profumo elegante del Sangiovese. La durata e la cadenza dei rimontaggi dipendono dalla qualità dell’uva senza seguire uno schema prefissato. Alla fine dalla fermentazione alcolica, si effettua un solo delestage, durante il quale il vino è resta separato dalle bucce per una notte. Questo insolito metodo consente una maggiore estrazione in quanto, in assenza del vino, la temperatura delle bucce può salire notevolmente.
Dopo la fermentazione, il vino è stato lasciato sulle bucce per altre due settimane prima del travaso in barrique e doppia barrique. Qui il vino svolge la fermentazione malolattica alla fine della quale si valuta l’eventuale aggiunta di solforosa. Non viene poi sottoposto a ulteriori manipolazioni ad eccezione delle regolari colmature che servono a reintegrare il vino che naturalmente evapora attraverso le doghe del legno.
Il vino non viene sottoposto ad alcun travaso per i primi otto – dieci mesi, al fine di mantenerlo in contatto con le fecce fini che lo proteggono e gli conferiscono più ricchezza e complessità. L’affinamento in legno ha avuto una durata complessiva di circa sedici mesi.
Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno sei mesi prima di essere commercializzato.
Eccola qua questa Riserva, nel mio bicchiere, ho di fronte l’annata 2006 che si presenta di una straordinaria freschezza, esplode al naso la viola mammola e una leggera terrosità, poi frutta a buccia matura, liquirizia e chiodo di garofano. Un olfatto, rispetto ad altri Chianti Classico meno elaborato, monumentale ma più diretto, espressivo.
Bocca di grande corrispondenza col naso, la grande materia del vino, soprattutto il tannino, è ottimamente equilibrato dalla grande acidità del vino (i dati analitici ci dicono che siamo sui 7 g\l). Ritorna la frutta e la florealità. Un Chianti di grandissima beva, fresco e di grande pulizia, in stile Gambelli. Per una volta tanto 23 euro spese bene. Grazie Armando per avermi fatto scoprire questo vino anche se, lo so, non sarà l’unico……

A me dei tre bicchieri o dei cinque grappoli 2010...


o delle stelline non me ne può fregare di meno!!!

E che diamine, prima che uscissero le anticipazioni tutti a dire che le guide sono obsolete, che sono una cavolata, etc.

Ora, invece, ci sta gente che si sta scannando, giornalisti o blogger che cercano a tutti i costi lo scoop, gente che spara m***a sui direttori dandogli del venduti.

Un gioco al massacro.

Complimenti sicuramente a chi ha preso i premi però non facciamone una questione di vita o di morte e pensiamo sempre che c'è gente che lavora a queste guide con impegno e passione.

Poi se si hanno le prove di quello che si dice, degli impicci che ci sono, dei conflitti di interesse, allora mettiamole in campo, diciamo nome e cognomi altrimenti è tutto inutile.

I vini che acquisto e che bevo, fortunatamente, non li devo leggere su una guida, il mio palato magari non è il loro palato. Bisogna sempre bere, paragonare, valutare, alla fine vedrete che non ci sarà nessuno chi ci imporrà il gusto e il modo di bere.

Me so sfogato! :-)

Il segreto del successo dello Champagne?

Uno studio condotto da una università enologica ha "svelato" il segreto del successo della famosissima bevanda francese. Per quale motivo lo Champagne è così irresistibile? Beh, secondo Gerard Liger-Belair del Dipartimento di Enologia e Chimica Applicata della Faculte des Sciences di Reims in Francia il fascino di questo vino dipende dai composti aromatici compresi nel perlage. Gli esperti, per arrivare a questa tesi, hanno usato uno strumento molto sofisticato per tracciare l’impronta digitale chimica di una sostanza, cioè per scoprire tutte le particelle chimiche di cui essa è composta. Hanno usato la spettrometria di massa ad altissima risoluzione e studiato, una a una, tutte le particelle contenute nelle bollicine che ci solleticano il naso quando sorseggiamo un bicchiere di Champagne. È emerso che queste bollicine sono cariche di composti aromatici o di molecole precursori di altre molecole aromatiche che poi, subendo alcune modifiche chimiche, sprigionano aromi irresistibili.
Tali molecole aromatiche hanno la particolarità chimica di essere per metà attratte dall'acqua per metà idrofobe. Questo fa sì che, dopo aver versato lo champagne, esse rimangano intrappolate nelle bollicine in risalita nel calice. Una volta in superficie le bollicine scoppiettano e liberano gli inconfondibili aromi che fanno breccia nel cuore e nel naso del bevitore.

