Dominio de Pingus, l'esclusiva di Percorsi di Vino. Parte I.


Quintanilla de Onésimo è un puntino sulla nostra mappa, un posto di frontiera nella Ribera del Duero che per certi versi mi ricorda l'Italia del Sud degli anni '50. C'è un vecchio cinema che trasmette l'ennesima replica di un vecchio film, pochi negozietti dove entri e compri tutto, dalle lamette per rasoi non più in commercio al melone dell'orto della vicina. 

Il cinema di Quintanilla de Onésimo
E poi c'è lui, Pe­ter Sis­seck col suo Dominio de Pingus, la cui cantina è mimetizzata in una stradina secondaria del paesino. Trovarli è un'impresa, abbiamo solo l'indicazione che la struttura è bianca, a due piani ed è situata vicino al ponte sul fiume Duero. Basta. Non si vogliono far trovare, non amano la folla di enoturisti con tanto di pullman, la struttura può essere visitata solo da pochi come per pochi è il loro vino.

La struttura vista dall'esterno
Suono il campanello di una casa ma non so se è quella giusta, sulla targhetta non c'è scritto nulla, magari sto disturbando il sonno di un tranquillo vecchietto che rimanendo a casa sta sfuggendo al caldo di queste parti. Suono ancora, mi apre la porta Paula, il mio contatto, sono nel posto giusto. Evviva.

Peter Sisseck non c'è, è fuori per lavoro, Paula mi spiega che in Agosto è sempre in giro tra Danimarca e Stati Uniti. Faccio spallucce, non è un problema, so già molto di lui: Sisseck, nato a Copenhagen nel 1962, si è laureato all’Università di Bor­deaux e prima di costituire la sua azienda ha lavorato con suo zio, l'enologo Peter Vinding Diers, a Bordeaux (Chateau Raohul) e poi in California con Zelma Zong. 
Nel 1990 giunge in Spagna dove diventa enologo di Ha­cienda Mo­na­ste­rio (con la quale ancora collabora come consulente) ma la voglia di mettersi in proprio è talmente forte che nel 1995, dopo aver trovato ed acquistato vecchissime vigne di Tinto fino (tempranillo) nel piccolo villaggio di La Horra, fonda Dominio de Pingus.

Peter Sisseck
Ad accoglierci, oltre a Paula, c'è la sorridente Patricia, l'enologa "residente" dell'azienda che, per le due ore successive, sarà il nostro Cicerone. 
Iniziamo a parlare del tesoro di Pingus: le sue vigne. Non riusciamo ad andare a vederle di persona ma, mappa catastale alla mano, Patricia ci spiega che i circa cinque ettari di Tinto fino (tempranillo) si dividono nelle seguente parcelle: una in località San Cri­stó­bal (circa 1,2 et­tari con ceppi di ol­tre 70 anni), le al­tre due nei dintorni di Par­roso (una vigna di 2,5 et­tari con ceppi di ol­tre 60 anni e un’altra di circa 1 et­taro). 
I suoli sono sono ovviamente diversi, passano dall'essere estremamente calcari ad essere prevalentemente argilossi, tutti ricoperti di sassi. 



Inizialmente biologico, Dominio de Pingus dal 2000 si è convertito alla viticoltura biodinamica con rese per ettaro ridicole che, mediamente, non superano i 12 hl/ha (stiamo alla stregua di un grappolino per pianta) anche se, in certe annate, si è arrivati anche a 9...

Mentre la giovane enologa ci conduce in cantina, mi rendo conto che, riguardo l'azienda, sono entrato dalla porta con molti pregiudizi.
Mi aspettavo il fighettismo più assoluto mentre, al contrario delle altre Bodegas della zona, da queste parti tutto è a dimensione umana, tutto è assolutamente artigianale e (quasi) familiare. Quella poca tecnologia che ho visto ha riguardato il laboratorio di analisi chimiche che Sisseck ha voluto all'interno della struttura e che Patricia diligentemente dirige.

La cantina è semplice e rispetta la filosofia tutta al "naturale" di Pingus: una pressa rudimentale è affiancata da una manciata di tini d'acciaio (usati per il Flor de Pingus) e qualche botte di legno aperta usata per fermentare separatamente le varie parcelle di Tinto fino usato per produrre il Pingus. Stop, tutto qua. 

Tini di fermentazione in acciaio
Botti per il Pingus
Dopo la fer­men­ta­zione, che av­viene sia in tini di ac­ciaio inos­si­da­bile che in grandi tini di le­gno, la ma­lo­lat­tica si svolge in barrique nuove di Dar­na­jou e Taransaud dove il vino ri­mane da 18 a 20 mesi e non viene chia­ri­fi­cato né fil­trato. 
Ad Agosto, ovviamente, la malolattica era già terminata e il vino stazionava in legno in attesa di essere travasato nel successivo locale di maturazione. 

La sala dove si svolge la malolattica


E' ora di bere! Patricia comincia a farci degustare i vari campioni di botte del Flor de Pingus, 100% Tinto fino da uve acquistate da piccoli viticoltori della zona di La Horra. Le vigne sono vecchie, minimo 35 anni e la prima annata del Fleur è la 2005. 
Degustiamo l'annata 2010, abbastanza fresca, e prendiamo due campioni dalle barrique di Dar­na­jou e Taransaud perchè, ci spiega l'enologa, "il vino è diverso a seconda del tipo di legno che usiamo e prima di fare il blend definitivo assaggiamo ogni botticella per capire come esprimere al massimo il Flor de Pingus". Ovviamente ha ragione, il vino preso dalla barrique di Dar­na­jou è più caldo, potente, tannico, mentre Taransaud esprime caratteri floreali, femminili, sensuali. A prescindere dalle differenze questo tempranillo è tutt'altro che legnoso (pensavo peggio) ed è un piccolo mostro di elegante persistenza.
Non so come sarà il blend definitivo ma, se questo è il "secondo vino" della casa, mi aspetto che il Pingus sia strepitoso. Il prezzo deve valere la candela....o no?


