Ograde 2017 Škerk: il fascino del Carso

di Roberto Giuliani 

Ograde identifica la recinzione con muretti a secco che circonda le parcelle vitate davanti alle case. 


Vitovska, malvasia, sauvignon e pinot grigio, un macerato spettacolare: arancia rossa, pompelmo rosa, ribes bianco, pepe rosa, muschio; gusto travolgente, succoso, ampio, profondo, una meraviglia.

www.skerk.com


A Roma, da Niko Romito, si parla della DOP Tullum

di Roberto Giuliani

Mercoledì 19 novembre, nei locali dello Spazio Niko Romito, in Piazza Giuseppe Verdi 9, a Roma, si è svolta una cena-evento sulla DOP Tullum, organizzata con il supporto dell’agenzia AB Comunicazione. Il presidente della Cantina Tollo e del Consorzio di Tutela Tonino Verna e Maurizio Primavera per Feudo Antico, in presenza di numerosi giornalisti, ci hanno raccontato di questa piccola denominazione e degli obiettivi e progetti di Feudo Antico.


Una delle denominazioni più piccole d’Italia, 18,80 ettari vitati con un potenziale di circa 300 ettari, ma con una storia vitivinicola dalle origini antiche, questa è la DOP Terre Tollesi o Tullum, l’unica nella provincia abruzzese di Chieti, approvata DOC nel 2008 e da luglio 2019 salita in cima alla piramide come DOCG.
Il nome non poteva essere più adatto, visto che l’area di produzione coinvolge esclusivamente il Comune di Tollo. Qui dominano le uve del territorio, montepulciano per i rossi e pecorino e passerina per i bianchi, ma il disciplinare consente anche di produrre spumanti, con una base di chardonnay per almeno il 60%.
Il territorio presenta una giacitura prettamente collinare con pendenze che non superano il 5-10%; l’altezza massima è di circa 228 metri s.l.m., sono esclusi però dalla denominazione i terreni con un’altitudine inferiore agli 80 metri s.l.m. e quelli posti nei fondivalle umidi.
I suoli, con le loro ovvie percentuali variabili, hanno in comune una componente argillosa-sabbiosa, per una media che sfiora il 30% con picchi che arrivano al 45% di argilla, mentre la presenza di sabbia ha una quota media del 36,5%, con valori compresi tra il 12,3% e il 59%, quest’ultima situazione si riscontra di frequente nelle zone alluvionali dei fondivalle (dove, appunto, il disciplinare non consente impianti). Il pH è sub-alcalino o alcalino con valore medio di 7,88.


La presenza della vite e del vino nell’area risale all’epoca romana, testimoniato dal rinvenimento in alcune contrade di Tollo di dolia da vino (giare di terracotta) e celle vinarie intere e a frammenti, mentre nell’area intorno al comune sono stati rinvenuti resti che testimoniano l’esistenza di alcune «villae rusticae» romane, esempio delle prime aziende agricole organizzate, dove l’attività viticola era già ampiamente diffusa.
Durante la seconda guerra mondiale Tollo fu letteralmente rasa al suolo, gli anni successivi furono caratterizzati dall’emigrazione di molti italiani alla ricerca di possibilità di lavoro, ma a partire dagli anni ’60, grazie anche al forte contributo della neo nata cantina Tollo, l’attività vitivinicola della provincia teatina riprese con nuove energie, mentre in altre aree dell’Abruzzo accadeva invece un fenomeno di contrazione. Con i suoi oltre 800 soci conferitori, di cui circa il 15% in regime biologico, oltre 3000 ettari vitati e una produzione che supera i 10 milioni di bottiglie annue, la cantina Tollo rappresenta un modello di riferimento per tutta la regione e non solo.



