Visita a Chateau de Pibarnon - prima parte

Arrivare a Chateau de Pibarnon è estremamente difficoltoso, bisogna percorrere stradine strette, curve e controcurve, attraverso un pittoresco percorso caratterizzato da vigneti e da una bellissima vista sul “Bec de l’Aigle” e sull’Isola di Embiez.
L’Azienda, che raggiungiamo presso la sommità della collina del Telegrafo (chiamata così perchè qui si trova un vecchio telegrafo ottico che collegava Tolone a Parigi), si trova in posizione dominante sull’intera regione del Bandol e si estende attualmente per circa 45 ettari.
Caratterizzati dall’elevata altitudine, la maggiore di tutta l’Appellation Bandol, i vigneti aziendali sono stati impiantati a partire dal 1977, anno in cui il conte Henri de St-Victor ha acquisito la lussuosa residenza ora sede dell’azienda. Le viti, che prima erano in condizioni pietose, sono da allora aumentate sia in qualità che in quantità e sono state collocate, con esposizione sud-est, andando a formare piccoli terrazzamenti all’interno di quello che possiamo definire un vero anfiteatro vitivinicolo dove le uve, al riparo dal Mistral e grazie all’ottimale microclima della zona, acquisteranno finezza di aromi e complessità in virtù della loro lenta maturazione.
Il vero segreto di Chateau de Pibarnon e dei suoi splendidi vini, oltre al climat presente, sta nel terroir. I vigneti, infatti, sono piantati su terreni ciottolosi di origine triassica, vecchi di oltre 150 milioni di anni, caratterizzati da un’elevata percentuale di calcare che fornisce al vino una grande estrazione e concentrazione di tannini fini ed eleganti ed un bouquet di aromi complessi e di grande carattere. La presenza, inoltre, nel sottosuolo di marne blu del Santoniano, le stesse di cui possono godere ”Yquem” e “Petrus”, conferisce a questo terroir in particolare, e a Chateau de Pibarnon in generale, una caratteristica di unicità in tutto il territorio del Bandol.
Chateau de Pibarnon produce vini di ottima qualità, partendo dal bianco a base di Clairette, Bourboulenc, Rousanne, Viognier e Marsanne, per passare al rosè a base Mourvèdre e Cinsault, fino ad arrivare all’ottimo ed inimitabile rosso a base Mourvèdre con piccole quantità (circa il 5%) di Granache.

Durante la nostra visita Henri de St-Victor ci ha fatto degustare tutta la gamma dei suoi vini, inclusa una mini verticale di rossi di grande spessore qualitativo. Troverete le note nella prossimo articolo ma, ancora una volta, vi avverto che parleremo di grandissimi rossi con un rapporto qualità/prezzo imbattibile.

A presto!!

Visita al Domaine Tempier - Seconda Parte

Come promesso ecco qualche nota di degustazione di questi splendidi vini. In ordine ho bevuto:

Tempier Bandol Cuvée Classique 2006: vino estremamente equilibrato nonostante la giovane età. Al naso spiccano sentori fruttati di mirtillo, lampone, mora, melograno e una lieve nota erbacea. Al palato risulto ancora un pò rustico con un tannino ancora da smussare ma comunque equilibrato e gradevole. Manca un pò di lunghezza nel finale ma le potenzialità per un grande invecchiamento ci sono tutte.
Tempier Bandol Cuvée Spéciale La Tourtine 2005: naso molto intenso ed intrigante con belle note di ferro, quasi ematiche, poi terra, cuoio e frutta nera matura. In bocca ha un'altra stoffa rispetto al precedente, grande è la struttura e l'equilibrio di questo vino che perde quelle caratteristiche di rusticità e le trasforma in pura eleganza. Persistenza stavolta da campione. Ancora giovane, praticamente in fascie, andrebbe messo in cantina e ribevuto tra 15 anni minimo.
Tempier Bandol Cuvée Spéciale Cabassaou 2005: il gioiello di casa Tempier composto da puro Mourvédre e prodotto in pochissime bottiglie. Aprire questa bottiglia corrisponde ad un vero e proprio infanticidio. Sarò un killer enologico ma se questo vino, con l'affinamento, può solo migliorare non so cosa aspettarmi tra 10/15 anni visto che a tuttoggi è splendido. Naso che definirei carnoso, dove le note animali ed ematiche sono di rara purezza e giocano con le sensazioni di sottobosco e di frutta nera di rovo. Bocca potente, di grande estratto ma equilibrata con alcol e freschezza ben misurati. Persistenza infinita. La guida 2008 della “Revue de Vins de France" gli attribuisce un fantastico 19,5. Vino vicino alla perfezione stilistica. Sintetico invece il giudizio della guida Parker: eccezionale, 5 stelle. Ultima nota di colore, il vino viene citato nel film di recente uscita “Un’ottima Annata” con le seguenti parole: “Un vino talmente buono, che stenderebbe anche un uomo alto tre metri”.

Tempier Bandol Rouge La Migoua 2005: altro grande vino con un naso interessante dove si riconoscono nitidamente frutta nera matura (ciligia e marasca), speziato (pepe nero) e minerale, con leggeri segni di tostatura e animale. In bocca il vino è superbo, strutturato con bellissime percezione di aromi fruttati e minerali. Grande allungo nel finale per un vino già eccellente ma che, come gli altri, mostrerà la sua vera natura tra qualche anno.

Tempier Bandol Cuvée Classique 1999: bottiglia aperta e vino degustato in un bellissimo ristorante di Bandol. Colore di un rosso rubino ancora molto intenso e profondo, esprime al naso profumi terziari che esprimono ciliegia scura in confettura, grafite, catrame, caffè, sostanze ematiche e pelliccia. In bocca il vino è rotondo, complesso, ed esprime tutto quell'equilibrio che mancava al 2005 con un tannino ora meglio integrato e fine e un'acidita che nonostante i quasi 10 anni ancora è viva. Buona la persistenza finale per un palato che aspetta ancora con ansia che il vino affini ulteriormente in bottiglia.