Già, il prezzo, perchè Peter Sisseck di certo il vino non te lo regala, anzi, per qualcuno il pricing di quel tempranillo è scandaloso, non vale quanto costa e la sua mitizzazione è frutto di una astuta strategia di marketing dove c'ha messo lo zampino quel diavoletto di Robert Parker
Comunque sia la "leggenda" Pingus inizia nel 1995, anno in cui viene prodotta la prima annata, 325 casse che Sisseck prezzò subito arditamente a 200$ a bottiglia. 
La sua fortuna, però, la deve a Jeffrey Davies, un négociant di Bordeaux specializzato nella scoperta di "vin de garage", che portò qualche campione di Pingus '95 in Francia vendendolo "en primeur" alla stregua dei grandi bordolesi. Tutti impazzirono per quel vino, soprattutto Adam Brett-Smith di Corney & Barrow che, una sera, portò una bottiglia durante una cena presenziata da Robert Parker il quale, stando alle cronache, dopo aver bevuto il vino di Sisseck, saltò su dalla sedia esclamando:"One of the greatest and most exciting wines I have ever tasted"

Fonte: Vivino.com
Il conseguente punteggio di 96/100 attribuito da Wine Advocate aprì al rampante enologo danese le porte del paradiso anche se è solo un anno più tardi, nel novembre 1997, che il Pingus divenne un vino di culto. Quell'anno, infatti, naufragò al largo delle isole Azzorre la nave contenente tutte le casse di vino, ben 75, destinate agli Stati Uniti. L'effetto è cosa ben nota: il mercato americano impazzì letteralmente per la conseguente scarsità di vino e i prezzi aumentarono vertiginosamente arrivando a circa 500$ a bottiglia. 
I 100/100 dati da Robert Parker all'annata 2004 dichiararono l'impossibilità per moltissimi di acquistare il vino che oggi, valendo più di 1000 euro a bottiglia, è considerato da molti un bene speculativo.

Patricia non entra nell'ambito commerciale, non fa polemiche, guarda le barrique di Pingus come suoi figli e ci versa con cura nel bicchiere l'annata 2010 e la 2009 che andrà in bottiglia in questi giorni. 

Ci vediamo per la seconda parte!

Gli amanti del vino hanno i loro hotel. Sì, secondo Skyscanner


Il sito Skyscanner ha pubblicato un articolo dove sono menzionati i migliori cinque hotel al mondo per appassionati di vino. Vediamo se li conoscete....

Hotel Cheval, Paso Robles, California

Se siete informati sui vini californiani, probabilmente avete sentito parlare di Paso Robles, una graziosa cittadina a metà strada tra San Francisco e Los Angeles con una reputazione per l'enologia sperimentale e nonconvenzionale, in contrasto con la tradizionale vinificazione di altre parti della California. Proprio vicino al centro storico della cittadina si trova l'accogliente Hotel Cheval, luogo perfetto per visitare le cantine locali, con 16 camere ampie e confortevoli ed un cortile interno con un caminetto. Il suo Pony Club serve alcuni tra i migliori vini di Paso Robles e della California centrale. Paso Robles, oltre alle degustazioni i vino è ottimo per assaggiare dell'olio d'oliva di grande qualità e sapore.

Fonte: tracygallagher.com

 La Bastide de Marie, Menerbes, Francia 

Si tratta di uno dei boutique hotel più splendidi della regione, situato in una posizione ideale nel cuore del Parco Nazionale del Luberon tra Gordes e Bonnieux. Questa cascina del 18° secolo è circondata da 15 ettari di vigneti ed offre un ambiente splendido per un hotel davvero unico. La Bastide de Marie è il posto ideale se siete alla ricerca di una vista mozzafiato, accompagnata da un'ottima gastronomia ed un vino indimenticabile. La cucina è tradizionale, eccellente ma preparata in modo semplice, grazie al giovane chef Gerod Potron descritto come un 'Wonderboy' dalla rivista turistica Food. La proprietà ha anche la sua cantina ed cibo servito è spesso disposto proprio per completare i sapori del vino de La Bastide de Marie. Tra i calici più amati dagli ospiti ovviamente il rosè. Per chi volesse farsi coccolare, il centro benessere 'Pure Altitude' offre i trattamenti di lusso. 

Margaret River Hotel, Cape Lodge, Australia 

Mentre Margaret River produce il tre per cento dell'uva australiana, rappresenta però oltre il 25 per cento dei vini di alta qualità. Nel suo vigneto di proprietà, all'interno di una tenuta circondata da laghi e foreste, il Cape Lodge, oggi con 22 stanze e un tempo casa privata, è stato votato due volte come migliore 'boutique hotel' d'Australia. Produce un esclusivo sauvignon blanc e shiraz per gli ospiti dell'hotel e per il suo premiato ristorante, che vanta inoltre cantina da 14.000 bottiglie e con le migliori annate dai vigneti più prestigiosi. Il ristorante sul lago, gestito dal celebre chef Tony Howell, propone anche corsi di cucina e week-end gastronomici.

Fonte: sito Cape Lodge
Relais San Maurizio, Italia 

Pochi alberghi al mondo possono vantare una tale diversità tra le stesse camere e suite, come quelle di cui dispone l'albergo piemontese Relais San Maurizio. Le 30 stanze, alcune con giardino privato, sono state realizzate grazie al riammodernamento di un convento del 17° secolo, mantenendo però gli stessi spazi e dimensioni. Un luogo immerso nella terra dei vini, abbellito da splendidi giardini e che domina dalla collina il borgo di Santo Stefano Belbo, i vigneti del Barbaresco, Barolo e del Barbera sono a pochi chilometri di distanza. Il ristorante dell'hotel, citato nella guida Michelin e quindi non di certo a prezzo modico, offre una notevole varietà di vini con oltre 2.200 etichette. Nel complesso vi sono anche un bistro con terrazze panoramiche ed un trattamento benessere chiamato la 'Via del Sale'. 

Yeatman, Oporto, Portogallo 

Rendendo omaggio ai vigneti terrazzati più alti della valle, lo Yeatman a Oporto, una collaborazione tra i fondatori di Port Taylor (gestito dalla stessa famiglia dal 1692) e due aziende locali, è stato costruito lungo una riva scoscesa a sud del fiume Douro. Dispone di 82 camere spaziose, ognuna con il nome di un produttore di vino locale, ai quali è stato concesso di decorarle; alcune dispongono di un letto ottenuto da un immenso barile di porto. Tutte si affacciano verso la piscina a forma di decanter, il Douro ed il brulicante centro della città vecchia. L'hotel dispone di circa 25.000 bottiglie in cantina ed è sede della selezione più completa al mondo di vini da tavola portoghese e di porto. Perfettamente mescolati con il sapore intenso delle portate locali, proposte dal pluripremiato chef Ricardo Costa. Ogni Giovedi la cena è proposta da un produttore locale diverso e lo chef crea un menu su quattro dei suoi vini. Il tema del vino continua nel centro benessere Vinothérapie Caudalie, dove i trattamenti sono a base di uva.

