La Valtellina di Paolo Balgera


di Lorenzo Colombo

Quella di Paolo Balgera è un’azienda storica, fondata nel 1885 da Pietro Balgera e giunta, con Luca e Matteo, figli di Paolo, alla quinta generazione. Situata a Chiuro l’azienda possiede sei ettari di vigneti in proprietà nel territorio di tre sottozone, Valgella, Sassella e Grumello e s’avvale inoltre delle uve di alcuni conferitori storici. I vini prodotti da Paolo, che ora ha passato la mano al figlio Luca, sono caratterizzati da un lungo affinamento prima della loro messa in commercio.
Sono 50 mila le bottiglie prodotte annualmente, suddivise su una ventina d’etichette, durante la nostra visita in azienda Paolo ce ne ha fatte assaggiare alcune, soffermandosi in particolare sui Valgella.


La degustazione è comunque iniziata con un vino spumante, ultimo nato, ovvero il VSQ Metodo Classico Rosé “Gèra”, prodotto con uve nebbiolo e frutto di una maturazione sui lieviti per 18 – 24 mesi, vino non millesimato ma le cui uve sono tutte dell’annata 2022. Il nome del vino deriva dal suolo dov’è stato messo a dimora il nuovo vigneto dedicato alla sua produzione, caratterizzato da sabbia e piccoli ciottoli, detti localmente “Gèra”. Questo vino, voluto da Luca Balgera, è stato prodotto per la prima volta in un numero limitatissimo di bottiglie con l’annata 2020 e ha visto un affinamento in in bottiglia di ben 40 mesi prima d’essere sboccato, successivamente, con la seconda annata di produzione, la 2022 da noi assaggiata, Luca ha ridotto di parecchio la sosta sui lieviti e contemporaneamente ha moltiplicato il numero di bottiglie prodotte che sono 2.614.


Visto il risultato ottenuto e confortato dai risultati riscontrati sul mercato Luca ha deciso di impiantare, nel 2024, uno specifico vigneto dedicato alla produzione di questo vino e l’ha messo a dimora sulla riva sinistra dell’Adda, ovvero sulla sponda orobica, a 400 metri d’altitudine, di conseguenza è esposto a nord, la sua conduzione è a Guyot e la sua densità d’impianto è di 5.210 ceppi/ettaro.
Il vino si presenta con un color tra il rosa cipria luminoso di buona intensità ed il salmone. Pulito al naso, fresco, di buona verticalità, si colgono sentori di frutti di bosco, fragolina e ciliegia e note d’agrumi maturi. Fresco, sapido, succoso, verticale, tornano alla bocca i sentori di frutti di bosco, bella la vena acida-agrumata, pompelmo rosa, buona la persistenza. Un vino fresco e dalla piacevolissima beva.

Rosso di Valtellina Doc “450” 2018

Nebbiolo in purezza proveniente da un’unica vigna messa a dimora nel 1960, sitata nel comune di Chiuro si trova a 450 metri d’altitudine -da cui il nome del vino- su suolo sabbioso-limoso, l’esposizione è sud-est, sud-ovest.
Le vendemmia s’effettua a fine settembre inizio ottobre e la resa è di 70 q.li/ettaro.
La fermentazione s’effettua in vasche d’acciaio mentre l’affinamento avviene per la prima parte in botti di rovere da cinque ettolitri dove sosta per un anno sulle fecce fini, prosegue quindi per 36 mesi in vasche d’acciaio e per altri 12 mesi in bottiglia. Il suo costo in azienda è di 15 euro. Il colore è rubino-granato di media intensità.


Bello il naso, fresco, pulito, di buona intensità, dove si colgono sentori di frutta rossa fresca, di ciliegia matura, zucchero caramellato ed accenni di vaniglia. Fresco, succoso e asciutto alla bocca, con trama tannica importante e buona vena acida, tornano i sentori di ciliegia con leggeri accenni vanigliati e di cioccolato, lunga la sua persistenza su sentori di radice di liquirizia. Un bell’esempio di Rosso di Valtellina.

I tre Valgella

La Valgella è la più estesa delle cinque sottozone del Valtellina Superiore, i suoi 140 ettari di vigneti s’estendono da poco dopo Chiuro sino a Tresenda con i vigneti di Quigna, le altitudini sono comprese tra i 350 ed i 650 metri s.l.m., la Valgella è caratterizzata dalla presenza di molti piccoli torrenti che localmente prendono il nome di “valgel” da cui il nome della sottozona. Ne vengono prodotte annualmente circa 5.000 bottiglie per ciascuna etichetta.

Valtellina Superiore Valgella Docg “Maferìn” 2020

Nebbiolo in purezza provenienza da un’unica vigna che ha visto la sua messa a dimora in diversi anni: 1960, 2019, 2021, 2022, 2024, situata tra i 375 ed i 400 metri d’altitudine su suolo sabbioso ha una densità d’impianto di 5.210 ceppi/ha ed è allevata a Guyot con disposizione in maggior parte a ritocchino ed in minor misura a giropoggio. La vendemmia s’effettua nella prima settimana d’ottobre e la resa è di 80 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio tramite lieviti indigeni e il suo affinamento avviene in più fasi, i primi 12 mesi sosta in botti di rovere da tre ettolitri sulle fecce fini, viene quindi travasato sempre in botti da tre ettolitri dove rimane per altri 12 mesi ai quali seguono ulteriori 18 mesi in vasche d’acciaio e 12 mesi in bottiglia. In azienda viene venduto a 25 euro.


