Trenta e trentuno maggio sono stati due giorni importanti, finalmente dopo tante promesse ce l'abbiam fatta, siamo riusciti a partire alla volta dei Colli Tortonesi per scoprire tutti i segreti del Timorasso.
Accompagnati da Paolo Ghislandi di "Cascina I Carpini" (di cui vi parlerò in seguito) abbiamo partecipato alla rassegna enogastronomica "Assaggia Tortona" che poteva vantare tra i partecipanti (quasi) tutti i principali produttori di Timorasso. Quale migliore occasione per cogliere tanti piccioni con un fava?
Ma perché mi sono spinto fin lassù? Perchè dietro questo vitigno c’è tutta una storia, una storia che riguarda i vignaioli di quelle valli, il loro lavoro, la loro cultura e, soprattutto, le loro speranze.
Il Timorasso è un vitigno autoctono del comprensorio tortonese. In tale area è coltivato dal Medioevo e se ne hanno notizie già dalla prima enciclopedia agraria redatta nel XIV secolo dal bolognese Pier de Crescenzi. L’ampelografia descritta dallo stesso autore non lascia praticamente dubbi sull’originalità del vitigno. La sua diffusione ha riguardato soprattutto la parte medio alta delle principali valli tortonesi; da est verso ovest la Val Curone, la Val Grue e la valle Ossona. Contemporaneamente se ne allarga la coltivazione anche in Val Borbera, nel Novese e in Oltrepò pavese. Nel corso dei secoli conferma le proprie attitudini tanto da divenire il più importante vitigno bianco piemontese relativamente alla superficie e alle quantità prodotte. Esistono infatti, a riprova di ciò, presso l’archivio di stato a Torino, i documenti che, nel periodo compreso fra le due guerre, testimoniano gli acquisti di prodotto giovane e semilavorato che i sensali promuovevano verso l’Europa del nord e che chiamavano “torbolino”.
Il successivo dramma della fillossera e la malattia dei bachi da seta rivoluzionano tutto, si annienta in poco tempo l’economia contadina tortonese che, in quel periodo, era basata sul mercato tessile (i gelsi venivano venduti ai francesi) e sulla viticoltura (il vino è un prodotto pregiato da vendere ai négociant milanesi e pavesi). Risultato: annientamento dell’economia contadina che spinge all’abbandono delle campagne e all’emigrazione. Il timorasso, allora diffusissimo, è la prima vittima di questa rivoluzione forzata. Quando, dopo qualche decennio, si riprende la coltivazione dell’uva su piede americano, si preferiscono viti più produttive: barbera, croatina e cortese. Il timorasso sopravvive come presenza endemica in pochi filari o piante sparse, soprattutto nella zona del Tortonese orientale. E così rimane a lungo fino a quando qualcuno, dotato di intraprendenza, caparbietà e passione per la propria terra, non decide di riproporlo in grande stile. Quel qualcuno è Walter Massa, l’indiscusso autore della rinascita del timorasso.
Il primo raccolto di timorasso vinificato in purezza, risale alla vendemmia del 1987 e, da allora, l’esperienza nella lavorazione di questa varietà autoctona ha portato a capire, con il raccolto del 1995, che il vino ottenuto con il timorasso si esprime al meglio SOLO alcuni anni dopo la vinificazione che, secondo lo stesso vignaiolo, deve avvenire in acciaio e seguita da una lunga (di solito 12 mesi) permanenza sulle fecce nobili che in tale ambito cedono preziose componenti aromatiche e hanno una funzione antiossidante che predispone a invecchiamenti medio-lunghi.
Tornando ad “Assaggia Tortona” con Paolo ci siamo girati un po’ di banchetti e l’idea che mi son fatto è che tanti produttori di Timorasso ci stanno provando ma pochi riescono davvero a cogliere l’essenza di questo vitigno. Tra i vari vignaioli presenti vorrei segnalare:
Ma perché mi sono spinto fin lassù? Perchè dietro questo vitigno c’è tutta una storia, una storia che riguarda i vignaioli di quelle valli, il loro lavoro, la loro cultura e, soprattutto, le loro speranze.