Fonte: http://www.the-yeatman-hotel.com

Per me è tutta una mossa pubblicitaria anche perchè il miglior albergo per gli appassionati del vino è.................... Ed il vostro?

Fonte: http://www.skyscanner.it

Il vino da salotto fa diventare tutti enologi?


Essere enologo all'interno di cantine buie e un pò umidicce non è più di moda. Ora il vino fa figo e di questo se ne è accorta anche la designer olandese Sabine Marcelis che propone questo kit da salotto per diventare novelli Cotarella.


La domanda è: funziona sto coso???

Foto tratte da: Zillamag.com

Brezza d'Estate 2009 di Cascina I Carpini


Era da un po’ che non bevevo il Brezza d’Estate di Cascina I Carpini per cui, aperta la nuova annata 2009, la prima cosa che mi son detto mettendo il naso nel bicchiere è stata:”Cavolo, altro che Brezza, questo vino è un uragano di profumi!”
In effetti, rispetto al millesimo precedente, il primo prodotto, trovo questo timorasso dei Colli Tortonesi molto migliorato, più seducente nei profumi che inizialmente riportano alle erbe aromatiche per poi virare verso la mela limoncella, la susina, il fieno per poi sfoderare, una volta ossigenato, un’anima minerale di grande purezza.


All’assaggio non cambia una virgola, il timorasso si caratterizza per intensità con la preziosa rifinitura di guizzi freschi e sapidi che sostengono struttura e persistenza del vino. Sono curioso di capire come evolverà questo timorasso nel tempo per cui tre bottiglie me le tengo in cantina e, tra qualche anno, faccio una comparativa con i grandi nomi dei Colli Tortonesi come Walter Massa, Mariotto e Mutti. Penso proprio che Paolo Ghislandi accetti la sfida.
Ah, ultima nota tecnica: il Brezza d'Estate matura in vasche d'acciaio e affina in bottiglia per almeno 18 mesi.

“Quando il cardo fiorisce e da
un albero la cicala canora diffonde
l’armonioso frinire battendo
le ali, è giunto il tempo
dell’estate… All’ombra e con
il cuore sazio, beviamo allora
il vino generoso godendo del
dolce alitare di Zefiro sul viso.”
(Esiodo)

I vini di Collecapretta firmati Vittorio Mattioli


Girare le cantine di tutta Italia permette di conoscere persone vere, sincere, legate indissolubilmente al loro territorio che, durante la tua visita, cercano di regalarti offrendoti un bicchiere di vino. II loro vino.
Vittorio Mattioli, dell'azienda umbra Collecapretta, è un'altra di quelle persone speciali per cui vale la pena fare il wine blogger o, comunque, essere appassionati di vino.

Vittorio in mescita
Con Jacopo, Sara, Riccardo e la mia Stefy, siamo andato a trovarlo di ritorno da Spello e, nonostante fosse domenica pomeriggio, ci ha aperto le porte di casa sua come se fossimo amici da sempre.  
Di Collecapretta avevo sentito spesso parlare anche se, ci racconta Vittorio, è solo da cinque anni che l'azienda imbottiglia. I 5 ettari di vigneto di proprietà sono una sorta di fotografia di quello che era piantato prima della seconda guerra mondiale. Pertanto, oltre ai vitigni locali come il Trebbiano Spoletino (età 60 anni) e il Sangiovese (vitigno principale dell'azienda), ci sono Malvasia, Barbera, il Merlot e il Greco

Vittorio è un "naturale", non usa perciò erbicidi, pesticidi e diserbi e in cantina si praticano fermentazioni spontanee a temperature libere e non si aggiunge solforosa in imbottigliamento. I contenitori sono il vetro cemento, vetro resina e acciaio  mentre il legno grande è ancora in fase di sperimentazione. I travasi si effettuano in base ai cicli lunari e l'illimpidimento dei vini è affidato al rigore dell'inverno.

Questa opportuna premessa ci fa capire che, bere un vino di Collecapretta, potrebbe essere un'esperienza molto, molto interessante. Assieme a Vittorio e sua moglie abbiamo degustato:

Buscaia 2010 (malvasia bianca e malvasia di candia): vino di sole e sassi, come dice anche Jacopo, dove la componente minerale è piuttosto prevalente e fa da sfondo ad una cornice di frutta a polpa bianca e fiori di campo. Bocca succosa e sapida, a tratti salata, corroborata da una bella vena acida. Vino forse poco varietale ma di forte carattere. 


Vigna Vecchia 2010 (trebbiano spoletino in purezza): siamo di fronte ad un piccolo capolavoro umbro, un vino camaleontico e territoriale dove, man mano nel bicchiere, si affacciano cenni di erbe officinali, malva, timo, camomilla, frutta esotica, minerali bianchi. In bocca è materico, sapido, succoso, coerente col naso e persistente. Questo è il Trebbiano che ci piace!

Terra dei Preti 2009 (trebbiano spoletino in purezza): rispetto al precedente questo trebbiano è vinificato come un rosso con una lunga macerazione sulle bucce. Il colore è dorato, intenso, ed il vino si apre al naso con cenni di tartufo bianco, albicocca, cera, curry, zafferano, macchia mediterranea. Bocca sapida, intensa, fresca, dinamica. Buona la persistenza finale su ritorni di pesca matura e spezie orientali. Il Terra dei Preti testimonia come il trebbiano spoletino possa dire la sua anche con fermentazioni prolungate. Ottimo.

Il Rosato di Casa Mattioli 2010 (ciliegiolo in purezza): rosato atipico per chi, generalemente, beve liquidi alimentari tinti di rosa spacciati per vini. Qua Vittorio, nonostante le apparenze, mette al ciliegiolo l'abito rosso e fa di questo vino un prodotto di carattere con tanto ferro e terra al naso. Bocca vigorosa, maschia, ampia, generosa. Altro che vino per donne. Davvero una bella scoperta!


Il Galantuomo 2010 (barbera in purezza): il vitigno, di circa 40 anni, è stato portato dal nonno di Vittorio dopo che è tornato dal Piemonte dove ha fatto il militare. Strano provare una versione umbra del barbera però, nonostante i puristi storcano il naso, il vino che ne esce è estremamente piacevole visto che conquista il naso e il palato con la tanta mineralità e tocchi di frutta di rovo. Bocca tipica, acidia, sapida, diretta con un finale di ciliegia nera che appaga le mie papille gustative. Da provare alla cieca assieme a qualche versione piemontese, potrebbe sorprendere...