Color granato scarico. Bel naso, intenso, pulito, balsamico, con un bel frutto rosso, ciliegia fresca, vaniglia e leggere note mentolate. Asciutto ed al contempo succoso alla bocca, con bella trama tannica, sentori di ciliegia e liquirizia, media la sua persistenza.

Valtellina Superiore Riserva Valgella Docg “Quigna” 2016

Il nome del vino è quello del toponimo che deriva probabilmente dal latino aquinea, ovvero terreni ricchi d’acqua, qui ci sono gli ultimi vigneti ad est della Valgella.
Il vigneto, messo a dimora nel 1960, è situato tra i 430 ed i 470 metri d’altitudine su suolo sabbioso con componente rocciosa, l’esposizione è sud-est ed il sistema d’impianto è a rittochino, condotto a Guyot con densità d’impianto di 4.650 ceppi/ettaro. La vendemmia s’effettua nella prima settimana d’ottobre e la resa è di 65 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio con lieviti autoctoni, l’affinamento prevede 12 mesi sulle fecce fini in botte di rovere da 5hl seguiti da 36 mesi sempre in botte di rovere da 5hl, 24 mesi in vasche d’acciaio ed infine12 mesi in bottiglia. 35 euro il suo costo in azienda.


Color granato scarico. Bel naso, fresco, pulito, di buona eleganza e complessità, note fruttate di ciliegia fresca, accenni floreali e di menta fresca. Discretamente strutturato, fresco e succoso, con bella trama tannica e buona vena acida, leggerissima nota piccante, buono l’equilibrio complessivo e lunga la persistenza.

Valtellina Superiore Riserva Valgella Docg “Pizaméi”

Altro vino da singolo vigneto, posto tra i 440 ed i 490 metri d’altitudine su suolo sabbioso con presenza di roccia, esposto a sud è completamente posizionato a giropoggio Di questo vino abbiamo potuto degustare ben tre annate assai diverse tra loro, la 2015, annata in commercio e le 2016 e 2017 che stanno completando il loro affinamento in bottiglia. Il prezzo del vino in cantina è di 35 euro.


2015 – Granato non molto intenso, luminoso. Intenso al naso, balsamico, elegante e di buona complessità, frutto rosso maturo, fiori appassiti, radici, vaniglia, cannella, tabacco. Dotato di buona struttura, con tannino importante che ricorda la pellicina di castagne e spiccata vena acida, sentori di rabarbaro e radici, lunga la persistenza.

2016 – Color granato scarico. Pulito al naso, di buona intensità, balsamico e vanigliato presenta un buon frutto, ciliegia matura e accenni di legno dolce e cioccolato. Fresco e succoso, di buona eleganza, tannino bel gestito, buona vena acida, speziato, vanigliato, note d’agrumi, accenni mentolati, lunga la persistenza. Un vino che pare più pronto rispetto al 2015 ora in commercio.

2017 – La gioventù del vino si coglie già dal colore (o forse è dovuto all’annata) rubino-granato di discreta intensità. Intenso al naso, balsamico, presenta sentori di frutta rossa matura, ciliegia e amarena, accenni floreali, note mentolate e leggeri accenni pepati. Succoso e strutturato, con accenni piccanti di pepe, buona la trama tannica e bella la vena acida, sentori di radice di liquirizia sulla lunga persistenza.

Chiudiamo la nostra degustazione con due Sforzati assai diversi tra loro, più tradizionale il primo (e più elegante secondo noi) e più moderno e strutturato il Solstizio.

Sforzato di Valtellina Docg 2009

Le uve, nebbiolo in purezza, provengono da vigneti situati su suolo calcareo ciottoloso, posti tra i 200 ed i 500 metri d’altitudine, sono posizionati a ritocchino ed allevati a Guyot modificato per una produzione di circa 70 q.li/ettaro.
La raccolta delle uve avviene a metà ottobre e la loro spremitura dopo il mese di gennaio dopo un appassimento di qualche mese, dopo la fermentazione alcolica il vino riposa in botti di rovere per tre, quattro anni, segue una sosta in bottiglia per circa sei mesi. 65 euro il suo prezzo in azienda. 


Color granato non molto intenso. Intenso al naso, elegante e complesso, balsamico, mentolato, sentori di cioccolatini After Eight e Mon Cheri. Succoso e strutturato con tannino morbido e setoso, spiccata vena acida, cioccolato alla menta, note d’arancio e di liquirizia, lunghissima la sua persistenza. Un vino dalla notevole qualità.