Nel 2004, da una costola di Cantina Tollo, nasce un progetto sperimentale di archeo-enologia nel territorio di Tollo, che prende il nome di Feudo Antico, con l’intento di valorizzare e rivitalizzare le coltivazioni autoctone e operare nel massimo rispetto dell’ambiente, in regime biologico, concentrando la produzione nel territorio della DOP Tullum.
Feudo Antico, in collaborazione col prof. Attilio Scienza e un pool di ricercatori dell’Università di Milano, ha approfondito la conoscenza delle caratteristiche peculiari del terroir dove dimorano 15 ettari vitati, con lo scopo di ottenere una micro zonazione, in modo che ogni vino nasca dalle parcelle ideali per la tipologia che si vuole ottenere.
I primi vitigni sui quali l’azienda ha iniziato a investire sono stati pecorino e passerina, a cui si è poi aggiunto il montepulciano, frutto di una cuvée di vecchi cloni vinificati in purezza per comprenderne appieno le diverse caratteristiche.
Proprio dalle uve montepulciano l’azienda ha dato vita a InAnfora (non presente alla cena, ma che ho avuto modo di apprezzare di recente e descrivere in questo articolo), nato dopo il ritrovamento all’interno della proprietà di antiche anfore romaniche in terracotta artigianale da 750 litri. Il vino è stato forgiato riducendo al massimo qualsiasi intervento, compreso l’uso della solforosa estremamente ridotto, l’obiettivo era di avvicinarsi il più possibile all’antico modo di fare vino, limitandosi a pigiare l’uva, introdurla nelle anfore, lasciar partire la fermentazione spontanea senza controllo della temperatura, lasciando il mosto a contatto con le bucce per quasi un anno.


Ma l’avventura di Feudo Antico è in continua evoluzione, infatti, visto che la DOCG lo prevede, non poteva mancare uno Spumante Brut Metodo Classico da uve chardonnay, rigorosamente DOP Tullum, che permane sui lieviti per almeno 36 mesi. Un vino che, nella versione 2015 presentata durante la cena, mi ha particolarmente colpito per la notevole personalità e una verve quasi entusiasmante; il perlage finissimo ha portato al naso profumi di crosta di pane, burro e vaniglia tostata, agrumi e melone invernale; palato stimolante, succoso, sapido, di bella persistenza e precisione esecutiva.

Foto: rock and food

Unica eccezione al di fuori della denominazione, un pecorino sperimentale d'alta quota (862 metri s.l.m.), progetto nato nel 2010 da un accordo fra Feudo Antico e lo chef Niko Romito, che ha consentito a dare in gestione un piccolo terreno vicino al complesso cinquecentesco di Casadonna (identificato al foglio di mappa n.33, particella 505) dove nel 2011 ha trasferito la sua attività di ristorazione. Allevato a guyot con una densità di 6.250 ceppi/Ha, fermenta in cemento con lieviti presenti sulle bucce, resta in contatto con gli stessi lieviti per 6 mesi, non subisce travasi né filtrazioni; nel 2013 prendono vita le prime 800 bottiglie di questo Pecorino IGP Terre Aquilane.


Ad oggi la DOCG Tullum è composta da meno di 19 ettari e rappresentata da sole 3 aziende, ma la strada tracciata da Feudo Antico sarà sicuramente di stimolo per le nuove generazioni; Tonino Verna però ci tiene a precisare che, finché rimarrà in carica come presidente del Consorzio (ma in cuor suo spera che anche chi gli succederà avrà gli stessi propositi), la crescita degli ettari iscritti dovrà avere una progressione graduale e ben controllata, per garantire di mantenere alto il livello qualitativo della denominazione.


La serata è stata estremamente piacevole, grazie anche ai piatti proposti dall’equipe proveniente dall’Accademia Niko Romito guidata dell’executive chef Gaia Giordano, elaborazioni che mettono sempre in risalto la qualità delle materie prime utilizzate, senza mai eccedere in pirotecniche sperimentazioni e con equilibrio e leggerezza a rendere le portate sempre digeribili; la stessa concezione degli ambienti rappresenta in modo intelligente la concezione di locale moderno di Niko Romito: appena entrati si ha subito la sensazione di un’atmosfera accogliente e di uno stile che richiama la sala da thè e la trattoria d’epoca (non a caso sono state scelte le sedie “Chiavarine” tipiche degli anni ‘60/ ’70), ma di questo Bar Ristorante da scoprire volta per volta vi racconterò in modo approfondito in un articolo espressamente dedicato.