Sotto l'albero di Natale dei wine lovers c'è una vigna di Garganega!


Se siete a corto di idee in fatto di regali per il prossimo Natale, ecco un dono insolito da fare, o da farsi, a chi ama la natura e il buon vino: “adottare una vigna”, o più, nelle terre del Soave.

L'iniziativa, lanciata dalla Strada del vino Soave per promuovere il territorio, un giardino vitato di 6mila e 600 ettari disseminato di pievi, palazzi e castelli, consente di “adottare” un minimo di 50 viti di Garganega al costo di 100 euro all'anno. In cambio, il “viticoltore adottivo” avrà diritto a ricevere 12 bottiglie di vino Soave Doc all'anno, bottiglie che, a richiesta, potranno essere personalizzate nell'etichetta.

Fonte: immaginidinatale.it
Al di là di poter gustare un ottimo bianco, la verde adozione darà soprattutto l'opportunità al vignaiolo a distanza di visitare la “propria vigna” in ogni stagione, previo accordi con la Strada e il produttore socio che ha reso disponibile l'adozione nel proprio vigneto. L'adozione della vigna diventerà così un buon motivo per trascorrere un fine settimana nelle colline del Soave, magari per aiutare a potare, vendemmiare e per seguire in cantina l'evoluzione del proprio vino, fino al ritiro delle sospirate bottiglie.
Per aderire al progetto “Adotta una Garganega” basta contattare la Strada del vino Soave, www.stradadelvinosoave.comassociazione@stradadelvinosoave.com, telefono 045.7681407

La Tognazza Amata tra mondanità e amore per la Terra


"Nella mia casa di Velletri c’è un enorme frigorifero che sfugge alle regole della società dei consumi. Non è un “phiIcone”, uno spettacolare frigorifero panciuto color bianco polare. È di Iegno, e occupa una intera parete della grande cucina. Dalle quattro finestrelle si può spiarne l’interno, e bearsi della vista degli insaccati, dei formaggi, dei viteIIi, dei quarti di manzo che pendono, maestosi, dai Iucidi ganci. 
Capita che ogni tanto, di mattina, mia moglie mi sorprenda inginocchiato davanti a questo feticcio, a questo totem dell’umana avventura. Me ne sto Iì, raccoIto in contemplazione, in attesa d’una ispirazione per iI pranzo.
Questa immagine, indubbiamente paradossaIe, può darvi una idea di quanto ascetico sia iI mio attaccamento ai prosaici piaceri della tavola, e quindi della vita; e di come, in fondo, io sia da considerare un martire deI focolare.

Disoccultiamo queste due sane, grandi e materialistiche passioni, per troppo tempo tenute nel ghetto della peccaminosità. Riesumiamo quella morale epicurea della gioia, della vita, che fece grande la romanità e il Rinascimento; riavviciniamoci con partecipazione al flusso ininterrotto e secolare della bava, dello sperma e della merda; recuperiamo, nel caso del cibo in particolare, una dimensione che si sta sempre più disfacendo, assediata com’è dalle schiere dei liofilizzati, dei surgelati, degli inscatolati".


Queste sono le parole, attualissime come non mai, che il grande Ugo Tognazzi scriveva qualche tempo fa ne L'abbuffone per cui mi ha fatto molto piace quando Gian Marco Tognazzi e il suo staff mi hanno invitato alla presentazione (un pò troppo mondana per me) de La Tognazza Amata, un progetto che in realtà è un vero e proprio stile di vita volto alla riscoperta delle sane tradizioni alimentari.

All'Os Club di Roma, una settimana fa, Gian Marco Tognazzi ha voluto presentare due vini, gli stessi che suo padre Ugo usava versare nei calici dei suoi ospiti, da Monicelli a Villaggio, da Gassman a Salce: Il Superiore della Tognazza, da uve trebbiano e malvasia e un rosso, il Syrah della Tognazza, prodotto dall'omonima uva dei vigneti di famiglia di Velletri.

Bevendoli mi sono rivenute in mente le parole di Gian Marco che ha dichiarato:"Abbiamo fatto come faceva mio padre, stando attenti alla qualità e alla genuinità. Non abbiamo voluto fare, e nemmeno Ugo lo avrebbe voluto, il vino ricercato, ma trovare il giusto rapporto fra genuinità e bontà.Non è che vogliamo fare una produzione come fossimo un agriturismo, noi restiamo fedeli alla filosofia di Ugo: cose fatte in casa per il piacere di condividerle. Non per niente le bottiglie della "Tognazza amata" saranno accompagnate da due frasi di papà, due pensieri che aveva fatto apposta per il suo vino".


Io che li ho bevuti più volte posso dire che i vini de La Tognazza non sono i classici prodotti commerciali, la famiglia non si sputtanerebbe per quattro baiocchi, per cui se li trovate, magari chiedete qui, non abbiate timore anche perchè stavolta garantisce Ugo Tognazzi!



La Casta, il vino e il Lei non sa chi sono io!!


Il senatore Rusconi a Fiumicino. Fonte: Corriere.it
Questa simpatica persona ritratta nella foto è il Senatore Rusconi che, secondo quanto riporta Corriere.it, ieri in virtù del suo "patentino" da politico ha violato una delle leggi base della sicurezza aeroportuale: impossibile portare nel bagaglio a mano liquidi eccedenti i 50 ml. Io, che amo io vino, sono sempre costretto ad imbarcare le bottiglie che compro in giro con tutti i rischi connessi (rotture, furti, etc.).
Loro, la Casta, invece sono immuni a tutto questo e, come scrive Alessandra Aracri sul Corriere, alla fine Antonio Rusconi, senatore lombardo del Pd, ha evitato quello che è successo a tutti noi comuni mortali un pò sbadati: perdere l'aereo e tornare all'imbarco. O perdere la bottiglia e lasciarla al controllo di sicurezza. 

Fonte:ilmovimentodegliindignati.blogspot.com
La prossima volta provo a dire che sono suo figlio, vediamo se funziona.....

Enologica 2011: piccolo report dall'Emilia-Romagna

 
Enologica, il salone del vino e del prodotto tipico dell’Emilia Romagna, è una manifestazione in continua crescita che dovrebbe essere maggiormente frequentata dai vari enosnob che pensano a questa Regione come il regno del classico sangiovesone da battaglia e del lambrusco da esportazione. A tutti voi dirò questo: VI SBAGLIATE


Girando tra i vari banchi, ottimamente organizzati e mai con troppa fila, ho potuto apprezzare:

Andrea Bragagni: questo vignaiolo Bio di Brisighella presenta una produzione molto interessante dove spicca il Rigogolo 2008, albana in purezza affinata in tonneau che colpisce per le sue espressioni minerali. Solo magnum.