Sforzato di Valtellina Docg “Solstizio” 2016

I vigneti sono posti tra i 400 ed i 480 metri d’altitudine su suolo sabbioso con presenza di rocce, l’esposizione è sud-est, sud-ovest, la vendemmia s’effettua tra fine settembre ed inizio ottobre e la resa è di 38 q.li/ettaro.
La pigiatura delle uve avviene a fine dicembre dopo qualche mese d’appassimento, la fermentazione so svolge in vasche d’acciaio mentre l’affinamento del vino prevede 12 mesi sulle fecce fini in botte di rovere da 15hl, 42 mesi in botte di rovere da 15hl, sei mesi in vasche d’acciaio e infine 12 mesi in bottiglia. Ne sono state prodotte 2.030 bottiglie vendute in azienda a 50 euro. 


Color rubino luminoso di media intensità. Intenso al naso, alcolico, sentori di ciliegia sotto spirito e prugna secca, cioccolato e caffè. Strutturato, succoso, alcolico, con bella vena acida, sentori di prugna e liquirizia forte, note di cioccolato e d’erbe officinali, molto lunga la persistenza.

Eliwine: il progetto di Marco Elisei che fonde tradizione italiana e cultura vinicola romena


Nel cuore del Banato, nel sud-ovest della Romania e a breve distanza dalla città di Arad, si estende la suggestiva regione vinicola di Minis-Măderat, un territorio intriso di storia e con una profonda tradizione vitivinicola. Le prime coltivazioni di vite in quest'area risalgono all'epoca dell'Impero Romano, testimoniando una vocazione enologica antichissima. Nel corso dei secoli, la regione fu soggetta a diverse dominazioni, ma fu soprattutto durante il periodo asburgico che i vini di Minis-Măderat conobbero un notevole salto di qualità. Si racconta che l'aszu, un pregiato vino rosso dolce ottenuto dal vitigno autoctono Cadarcă, fosse il nettare prediletto dalla Corte Imperiale di Vienna per un lungo periodo. Tuttavia, la definitiva affermazione a livello internazionale si concretizzò nel 1862, quando i vini locali trionfarono al primo premio di un prestigioso concorso enologico tenutosi a Londra, proiettando la zona di Minis-Măderat sulla scena vinicola mondiale.


Questa importante denominazione si estende oggi su circa 3000 ettari di vigneti, caratterizzati da una notevole diversità di terreni e da un clima particolarmente favorevole alla viticoltura. Tale eterogeneità permette la coltivazione di un ampio ventaglio di uve, sia locali che internazionali. Tra le varietà autoctone a bacca bianca spiccano la Mustoasa de Măderat e la Fetească Regală, mentre tra le uve rosse un ruolo di primo piano è rivestito dalla Fetească Neagră, da cui si ottengono vini rossi di notevole struttura e personalità. Accanto a queste, Minis-Măderat accoglie con successo anche diverse varietà internazionali, che hanno trovato in questo terroir condizioni ideali per esprimersi al meglio, come lo Chardonnay, il Sauvignon Blanc, il Cabernet Sauvignon e il Merlot.


Questa splendida area della Romania, situata non lontano dal confine ungherese, vanta da qualche anno anche una "voce" italiana grazie a Marco Elisei. Questo imprenditore, attivo nella zona di Arad, sta realizzando significativi investimenti, tra cui spicca il progetto vitivinicolo EliWine, avviato nel 2021. L'ambizioso obiettivo di EliWine è quello di armonizzare la ricchezza della cultura rinascimentale italiana con le profonde tradizioni vinicole locali.

Marco Elisei

Ad oggi questa piccola e recente boutique winery produce quattro tipologie di vini bianchi prodotti prevalentemente da uve Sauvignon Blanc e Fetească Regală che sono vinificati esclusivamente tramite anfore di terracotta realizzate nella zona dell’Impruneta dove Filippo Brunelleschi (da qui il richiamo al rinascimento italiano) prese i mattoni per edificare il Duomo di Firenze. Il successivo affinamento dei vini, a seconda della tipologia, viene poi effettuato o nelle stesse anfore oppure in botti di rovere o di acacia provenienti dalla zona ungherese del Tocaj.


I quattro vini bianchi prodotti da EliWine, tutti annata 2022, la prima in commercio, sono stati presentati a Roma poco tempo fa e, tra tutti, il mio coup de coeur è andato al Terra Mater (92% sauvignon blanc, 8% furmint). Dal punto di vista tecnico le uve, appositamente selezionate da un vigneto di 35 anni di età sito nel Comune di Siria, fermentano e maturano in anfora di terracotta per 18 mesi a cui seguono 6 mesi di affinamento in bottiglia. 


Dal punto di vista organolettico, chi si aspetta il classico Sauvignon Blanc dai tratti fortemente pirazinici rimarrà (piacevolmente) deluso perché questo bianco ti accoglie al naso in maniera elegante ed armonica grazie ad un bouquet aromatico dove il fieno appena tagliato si fonde con la delicatezza delle erbe aromatiche cui seguono intensi effluvi salini ed agrumati. Ottimo l’approccio gustativo, avvolgente per morbidezza, rinfrescante per acidità e stuzzicante per piacevole mineralità che ricorda la pietra focaia. Vino sorprendente che, tolti gli eventuali pregiudizi per i vini della Romania, non potrà non conquistare il pubblico italiano per la sua personalità!