Visita al Domaine Tempier - prima parte

Il Domaine Tempier rappresenta forse la quintessenza qualitativa dei rossi della regione del Bandol. Una volta arrivati con la macchina ti rendi subito conto che da queste parti i vignerons non vogliono stupirti con immensi castelli come avviene in Bordeaux, nè hanno quella vena un pò snob tipica di qualche produttore borgognone con la puzza sotto il naso. Davanti a noi c'è solo una normalissima dimora rurale che, come scoprirò, racchiude preziosi gioielli enologici.
Il Domaine Tempier appartiene alla stessa famiglia da più di 170 anni, anche se l'azienda, così come la conosciamo oggi, è stata creata nel 1940 da Lucien Peyraud dopo il suo matrimonio con Lucie Tempier. Lucien Peyraud fu determinante non solo per la nascita e lo sviluppo dell'azienda, ma è stato in quegli anni anche responsabile, in larga misura, sia del rilancio dell'uva Mourvèdre, al tempo quasi dimenticata, sia per la creazione della denominazione Bandol AOC.
Il Domaine Tempier, grazie al grande lavoro di Lucien e sua moglie, ha acquisito negli anni '50 due cru di grande importanza qualitativa: la vigna Tourtine e la vigna Migoua. La seconda, localizzata a Beausset-Vieux, si estende per circa 6 ettari e mezzo ed è piantata principalmente a Mourvèdre, sebbene ci siano anche impianti di Cinsalut e Grenache. Il cru Tourtine, invece, localizzato a Le Castellet, è una vigna di 7 ettari piantata in proporzioni simili alla precedente. Dalla questa vigna il Domaine produce due splendide cuvée: La Tourtine, appunto, composta da un 50% di Mourvèdre e il restante formato da Granache, Cinsault e Carignan, e Le Cabassaou (95% di Mourvèdre). Quest'ultima cuvée, che si traduce in scarpata, è prodotta da un solo ettaro di vigneto a Mourvèdre è posto nella parte bassa e ripida del vigneto. L'altra cuvée da singolo cru è la Migoua, formata da un 50 percento di Mourvèdre, 40 percento di Cinsault e una piccola percentuale di Grenache e Carignan. La cuvée classique, invece, è il frutto dell'assemblaggio di diverse uve proveniente da diversi parcelle del Domaine.

Oggi, dopo la morte di Lucien Peyraud avvenuta nel 1998, Daniel Ravier, animato dagli stessi obiettivi di rigore e qualità, conduce l'azienda, anche in veste di enologo, insieme agli altri membri della famiglia Tempier.

Il Domaine Tempier produce grandi vini rossi attraverso tecniche rigorose: assenza di fertilizzanti, potature verdi a Luglio, vendemmia manuale, vinificazione tradizionale attraverso mediante diraspatura totale dell'uva, macerazione a temperatura controllata. L'invecchiamento, che avviene dopo la malolattica, avviene in grandi foudres per un periodo che va dai 18 ai 20 mesi. Al termine il vino viene imbottigliato senza chiarificazione nè filtraggio. Nota di colore: Ravier procede a vinificare in base alle diverse fasi della luna. Strano ma secondo lui funziona.....

Ultima cosa: oltre a quattro vini rossi, l'azienda produce anche un notevole rosato, delicato ma al tempo stesso complesso. Tenetelo qualche anno in cantina e poi bevetelo. Puro godimento!!
Nel prossimo articolo butterò giù qualche nota di degustazione. Preparatevi per un viaggio sensoriale unico......

Stay tuned!!















Visita al Domaine de Terrebrune

Situato ad Ollioules, il Domaine de Terrebrune, inizia la sua gloriosa storia quando, nel 1963, Geoges Delille acquisito questa proprietà, dove prima si producevano vino, olive, fiori ed ortaggi, e iniziò un lavoro incessante fatto di ripristino delle terrazze, delle pareti e reimpiantando tutti i vigneti. La cantina, edificata all’interno della roccia ed sapientemente interrata, è stata costruita nel 1975 ed è stata oggetto di studio affinché possa valorizzare al massimo le uve e il vino attraverso il sistema di pompaggio dello stesso per gravità.
Camminando sulle orme del padre, nel 1980, anno di produzione della prima bottiglia, Reynal Delille prende in mano le redini dell’azienda dopo aver portato a termine gli studi di enologia. Durante la sua guida l’azienda continua la sua crescita qualitativa sempre rispettando la tradizione enologia del Bandol. Oggi l’azienda si estende per circa 30 ettari, di cui 27 dedicati alla produzione di vini AOC, e vanta una produzione media annua di 1000 ettolitri.
Il Domaine Terrebrune è situato in una zona climatica strategica in quanto è localizzato alle pendici del massiccio calcareo Gros Creveau vantando anche una stupenda vista sul golfo di Bandol: questa fa si che il Domaine benefici durante l'anno di un perfetto microclima dovuto all'influenza dei venti (soprattutto il mistral) che soffiano, anche violentemente in estate, portando aria fresca e asciutta, quindi favorevole al buon mantenimento dell'uva, Mourvèdre in particolare, che come dice proprio il nome del Domaine poggiano su un terreno marrone scuro di età antichissima.
Il Domaine Terrebrune rispetta moltissimo l’ambiente in quanto sono vietati pesticidi ed insetticidi, è permesso il solo uso di zolfo o solfato di rame. A giugno viene praticata la potatura verde che permette di raggiungere l’obiettivo di qualità di un grappolo per ogni tralcio (produzione di 35/38 ettolitri per ettaro). Vendemmia totalmente manuale al fine di preservare al massimo l’uva. A tal fine ogni singolo cru viene vendemmiato singolarmente e ciò fa si che la raccolta, che teoricamente si potrebbe fare in 12 giorni, termine quasi sempre in 30. Durante la vinificazione, le uve subiscono una pressatura soffice e la fermentazione del mosto avviene a temperatura controllata. La maturazione, per i rossi, avviene in botti da 50/60 ettolitri per 18 mesi: tale periodo permette al vino di stabilizzarsi e di chiarificarsi naturalmente. Una volta imbottigliato, il vino dovrà affinarsi per un ulteriore anno all’interno delle buie cantine aziendali.
Durante la mia visita all’azienda, effettuata grazie ad una gentile e bionda signora, ho degustato una batteria di splendidi vini:
Bandol Terrebrune 2006 bianco: da uve 40% Clairette, 35% Ugni Blanc, 15% Bourboulenc, 5% Rolle and 5% Marsanne, è un vino che al naso esprime sensazioni di frutta esotica e fiori bianchi ma, soprattutto, una mineralità soprendente. Un bianco che svolge la malolattica e che a detta della nostra interlocutrice è molto territoriale.
Bandol Terrebrune 2004 rosso: da un 85% di uva Mourvèdre con il restante di Grenache e Cinsault, questo vino presenta al naso sentori di frutti rossi di rovo, ciliegia, tabacco e liquerizia. Giovane in bocca visto l’elevata tannicità, presenta un finale lungo e fruttato giocato su sentori di prugna matura e mora. Gran bel vino che potrà dare il meglio tra qualche anno…
Bandol Terrebrune 1998 rosso: contrariamente M precedente il vino ha un 80% di Mourvèdre, e presenta al naso sentori molto più complessi che vanno dalla prugna secca al mallo di noce, dal tabacco per pipa all’humus, dalla grafite al foxy. Bocca estremamente elegante ed equilibrata con un tannino che si fa ora setoso e carezzevole. Grande persistenza finale per un vino da applausi.
Bandol Terrebrune 1987 rosso: la mia sorpresa in questo caso, oltre al vino, è legata all’estrema gentilezza della nostra interlocutrice che apre al pubblico bottiglie così importanti e preziose. Magari lo facessero le altre aziende, italiane incluse! Vino sublime prodotto con solo il 60% di Mourvèdre. Naso caleidoscopico:sottobosco, fungo porcino, humus, tabacco e torrefazione si intrecciano uno nell’altro creando un impatto olfattivo di grande eleganza. Raffinato il tannino e, nonostante i venti anni, il vino presenta ancora un’acidità che promette ancora lunga vita. Chapeau!
Bandol Terrebrune 2007 rosè: 50% Mourvèdre e il resto diviso equamente tra Granache e Cinsault, presenta all’olfattiva note di pompelmo rosa, ciliegia acerba, mandarino, susina e burro. Vino dotato inoltre di una spiccata mineralità data dal terreno calcareo-argilloso di epoca preistorica. Vino che costa circa 14 euro e che, per questo, rappresenta un prodotto dall’elevato rapporto qualità/prezzo.
Bandol Terrebrune 1994 rosè: mi avevano detto che Bandol era terra di grandi rosati da invecchiamento e questo 1994 me ne ha dato la prova. Naso splendido giocato su note di miele, cera d’api, frutta secca e cannella. Bocca di un equilibrio strepitoso. Finale lungo e persistente giocato su note di miele e uva passita. Grande sorpresa per uno dei rosati a più alta longevità della Francia (e non solo….)
Concludendo, ringrazio tutto lo staff del Domaine de Terrebrune per la cordialità con cui ci ha accolto e per i grandi vini che ci ha fatto degustare, unici, come unico è il loro rapporto qualità/prezzo, davvero eccezionale.