Fondo San Giuseppe: la piccola azienda di Stefano Bariani si distingue per due vini ancora in affinamento. Il primo è l’ESOR 2010 (85% chardonnay e 15% moscato rosa), un vino prototipo che ha il classico naso floreale del moscato e la bocca fruttata ed intensa dello chardonnay. Un vino double face. L’altro prodotto interessante è il Fiorile 2010, un albana decisamente più netto del precedente che colpisce per un ventaglio aromatico fatto di erba e fiori e per una bocca diretta ed appagante.


Vigne dei Boschi: Paolo Babini conduce questa interessante azienda biodinamica con grande fervore. Tra i vari vini degustati mi ha colpito molto il “16 Anime2009, riesling da cloni alsaziani che potrebbe dare notevoli sorprese alla cieca tanto è diretto, fresco e cristallino. In bocca è dotato di personalità e, soprattutto, bevibilità da campioni. Azienda chiocciola Slowine 2012.

Paolo Francesconi: altra azienda chiocciolata Slowine e altre emozioni soprattutto quando il simpatico vignaiolo faentino mi fa degustare il Cördusël, dall’omonimo antico vitigno faentino che Francesconi ha voluto riportare in auge con questo vino fermentato 90 giorni sulle bucce e affinato in barrique per un anno. Il Cördusël non è in vino omologato, ha un naso davvero interessante che varia tra un minerale di sasso e tratti di erbe aromatiche e spezie gialle. Bocca acida, tesa, lunga. Costa pure poco. Un buon vino quotidiano.

Stefano Berti: per molti è “Il Maestro” e non faccio fatica a crederlo quando degusto il suo Calisto 2008, selezione delle migliori uve di sangiovese presenti in azienda con l’aggiunta di un demoniaco 10% di Cabernet Sauvignon che, nonostante il mefistofelico passaggio in barrique, mi è piaciuto moltissimo per il suo essere profondo, verticale, complesso. Ho bevuto anche il millesimo 2007 che, rispetto al precedente, ho trovato più femminile ed avvolgente.

Costa Archi: con Garbriele sono un po’ di parte per cui vi invito a rivedere quanto scritto qua. A parte ciò vorrei segnalare la novità che Succi ha presentato ad Enologica: un’ancellotta in purezza (il nome non lo so) che, nonostante il colore da succo di mirtillo, si fa bere con piacevolezza facendomi cadere più di un pregiudizio. Da aspettare perché in evoluzione continua.

Stefano Berti e Gabriele Succi (Costa Archi)
Paltrinieri: ovviamente ho voluto provare il Lambrusco di Sorbara Leclisse 2010, un “tribicchierato” con cui si entra subito d’accordo per la sua scarsa banalità e il suo ventaglio aromatico dove giocano sensazioni di rosa, violetta, fragolina di bosco e ciliegia  non matura. Bocca sapida, dritta, fresca, davvero un bel bere. Non omologato. 

Tenimenti San Martino in Monte: il loro Sangiovese Vigna 1922 è polposo e vellutato ma, a mio parere, manca un po’ di quella complessità e profondità che vigne così vecchie dovrebbero conferire. Forse il sangiovese è troppo “lavorato” prima di finire in bottiglia. Da rivedere.

Podere Pradarolo: questa è stata una vera scoperta avvenuta grazie alle raccomandazioni di due persone eccezionali: Jonathan Nossiter e Pierluca Proietti. L’azienda, situata tra le colline di Parma, è totalmente Bio e produce molti vini degni di nota. Il primo è il Vej 2005 Metodo Classico (100% malvasia di candia), uno spumante metodo classico spiazzante perché è la prima bollicina derivante da vino macerato 270 giorni. Il colore, a metà tra il dorato e l’ambrato, fa da apripista ad un ventaglio aromatico dove, col tempo, possiamo trovare tutti i profumi di ciò che in natura è giallo. Bocca sapida, ruvida, fresca, spiazzante per impatto e tensione. Le sorprese, però, non finiscono qua perché Alberto Carretti, il proprietario, tira fuori il Vej 2005, bianco fermo da malvasia di candia che macera con le bucce per circa 90 giorni. Anche in questo caso la frutta esotica, le spezie orientali, la ginestra e le sensazioni di mieli si fondono in un tuttuno di grande eleganza. In bocca il vino ha freschezza e un tannino talmente vivido che lo vedrei bene su una fiorentina. Passiamo ai rossi. 
Il Velius 2006 (barbera 90% croatina 10%) macera circa 90 giorni sulle bucce ed affina in botte grande per oltre 15 mesi. Tutto questo determina un vino dalla grande personalità dove ritrovo appieno la schiettezza e l’irruenza dei due vitigni. Degustata di questo vino anche l’annata 2005 che, per quanto “povera”, ha dato vita ad un vino più elegante ed equilibrato del precedente.
Per finire, con una ottima torta al cioccolato, Alberto ha tirato fuori il Canto del Ciò, un vino dolce ottenuto in ossidazione, botte scolma e interpretato con metodo solera da uve di termarina (vitigno autoctono antico.) appassite al sole. Giuduzio? Assolutamente unico ed inimitabile.

Alberto Carretti - Podere Pradarolo
Non ho citato Fattoria Zerbina e La Stoppa perché la fila che c’era da fare per bere un po’ del loro vino era talmente importante da schiantare anche uno abituato alla Posta come me….

Verticale storica di Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale della Fattoria Selvapiana


800 Km non sono nulla se, quando arrivi a Faenza per Enologica 2011, Armando Castagno tira fuori dal cilindro 12 annate di Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale della Fattoria Selvapiana, praticamente una carrellata di sangiovese (e non solo) che, partendo dai giorni nostri, arriva fino agli albori della viticoltura in Toscana.
L’azienda, le cui origini storiche si fanno risalire al Medioevo, oggi è passata sotto la responsabilità di Silvia e Federico Giuntini Masseti che, impegnandosi nel solco tracciato da Francesco Giuntini Antinori, lavorano a stretto contatto con Franco Bernabei, consulente enologo di Selvapiana a partire dal 1978.
La produzione si articola su tre rossi dotati di grande struttura e longevità. Al Chianti Rufina annata si affiancano due cru di particolare pregio: il Chianti Rufina Riserva Fornace e, soprattutto, il Chianti Rufina Riserva Bucerchiale, sangiovese in purezza prodotto per la prima volta nel 1979.