Terrawine Festival a Todi: siete pronti?

L’Umbria è celebre non solo per l’immensa bellezza dei borghi e le oasi naturalistiche mozzafiato, ma anche per i frutti di una terra che, seppur minuta, sfoggia vini DOC e oli EVO di valore europeo. Eccellenze che, accompagnate da un territorio ricchissimo di storia, arte e cultura, diventano il veicolo principale di Terrawine Festival, un evento che arriva quest’anno alla seconda edizione e punta a diventare sempre più un contenitore di contaminazioni e stimoli per operatori di settore e pubblico, all’insegna del dinamismo culturale e di un mix virtuoso tra enogastronomia locale e contenuti artistici di qualità.


Terrawine Festival si terrà presso il Palazzo del Capitano del Popolo a Orvieto domenica 21 e lunedì 22 giugno 2020, ma sarà anticipato da “Champagne & Sparkling Wine”, una Winter Edition prestigiosa a Todi sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre 2019 e 2 Event Preview a Roma (giovedì 6 febbraio 2020) e Milano (giovedì 2 aprile 2020).

Valorizzare la terra, quindi, attraverso arte, letteratura, design, musica. Oltre a degustazioni, dibattiti, confronti, incontri informali con i produttori, masterclass, laboratori dedicati, seminari. Il tutto sotto la direzione tecnica di Simona Geri e quella artistica di Salvatore Alfieri, il quale ricorda come il cardine di questa manifestazione sia “rendere partecipe il pubblico della passione per il vino, l’olio e la terra attraverso le proprie competenze nell’enogastronomia, ma anche nell’arte e nella cultura”.
In attesa dell’evento di Orvieto con 2 giorni dedicati alla cultura della terra, del cibo e dell’olio, l’appuntamento è per sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre 2019 a Todi, dove avremo l’occasione di assaggiare prestigiosi champagne, bollicine italiane e una selezione di grandi vini. La Sala delle Pietre di Palazzo del Popolo sarà anche luogo dove confrontarsi direttamente con produttori, distributori, importatori e professionisti del settore attraverso approfondimenti su vigne e territori, masterclass e degustazioni dedicate a temi diversi, affrontati nei seminari in programma.


Il programma completo di Terrawine Festival a Todi lo potete scaricare cliccando QUA

Zorah - Voskì 2015

In Armenia, lungo le pendici del monte Ararat, a circa 1400 metri, vengono coltivate Garandmak e Voskéat, uve locali da vigneti anche a piede franco piantate su banchi di calcare, dalle quale nasce questo vino assolutamente originale grazie ad un ricercato connubio tra aromaticità, sapidità e lunga persistenza ammandorlata. 


Si beve volentieri e io l’ho abbinato assieme ad un piatto di khorovadz, spiedini di pollo grigliato, immancabili sulle tavole armene.

Muraje Carema e il sogno di Federico e Deborah

di Andrea Petrini

A Carema non ci capiti per caso, ti fermi là perché ci vuoi andare. Carema e il suo vino devono essere necessariamente la tua destinazione, prima di tutto del cuore, perché da queste parti nulla è di moda, nulla è facile e scontato, nemmeno gestire sua maestà il nebbiolo (localmente chiamato picutener e pugnet) visto da queste parti, ovvero al confine tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, questo vitigno viene allevato eroicamente sulle pendici del Monte Maletto, tra le rocce moreniche di origine glaciale, usando caparbiamente quella che viene definita architettura topiaria.