BANDOL: UNA TERRA DI GRANDI VINI

I vigneti nella zona del Bandol esistono da sempre, da quando nel quinto secolo a.C. fu istituita dai focei la colonia di Taurois, ribattezzata in seguito dai romani come Tauroentum, sulle cui alture oggi troviamo i vigneti della città di Castellet. Quando i romani si installarono in Provenza, trovarono in quella zona numerosi vigneti che sfruttarono tanto brillantemente che diventarono celebri in tutti l’impero. Prova di ciò sono i resti delle anfore ritrovate a bordo delle galere ritrovate tra Bandol e l’isola di Bendor.
La storia più recenti invece ci dimostra che i vini di questa zona erano molto famosi a corte già nel XVI secolo e furono molto apprezzati da Luigi XV che era solito ordinare del vino proveniente dall’area di Rouve, un territorio compreso nel comune BEAUSSET.
Col passare dei secoli continua a crescere la fama dei vigneti e dei vini del Bandol anche se tutto questo, come la storia ci insegna, ebbe una tremenda e netta frenata quando le devastazioni di oidio nel 1868 e la phylloxèra nel 1870 devastarono e distrussero tutti i vigneti francesi. Rovinati completamente, la maggior parte dei viticoltori capitolò per l'immenso costo della ricostruzione dei vigneti, la cui redditività era resa ancora più incerta con l'avvento della ferrovia che sconvolse il mercato dei vini francesi. Un piccolo gruppi di intrepidi coloni, tuttavia, ebbe l'ardire di reimpiantare in quelle aree così depresse Cinsault, Grenache e soprattutto Mourvedre, l'uva tradizionale della regione. I vigneti ricrebbero lentamente e nuove generazioni di viticoltori, attraverso la formazioni di un sindacato, optarono all’unanimità verso una produzione di qualità. I loro sforzi vennero premiati nel 1941 quando ai vini del Bandol fu riconosciuto il titolo di Appellation d'Origine Contrôlée, una delle prime in Francia concesso per decreto.
Bandol è un'area vinicola relativamente piccola - appena 1480 ettari – e si estende su 8 comuni: Bandol, Le Bausset, Le Castellet, La Cadière d'Azur, Saint Cyr sur mer, Sainte Anne d'Evenos, Sanary e Ollioules.
Protetto dagli sbalzi termici data dalla vicinanza del Mediterraneo, il vigneto gode di 3000 ore di sole all’anno e il Mistral aiuta a mantenere un clima perfettamente sano anche dopo le abbondanti precitazioni. Il suolo anch’esso è importante per la qualità dei vini: nell’area troviamo un terreno arido di tipo marno-calcareo-arenoso che conferisce al vino grande struttura e complessità.
A Bandol si producono sostanzialmente due tipologie di vino: rosè giovani e freschi (anche se non mancano esempi di rosati da invecchiamento come vedremo quando parlerò del Domaine de Terrebrune) e rossi di grande complessità e struttura da conservare in cantina per anni. I vini bianchi, da uve Clairette, Bourboulenc e Ugni blanc, rappresentano una sparuta minoranza in quanto rappresentano solo il 5% della produzione totale.
L'uva principale utilizzata per la produzione dei vini di Bandol, sia rosati sia rossi, è il Mourvèdre, che in questa area si esprime ottimamente soprattutto grazie alle base rese (circa 30hl/ha). I vini rossi di Bandol prevedono almeno il 50% di Mourvèdre, mentre la restante parte può essere costituita da Grenache e Cinsault. E’ammessa la possibilità di utilizzare come vitigni secondari anche Syrah, Carignan, Tibouren, e Calitor per un limite massimo del 20%. Le stesse uve sono utilizzate anche per la produzione dei vini rosati. Il disciplinare prevede per i rossi almeno 18 mesi di invecchiamento in botte mentre i rosati e i bianchi possono essere ammessi alla vendita già a partire dall’anno successivo.