InvecchiatIGP: Poggio di Sotto - Rosso di Montalcino 2009


di Stefano Tesi

Per fortuna non sono il solo a scoprire di avere in cantina roba di cui nemmeno immaginavo l’esistenza. Ed è consolante scoprire che, esattamente come succede a te, nemmeno l’amico che ti invita a cena abbia la più pallida idea delle vie attraverso le quali quella bottiglia sia capitata nella sua, ma solo vaghissimi e sfrangiati ricordi di circostanze molto dilatate, probabilmente inattendibili. La cosa divertente allora – a parte bersela, si capisce – è provare in due o tre commensali con parecchio passato in comune a ricostruire il perché e il percome di quella presenza, risalendo nel tempo a storie, aneddoti, fatti e persone, degustazioni sparse, cesti natalizi e la colpevole sinecura di chi, sguazzando spesso tra troppe etichette, a volte si perde, o sottovaluta o semplicemente dimentica ciò che ha in mano.


Nelle more di questi amarcord potatorii, ovviamente, il vino cala nei bicchieri e suscita le più svariate impressioni. Questo Rosso di Montalcino 2009 di Poggio di Sotto è passato esattamente sotto le forche caudine or ora descritte. Non sto a raccontare l’arcinota storia dell’azienda, una delle più celebri e celebrate di Montalcino. Mi limito a dire che la bottiglia in parola nacque sotto l’egida del compianto e “gambelliano” Piero Palmucci, due anni prima che la cedesse a Collemassari di Claudio Tipa.


La domanda fondamentale che molti si pongono davanti a un Rosso di Montalcino di sedici anni è: avrà retto il tempo? E sarà nato per reggerlo? Io non ho risposte certe, so solo, per un briciolo di esperienza e di assaggi che, sì, la vera o presunta “spalla” del Brunello (per carità non entriamo nel dibattito dei rossi a volte più brunelliani dei brunelli) è in grado eccome di scavalcare i decenni. E che comunque è quel tipo di vino capace di dare le classiche sorprese da longevità inattesa.


Non ho assistito personalmente allo stappamento della bottiglia, ma il mio ospite – degustatore di lungo corso – mi ha assicurato tappo integro, adeguato anticipo e giusta ossigenazione.


L’assaggio gli ha dato ragione: se il colore è un rubino di media intensità, con prevedibile unghia aranciata, il naso ci ha sorpreso per pienezza e pulizia, un’asciuttezza penetrante e una tipicità di Sangiovese del tutto inconfondibile, senza deviazioni o tracce di decadimento. Stesse sensazioni al palato: pienezza, pulizia, freschezza e una profondità quasi neghittosa che mescola ampiezza e agilità, in sostanza invogliando alla ribevuta. Infatti ne abbiamo ribevuto tanto. Peccato non ci sia servito a ricostruire la storia della bottiglia, ma ce ne siamo fatti una ragione.

Nicola Biasi - Renitens 2022


di Stefano Tesi

Anche al di là del progetto in sé (assemblaggio di 6 vini diversi da 6 uve piwi diverse di 6 viticoltori diversi), difficile non cogliere il fascino di questo bianco che al naso sa di pesca sbucciata e frutti tropicali.


In bocca è ricco, denso, con acidità pungente, vena salina e finale amarognolo.

Il Bistrot di Agricola Toscana: a Firenze non troviamo solo "mangifici" per turisti!


di Stefano Tesi

Stefano Frassineti da Rufina (FI) è uno chef di lungo corso e solida esperienza, che da un po’ è divenuto carsico, nel senso che tende ad apparire e scomparire con ciclica facilità. Croce e delizia dei sostenitori della sua cucina di sostanza, profondamente toscana ma sempre ricca di inventiva, esuberante, a tratti allegramente entusiasta, dove i piatti – anche i meno riusciti, pochi in verità – rispecchiano uno stile sì generoso ma mai caricaturale. Un rischio, quest’ultimo, da cui il nostro è (lo conosciamo da parecchio) per natura immune, ma altissimo in una regione ad elevato tasso di oleografia gastronomica. E, a maggior ragione, nel suo dichiarato epicentro: Firenze.


Sparito per qualche tempo dai radar della ristorazione e dedicatosi alla ricerca di una nuova dimensione, Frassineti riappare ora ai fornelli di Agricola Toscana Il Bistrot (uno spin-off dell’omonimo ristorante di via del Corso), spuntato senza preavviso in Borgo Ognissanti, ossia nel cuore del mangificio fiorentino.


La sorpresa è tripla: per l’epifania del cuoco scomparso, per il nuovo locale che a tempo di record ha sostituito il precedente, di tutt’altro stile e, soprattutto, perché il Bistrot – diretto dal patron, il giovane e intraprendente Simone Angerame - sembra appunto volersi discostare con decisione dal mainstream turistico che ormai ha strangolato o quasi (ma, si sa, è la domanda che genera l’offerta, quindi nulla di cui meravigliarsi in una delle patrie nazionali dell’overtourism) la città.