Di cosa sto parlando? Beh, sto descrivendo sostanzialmente una viticoltura eroica dove faticosamente, nella roccia viva, l’uomo ha creato dei terrazzamenti a secco, tra i 300 e i 700 metri di altitudine, collegati da ripidissime ed asimmetriche scale in pietra, dai quali si innalzano come soldati schiere di pilastri dalla forma tronco-conica (pilun) sui quali poggiano i graticci che sostengono i tralci delle viti. Le pergole a Carema, chiamate localmente “topia”, sono così ovvero degli scenografici “templi bacchici” (Renato Ratti) dove i pilun hanno l’importante funzione di accumulare calore di giorno rilasciandolo durante la notte, attenuando così l’escursione termica.

Architettura topiaria

A Carema, dove le vigne iscritte a questa DOC, divise in decine e decine di micro-parcelle, non superano i 19 ha totali (dimensione media di una azienda toscana), per esser un vero viticoltore eroico spesso devi conoscere e passare per “Mario”. Chi è costui? Beh, chiedetelo a Federico Santini, toscano di nascita ma piemontese di adozione, e alla sua compagna Deborah (agronomo) che nel 2012 hanno deciso di dar sfogo alla loro grande passione per il nebbiolo cercando di investire tempo ed energie in questa DOC dove tutto è difficile, anche acquistare o affittare dai vecchietti del paese una parcella di terreno vitato. Già, perché a Carema fare il vino è una questione di tradizione famigliare e nessuno accetterà di buon grado di cedere la sua micro-vigna a meno che gli acciacchi dell’età non siano davvero invalidanti o a meno che non ci sia Mario, amico fraterno di Federico, che interceda per convincere i locali che questo aspirante vignaiolo venuto da lontano sia là per fare un buon lavoro tutelando e valorizzando un territorio e, in particolare, una viticoltura che rischiava di scomparire così come successo a Boca. Non ho scritto un nome a caso, poi si capirà.

una vigna di Murjae

Federico e Deborah, dopo essere passati sopra ai tanti “Chi ve lo fa fare!” e aver superato, nel 2012, la prova generale del prode Mario che gli ha “costretti”, tanto per fargli capire a cosa andavano incontro, a vendemmiare e a vinificare due damigiane di nebbiolo, hanno iniziato a Carema la loro attività di vignaioli a fine 2014 quando hanno acquistato la prima parcella di nebbiolo in zona Laurey (versante ovest e più soleggiato della conca di Carema) dando vita al progetto Muraje (in dialetto caremese si riferisce ai muretti a secco usati per i terrazzamenti) che oggi, tra proprietà ed affitto, può contare su circa 1.3ha di vigneti divisi in 40 appezzamenti sparsi nel territorio della DOC Carema.
Le difficoltà dei nostri giovani vignaioli non finiscono qua perché la cantina di vinificazione nei primi due anni di attività ancora non è pronta e, dopo Mario, ecco emergere un altro nome caro alla recente storia di Muraje: Christoph Kunzli, anima e cuore di Le Piane, azienda simbolo del Boca DOC.

Pendenze.....

Federico e Deborah, infatti, usano la cantina e la sapienza enologica dello svizzero per vinificare le prime due vendemmie, 2015 e 2016, dalle quali sono nati due VDT: il Kræma 2015 (972 bottiglie prodotte) e il Sumié 2016 (876 bottiglie prodotte). La cantina verrà acquistata solo nel 2017 ed è situata in via Croce 20, al termine di una sfiancante salita dove è possibile apprezzare anche il campanile settecentesco di Carema alto 60 metri e considerato un capolavoro unico nel proprio genere in Piemonte.


La cantina è piccolissima, circa 60 metri quadri, dove troviamo tre vasche di cemento e qualche botte di rovere esausta. Tutto molto semplice così come lo è l’approccio enologico di Federico e Deborah: fermentazione spontanea in cemento, uso di lieviti non selezionati, lunghe permanenze sulle bucce (2/3 mesi) e successivo affinamento in legno per altri 12 mesi. Il vino, non filtrato e con l’aggiunta minima di solforosa, va poi in bottiglia. Con l’annata 2018 Muraje produrrà circa 3000 bottiglie di Carema DOC alle quali si aggiungeranno un altro migliaio di bottiglie di un secondo vino (60% nebbiolo con saldo di altri vitigni a bacca rossa locali) chiamato Lasú (come per il Sumié il nome si riferisce ad alcuni pali dell’architettura topiaria).