Mega gaffe di Wine Spectator

FORCHETTE, stelle e bicchieri d'oro. Oggi ad inumidire le papille gustative dei clienti non è più quell'odorino d'arrosto che esce dalla cucina del ristorante ma la quantità di riconoscimenti e premi che le guide specialistiche assegnano al locale. Attenzione però. Non è tutto oro quel che luccica, proprio come insegna la storia di Robin Goldstein. Scrittore ed esperto di vini, Goldstein si è finto proprietario di un locale di Milano, l'Osteria l'Intrepido, ha messo su un finto sito, inventato un menu e una carta dei vini ed è riuscito così ad aggiudicarsi il prestigioso Award of Excellence assegnato dalla bibbia delle riviste di vini, Wine Spectator, ai ristoranti con le migliori cantine al mondo. "Dopo avere scritto il mio primo libro dedicato ai vini, ho deciso di scoprire come il magazine Wine Spectator assegnava i suoi premi di eccellenza ai migliori ristoranti", spiega lo scrittore. "Così, come integrazione di una più ampia ricerca accademica sugli standard dei premi enologici alla quale sto lavorando, ho deciso di compilare una domanda per l'assegnazione dell'Award da parte del Wine Spectator". Ha così inizio il grande bluff di Goldstein che si dichiara proprietario dell'Osteria l'Intrepido, un ristorante di Milano inventato giocando sul nome di una serie di guide culinarie. Oltre alla compilazione della domanda, invia la ricevuta di pagamento della tassa di partecipazione, pari a 250 dollari, una lettera di presentazione, una copia del menu del ristorante e una lista dei vini.
Per il menu l'Intrepido propone una selezione dei migliori piatti della tradizione italiana, riletti in chiave contemporanea e con l'aggiunta di dettagli alla moda. Si va dal culatello di Zibello al fois gras con brioche e miele di castagna, dall'uovo in raviolo al risotto con pancetta croccante, per concludere con il raffinato soufflé di parmigiano reggiano. E, nel rispetto delle consuetudini dei ristoranti più glamour, i prezzi sono naturalmente alti. Ma è soprattutto nella carta dei vini che Goldstein dà il suo meglio, inventando una selezione ad hoc di rossi italiani scelti tra i peggiori vini segnalati proprio da Wine Spectator. Così a suon di bottiglie di Amarone del 1998, definito "not clean", di un "aggresive" Barolo, di un "wrong" Cabernet Sauvignon, e di tanti altri vini giudicati mediocri, una finta osteria, con un finto menu, si aggiudica l'Award of Excellence del Wine Spectator. L'assegnazione del premio viene formalizzata con la pubblicazione sul numero di agosto della rivista cartacea e subito dopo l'Intrepido viene inserito nel database del
sito. Ma da qui scompare il 15 agosto, data nella quale Robin Goldstein presenta l'eccezionale risultato della suo "grande bluff" al consueto meeting dell'America Association of Wine Economists tenutosi a Portland. "Naturalmente è preoccupante che un ristorante inesistente possa vincere un premio di eccellenza - ha commentato Goldstein - ma è ancora più preoccupante che il premio non sembri affatto legato alla qualità delle liste vini dei presunti ristoranti". Ancor più grave poi che, nonostante i vini inseriti nella carta de l'Intrepido fossero stati giudicati totalmente mediocri dallo stesso Wine Spectator, il premio sia stato ugualmente assegnato. Insomma sembra proprio che il business del vino sia molto più interessante della qualità del nettare, soprattutto per un colosso del settore come Wine Spectator che da questo giro di assegnazione premi sembra incassare qualcosa come 700 mila dollari annui.

(fonte Repubblica.it)

Tornato........!!

Eccomi qua appena tornato dalle vacanze estive passate quest'anno in Francia dove ho fatto un bellissimo tour tra le cantine dell'area del Bandol, un'area vinicola relativamente piccola - appena 600 ettari - ma che vanta vini strepitosi e dal grande rapporto qualità prezzo.
Un'altra tappa della mia vacanza è stata l'area del Rodano del sud, precisamente Châteauneuf-du-Pape, dove anche qui ho potuto scoprire un paio di cantine di grande interesse (grazie anche ai consigli di Mike Tommasi) come Clos Mont Olivet e Jean Royer.
Appena riordino il materiale scriverò il primo articolo dedicato ai vini del Bandol e, in particolare al Domaine Terrebrune, piccola grande azienda che produce dei rosati meravigliosi e dei rossi di grande invecchiamento.

Percorsi Di Vino va in vacanza....

Due settimane di meritato riposo che passerò in Francia, zona Bandol e Chateauneuf du Pape. Andrò a visitare interessanti aziende vitivinicole e a scoprire grandi vini francesi. Prometto al mio ritorno un reportage dettagliato.Un saluto.
Andrea Petrini

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale. Terza parte: la realizzazione

Nella seconda parte abbiamo parlato della pressatura. Proseguendo, diciamo che il mosto ottenuto viene messo in piccole botti (quasi sempre di rovere, ma anche di castagno) chiamate caratelli, di una capacità che mediamente varia dai 50 ai 90-100 litri. I caratelli non sono come le barriques, non si cambiano dopo 3-4 anni ma devono durare moltissimo e venire cambiati solo quando perdono in maniera irreparabile oppure danno odori sgradevoli al Vinsanto. All'interno del caretello viene immesso il mosto dopo decantazione e (ma qui ci addentriamo in uno dei misteri del Vinsanto) "la madre". Questa è una specie di sedimento scuro e denso. E' formato da famiglie di fermenti e/o lieviti che hanno la capacità di vivere e moltiplicarsi in un ambiente così ricco di zucchero come, appunto, il mosto. Chi usa la madre non la getta mai, ma la travasa da un caratello all'altro.
I produttori si dividono in due famiglie: quelli che usano la madre e quelli che la ritengono inutile. In effetti il mosto fermenta anche senza la madre, ma i suoi sostenitori danno per certo che il suo apporto dia caratteristiche uniche e soprattutto una certa omogeneità, anno dopo anno, al prodotto.
Il caratello non viene colmato ma riempito al massimo per due terzi, altrimenti il mosto, fermentando, lo farebbe esplodere. Molto sigillano ermeticamente la botticella, addirittura murandone l'apertura. Altri, più modernisti, si limitano a tapparla, mantenendosi la possibilità di controllare l'andamento della fermentazione. Una volta nel caratello il mosto viene messo in una zona soggetta a sbalzi termici. Di solito si usano delle soffitte o i soppalchi. Qui, fermentando quando il calore esterno lo permette e fermandosi quando il freddo blocca i lieviti, il nostro futuro Vinsanto nasce con tutta la calma del mondo. Mediamente ci vogliono infatti oltre 5 anni per ottenere un buon prodotto, ma vi sono cantine che allungano l'invecchiamento sino ai dieci.
Un momento particolare è l'apertura dei caratelli. Si tratta di una vera e propria festa. In religioso silenzio si rimuove la muratura o la ceralacca, poi si toglie il tappo e si annusa. Se l'odore è quello giusto si tira un sospiro di sollievo anche se, può capitare, che dopo anni di attesa si debba buttare tutto il contenuto, madre compresa. Per evitare questo, forse, si è creata una scuola "moderna" di fare Vinsanto. Si parte dalle stesse uve e dagli stessi sistemi di appassimento, le cose cambiano durante la fermentazione che avviene anche in barriques (rigorosamente senza madre) aperte, per poter meglio controllare il processo. I tempi di maturazione e fermentazione sono più brevi anche se per i Vinsanti DOC si deve sempre rispettare il disciplinare.