Ah, caso strano vuole che il Dipartimento fosse di Reims, se lo stesso esperimento fosse stato fatto in Franciacorta chissà cosa veniva fuori......

Piccoli appunti sulla verticale di Sagrantino di Montefalco Scacciadiavoli

La settimana enologica di Montefalco svoltasi la scorsa settimana prevedeva numerosi eventi tra cui visite in cantina e numerose degustazioni, tra cui questa mini verticale di Sagrantino Scacciadiavoli che prevedeva l’analisi delle annate 2006, 2005, 2004 e la 1998.
L’azienda Scacciadiavoli è una delle più antiche del territorio di Montefalco. Il nome Scacciadiavoli deriva dal nome di un antico borgo, che sorge in prossimità dell’azienda, in cui viveva un esorcista (scacciadiavoli). La cantina, costruita nella seconda metà dell’Ottocento e di recente restaurata, è razionale e dotata di moderni impianti. La dimensione aziendale è di 136 ettari, dei quali 28 ettari a vigneto in parte di nuovo impianto. I terreni, posti in comune di Montefalco ad una quota compresa tra i 300 ed i 350 metri, sono prevalentemente argilloso-sabbiosi, con una buona capacità di drenaggio. Il 50% della superficie vitata è piantata con il vitigno Sagrantino; il restante 50% è rappresentato da Sangiovese, Merlot e Cabernet.
La cantina di vinificazione e di stoccaggio , ricostruita recentemente, è stata costruita alla metà del 1800 su progetto francese del principe Ugo Boncompagni. La famiglia Pambuffetti ne ha acquisito la proprietà nel 1954; le monumentali dimensioni, quattro piani di cui uno completamente interrato, hanno dato il nome “Cantinone” alla località.
Fatta questa opportuna premessa, e tornando quindi alla verticale, abbiamo iniziato questa interessante degustazione con l’ultima annata in commercio, la 2006: le promesse e le potenzialità ci sono tutte ma non capisco però come si faccia ad uscire con un vino così ancora (troppo) giovane e scomposto, caratterizzato da una ingombrante presenza di legno ed alcol e con un tannino ancora troppo aggressivo. Le potenzialità (cercando bene) sono rappresentate da una grandissima struttura e un ventaglio aromatico giocato su note mentolate e di frutta sotto spirito. Si farà col tempo.
Il 2005, che ricordo esser considerata grande come annata a Montefalco, è più equilibrato, aggraziato, al naso la frutta rossa in confettura lascia quasi subito il posto ad un delicato floreale. Quadro aromatico più dolce, quasi femminile. In bocca però ecco uscire un omone che tira fuori tannini aggressivi ed un’acidità da misurare, forse il legno è maggiormente integrato ma anche questo Sagrantino è rimandato a data da destinarsi. Poco armonico.
Il 2004 è figlio dell’annata non certo calda a Montefalco, le abbondanti piogge che ci sono state e questo lo si intuisce già all’olfattiva dove c’è freschezza, non c’è molta frutta ed esce il lato erbaceo e floreale del vino, ci sento un pout pourri di fiori, il timo, l’alloro e un tocco di melograno. Bevendo sembra di esser di fronte ad un altro vino rispetto ai precedenti, è tutto più “soft”, struttura, tannini e acidità sono meno irruenti, possenti, complice l’annata che rende tutto più bevibile anche se c’è da aspettarsi che questo Sagrantino non viva ancora per moltissimo tempo.
Il 1998 per Scacciadiavoli è stato un anno di transizione, il vino viene ancora affinato in botte grande, solo dopo arriveranno in cantina di barriques e tonneaux. La differenza stilistica con le altre annate si sente, non tanto al naso dove escono belle note terziarie di ruggine, cuoio, goudron, prugna secca, ma soprattutto in bocca dove il vino si mantiene austero e, forse, un po’ slegato nella sua struttura visto che le parti dure e morbide del vino non erano perfettamente fuse. Nonostante ciò, con tutti i suoi piccoli difetti, rimane un vino piacevole, di grande beva e persistenza che si caratterizza per ritorni di cacao, frutta nera matura e spezie. Il miglior vino della batteria sicuramente.