Il Timorasso è un vitigno autoctono del comprensorio tortonese. In tale area è coltivato dal Medioevo e se ne hanno notizie già dalla prima enciclopedia agraria redatta nel XIV secolo dal bolognese Pier de Crescenzi. L’ampelografia descritta dallo stesso autore non lascia praticamente dubbi sull’originalità del vitigno. La sua diffusione ha riguardato soprattutto la parte medio alta delle principali valli tortonesi; da est verso ovest la Val Curone, la Val Grue e la valle Ossona. Contemporaneamente se ne allarga la coltivazione anche in Val Borbera, nel Novese e in Oltrepò pavese. Nel corso dei secoli conferma le proprie attitudini tanto da divenire il più importante vitigno bianco piemontese relativamente alla superficie e alle quantità prodotte. Esistono infatti, a riprova di ciò, presso l’archivio di stato a Torino, i documenti che, nel periodo compreso fra le due guerre, testimoniano gli acquisti di prodotto giovane e semilavorato che i sensali promuovevano verso l’Europa del nord e che chiamavano “torbolino”.
Il successivo dramma della fillossera e la malattia dei bachi da seta rivoluzionano tutto, si annienta in poco tempo l’economia contadina tortonese che, in quel periodo, era basata sul mercato tessile (i gelsi venivano venduti ai francesi) e sulla viticoltura (il vino è un prodotto pregiato da vendere ai négociant milanesi e pavesi). Risultato: annientamento dell’economia contadina che spinge all’abbandono delle campagne e all’emigrazione. Il timorasso, allora diffusissimo, è la prima vittima di questa rivoluzione forzata. Quando, dopo qualche decennio, si riprende la coltivazione dell’uva su piede americano, si preferiscono viti più produttive: barbera, croatina e cortese. Il timorasso sopravvive come presenza endemica in pochi filari o piante sparse, soprattutto nella zona del Tortonese orientale. E così rimane a lungo fino a quando qualcuno, dotato di intraprendenza, caparbietà e passione per la propria terra, non decide di riproporlo in grande stile. Quel qualcuno è Walter Massa, l’indiscusso autore della rinascita del timorasso.
Il primo raccolto di timorasso vinificato in purezza, risale alla vendemmia del 1987 e, da allora, l’esperienza nella lavorazione di questa varietà autoctona ha portato a capire, con il raccolto del 1995, che il vino ottenuto con il timorasso si esprime al meglio SOLO alcuni anni dopo la vinificazione che, secondo lo stesso vignaiolo, deve avvenire in acciaio e seguita da una lunga (di solito 12 mesi) permanenza sulle fecce nobili che in tale ambito cedono preziose componenti aromatiche e hanno una funzione antiossidante che predispone a invecchiamenti medio-lunghi.
Tornando ad “Assaggia Tortona” con Paolo ci siamo girati un po’ di banchetti e l’idea che mi son fatto è che tanti produttori di Timorasso ci stanno provando ma pochi riescono davvero a cogliere l’essenza di questo vitigno. Tra i vari vignaioli presenti vorrei segnalare:
Daffonchio è uno dei pochi produttori che ha posto in degustazione un Timorasso con qualche anno sulle spalle e già questo è un merito. Il vino, il cui nome si ispira ad una canzone di Carmen Consoli, al naso rappresenta splendidamente i caratteri del Timorasso: dapprima è fruttato, soprattutto esce la pera matura e la mela cotogna, poi entra in gioco una splendida mineralità che oltre al territorio e dovuta anche al vitigno (il timorasso ha circa 20 geni in comune con il sauvignon blanc della Loira e del Graves). In bocca entra dritto, di una austera eleganza ed incanta per un garbato equilibrio tra morbidezza ed acidità/sapidità. Chiude molto lungo, potente, su note di roccia.
Colli tortonesi bianco Annozero Az. Agr. Vigneti Pernigotti 2007 Questa piccola azienda biologica del tortonese produce un Timorasso molto interessante, più fresco e delicato del precedente data la sua maggiore gioventù, esprime netti sentori di melone, pesca, mela cotogna, ginestra a cui fanno eco forti richiami minerali di selce. Di grande equilibrio in bocca, ha nella freschezza e nella conseguente bevibilità il suo punto di forza. Finale di buona persistenza. Provato col Montebore dovrebbe dare grandi soddisfazioni…
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