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale. Seconda parte: l'appassimento

Come già detto le uve vengono raccolte sia "a prenzoli" sia "a grappoli". Nel primo caso si tratta di due grappoli collegati da un tralcio, nel secondo di grappoli singoli staccati normalmente dalla pianta. La differenza tra i due sistemi di raccolta si ripercuote sul tipo di appassimento. I prenzoli appassiscono attaccati a dei ganci di ferro che formano delle catene verticali sino quasi a toccare terra, i grappoli sono stesi su cannicci e questi vengono posti l'uno sopra l'altro sino a formare dei "castelli" di 7-8 piani,a lti più di 2 metri. La differenza è tutta nella tradizione: con i ganci si riesce ad appassire più uva nello stesso spazio, con i cannicci i grappoli stanno più distanziati e forse possono appassire meglio. L'appassimento si svolge naturalmente grazie ai finestroni degli appassitoi che vengono aperti quando il clima è secco e chiusi quando piove o c'è umidità. Non esiste tradizione di usare la ventilazione forzata, anche se qualcuno ha messo dei grossi ventilatori sul soffitto. L'uva rimane ad appassire per alcuni mesi: c'è chi pressa (in gergo si dice "stringe") le uve alla fine di novembre, chi intorno a Natale e chi arriva addirittura ad aprile. La differenza sta tutta nel grado zuccherino che raggiunge il mosto. Più avanti si va col tempo, più il processo di appassimento toglie acqua e concentra le sostanze nei chicci (zuccheri, ma anche sostanze acide, altrimenti il risultato finale sarebbe uno sciroppo) ottenendo così un mosto e, dopo molto tempo, un vino più dolce. Si potrebbe dire che, essendoci più zuccheri nel mosto, si avrà un vino più alcolico. Questo è vero sino ad un certo punto, perchè se la concentrazione zuccherina nel mosto è elevatissima i lieviti non riescono a trasformare che pochi zuccheri in alcol. Avremo così un vino con gradazione alcolica bassa (anche sotto gli 11°) ed un residuo zuccherino elevatatissimo. Tradizionalmente i Vinsanto toscani hanno una gradazione che varia tra i 15° e i 19° ed una dolcezza che cambia da zona a zona. In Chianti si fanno Vinsanti più secchi, mentre verso Montepulciano si prediligono più abboccati o dolci.

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale - prima parte

Gira da sempre una grossa frottola pseudo storica sul come sia nato il nome Vinsanto. Pare sia stato coniato addirittura nell'unico Concilio Ecumenico tenutosi a Firenze nel 1439. Narra la leggenda che durante uno dei banchetti ufficiali il Patriarca Bizantino, assaggiando uni vino dolce locale esclamasse estasiato "Ma questo è come il vino di Xantos!", riferendosi a quello prodotto nella Licia (oggi Turchia) di cui Xantos era capitale storica. Altra variante, puramente senese, parla di un frate francescano che durante la peste del 1348 curava le vittime con il vino normalmente usato per celebrare la messa. Sembra che avesse ottenuto buoni risultati visto che subito si diffuse la convinzione che tale vino possedesse proprietà miracolose, fosse cioè un Vino Santo.

In realtà il termine deriva quasi sicuramente dal fatto che veniva usato per la messa, visto che il vino normale, tenuto all'aria aperta, si ossidava velocemente e diveniva imbevibile.

Ma come si produce tale vino? Il Vinsanto è figlio di una tradizione che si declina in centinaia, forse migliaia di modi, tanti quanti sono e sono stati i produttori di questo vino. Se infatti l'enologia moderna ha preso fortemente piede nella produzione di vini rossi e bianchi, standardizzando talune procedure, per il Vinsanto il discorso è completamente diverso. Come dice un famoso produttore di Montepulciano "Sul Vinsanto si può dire tutto e il contrario di tutto: è un mistero, dopo quelli ecclesiali, tra i più incomprensibili." Non esistono studi che raccolgano dati cercando di trarne un senso comune ed anche se ci fossero nessun produttore accetterebbe di cambiare il proprio modi di fare il Vinsanto seguendo teorie altrui.

Per questo vedremo per prima cosa di spiegare il processo in grandi linee e poi cercheremo di presentare le principali "scuole di pensiero".
In primo luogo parliamo dell'uva. Storicamente il Vinsanto toscano nasce da un uvaggio di Trebbiano e Malvasia Bianca. C'era pure un terzo vitgigno, il San Colombano, ormai praticamente estinto. In alcune zone, tipo Montepulciano, viene usato anche il Grechetto. Di questa triade l'anello debole è sicuramente il Trebbiano, con grappoli troppo grossi e dalla buccia troppo sottile per reggere bene l'appassimento. Le uve vengono raccolte prima della vendemmia dei rossi e scelte con attenzione: solo i grappoli migliori, quelli che non hanno nessun chicco mangiato o schiacciato vengono presi per il Vinsanto. Sono raccolte in due modi: "a prenzoli" o "a grappoli".


Continua...............