Grazie alla visita che ho fatto a Federico durante la Festa dell’uva e del vino di Carema ho potuto degustare il Sumié 2016 e il Lasú 2018 anche se la parte più divertente, almeno per me, sono stati gli assaggi da botte dell’annata 2018 del vino atto a divenire Carema DOC.
Il Sumié 2016 (90% nebbiolo con saldo di altri vitigni a bacca rossa locali tra cui neyret e nero d’ala) è la seconda e ultima annata vinificata presso Le Piane per cui ancora non può fregiarsi della DOC Carema. Il vino, pur nella sua gioventù, fa percepire che Federico e Deborah hanno intenzione di sovvertire la convinzione che il nebbiolo di Carema sia un vino austero ed indecifrabile. Il Sumié nel mio bicchiere è un vino moderno che non tradisce le tradizioni del territorio, ha un olfatto minerale di ardesia, profondo, ma è anche ricco di sfumature fruttate e floreali che lo rendono immediatamente piacevole. La bocca è succosa, senza deviazioni; punta dritto al finale, sapido e fruttato e di lunga persistenza.


Il Lasú 2018, il “secondo vino” di casa Muraje, è un vino gioviale, divertente, fresco e di grande leggerezza. Sa di fragoline, spezie fresche, viole, erbe di montagna ma la sua forza sta nella beva, assolutamente irresistibile soprattutto se servito fresco, causa anche un grado alcolico misurato. E’ un vino popolare che sa di condivisione e serate tra amici passate a tagliare pane e salame in spiaggia o davanti ad un camino.


Mentre arriviamo in bottaia Federico mi spiega che da sempre cerca di effettuare vinificazioni separate con lo scopo di capire le potenzialità dei vari terroir in cui sono sparsi i suoi vigneti di nebbiolo. In particolare, nella 2018, ha vinificato a parte il nebbiolo della zona Laurey perché, secondo anche i vecchietti del Paese, da quella zona da sempre si producono vini di altro spessore qualitativo. Questo nebbiolo, ovviamente ancora in affinamento, è davvero particolare, è profondo, complesso, vibrante, con una struttura importante che si percepisce dopo la deglutizione. E’ ancora indietro soprattutto se confrontato con il nebbiolo proveniente dagli altri vigneti, comprensivi anche di una parte di Laurey, che risulta già espresso, luminoso, di grande eleganza. Alla cieca avrei parlato di un Carema già in bottiglia. 

Giudizio finale? La 2018 in casa Muraje sarà una grande annata visto che le premesse ci sono tutte. P.s: non sarà prodotto il Cru “Laurey”, quello di Federico e Deborah è per ora solo un esperimento. Ah, il Carema 2017, di cui non ho parlato, uscirà il prossimo anno in circa 1.400 bottiglie.

Tenete d’occhi questi ragazzi, se lo meritano!

Az.Agr. Bisi – Igt Provincia di Pavia Rosso Frizzante “Ultrapadum” 2017


di Lorenzo Colombo

Barbera e Croatina in parti uguali, vinificazione separata ed assemblaggio in primavera. Aggiunta di lieviti e di mosto dolce delle stesse uve, rifermentazione in bottiglia, dove il vino rimane per dodici mesi prima d’essere sboccato. 


Ne esce un vino dalla spuma cremosa, strutturato, tannico, alcolico, ma dalla piacevolissima beva. Provare per credere.

I Soave Classico de Le Mandolare sfidano il tempo

di Lorenzo Colombo

L’Azienda Le Mandolare si trova a Brognoligo di Monteforte e possiede venti ettari di vigneti nelle più pregiate zone del Soave Classico: Brognoligo, Castelcerino, Fittà e Monteforte, su suoli di basalto lavico e calcare.