Stefano Frassineti

Il proclama è esplicito: “cucina toscana contemporanea” (aggettivo abusato da cui però prendo le distanze) capace di discostarsi dalla cucina cartolinesca delle bistecche in vetrina e della carbonara col tartufo e proporre i piatti di una toscanità riconoscibile, dedicata prima di tutto ai corregionali e ai fiorentini, gentile e verace, affidabile, gustosa, sostanziosa ma non becera, né scontata.

Naturalmente, alle parole devono seguire i fatti. E noi siamo andati a verificarli.

I risultati sono stati confortanti. A cominciare dall’incontro sul posto con una clientela di placidi e garruli residenti che non è più tanto facile intravedere in certi contesti. L’ambiente è sobrio e luminoso, il servizio amichevole e collaborativo, con molta cortesia e poca ruffianeria.

Poi si passa alla cucina, che è quello che conta davvero.

Cominciamo da ciò che, a modesto parere di chi scrive, è destinato a diventare il piatto-simbolo (direi iconico, se non aborrissi anche quest’aggettivo) del locale: il risotto al piccione, frutto di un lavoro paziente e certosino che prevede la dissossatura, l’utilizzo delle ossa per fare il fondo, la mantecatura con burro acido. Pietanza di gran gusto, consistenza e sostanza quasi irresistibili che riportano il palato a stili e gusti antichi. L’unico suggerimento è di prenderlo in due, perché la preparazione della portata è abbondantissima e sprecarne metà lasciandola in cucina sarebbe un oltraggio.

Risotto al piccione

Più che buono, direi anzi proprio appetitoso, anche l’antipasto di porchetta croccante, tagliata sottile, accompagnato da un sapido segato di verdure altrettanto croccanti. Molto tradizionale e consistente, ma senza le graveolenze domestiche della cucina della nonna, il classico pollo alla cacciatora che, più in là con la stagione, resterà ruspante ma si accompagnerà a una primaverile e fresca salsa allo yogurt. Il menu di primavera preannuncia anche la lingua alla piastra con doppia salsa, il crostino di fegatini battuto al coltello (“…e non frullato!”, precisa lo chef), una parmigiana di melanzane cotta della melanzana medesima e varie altre tentazioni. Garantita l’assenza dal menu, conclude il cuoco, di qualsiasi tipo di burrata…una scelta ineccepibile.

Porchetta croccante

Due parole, infine, sulla carta dei vini, che oltre al servizio al bicchiere propone una buona scelta di etichette sia toscane che italiane, con alcune referenze fuori passo piacevolmente inusuali a queste latitudini. Come il Valpolicella 2020 di Illatium, bevuta tanto gentile quanto solida che mi ha ben accompagnato sul risotto e tutto il resto. Spesa sui 60 euro.

Agricola Toscana – Il Bistrot

Borgo Ognissanti,25r, Firenze FI

Telefono: 055 388 0177

www.agricolatoscana.com


InvecchiatIGP: Agnanum - Falanghina dei Campi Flegrei Doc 2008


di Luciano Pignataro

Come tutti sappiamo, non è certo un buon momento per i Campi Flegrei ma siamo fiduciosi sui tempi lunghi dell’agricoltura che, sicuramente, sopravvive alle scosse meglio dei palazzi spesso costruiti con cemento di scarsa qualità e senza alcun costruiti criterio antisismico. 
Mi è venuta in mente una bella verticale fatta al San Pietro Bistrot di Torre del Greco, patria della cucina di mare, di cuochi e di marinai, con le bottiglie raccolte dall’amico Maurizio Cortese nel corso degli anni. Una verticale fatta nel migliore dei modi possibili, a bordo acqua, godendo della cucina semplice ed efficace voluta dal patron Mariano Panariello e dei vini di Raffaele Moccia, contadino flegreo che ad Agnano, dentro l’area amministrativa del comune di Napoli e ai bordi di quello di Pozzuoli, anno dopo anno ha messo a posto l’intera collina del versante meridionale degli Astroni, uno dei tanti vulcani della zona, per fortuna spento, nel cui cratere, circondato da un muro aragonese e borbonico, sopravvive uno degli ultimi esempi di antica foresta europea.


Raffaele ha continuato a coltivare la vigna, una resilienza su suolo sabbioso di fronte all’assedio del cemento che però ha risparmiato questo terreno agricolo che si raggiunge attraverso un sentiero sterrato proprio all’uscita Agnano della Tangenziale di Napoli. Nel corso di questo vent’anni e passa i vini di Raffaele, realizzati con semplicità e pulizia, non hanno mai smesso di crescere. E così ci godiamo le annate 2008, 2009, 2010, 2011, 2012 e una Vigna del Pino 2006, ossia falanghina con un leggero passaggio in legno grande all’epoca voluto dall’enologo Maurizio De Simone.