CALICI ALLE STELLE 2008: BRINDIAMO ALLA NOTTE DI SAN LORENZO

Arte, musica, tutto il romanticismo delle stelle, a Roma il 10 e 11 agosto per Calici di Stelle, il tradizionale appuntamento estivo firmato dal Movimento Turismo del Vino e dalle Città del Vino.
Al Bioparco del Giardino Zoologico di Villa Borghese tanti gli appuntamenti messi in programma da Movimento Turismo del Vino Lazio e Città del vino per la manifestazione. A partire dalle ore 21.00, si apre l’imperdibile due-giorni con banchi d’assaggio e degustazioni di vino, spettacoli e musica dal vivo per la gioia dei tanti turisti che affolleranno la capitale per le vacanze estive.
I visitatori potranno essere anche accompagnati dagli esperti astrofili dell’Associazione Astrofili di Roma in un viaggio alla scoperta della volta celeste, grazie a potenti telescopi posizionati nel parco.
Nella notte delle stelle cadenti, saranno molti gli enoturisti che, in visita alla città eterna, non vorranno perdere l’occasione di una serata romantica, con gli occhi al cielo a contare le scie luminose, assaporando aromi e profumi di un buon bicchiere di vino. Per chi, invece, si appresta a vivere Calici di Stelle fuori città, due imperdibili appuntamenti in provincia di Latina. Prima che faccia notte, la romantica luce del tramonto sul lago di Fogliano, e il verde rigoglioso dei filari faranno da sfondo ad un ricco buffet nella Cantina Ganci (Borgo Isonzo), con i prodotti genuini della fattoria, e la passione della cucina siciliana. Il tutto accompagnato naturalmente dai vini dell’ azienda. Poi tutti sul prato con gli occhi “all’insù” per gustare lo spettacolo del cielo d’agosto.
Gli astrofili dell'Associazione Tuscolana di Astronomia, esperti conoscitori del cielo, accompagneranno gli ospiti in una fantastica passeggiata attraverso le stelle, le galassie e le costellazioni più belle e interessanti del cielo estivo, per passare insieme una serata indimenticabile.
Presso l’azienda I Pampini (Acciarella) sarà, invece, proposto su prenotazione un buffet vario e gustoso accompagnato a calici di vino; alzando gli occhi, attratti dalla bellezza della volta celeste, si potranno vedere quelle lontane scie luminose e in un momento così suggestivo esprimere un desiderio…Per maggiori informazioni: Movimento Turismo del Vino Lazio:Tel. 06 8604694


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Vino e Finanza: Avignonesi diventa di proprietà belga

La famiglia Falvo, fondatrice di Avignonesi, una delle più importanti realtà produttive di Montepulciano (il Vin Santo e l’Occhio di Pernice sono due must nel mondo, come pure il Nobile), ha ceduto il pacchetto di maggioranza dell’impresa vitivinicola a Virginie Saverys, componente dello staff dirigenziale della compagnia marittima con sede ad Anversa Compagnie Maritime Belge NV.La Saverys, attraverso la società di capitale belga “Victrix”, era già in possesso di una quota (30%) di Avignonesi, rilevata esattamente un anno fa, quando Ettore Falvo decise di lasciare l’azienda. L’affare, di cui non si conosce l’entità in termini di cifre, è stato chiuso a metà luglio e comprende anche la cessione della società di distribuzione di vini e distillati “Classica”, sempre proprietà di Avignonesi.La famiglia Falvo resta proprietaria della Masseria Li Veli, l’azienda vitivinicola pugliese acquistata nel 1999 e del 10% di Avignonesi, che continuerà a gestire nei prossimi cinque anni, mantenendo alla presidenza Alberto Falvo.

Fonte: winenews

Non so a voi, forse sarà troppo campanilista, ma che una società belga acquisti una impresa italiana fa un pò rabbia. Possibile che, tra le mille aziende italiane che vengono acquisite da capitale straniero, non riusciamo a mantenere sotto il tricolore nemmeno Avignonesi, vanto dell'enologia italiana?



Grattamacco 1999: ancora magie da Bolgheri.....

Grattamacco, nata nel 1977, si trova sulla sommità della collina che si affaccia sul mare tra Castagneto Carducci e Bolgheri a 100 metri s.l.m. in una zona particolarmente vocata per la produzione di grandi vini e gode di un clima asciutto, mite e con notevoli escursioni termiche alla fine dell'estate. L'azienda si estende su un'area di circa 30 ettari di cui 11 ettari sono di vigneto e 3 ettari a oliveto. L'area rimanente è coperta da boschi.

Il Grattamacco, vino di punta aziendale, nasce da una vigna di 10 ettari posta a 100 metri s.l.m., i terreni presenti sono arenarie calcalifere, argille miste a flysh calcareo marnoso e argille calcaree. La densità di impianto varia tra 4500 e 5400 ceppi per ettaro con una resa di circa 55 quintali. La potatura viene effettuata a cordone speronato e guyot semplice, la raccolta delle uve totalmente manuale. L'eta media dell'impianto è di circa 15 anni. La vinificazione inizia con la fermentazione alcolica in tinelli di legno tronco conici aperti mentre la malolattica avviene in acciaio. L'invecchiamento prosegue per 18 mesi in barrique di primo e secondo passaggio. Affinamento di almeno 12 mesi in bottiglia.
Il vino è un riuscitissimo blend composto da un 65% di caberne sauvignon, 25% di merlot e il restante 15% di sangiovese.

Il 1999 da me degustato, di un bel colore rubino con unghia granata, si presenta con un impatto olfattivo di tutto rispetto dove le note di frutta rossa matura (prugna e marasca) lasciano subito spazio a sentori di spezie scure, grafite, cuoio, terra e tabacco. Se l'olfattiva è di tutto rispetto, il palato è invece spettacolare grazie ad bellissimo equilibrio tra componenti dure e morbide che sembrano fondersi perfettamente. Lunghissimo il finale giocato su note di confettura e humus.
Perfetto su uno spezzatino di cinghiale toscano. Alla prossima....

Un tuffo nel Mediterraneo con lo Scrio 2004 Le Macchiole

L’Azienda Agricola le Macchiole, il cui nome ha origine dal luogo in cui inizialmente sorgeva, è nata nel 1975 quando Ottorino e Umberto Campolmi, decisero di vendere il vino prodotto dalle proprie vigne applicando metodi di vinificazione della tradizione contadina locale. La produzione era limitata e la qualità scarsa a causa della posizione del vigneto e della composizione del terreno, entrambe poco adatte ad una produzione di prestigio; ma lo scopo di vendere un vino genuino, era ragginto e questo bastava. Nel 1981 subentra il nipote Eugenio Campolmi che, nell’arco di pochi anni, cambia totalmente l’impostazione aziendale. Per prima cosa trasferisce i vigneti in una zona (quella attuale) ai piedi delle colline bolgheresi dove i terreni sono più adatti. Purtroppo la realtà vitivinicola della zona è troppo giovane per consentire delle scelte giuste senza dover ricorrere a fasi sperimentali sia per quanto riguarda la scelta del cloni che per quanto riguarda i sesti di impianto: per questo gli impianti non sono tutti uguali. Dal 2002 Cinzia, moglie di Eugenio, scomparso tre anni fa, dirige l’azienda con un tale entusiasmo e capacità che si può tranquillamente annoverare tra le grandi donne del vino italiano. La tenuta de Le Macchiole si estende per 22 ettari e sorge su terreni argillosi, profondi, elastici e dotati di un ottimo scheletro, che nutrono le viti esaltandone la peculiarità. La tenuta si compone di vigneti molto stretti, circa 10.000 piante per ha, caratterizzate da potature molto corte a cordone speronato doppio guyot e diradamento delle uve in modo tale che la produzione per pianta non superi gli 800/1000 gr. per pianta. Ogni fase di lavorazione viene eseguita a mano o con le forbici. Con la stessa professionalità con cui si dedicano al al lavoro in vigna, l'azienda si occupa dei vini durante il processso di vinificazione ed affinamento in cantina. Qui Le Macchiole, grazie a tecniche innovative e la ricerca di legnami selezionati, cerca di esaltare al massimo le caratteristiche dell'uva ottenendo un vino di grande espressione, caratterizzato da aromi e fragranze uniche.