Vigneto

Sono tre i Soave che l’azienda produce, da zone diverse e con processi enologici differenti, per tutti vengono utilizzate uva Garganega in purezza, che coltivate su questi suoli acquistano la tipica nota “vulcanica”, caratterizzata da sentori sulfurei.
Il Soave viene (purtroppo) spesso considerato dai consumatori un vino che s’esprime al meglio in gioventù, quindi da bersi nel primo (o nei primi) anni di vita. Nulla di più sbagliato. 
Se si ha la pazienza d’attendere i vini acquisiscono profumi e sentori che solo il tempo è in grado di fornire, prova ne sono i tre vini che seguono, degustati dopo un opportuno periodo di sosta in bottiglia.

La famiglia al completo

Si tratta di tre vini diversi, oltre alle differenti zone di provenienza delle uve ed al loro differente grado di maturità al momento della raccolta, differiscono anche relativamente alla conduzione enologica.
Il “Corte Menini” vede unicamente acciaio, le uve de “Il Roccolo” vengono in parte fermentate in legno, mentre il "Monte Sella” –unico a Docg, essendo un Soave Superiore- vede unicamente legno.

I tre vini sono tutti molto interessanti e dotati di buona complessità,  la nostra preferenza personale va comunque a “Il Roccolo”, dove il sapiente e limitato uso del legno gli dona complessità senza sacrificarne le note fruttate.

Soave Classico Doc “Corte Menini” 2016
Uve provenienti dalla Località Menini, nelle colline di Castelcerino, i vigneti hanno un’età media di vent’anni e sono allevati a pergola con esposizione Sud-Est. Sia la vinificazione che l’affinamento (sulle fecce) si svolgono in vasche d’acciaio. Color paglierino luminoso.
Fresco al naso, di media intensità, pesca bianca, fieno, erbe officinali, accenni d’idrocarburi.
Fresco e sapido, mediamente strutturato, accenni vegetali e note sulfuree, fiori secchi e miele, buona la persistenza.


Soave Classico Doc “Il Roccolo” 2016
Le uve provengono dalla Località Monte Grande, sulle colline di Brognoligo, il sistema d’allevamento è la pergola.
Le uve vengono raccolte a maturazione avanzata, la fermentazione avviene in parte (30%) in legno di rovere ed il restante in acciaio; la maturazione, sulle proprie fecce, si protrae sino a primavera. Giallo paglierino di buona intensità, quasi dorato, luminoso.
Buona l’intensità olfattiva, complesso ed elegante, presenta leggere note aromatiche, accenni idrocarburici, frutto giallo (pesca matura), note tropicali, fiori di tiglio e d’acacia, sbuffi d’agrumi, fieno, fiori secchi. Di discreta struttura, fresco e minerale, equilibrato, con bella vena acida, ritroviamo i sentori tropicali che rimandano all’ananas ed alla papaia e le note d’agrumi, lunga la sua persistenza. Un vino notevole.


Soave Classico Superiore Docg “Monte Sella” 2014
I vigneti, allevati a pergoletta veronese, si trovano nella parte più alta del Monte Sella, sulle colline di Brognoligo.
Le uve, dopo un’opportuna selezione, sono raccolte a piena maturazione, parte di esse vengono poste in cassette per un leggero appassimento, l’altra parte è sottoposta a criomacerazione. La fermentazione si svolge in botti di rovere, dove il vino sosta per almeno un anno, dopo di che  s’affina per ulteriori tre mesi in bottiglia. 
Color giallo dorato, intenso e luminoso. Intenso ed ampio al naso, sentori di frutto tropicale, pesca, agrumi, fiori di tiglio, accenni di miele, fiori secchi, note sulfuree, l’evoluzione lo spinge verso note idrocarburiche. Strutturato, morbido e sapido, con vena acida che dona freschezza, sentori di miele, pesca matura, fieno e fiori secchi, lunghissima la persistenza.