Raffaele Moccia - Credit: Falanghina Republic

Parliamo della 2008 perché, essendo la più vecchia della serie, riassume, annata più annata meno, tutte le caratteristiche di questo vino ottenuto da un vitigno perfettamente acclimatato sul suolo sabbioso vulcanico sempre carezzato dalla brezza marina che conserva l’uva tonica anche nei momenti di grande caldo. Del resto la Falanghina, come il Piedirosso, è sostanzialmente indifferente alle alte temperature e regge bene anche in mancanza di eccessive escursioni termiche tipiche delle zone interne della Campania.


Di questo 2008 ci ha colpito anzitutto la freschezza, la tonicità, assolutamente straordinarie per un vito non pensato per un con sumo così lontano nel tempo. I sentori di frutta agrumata che ancora resistono sono esaltati da una nota di idrocarburi tipica dei vini vulcanici, poi vivono ancora piacevoli note balsamiche e di miele. Al palato è scattante, tonica, la freschezza è ancora intatta e regge la beva in maniera magnifica sino al finale lungo e preciso, appagante che invoglia a ripetere il sorso. 


Le altre annate mantengono queste caratteristiche, anche la 2011 che è stata la più calda di tutte con 40 giorni di afa pura a partire dal Ferragosto dopo una estate fresca. Solenni e perfette la 2010 e la 2012 mentre la 2009, abbastanza piovosa nel finale di vendemmia, appare in forma seppur leggermente diluiti rispetto alle altre. Piccolo grande capolavoro di un bravo vigneron nel senso letterale del termine, ancora oggi stupito dal clamore mediatico che lo circonda.

Cantine Menhir - Filo Doc Terra d'Otranto Negroamaro Riserva 2021


di Luciano Pignataro

Una nuova visione di negroamaro in purezza: più bevibile, più fresco, più fruttato provato da Osteria Origano a Minervino di Lecce. 


Menhir rilancia con orgoglio la doc Terre D’Otranto e rilegge l’uva tipica del Salento alleggerendo l’impatto rispetto ai grandi classici del passato. Sull’agnello al forno.

La Cadalora - Majere Casetta Vallagarina IGT 2021


di Luciano Pignataro

Questa bottiglia ha fatto un viaggio di mille chilometri e si è fermata ad Eboli con Gesù perché ha trovato un oste colto, Carmelo Vignes che nell'antro scavato nella pietra, Vico Rua, raccoglie con gusto rarità da bere e conserva piatti in via di estinzione tipico, a cominciare da una pizza realizzata con semola, salsa cotta di pomodoro e pecorino cilentano irrorato come se nevicasse.
Apriamo questa bottiglia, il vitigno si chiama casetta ed è una varietà tipica delle zone collinari della Val Lagarina ad Ala in Trentino e a Dolcé in provincia di Verona.


Questa storica azienda, La Cadalora, ha deciso di vinificarlo in purezza invece di usarlo come uva da taglio curando il vigneto Majere che dà il nome al vino dove il casetta è presente sin dagli anni ’70. Il toponimo ci riporta ad un altro vitigno, stavolta casertano, il casavecchia e ci lascia la curiosità di scoprire la ragione di questo nome che riscalda il cuore. Attenzione, non va confuso con il lambrusco! Ce lo spiega la Fondazione Slow Food: "questo vitigno deriva dalla domesticazione della Vitis vinifera silvestris, varietà d’uva selvatica nata da un incrocio spontaneo. Questa varietà a bacca rossa è nota anche col nome di lambrusco a foglia tonda ma nulla ha in comune con le grandi famiglie di uve Lambrusco. Il suo aspetto è caratterizzato da una foglia tonda, da qui anche il nome dialettale foja tonda; il grappolo è conico e di dimensioni medie, con acino medio-grande mentre la buccia è di norma sottile, di colore scuro, quasi un blu-nero, abbastanza resistente ai freddi sebbene molto sensibile alle gelate invernali. Si adatta bene a terreni calcarei e collinari con una buona esposizione e ventilazione, ad altezze che non superino i quattrocento metri di altitudine”.


La casetta viene lavorata prima in acciaio e poi lasciata per un anno ad affinare in barrique. Il risultato è davvero interessante: non ha grandi profumi ma è molto efficace quando si abbina a piatti robusti. Bevibile grazie a tannini ben risolti, fresca, di buon corpo, assolutamente in forma dopo quattro anni dalla vendemmia, il che lascia supporre una buona longevità, la spendiamo su involtini di trippa di agnello tipici dell’Appennino Meridionale, soffritto di interiora di vitello, stinco di maiale in salsa di cipolle e un bel piatto di trippa con patate. 


Roba da Aglianico, insomma, anche perché tutti piatti pomodorosi. La Casetta, a dispetto del nome delicato e avvolgente, svolge il suo ruolo in modo perfetto nell’abbinamento con questo cibo e non ci siamo sbagliati perché leggendo la scheda per preparare questo articolo leggiamo che è consigliata proprio con piatti robusti. Poco meno di 20 euro, l’ennesima conferma di quanto sia ricca la nostra bella Italia. Diversità, inclusione e movimento costituiscono la ricetta che l’ha fatta grande. E niente di meno potrebbe esser e valido in questo pontile piantato in mezzo al Mediterraneo.