Sulle tracce di "Terre del Cesanese"

Purtroppo si trovano poche notizie in giro di questa interessante realtà laziale, Terre del Cesanese non ha un sito internet, partecipa poco ad eventi e manifestazioni (sempre utili per parlare col produttore) e le uniche notizie in giro son sempre le stesse: tutto è iniziato nel 1999 quando Pierluca Proietti e soci hanno dato vita al loro progetto enologico con l'intento di esprimere al massimo le potenzialità della viticoltura e dell'olivicoltura del territorio.
La loro voglia di riscoperta delle antiche tradizioni locali, assieme alla consapevolezza che il territorio pigliese sia il fulcro non solo geografico dell'areale del Cesanese, ha portato l'azienda ad agire secondo due direttive principali:
- la selezione delle migliori piante madri di Cesanese per la loro moltiplicazione, svolta in collaborazione con importanti istituzioni regionali ed universitarie;
- la riconversione/rivalutazione dei migliori vigneti del luogo, avvalendosi delle testimonianze tramandate dalla plurisecolare cultura vitivinicola.

In cantina il lavoro è svolto direttamente da Pierluca Proietti, presidente dell'azienda, coadiuvato dall'enologo Domenico Tagliente con la sua pluridecennale esperienza.
La maturazione del vino avviene al Piglio, nella cantina dell'antico castello De Antiochia, dove la roccia crea condizioni ottimali di umidità e temperatura che non richiedono inteventi di condizionamento artificiale.
Il vino che ho degustato qualche tempo fa durante una serata AIS è il Cesanese Colle Vignali 2006, vino figlio di un Cru (non è una parolaccia eh) sito nel territorio dei Vignali, storica zona di coltivazione della vite nel comune di Piglio e posto a circa 350 m.s.l.m..
In questa splendida zona il Cesanese è sapientemente piantato su un terreno rossastro composto da tufi terrosi color ruggine derivanti da sedimentazioni del periodo Cretaceo-Quaternario, le viti hanno una densità di impianto che varia da 3300 a 4800 ceppi/Ha e sono allevate a cordo
ne speronato, con potatura a due gemme per sperone e diradamento dei grappoli.
Le uve ottenute vengono poi vinificate in acciaio (contenitori di 20 Q.li) con una macerazione della durata 21 giorni e il vino prodotto è successivamente affinato in botti grandi di rovere di Slavonia per 23 mesi subendo una decantazione naturale che permette di non filtrarlo.

Nel mio bicchiere il vino ha un intenso colore rubino, quasi violaceo, impatto olfattivo che rimanda subito alle note fruttate, alla ciliegia in tutte le sue declinazioni, nelle quali si insinuano sommessamente intriganti note di rosa, viola mammola e spezie (netta la nota di chiodo di garofano). In bocca questo Colle Vignali entra in punta di piedi, man mano però di apre, si espande in bocca, inesorabile e potente con le sue sensazioni di frutta sotto spirito e spezie dolci, graffia con i suoi tannini ancora scalcianti, giovani. Un Cesanese da tenere in cantina per alcuni anni ancora, l’affinamento non può che fargli bene, Coletti Conti è ancora lontano a mio modo di vedere, però la passione e la competenza di Pierluca Proietti lo faranno arrivare ben presto tra i primi produttori del Lazio, basta aspettarlo, come il suo Colle Vignali.