Fonte: Andrea Gori

La verticale prevedeva le seguenti annate: 

2009 (anteprima): un pupo che esprime al naso sensazioni “dolciastre” a metà tra la frutta e il sangue. Legno ancora in evidenza con leggeri tocchi minerali. In bocca è duro, inquieto, profondo, come tutti i Chianti Rufina si fa apprezzare per il suo carattere che non cerca compromessi. Territoriale.

2007: naso ancora in via di definizione dove, accanto ad accenni di legno, fanno capolino sbuffi di ruggine, grafite, pepe bianco e tocchi balsamici. In bocca è ematico, minerale, la frutta è un po’ nascosta questa volta e ciò fa da divenire questo Chianti ancora più severo del normale. Tannino cazzuto come si dice presso l’Accademia della Crusca. Da attendere.

La verticale completa
1999: il registro olfattivo cambia nettamente e si fa più complesso e meno monastico. Il ventaglio aromatico è disegnato su profumi di sottobosco, felce, eucalipto e accenni di minerale nero e sangue. Bocca gentile, sapida, succosa, con una bella persistenza che chiude su cenni di liquirizia e terra.

1995: l’annata abbastanza calda fornisce un Chianti con profumi di cioccolato amaro, torrefazione, carote bollite e tocchi di minerale rosso e sottobosco. La bocca rimane severa ma, nonostante tutto, dotata di una freschezza imprevista e pulizia. Un Chianti che si fa amare al sorso.

1985: una delle annate storiche del vino non può che regalare un grandissimo Chianti che ha una declinazione olfattiva netta, base di erbe aromatiche su cui si elevano le note di liquirizia, pomodoro, spezie, tutte racchiuse all’interno di una lastra minerale che racchiude tutto in un inesorabile abbraccio. Al gusto il vino è rigoroso, pulito, integro, sprizza classe da ogni molecola e si dissolve lentamente con candore gessoso per nulla liquefatto.

1981: rispetto all’annata precedente sembra più vecchio di oltre 10 anni con le sue note evolute, a tratti anche poco eleganti, di cola, crosta di formaggio, fungo, frutta rossa disidratata. In bocca è comunque piacevole, setoso, con tannino ancora galoppante e finale rugginoso.

1979: la prima bottiglia “creata” grazie alla consulenza di Bernabei. Apre una ventata di sensazioni di humus, castagne, brodo vegetale, poi arriva il classico minerale che si pone a metà strada tra il rame e la grafite. La bocca è precisa, ferrea, sa di arancia amara, ruggine, alla cieca si potrebbe scambiare per un grandissimo vino di Valtellina per la sua matura purezza. Nobile come pochi.

La storia
1968: da questo momento in poi tutte le annate che degusteremo non saranno solo sangiovese 100% ma conterranno anche altre uve che il disciplinare dell’epoca permetteva di inserire (vitigni a bacca bianca compresi). Il Chianti Rufina si presenta con note evolute abbastanza chiare dove predomina una sensazione di affumicatura a cui seguono nette note di tisana alle erbe, porcino, metallo. La bocca è un po’ troppo scissa, si scorge sempre un vivo tannino ma l’acidità, fervida da uve bianche secondo me, è slegata e corre su binari alternativi.

1964: nonostante il suo colore mattone trasparente il vino è dotato di grandissima freschezza e tutti i profumi che vanno dall’arancia al mandarino fino al caffè sono lo specchio di una floridezza e di un vigore inaspettato. L’invecchiamento in botti di castagno, altra peculiarità di queste vecchie annate, fornisce al gusto una nota resinosa che accompagna un finale citrico di bergamotto.

1958: l’annata di grande livello dopo 53 anni non scalfisce minimamente il vino che, come immerso nella vasca di Coccon, rimane integro, preciso e dotato di un ventaglio olfattivo ricco di soffi empireumatici e minerali a cui si aggiungono tratti di caramello e carne cruda. Al sorso è un flusso intatto che porta con se tutta la gloria di una passato che non vuole cedere nulla. Persistenza ottima su ritorni di sottobosco e cenere.

Bicchieri ancora pieni
1956: rispetto al precedente sembra più magro e con qualche capello bianco in più. Il naso sa di tisana della nonna, caramello fuso, speck. Non ampia e complessa nemmeno la fase gustativa che non si fa ricordare per pulizia e compostezza. Tra i vecchi Chianti Rufina è sicuramente quello più deludente.

1948: devo ammettere che approcciarsi a bere un vino di 63 anni è davvero emozionante tanto più se scopri che in quel bicchiere c’è un vino fatto chissà come che la vita non riesce ad ossidare per quanti sforzi possa fare. Se chiudi gli occhi, anche a distanza, l’intensità del Chianti Rufina ti inebria per una repentina salinità che prendi i tratti dello iodio e del metallo fuso. Poi, ossigenandosi, il ventaglio olfattivo si arricchisce di sensazioni di dattero, fungo, agrume. In bocca è magnifico, giovane, solenne, rimane dopo tutti questi anni ancora “grasso” perché  il sole di quell’annata questo vino ancora se la porta dentro e sembra non volerne farne a meno. Vino eccezionale.

1958-1956-1948
La 1948 nel mio bicchiere
E voi, non fareste 800 Km per una verticale così?

"Asylon": il vino che finanzia la formazione per i rifugiati


E’ iniziata in queste settimane la commercializzazione del vino dall’esclusivo marchio Asylon. Prodotto dall’azienda agraria di 77 ettari dell’Istituto agrario di Todi, è un vino bianco, Grechetto di Todi doc, e i proventi della vendita serviranno a finanziare percorsi formativi per rifugiati nel territorio umbro di Todi. Il progetto per rifugiati Asylon, articolato in varie fasi, è stato appena presentato a Roma presso la libreria Fandango ed è sostenuto dall’associazione Libera e da Caritas Umbria e si avvale del patrocinio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). 