Ormae Vinae - Gioiellae Toscana IGT Rosato 2018

Poteva un appassionato di latinorum sottrarsi all’assaggio di un rosè bio chiamato Gioiellae, fatto da un’azienda olearia di Pontassieve che maccheronicamente si chiama Ormae Vinae e di cui non so nulla, salvo che forse sono russi? 


Non potevo. Ma ben me ne incolse: Sangiovese 100%, bello sapido, perfino muscolare e quasi autunnale!

Vitique ovvero mangiare a Greve in Chianti

di Stefano Tesi

Di norma quando, in zone ad alta densità ristoratoria o mediatica, nasce un nuovo locale, c’è da preoccuparsi: il rischio è infatti che si tratti o dell’ennesimo clone oleografico da mainstream, o del classico posto che vuole distinguersi a tutti i costi, facendo poi la fine del proverbiale gatto in tangenziale.
Quando, inoltre, l’iniziativa è espressione diretta di una casa vinicola, i rischi aumentano perché, come è ovvio, spesso le esigenze di promozione soverchiano, o limitano fortemente, quelle gastronomiche, ingabbiandole.
Il Vitique di Greve in Chianti, ristorante affidato dal gruppo Santa Margherita al giovane chef Antonio Guerra, questi rischi li correva tutti e, quando l’ho visitato, ne ero ben consapevole. Sono stato però piacevolmente smentito.

Lo chef Antonio Guerra

Non tanto nello stile e nelle scelte architettoniche, ispirate comunque a un design curato, in equilibrio, come trend comanda, tra minimalismo e rusticità reinterpretata, quanto a tavola e in cantina.
Sotto il secondo aspetto, se le etichette “domestiche” hanno ovviamente un ruolo importante, esse tuttavia non tracimano ed anzi lasciano spazio con intelligenza a qualche centinaio di referenze italiane e non, offrendo una gamma di scelte che non condiziona né la curiosità, né gli abbinamenti.


Sotto il primo aspetto, invece, la sorpresa è stata una cucina che, senza rinunciare a contaminazioni e a qualche esperimento ardito, rimane comunque centrata, senza sbavature, focalizzata sulla qualità delle materie prime o soprattutto attenta a non disperdere in orpelli e diverticoli il cuore delle singole portate: sapori decisi e consistenze nette anche in caso di composizioni “acrobatiche”, le giuste stagionalità senza regionalismi e, aspetto secondo chi scrive della massima importanza, senza caricature. Quindi carne, pesce, territorio e anche no, in una carta ragionata che muta ciclicamente ma, stagione dopo stagione, mantiene la sua coerenza.

Esterno

Bene ad esempio, per coesione e delicatezza, le cappesante con porcini, guanciale e nepitella. Bene anche i ravioli del plin allo stracotto di manzo con pecorino, alloro e tartufo, un piatto pieno di nerbo e niente affatto facile da trovare in una versione così intrigante. Davvero eccellente, alla fine, la brioche allo zabaione.

Interno

Considerato lo stile e la qualità, il Vitique, che è aperto solo a cena, non è in assoluto un ristorante economico (alla carta il conto è sui 75 euro a testa più i vini), ma l’abbondanza dei menu degustazione, da tre a sette portate a partire da 55 euro, allarga la forbice dei costi.
Di giorno è aperto invece il bistrot, con una cucina più ruspante e veloce e costi più contenuti.

Vitique
Via Citille 43, 50022 Greti, Grave in Chianti (FI)
info@vitique.it - www.vitique.it
tel. 055 9332941
chiuso mercoledì
Orari: dalle ore 11 alle ore 23

Michel Furdyna - Champagne Brut Reserve


di Luciano Pignataro

Una piccola chicca a circa 20 euro in rete. E' lo champagne di Michel Fourdyna da pinot noir vinificato in bianco coltivato in dieci ettarisparsi in sei comuni della Cote des Bar. 


Il piccolo viticolture di Celles sur Ource segue pratiche ambientali e tradizionali. Sorso fresco e appagante. Un affare.

www.champagne-furdyna.com