Lo Scrio è un bellissimo Syrah in purezza, la cui prima annata risale ormai al 1994, che con l'annata 2004, secondo me, ha raggiunto l'apice della sua fase qualitativa. E' un vino Mediterraneo, dove eleganza e potenza sembrano aver raggiunto un perfetto equilibrio. Se provate a chiudere gli occhi e a mettere il naso nel bicchiere, vi sembrerà di essere in mezzo ad un campo di erbe aromatiche dove timo, alloro, eucalipto, rosmarino, ginepro, sembrano fondersi una unica carezza aromatica. Bellissima anche la nota fruttata e la speziatura tipica del syrah. In bocca il vino ha grande struttura ed equilibrio, con un tannino dolcemente integrato e ben supportato dall'acidità tipica del syrah. Finale di grande persistenza e balsamicità. Da berne a secchi abbinato a salumi di cinta senese......

Gianni Masciarelli e il suo Montepulciano Villa Gemma...

E' il 1984 quando Gianni Masciarelli crea il suo Villa Gemma, un Montepulciano innovativo a suo tempo visto che veniva prodotto con tecniche innovative per il tempo scegliendo di affinare il suo vino per lungo tempo in barrique.
E' subito un grande successo e insieme agli altri grandi d'Abruzzo come Edoardo Valentini e Emidio Pepe, contribuisce al rilancio della tipologia non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Il Villa Gemma, proviene da uve del vigneto di San Martino sulla Marrucina, posto a 350 metri e considerato dallo stesso Masciarelli uno dei migliori 50 cru del mondo. La fermentazione, della durata di 15-20 giorni, avviene a temperatura libera fino a 30° mentre la macerazione, al fine di estrarre tutte le componenti fenoliche dell'uva, può arrivare anche ad un mese. Come detto in precedenza, il montepulciano viene poi invecchiato in barriques nuove per 18-24 mesi e successivamente affinato in bottiglia per altri 12 mesi.

Il Montepulciano Villa Gemma 1997 da me degustato qualche mese fa si presentava alla vista, nonostante oltre dieci anni, ancora di un bel rosso rubino intenso, cupo. I profumi sono intensi, avvolgenti di mora, prugna, tabacco, grafite, liquerizia, carrube, tamarindo, cioccolato fondente. In bocca il Montepulciano esprime tutto il suo carattere e la sua forza tannica ora, forse, leggermente più controllata grazie all'età. Vino che chiude lunghissimo su ricordi di frutta rossa e goudron e che potrà evolvere in bottiglia per alcuni decenni.Vino di vero terroir, vino di Masciarelli!


Credo che chiunque si sia chiesto almeno una volta "Chi me lo fa fare?". Io trovo la risposta nel destino della mia famiglia, nell'amore che porto alla mia terra e nelle soddisfazioni che ricevo dal mio lavoro.


Gianni Masciarelli

E' morto Gianni Masciarelli

Era stato ricoverato martedì in seguito ad un ictus sofferto la notte di lunedì; le condizioni molto gravi avevano indotto i medici ad optare per il coma farmacologico. Purtroppo, non c'è stato nulla da fare. CI LASCIA UN ALTRO GRANDE VIGNAIOLO. RIPOSA IN PACE

Ornellaia 2005: festeggiamo davvero il ventennale della Tenuta dell' Ornellaia?

La Tenuta di Ornellaia fù fondata nel 1981, in seguito al sogno del Marchese Lodovico Antinori di dare vita ad ua nuova, eccezionale azienda vinicola, su una proprietà ereditata dai Della Gherardesca, a cui appartiene il ramo materno della famiglia. La Tenuta sorge in una zona costiera ancora selvaggia della Maremma Toscana. Ispirandosi all'esperienza fatta da Suo zio nella vicina tenuta di Sassicaia, Lodovico ha scelto di piantare Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, i vitigni più adatti a beneficiare del "terroir" del'azienda.

L'Ornellaia è vino simbolo dell’azienda, nato nel 1985 e risultato di un’attenta selezione di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Il prezioso rosso è affinato in barriques di rovere francese per un periodo di 18 mesi, con affinamento in bottiglia per 12 mesi. L’annata 1998 è stata consacrata dal Wine Spectator “Miglior Vino al Mondo” e l’annata 2001 ha ricevuto i massimi riconoscimenti delle principali guide enologiche italiane e internazionali.

Per produrre l'Ornellaia le uve sono state raccolte a mano in casse da 15 kg. I grappoli attentamente valutati sono stati selezionati con cura su un doppio tavolo di cernita, prima e dopo la diraspatura. Dopo una pigiatura soffice, ogni varietà e parcella è stata vinificata separatamente dando origine ad un totale di 54 vini base interpreti della grande diversità dei terroirs della Tenuta. Alla fermentazione di una settimana in vasche d'acciaio inosiddabile alla temperatura di 26-30° C ha fatto seguito un periodo di macerazione di 18 giorni. La fermentazione malolattica è avvenuta in barriques di rovere (al 70% nuovi e 30% di secondo passaggio). L'affinamento in barriques è durato complessivamente 18 mesiin ambiente a temperatura controlla. Dopo i primi 12 mesi di affinamento è stato effettuato l'assemblaggio, e il vino è stato poi reintrodotto nelle barriques per ulteriori 6 mesi. Il vino è stato quindi sottoposto ad un ulteriore affinamento in bottiglia per 12 mesi prima dell'immissione sul mercato. E il risultato?