InvecchiatIGP: La Perla - Valtellina Superiore La Mossa 2011


di Carlo Macchi

Dal 2009, con la creazione de La Perla, Marco Triacca e suo padre si sono “messi in proprio” ritagliandosi un’azienda su misura, completamente staccata dal famoso marchio che porta il loro cognome. Siamo in Valtellina, tra Sondrio e Tirano e questa piccola perla produce poche tipologie di vini: un solo Superiore, una Riserva, uno Sforzato e uno spumante classico non da Chiavennasca ma da pignola, uva autoctona pochissimo conosciuta. Marco segue tutto, dalla vigna alla cantina, con un impegno veramente lodevole perché qui portare avanti anche pochi ettari di vigneto non è facile. Inoltre, non lascia niente al caso e ha anzi inserito in vigna alcune interessanti innovazioni che hanno bisogno di tempo e attenzione.


I risultati però di vedono sia nei vini più recenti (premiati anche quest’anno da Winesurf) che in prodotti che potrebbero iniziare a mostrare qualche ruga, come nel Valtellina Superiore La Mossa nato in un’annata non certo “dietro l’angolo” come la 2011. Il nome del vino viene dalla passione di Marco per il Palio di Siena e ce lo ha proposto proprio per dimostrare come la chiavennasca (alias nebbiolo) possa maturare bene e migliorare col tempo anche per vini non fatti per il lungo invecchiamento.

Domenico e Marco Triacca - Credit: Repubblica

Il colore è un rubino chiaro ma ancora molto brillante e il naso, all’inizio incerto, si è aperto su note balsamiche e speziate. Ma è in bocca che ci ha stupito, con una tannicità viva e ferma, un corpo dove la freschezza non è mai fuori quadro e dona da una parte giovinezza e dall’altra l’equilibrio che serve ai vini per durare nel tempo.


Lo abbiamo assaggiato, riassaggiato e poi abbinato ad un ottimo spezzatino con polenta, perché il bello dei vini valtellinesi, e in particolare di quelli di Marco, è che su piatti importanti della nostra tradizione vanno a nozze. E’ scontato dire che l’apertura di questa bottiglia è stata una “buona Mossa”!

Damiano Ciolli - Olevano Romano Cesanese DOC Silene 2023


di Carlo Macchi


L’annata 2023 di Damiano Ciolli, innovatore principe del Cesanese, dal punto di vista quantitativo è stata tragica. 


La peronospora ha distrutto quasi tutto e così questa bottiglia è quasi un unicum. Grandi profumi di spezie e fiori, tannicità viva, dinamicità gustosa e vibrante freschezza. Da provare!

Da Sora Maria e Arcangelo: dove si mangia benissimo perché… è spesso chiuso


di Carlo Macchi

Pensandoci bene da cosa si capisce il successo di un ristorante? Dai guadagni? Dal fatto che è sempre pieno a pranzo e a cena? Forse si, ma da cosa si capisce che quel successo sia dovuto ad una qualità alta sempre costante e che lo rimarrà per sempre? Qui il discorso si fa più complesso ma alla fine, grazie a Sora Maria e Arcangelo a Olevano Romano, l’ho capito.

Giovanni Milana e la sora Maria (sua mamma)

Dipende da quanto stai chiuso! Da quanto tempo il ristoratore (e il personale) dedica a se stesso e alla ricerca sia delle materie prime che alla loro trasformazione. Più “tempo libero” ti ritagli, più sei in forma per preparare grandi piatti, per ricercare, trovare e provare materie prime di altissimo profilo. Magari guadagnerai meno ma guadagnerai meglio e soprattutto farai stare sempre bene chi viene a mangiare da te.


Giovanni Milana, chef e anima di questo locale dove si mangia meglio di bene, sta aperto solo per 7 servizi alla settimana (su 14 possibili pranzi e cene!) e va in ferie due volte all’anno per almeno 15 giorni. Questo può farlo non solo perché forse si può permettere di guadagnare meno ma soprattutto perché così può avere il tempo per provare e presentare una serie di piatti che uniscono materie prime di alto profilo a tradizione, innovazione e grande bravura ai fornelli. Sta aperto solo per 7 servizi ma presenta un menu di quasi 40 piatti (tra quelli presenti nel menù stagionale e le proposte del mese), quindi con possibilità di spaziare avendo però la sicurezza che tutto è fresco e preparato a dovere.



Ma da Sora Maria e Arcangelo non si va “solo” per mangiare benissimo, ma anche per essere coccolati e l’ambiente, con molte salette piccole e accoglienti, è perfetto per evitare i troppi rumori che spesso si “accatastano” nelle grandi sale di ristorante.