L’obiettivo dell’iniziativa – spiegano i promotori - è di attivare percorsi formativi per le persone che chiedono asilo, durante il loro periodo di permanenza in accoglienza. “Ogni anno migliaia di persone chiedono asilo al nostro Paese. Nell’attesa che gli organismi competenti si pronuncino, i richiedenti vengono inseriti in un progetto di accoglienza. La Caritas di Todi è da anni impegnata in questo progetto, nell’ambito del sistema Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati) e accoglie ogni anno decine di persone”. 
Fino al 31 marzo 2010 il progetto di accoglienza Caritas ha ospitato complessivamente 103 uomini fra richiedenti asilo, rifugiati e persone con permesso per motivi umanitari, di cui molti si sono stabilmente integrati nel territorio tuderte e comuni limitrofi, avendo trovato impiego nel settore edile, nella piccola industria, nel comparto alberghiero e come collaboratori domestici. E per il futuro si pensa di aumentare il numero degli ospiti accolti da 15 a 20, includendo donne sole con bambini piccoli, prevedendo la presenza di più mediatori culturali, secondo la provenienza dei beneficiari, e programmando un più incisivo piano di inserimento lavorativo.
In questo contesto si inserisce l’iniziativa Asylon che coinvolge anche gli studenti dell’istituto agrario. I destinatati sono persone, anche minori, selezionate in accordo con il progetto Sprar. I percorsi formativi saranno attivati presso l’Istituto tecnico agrario “Augusto Ciuffelli” di Todi, la più antica scuola agricoltura d’Italia. Nei terreni aziendali, oltre alla rotazione dei seminativi, si trovano 4 ettari di vigneti doc, oliveti, frutteti, un orto botanico, un’aula verde e un parco didattico. Presenti anche allevamenti, serre, un caseificio, una cantina, un centro culturale-ambientale. L’azienda si connota come fattoria didattica e sociale, con una conduzione imprenditoriale finalizzata a valorizzare, in chiave professionalizzante, tutte le sue strutture di produzione, trasformazione e commercializzazione e a sostenere progetti didattici ed etici, nei quali viene reinvestito il ricavato delle attività.
Fonte: mondodelgusto.it
I percorsi formativi di Asylon punteranno, a seconda dei singoli casi, all’acquisizione di specifiche competenze attraverso corsi di formazione e di qualificazione professionale e al compimento di un percorso di studio quinquennale che sfocerà nel diploma di scuola media superiore, in regime di convitto per tutto il periodo scolastico e di accoglienza extrascolastica per i periodi di chiusura della scuola, in collaborazione con la Caritas tuderte. I percorsi formativi prenderanno il via a gennaio 2012: sarà coinvolto nella prima fase un gruppo di 8 persone, in una attività formativa-professionalizzante per la gestione del verde.

NBA e Vino: Yao Ming ha trovato il canestro vincente


I piedi non reggeranno più i suoi 229 centimetri per 140 kg di peso, ma il cervello gli funziona ancora, eccome. Dopo aver detto addio alla pallacanestro per una lunga serie di infortuni e microfratture dalle caviglie in giù, Yao Ming si sta ricostruendo una nuova vita a partire dall'istruzione e dall'imprenditoria: l'ex-centro degli Houston Rockets, oggi 31enne, si è infatti iscritto all'università di Economia e Management a Shanghai e ha già cominciato a mettere in pratica i principi appresi fondando un'azienda vinicola, spinto anche dall'interesse dei cinesi verso i prodotti di categoria più alta.

Yao Ming  Fonte: beaman.it
I vigneti non si trovano però in Cina, bensì negli States: Yao ha comperato alcuni terreni in California, nella Napa Valley, una zona che negli ultimi anni è stata massicciamente oggetto di investimenti nell'industria vinicola. La prima produzione è un cabernet-sauvignon (vendemmia 2009) che sarà venduto in un inedito formato da 1.5 litri al prezzo di 3.800 yuan a bottiglia, una cifra leggermente inferiore ai 450 euro.
La prima bottiglia del lotto (tra l'altro molto ristretto, con sole 12.000 unità prodotte) sarà però venduta in occasione di un'asta di beneficienza il prossimo weekend: il prezzo di partenza è di 60.000 yuan (circa 7.000 euro), e il ricavato sarà devoluto a "Special Olympics", un'organizzazione no-profit per manifestazioni sportive per atleti disabili.

Elisabetta Foradori sogno erotico degli appassionati di vino. O di Sandro Sangiorgi?


Ho già vari post su Elisabetta Foradori da pubblicare ma quanto letto su Porthos n°30 del 2008 mi ha fatto cambiare tutti i recenti "piani editoriali". 


Come non postare e condividere questo pezzo di letteratura enoerotica degna del miglior Boccaccio?

A quel tempo non sapevo chi fosse il Foradori che si celava dietro quell’etichetta minimale. Solo l’anno dopo sentì parlare di Elisabetta e non fu grazie al suo talento di produttrice.  
Un amico, per descriverne l’avvenenza fisica, il carattere, lo sguardo e il fascino coinvolgente, mi disse che, durante una visita in cantina, la sua fantasia era possederla lì, tra le barrique.[...]. 
Quando le raccontai l’episodio, durante l’intervista pubblicata su Porthos 1, Elisabetta mi disse che essere una “donna del vino” non era poi così complicato, la parte difficile non era tenere a bada gli occasionali spasimanti, quanto non farli sentire in imbarazzo di fronte alla sua intelligenza.

Capisco che Sangiorgi adori la verità assoluta e abbia un rapporto di amicizia di lunga data con la Foradori però.....non si possono scrivere ste cose.....daiiiiiiiiiii!! Nemmeno presso le caserme! 

O, magari, il Sandro nazionale ha riportato tra le righe il SUO sogno erotico?

Fonte: middlebury.edu

Angelo Gaja:Vino=Fiorello:Televisione


Il titolo del post sembra provocatorio ma, credetemi, non lo è perchè nel bene o nel male Angelo Gaja è un vero e proprio showman del mondo enologico che difficilmente smetteresti di ascoltare anche se, come vedremo, a volte vorresti saltargli alla gola per le sue affermazioni un pò di parte.
Ospite venerdì scorso dell'AIS Roma, Gaja ha tenuto due seminari per appassionati e addetti ai lavori dove, dividendo il palco solo con la sua ombra, ha tenuto un vero e proprio spettacolo da vivo esaltando prima di tutto il suo ego e poi il tanto pubblico presente.