Di un colore rubino intenso, il vino al naso è ancora marcato dal legno e dalla vaniglia in eccesso anche se escon fuori col tempo sensazioni erbacee, di frutta rossa matura, grafite, tabacco e un lieve balsamico. In bocca il vino è caldo, morbido, rotondo, con un tannino abbastanza equilibrato e un finale di discreta lunghezza che ricalca quanto avevamo sentito al naso. Un vino forse da aspettare, forse un pò troppo "internazionale" per i miei gusti. Non me la sentirei di consigliare ad un amico di spendere, ad oggi, oltre 100 euro in enoteca per comprare questo vino. Se proprio volete bere Ornellaia stappate una bottiglia del 1998 o, se preferite, un 2001, forse l'ultima grande annata per questo vino che sta piano piano prendendo una strada troppo lontana dai miei gusti. Un'altra critica, anche a giudizio di altri amici "bevitori", riguarda la confezione nella quale è venduta la bottiglia: per il ventennale mi sarei aspettato un astuccio in legno e non in cartone che, tra le altre cose, lascia spesso il suo colore viola sull'etichetta della bottiglia. Parlando poi di formati maggiori, la serigrafia celebrativa in oro è troppo delicata e si rovina facilmente.

Nota di colore: da Christie' s a New York la Salmanazar di Ornellaia vendemmia 2005 da 9 litri , esemplare unico al mondo, è stata battuta all'asta per quasi 28 mila euro...Complimenti!!

Sagrantino Passito 2003 Scacciadiavoli: un sorso "dolce" di Umbria

E' una delle più antiche aziende del territorio di "Montefalco". Il nome Scacciadiavoli deriva da un antico borgo, che sorge in prossimità dell'azienda, in cui viveva un esorcista (Scacciadiavoli). La cantina costruita nella seconda metà dell'800 e recentemente restaurata, è razionale e dotata di moderni impiamti. A metà del secolo XX, il nonno degli attuali proprietari, Amilcare Pambuffetti, acquisiva la proprietà. La dimensione attuale è di ha 130 di superficie di cui ha 30 investiti a vigneto. La produzione attuale è di 150.000 bottilgie che diventeranno 250.000 quando tutti i vigneti saranno in produzione. I terreni, posti in comune di Montefalco ad una quota compresa tra i 300 ed i 350 metri, sono prevalentemente argilloso-sabbiosi, con una buona capacità di drenaggio. Il 50% della superficie vitata è piantata con il vitigno Sagrantino; il restante 50% è rappresentato da Sangiovese, Merlot e Cabernet. I vini prodotti sono: il “Montefalco Sagrantino DOCG” , il “Montefalco Sagrantino Passito DOCG”, il “Montefalco Rosso DOC” ed il “Grechetto dell’Umbria IGT”.

Il vino “ Montefalco” Sagrantino “Passito”, per disciplinare, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche


  • colore: rosso rubino carico talvolta con riflessi violacei e tendenti al granato con l’invecchiamento;
  • odore: delicato caratteristico che ricorda quello delle more di rovo;
  • sapore: abboccato, armonico, gradevole;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 14,5%;-
  • residuo zuccherino minimo: 30 gr.;
  • acidità totale minima: 5 per mille;
  • estratto secco netto minimo: 30 per mille.
In una fresca sera d'estate è gradevole bere dei vini dolci e la mia scelta, questa volta, è caduta sull'ottimo sagrantino passito Scacciadiavoli dell'annata 2003. Il colore è un bellissimo rosso granato e al naso si presenta con il caratteristico bouquet aromatico composto da note di prugna matura, amarena cannella, vaniglia, cioccolato fondente e pepe nero. Al palato il vino travolge i sensi. Suadente con la sua morbidezza, accarezza il palato col suo tannino vellutato ben bilanciato da un alcol presente ma non invadente. Il finale è di quelli interminabili giocato sulle sensazioni olfattive iniziali. Un vino che, a differenza di molti passiti, non è affatto stucchevole e che può essere abbianto in maniera eccellente a formaggi erborinati e a crostate di frutti rossi.

Soave La Rocca 2000 Pieropan: piccoli appunti di degustazione

L'Azienda Agricola Pieropan è diventata ormai un punto di riferimento per il mondo del vino internazionale.
E' stato il dottor Leonildo Pieropan a fondarla nel 1890 . I figli, Fausto e Gustavo, hanno continuato l'opera con infinita passione, ma è stato il nipote, di cui porta il nome, che con l'entusiasmo dei
suoi giovani anni ha rivoluzionato l'azienda.
Leonildo e Teresita Pieropan la conducono con la passione e la competenza dei veri vignaioli amanti del loro mestiere e sono universalmente considerati gli interpreti migliori della loro zona, Soave, tra le più vocate d'Italia. Il legame con il territorio soavese, il rispetto delle tradizioni e della cultura del luogo sono tutt'uno con la storia della famiglia Pieropan e anche la ragione profonda che anima tutte le attività aziendali. Così come l'idea della centralità del vigneto che Leonildo concepisce di fondamentale importanza per raggiungere il vertice qualitativo dei prodotti. Ecco allora l'acquisizione, nel corso del tempo, di prestigiosi cru di collina, tra cui Pigno, Palestrello, La Santa, e l'aumento di superficie dei fondi di famiglia Calvarino e La Rocca, gli innovativi sistemi di coltura , la ricerca e la salvaguardia dei vitigni in via di estinzione, la valorizzazione ostinata della garganega, le potature corte, il diradamento, l'utilizzo convinto delle concimazioni esclusivamente organiche.
A ciò si accompagnano i caratteristici spazi per l'appassimento dell'uva per il vino Recioto ed una cantina che è un piccolo grande gioiello: moderna ed assieme sintesi felice della sapienza delle passate generazioni. Concreto simbolo di questo amore per il passato è la sede dell'Azienda PIEROPAN, l'antico Palazzo Pullici, perfettamente ristrutturato, la cui origine risale addirittura al 1460 e che ha ospitato fra le sue mura uno scrittore e poeta quale Ippolito Nievo, negli anni della sua infanzia. Il Soave La Rocca proviene dall'omonimo vigneto che si trova a ridosso del Castello Scaligero di Soave, dalla cui Rocca appunto prende il nome. Il terreno è di origine “eocenica”, ricco di microelementi con struttura calcarea, in parte argillosa. Il vino è prodotto esclusivamente con garganega raccolta in fase di surmaturazione per ottenere maggior volume estrattivo e fatto maturare per un anno in botti di legno di rovere.

Il Soave La Rocca 2000 si presenta nel bicchiere con un bellissimo giallo dorato ed esprime da subito al naso con fresche note agrumate di pompelmo e cedro seguite a breve distanza da sensazioni di miele, pane tostato e qualche accenno minerale. Al palato è rotondo, pieno, con una grande vena acida, segno di una vitalità, che gli regala tanta freschezza e sapidità. Chiude molto persistente su ricordi di miele e note tostate. Un grande "bianco" italiano.

Spero di trovare in giro annate precedenti per verificare di persona, se ce ne fosse ancora....., la tenuta nel tempo di questo vino. Alla prossima degustazione...