A Montefalco va in scena la verticale di Sagrantino Caprai 25 anni

Montefalco e il “suo” Sagrantino sono tornati nuovamente di scena lo scorso fine settimana con la Trentesima Edizione della Settimana Enologica, appuntamento importante per tutte le aziende coinvolte che hanno permesso ai visitatori dell’evento di immergersi per qualche giorno nella realtà vitivinicola del territorio umbro. Durante la manifestazione l’AIS ha organizzato un’interessante verticale di Sagrantino 25 anni di Caprai, produttore che, nel bene o nel male, ha dato una seconda vita e ha rilanciato in tutto il mondo il Sagrantino di Montefalco. La verticale, presentata dal bravissimo Daniele Maestri, prevedeva i millesimi 2005, 2003, 2001, 2000 e 1998. Arriviamo subito al sodo.
Iniziamo col 2005, annata cinque stelle secondo gli “esperti” del Consorzio, si presenta di grande estrazione antocianica, quasi un rubino impenetrabile che, con i suoi riflessi violacei, dimostra la giovanissima età del vino. Naso subito intenso, irruento come deve essere un bambino, ampio con i suoi richiami di mora di rovo, mirtillo, cassis, gelso, visciola, rosa, violetta, accompagnati tutti da tocchi balsamici. In bocca entra con una potenza mediata da una grande morbidezza, una rotondità che mette a tacere l’alcol, siamo sui 15°, e la sferzante acidità. Grande persistenza finale. Vino ottimo, da aspettare ma c’è Lui...
L’annata 2003 è stata difficile, lo sappiamo, il caldo non ha dato tregua e solo chi ha lavorato bene in vigna ha tirato fuori prodotti bevibili. Questo 25 anni è sicuramente figlio dell’annata, rubino carico e col naso che, rispetto al 2005, è più speziato, ci trovo il pepe nero, il chiodo di garofano e il cardamomo, poi esce la frutta rossa, in confettura, tutto è più evoluto e pronto. Bocca potente ma meno fresca del precedente vino e con i tannini ruvidi, un po’ slegati dalla struttura. Difficile da bere se non accompagnato da un cibo che riequilibri il gusto. E poi Lui…sempre Lui…
Il 2001, di colore supremo, impenetrabile, all’olfatto si presenta etereo, variegato, con sensazioni di dolcezza di frutto veramente notevoli: ciliegia matura, boero al cioccolato, mirto, alloro e ginepro, lavanda, humus, sono tutte sensazioni che si fondono amabilmente tra loro e che danno ampiezza al vino. In bocca la sensazione di rotondità del fruttato va a braccetto ed equilibra la parte dura del vino che è sempre netta e ben definibile. Una rotondità amplificata anche dalla “dolcezza” vanigliata data da Lui…
Il 2000, anch’esso figlio di un’annata relativamente calda, si presenta con un colore rosso rubino con unghia granata, segno di una terziarizzazione che inizia a farsi sentire soprattutto al naso dove il naso, pur ricco, è meno esplicito, più austero con le note di fungo, humus, spezie scure, fiori secchi e frutta ormai quasi appassita. Alla gustativa il vino si apre con prudenza, equilibrato, fino ad un’apice di esplosione di frutto speziato che va avanti per minuti. Anche qui, nonostante tutto, Lui era presente, ci guardava da lontano….
L’annata 1998 è stata davvero grande a Montefalco e dopo dieci anni sicuramente si può esprimere un giudizio serio e quasi oggettivo. Il risultato è nel nostro bicchiere, un vino compatto, vivo, lucente, dai profumi (ancora) intensi e stratificati: pepe nero e bianco, chiodi di garofano, cannella, macis, liquirizia, amarasca, sandalo, grafite, humus, Lui, sono tutti riconoscimenti che non facciamo fatica a riconoscere all’olfattiva. L’assaggio ci conferma la grandezza dell’annata con un vino che, pur mascherando la sua potenza, si espande gradualmente, inesorabilmente, fornendo una lunghezza gustativa che dura minuti, tanti minuti, dopo predominano le note di goudron e spezie nere. Sicuramente il miglior vino della batteria, forse il Sagrantino comincia a diventare “potabile” dai dieci anni in poi?
E Lui? Come si fa a sconfiggere?