Qual'è stato il Gaja pensiero? Cercando di sintetizzare il suo discorso possiamo distinguere vari punti (in corsivo le mie riflessioni):

  • Gli artigiani solo il sale del mondo del vino, devono fare il vino come vogliono e le loro scelte possono andare anche in controtendenza col mercato. Il problema, in tale ambito, è capire cosa intenda Gaja per artigiano perchè, dalle sue parole, note delle contraddizioni. Il produttore piemontese considera lui stesso un artigiano perchè ha vigne proprie, non acquista uve e mosto da terzi, ha una sua cantina di vinificazione e il vino che produce è destinato ad una certa fascia di consumatore (in tal caso di alto livello). Con 350.000 bottiglie prodotte Gaja può essere considerato un artigiano? E chi produce meno di 10.000 bottiglie come deve essere considerato? Un alchimista?
  • Capitolo Parker. Secondo il produttore piemontese il noto critico americano è stato fondamentale per il mondo del vino anche se deve essere considerato un'espressione della cultura d'oltreoceano. Negli Stati Uniti, infatti, il lettore vuole essere guidato dall'esperto e Parker è stato bravo a carpire la loro fiducia anche se, sottolinea Gaja, ciò vale espressamente per i vini opulenti. Parker, inoltre, ha avuto il merito di aver inventato la scala centesimale per giudicare un vino che ora, soprattutto nel mondo della critica anglosassone, non è visto più come un oggetto misterioso contornato di parole tecniche ed astruse. Il problema, non dichiarato da Gaja, è che Parker è stato "devastante" anche per migliaia di produttori che, a caccia del punteggione, hanno stravolto vini e territorio.
  • Capitolo Robert Mondavi. Ennesimo elogio al potente di turno che viene definito fondamentale per il mercato americano e, dopo, per quello mondiale. Motivo? Principalmente perchè Mondavi è stato il primo negli Stati Uniti, parliamo del 1966, a concepire e costruire una cantina per la produzione di Premium Wines in grandi volumi indipendentemente dal cru (W il territorio) e, secondo poi, perchè è stato il primo a inserire in etichetta il nome del varietale creando un fenomeno copiato col tempo da tutti, soprattutto in Europa. Mah, a me pare che a Bordeaux questo discorso l'avessero già imparato da tempo
 
  • Capitolo Antinori & Co. Gaja elogia il marchese soprattutto per la rivoluzione portata col Tignanello. Stoccata a quei blog (non ha detto il nome) che a suo dire ultimamente hanno "sbeffeggiato" il produttore toscano quando ha parlato di Montalcino dalla pagine di Decanter. Stesso discorso vale per Tachis, Sassicaia e via di seguito. Potente non tocca potente?
  • Capitolo Montalcino. Si ricorda la grandezza di Biondi Santi come leader storico di un territorio che, comunque, senza Banfi come leader di mercato non sarebbe mai decollato. Forse sarà anche vero ma una volta tanto vogliamo anche ricordare ciò che di negativo ha portato questa multinazionale del vino?
  • Capitolo nuovi mercati. Gaja analizza la situazione mondiale puntando per il prossimo futuro sul mercato cinese (1,3 miliardi di clienti potenziali), indiano, indonesiano, brasiliano e russo. Mi rimane difficile capire quando Gaja parla di artigiani del vino che devono attaccare questi mercati. Non si starà confondendo con Zonin o Santa Margherita?
  • Capitolo abuso di alcol. Non si può essere non d'accordo quando si sottolinea la necessità di non demonizzare il vino la cui immagine deve essere separata dalle altre bevande alcoliche anche perchè il tipo di alcol che c'è dentro è sostanzialmente diverso. Quello del vino è naturale perchè deriva da fermentazione alcolica.
  • Capitolo produttori italiani. Gaja si mette il vestito del Ministro del Vino italiano e suggerisce a tutti i produttori italiani di essere dei veri e propri comunicatori a 360°. Bisogna saper parlare al pubblico del proprio prodotto intrattendendo la platea in maniera teatrale. Piccoli Gaja crescono?
  • Capitolo social media. Nonostante i suoi 71 anni Gaja percepisce e sfrutta la potenza del web 2.0 che viene considerato il passaparola del futuro. I giudizi, ora, non sono più in mano ai grandi critici che, col tempo, perderanno di importanza e, soprattutto, cesseranno di valutare vini preparati appositamente per loro dalle cantine. La c.d. cuvée des journalistes non sono più una leggenda metropolitana.....
Spero che Angelo Gaja in persona o sua figlia leggano queste righe perchè vorrei ricordare loro della promessa di un futuro incontro con i blogger del vino. Ci conto eh!

    Il Sauvignon 2008 de Il Carpino è la mia Terra di Mezzo


    Mi capita spesso di riflettere a quello che di buono ho bevuto durante la settimana e, se ripenso alla cena al Tastevin di Roma, ancora mi rimbombano le parole di Daniele, patron sommelier del ristorante, che quasi imponendomelo mi dice:"Oggi ti faccio bere un sauvignon che pochi conoscono....".
    Effettivamente non conoscevo Il Carpino, un azienda familiare situata a due passi da Oslavia e dal maestro Gravner che, fortunatamente, non si è incensata mettendosi il mantello dei "naturali" anche se, probabilmente, potrebbe farne più che parte. 

    Foto panoramica dell'azienda.
    Leggendo il loro sito internet, infatti, appare chiaro come la realtà agricola della famiglia Sosol, nata nel 1987, pur non essendo certificata biologica pone il massimo dell'attenzione in vigna evitando l'uso di diserbanti (si preferisce fare lavorazioni sottofila), disseccanti ed OGM puntando, se necessario, solo sull'uso di prodotti per l'agricoltura biologica.
    In cantina si lavora senza l'aggiunta di mosti concentrati e filtri; l'unico concessione è l'aggiunta di una dose minima di solforosa al vino. 

    La famiglia al completo
    Il sauvignon 2008 che Daniele mi porta al tavolo fa parte della linea "Selezione" de Il Carpino. Il vitigno, impiantato nel 1987 su terreni marnosi ad una altitudine di 180 m. s.l.m., è stato vinificato attraverso una macerazione sulle bucce di circa 7 giorni a cui è seguito un affinamento in botte grande per 18 mesi.
    Inizialmente, essendo troppo freddo, il sauvignon non ha espresso il meglio nel bicchiere tirando fuori aromi non troppo "tipici" che andavano dal fungo alla pasta di mais. Scaldandosi ha cominciato a tirar fuori il suo vero carattere per cui, sequenzialmente, si sono potuti apprezzare sentori che andavano dal sambuco alla foglia di pomodoro fino ad arrivare al fumè e alla sassosa mineralità.
    In bocca il vino è sapido, deciso, fresco, vivissimo e di lunga persistenza. Finito in un attimo.


    Magari verrò smentito stasera stessa ma credo che il sauvignon de Il Carpino, per la tipologia, rappresenti una sorta di Terra di Mezzo dove Uomini, Hobbit, Troll, Nani e Orchi possano vivere felici e contenti senza esasperazioni e Compagnie dell'Anello di naturale memoria.......