di Roberto Giuliani
Vado su per Derthona 2.0, a Tortona, e lui mi dice che avrebbe piacere andassi a trovarlo in cantina, che poi è anche la sua casa, in quel di Monleale. Sto parlando, ma lo avete già capito, di Walter Massa, vignaiolo anarchico e ribelle, che mal sopporta confini e limitazioni; quando è in vena sciorina con grande enfasi i suoi punti di vista e le contraddizioni del mondo del vino. Scherzando, ma non troppo, proprio nei giorni di Derthona 2.0, l’evento dedicato al Timorasso, vitigno a bacca bianca che sta dilagando in mezzo Piemonte, una sera a cena con produttori e giornalisti dichiara “I nostri vini non sono naturali, mettiamo le cose in chiaro, qui nessuno fa vini naturali, noi facciamo vini soprannaturali!”.
Insomma, la mattina prima di ripartire vado a trovarlo in azienda, mi mostra i vigneti che la circondano, mi racconta le novità, poi una visita in cantina e, dulcis in fundo, ci riuniamo a tavola con Valerio Bergamini e Othmar Kiem (Falstaff) per una comparativa tra sughero e tappo a vite. Sì, stesso vino tappato in tre versioni: sughero classico e due diversi tappi a vite, uno a tenuta ermetica (Onyx) e uno con membrana che permette una micro-ossigenazione (Ivory). Il vino era un Derthona classe 2016, quindi sei anni pieni che hanno messo in mostra nel calice tre vini diversi: quello chiuso con il sughero aveva colore oro tendente all’ambra e chiari segni evolutivi e ossidativi, quello con l’Onyx era perfetto, integro, giovanissimo, praticamente con tutti i tratti tipici del timorasso, il vino tappato con l’Ivory aveva mantenuto le espressioni del timorasso ma si presentava più pronto e godibile. In parole povere, se si vuole un lungo invecchiamento bisogna puntare all’Onyx, se si vuole un vino godibile ma con buona capacità evolutiva si deve tappare con Ivory; il sughero rimane un terno al lotto, difficile dopo qualche anno trovare due bottiglie identiche, e questo è un problema.
Gli Svitati! |
Così, se da una parte si fa ancora molta resistenza al cambiamento, dall’altra ecco che sbucano “Gli Svitati”, ovvero quel quintetto di storici produttori quali Walter Massa, Franz Haas, Graziano Prà, Silvio Jermann e Mario Pojer (Pojer e Sandri), che seguono la loro strada diritti e cercano di trascinare anche i diffidenti.
Credit: slow food |
Prima di partire, Walter mi vuole dare qualche bottiglia dalla cantina, insiste, e io cedo facilmente, soprattutto quando vedo che mi dà anche qualche vecchia annata, come questa 2005 del Bigolla, ovvero Barbera 100%, 35 mesi in barrique. Si parte male, il tappo sembra letteralmente incollato alla bottiglia, corro a prendere il cavatappi in lame d’acciaio e riesco piano piano ad estrarlo. Per fortuna non ha odori sospetti, la parte umida è omogenea e occupa circa 1 cm.
Versato nel calice mostra un colore granato profondo con ricordi rubini, una buona ossigenazione lo ripulisce di una leggera riduzione; accostato al naso non sembra manifestare ossidazioni né evoluzioni spinte, presenta ancora un bel frutto vivo sebbene maturo, si avvertono note terziarie che richiamano il tabacco, la felce, leggerissimo cuoio, accenno a funghi e sottobosco, ma nel complesso non sembra una Barbera di quasi vent’anni. L’assaggio conferma le mie impressioni, c’è ancora una buona vena acida e una materia equilibrata e matura ma viva, non stanca. Il passare dei minuti non fa che ribadire una Barbera profonda, intensa e non all’ultimo stadio della sua evoluzione. Se dovessi darle un’età, direi che non supera i 10 anni. Come sarebbe stata con il tappo a vite?
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