Finalmente...Slowine!

Ce l'hanno fatta i miei amici di Slow Food, finalmente quel progetto di cui mi si parlava da mese, anche se tra mille difficoltà, è diventato realtà. C'era bisogno di loro perchè possono davvero portare una ventata nuova nel mondo del vino, conosco personalmente Giancarlo Gariglio e altri ragazzi del suo staff, ho lavorato con loro qualche mese fa e posso assicurarvi che sono dei ragazzi stupendi, appassionati e che, soprattutto, lavorano con grande precisione ed autonomia. Purtroppo non ho potuto partecipare alla presentazione del nuovo sito però, dandogli un'occhiata, ho potuto apprezzarne la semplicità d'uso e i contenuti, interessanti e quanto mai banali.

Slowine conterrà una corposa sezione dedicata a degustazioni tematiche (si comincia con 150 etichette di Barolo) i cui contenuti saranno aggiornati ogni 15 giorni. Queste pagine saranno arricchite da notazioni storiche e geografiche, consigli su dove mangiare, dormire, acquistare prodotti tipici in zona. Un’altra parte del sito sarà dedicata alle degustazioni di soci e fiduciari, mentre la sezione Argomenti, inaugurata da un editoriale del presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese, occuperà metà dei contenuti del sito e affronterà di volta in volta discussioni sulle tematiche di più stretta attualità riguardanti il mondo del vino.

Alla presetazione ufficiale avvenuta nella sede storica di Brà erano presenti alcuni giornalisti e blogger del settore tra cui l’ideatore di Winesurf.it Carlo Macchi, l’autore del blog Vinoalvino.org Franco Ziliani, la responsabile di Wein-plus.de Katrin Walter, e l’agronomo Maurizio Gily; coordinava l’incontro Sergio Miravalle, giornalista de La Stampa e autore del blog Giro di vite su www.lastampa.it.

Secondo quanto riportato dal sito La Voce, Franco Ziliani, che ha ringraziato Slow Food per l’invito nonostante qualche posizione divergente negli anni passati, ha raccontato l’esperienza del suo blog definendola “una donchisciottata”, un modo per scrivere quello che sui giornali, condizionati dagli introiti pubblicitari, non sarebbe possibile pubblicare. «Il blog, inoltre», sostiene Ziliani, "permette un confronto immediato tra autore e lettori attraverso i commenti. Lettori che sono più numerosi quando si affrontano le problematiche dell’enologia di quando si pubblicano semplici degustazioni".

Maurizio Gily ha puntato l’attenzione sulla difficoltà, per i giornalisti, di trovare dati certi relativi alla diffusione e commercializzazione del vino nei siti istituzionali, contrariamente a quanto avviene in Francia o in Spagna. «Ci si trova poi» ha continuato Gily "alle prese con siti bellissimi dal punto di vista formale, ma poveri di contenuti e spesso non indicizzati. La verità è che si conosce ancora poco il mezzo e si punta a investimenti sbagliati. Con le prossime generazioni, il discorso cambierà".

Per Carlo Macchi, internet sarebbe il campo ideale per le inchieste, ma finché la gente non capirà che è giusto pagare per ricevere le notizie esattamente come quando acquista un quotidiano, sarà difficile per chi gestisce un sito avere i mezzi per realizzarle. Un problema tutto italiano, a sentire Katrin Walter che gestisce un sito tedesco il cui accesso è riservato agli abbonati e che, nonostante questo, riscuote un grosso successo.

Avanti così ragazzi e chissà se su Slowine, prima o poi, leggerete anche una mia recensione?!?!?

L'Open Baladin sbarca a Roma. Oggi si parla di birra artigianale!

Ieri sera in Via degli Specchi a Roma è andata in scena l'inaugurazione della nuova creatura firmata dalla premiata ditta Musso, Farinetti, Di Vincenzo. "Open", all'inizio era solo un nome, quello di una birra nata dall'idea di realizzarne una con una forte personalità. Passa il tempo e nella testa di Teo quel nome diventa sinonimo di condivisione, viene pubblicata sul web la ricetta in modo che ognuno possa svilupparla in tutto il mondo. Nasce, pian piano, un vero e proprio progetto "Open" che si articola per svilupparsi con modalità "aperta" come una sorta di passaggio rivolto a chiunque sia interessato all'argomento birra. E' così che questa birra "open source" ha fatto e sta tutt'ora facendo da apripista alla fase due del progetto, ovvero l'apertura di alcuni locali che ne portano il nome "Open Baladin". Dopo l'apertura del locale "zero" a Cinzano, in Piemonte, da ieri anche Roma ha avuto il suo "Open" che si caratterizza per ospitare circa 100 birre in etichetta e ben 40 birre alla spina che cercheranno di rappresentare in un unico contesto quanto di meglio gli artigiani birrai italiani sanno fare. Dal punto di vista gastronomico tutta la banda "Open" sarà supportata e sfamata da Gabriele Bonci e Andrea De Bellis che proporranno all'interno del locale una cucina da loro definita "al volo", quella che una volta si snocciolava in un "...mamma mi fai qualcosa in fretta che devo uscire?". Così, tra i vari tavoli del locale (interessante quello dove erano seduti Bolasco e Bonilli), ieri si sono potuti mangiare con gusto vari sfizi come polpettine al forno, fritti, mezze rosette ripiene al sugo di coda alla vaccinara, insalate "miste", etc...
Sicuramente le premesse sono buone, il locale è bellissimo e arriccohito da alcune stanze in stile folk dove bere una buona birra senza troppo caos attorno.
Dal 23 Settembre il locale sarà aperto al pubblico, speriamo abbia il meritato successo anche se vorrei ricordare che a Roma la grande birra artigianale non si beve solo qua ma potete trovarla anche da Colonna al “Ma che siete venuti a fa”, al “Bir&Fud” e da Alex al 4:20.

Tutti nudi in Borgogna per salvare il vino francese

Tutti nudi nel cuore della Borgogna per salvare il vino. E' l'idea dell’artista americano Spencer Tunick che torna a collaborare con Greenpeace. Questa volta sarà in Francia per allestire una delle sue installazioni 'senza veli' per mobilitare l’opinione pubblica sulla gravità dei cambiamenti climatici. L’evento, cui si può partecipare ovviamente solo nudi, si svolgerà il 3 e 4 ottobre 2009 presso una casa vinicola nel sud della Borgogna, dove l'impatto del riscaldamento globale sta mettendo in pericolo la produzione dei prestigiosi vini francesi. Il recente rapporto di Greenpeace 'Impacts of Climate Change on Wine in France' denuncia infatti come, con un aumento delle temperature oltre i due gradi centigradi, la Francia dovrà affrontare un drastico spostamento verso nord di numerosi ecosistemi, con gravi effetti per la produzione vinicola. Entro il 2100 si stima infatti che le aree vinicole si sposteranno a nord di mille chilometri. "Dobbiamo lasciar 'parlare' il nostro corpo - dice Francesco Tedesco, responsabile della campagna clima di Greenpeace Italia - per spronare i leader del mondo a salvarci dagli impatti del clima".

Da oltre quindici anni le opere di Tunick simboleggiano la relazione tra il genere umano e la natura:"Spero che il mio lavoro porti l’attenzione sulla vulnerabilità della nostra esistenza”. In tutto il mondo l’artista ha realizzato oltre 75 'body landscape' nel cuore di aree urbane o naturali , utilizzando centinaia di modelli, sempre completamente nudi. Modelli, ma anche gente comune. Greenpeace e Tunick invitano quindi a registrarsi e partecipare all’evento. L'unico requisito richiesto è 'lasciare a casa per due giorni i vestiti' www.greenpeace.fr/tunick.

(fonte Adnkronos)

Chissà se in Italia si potrebbe fare una cosa del genere magari per salvaguardare il nostro Brunello di Montalcino? Voglio Biondi Santi e Ziliani nudi per la causa!!