Abbuoto di abbacchio alla brace

Ma adesso veniamo al sodo, cioè ai piatti che posso consigliare sia perché li ho gustati di persona sia perché ho potuto “annusarli” dagli altri commensali. Tra gli antipasti Inizio con la picagna di angus ciociaro marinata e affumicata al legno di ciliegio, crudo di carciofi e salsa alla senape e miele dove l’affumicatura importante ma equilibrata porta un giusto contrasto alla dolcezza delle carni e con l’abbuoto di abbacchio alla brace (i pugliesi potrebbero chiamarlo gnumarreddi) con carota bruciata e broccoletti scottati, che si scioglie letteralmente in bocca, per arrivare ai sontuosi fegatelli di maiale, mele annurche e mosto cotto di cesanese, piatto strabiliante per equilibrio e pienezza gustativa.

Mafaldoni al ragout di pecora

Tra i primi vi consigliamo i mafaldoni con ragout di pecora al profumo di coriandolo, con leggera besciamella alla toma di capra e le fettuccine con carciofi alla romana, pancetta di maiale nero, pecorino e mentuccia. Se pensate che i nomi di queste ricette siano lunghi dovreste leggerli per intero perché Giovanni in ogni piatto evidenzia il produttore o l’artigiano che ha fornito la materia prima e inoltre riporta sempre in calce tutti quelli da cui prende materie prime. Permettetemi di dire che il territorio si difende e si sviluppa soprattutto così.

Fegatelli di maiale

Ma se volete sviluppare anche il girovita non perdetevi il profumatissimo ossobuco di vitella al tegame con salsa gremolada e asparagi al burro, nonché la faraona in fricassea o il piccione al tegame farcito al pasticcio di vitellone al tartufo nero, lenticchie al tegame e polenta.

La carta dei vini  è onnicomprensiva  per quando riguarda il territorio del Cesanese  ma ha anche le giuste etichette italiane e un accorto occhio sull’estero, specie sulla Francia e sullo Champagne. Insomma, tutto funziona in questo locale, anche il prezzo perché il menù degustazione con quattro portate costa 55 Euro e se ci abbini quattro calici di vini locali arrivi a 65.

Vale il viaggio, anche a piedi!


Sora Maria e Arcangelo
Via Roma 42 - Olevano Romano (Rm)
Tel. 06 9564043

InvecchiatIGP: Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 2005


di Roberto Giuliani

Sono passati vent’anni da quando sono stato la prima volta in cantina da Giuseppe e Pier Carlo, ero già innamorato dei loro vini ma avevo bisogno di capire meglio chi era a farli e di osservare quell’anfiteatro di vigneti dove confluiscono molte tra le migliori aziende produttrici di Barbaresco. Chi l’avrebbe mai detto che un romano (anche se non di famiglia) sarebbe stato conquistato dal popolo langhetto e dalle sue terre! Merito prima di tutto del nebbiolo, vitigno che più di ogni altro riesce a mandarmi in sollucchero, a sciogliermi come un cioccolatino, a farmi fusare come un gatto…


Persino un’annata assai poco celebrata come la 2005, a mio avviso molto classica, certamente non facile – tanto che sul sito della famiglia Cortese è valutata tre stelle su cinque – è riuscita a conquistare il mio cuore. Da subito. E ne ho assaggiate tante, anche di Barolo, Roero e delle altre zone dove il nebbiolo è di casa, come la Valtellina, l’Alto Piemonte e la Valle d’Aosta. Raramente sono rimasto deluso. Annata non per tutti, forse, poco incline a concedere grazia e rotondità, semmai austera, essenziale, ma proprio per questo di un’eleganza che trapela con il passare degli anni.


Il Barbaresco Rabajà 2005 è tutto questo, un vino che mette in evidenza quanto non teme il tempo a dispetto di una valutazione all’epoca non entusiastica.
Sta lì, nel calice da oltre mezz’ora, un colore granato vivo che non cede niente, ogni tanto cerco di afferrarne un velo di fragilità, ma non lo trovo. È maledettamente vivo, assertivo, più passa il tempo e più tira fuori frutto, frutto tosto, non marmellatoso, prugna e ciliegia, addirittura si possono cogliere note di viola e iris, cenni agrumati, potremmo trovarci anche sfumature di tabacco e cuoio, ma vanno davvero cercate, meglio liquirizia, radici, sassi sgretolati.

Vigna Rabajà

In bocca ci ricorda il tannino del nebbiolo, verace e generoso, ma oggi perfettamente in sintonia con la materia, mentre l’acidità ci ricorda che di strada da fare ne ha ancora tanta, intanto si fa balsamico, di erbe aromatiche e spezie finissime, e siamo già al terzo sorso…

San Marzano - Salento IGP Susumaniello Susco


di Roberto Giuliani

Siamo nel cuore del Primitivo di Manduria, ma è il poco produttivo Susumaniello che si erge autore in questo vino di Cantine San Marzano. 


Mi ha colpito per gli accenti floreali, per il perfetto controllo del legno americano, per la beva trascinante, ti riempie la bocca di frutto, succoso, esaltante.

Essenza Trattoria Moderna, pesce e carne di qualità a due passi da Roma


di Roberto Giuliani

C’è chi ha la fortuna di aprire la propria attività di ristorazione in punti ideali per avere un’affluenza più o meno regolare, per garantirsi la pagnotta e poter pagare il personale, non solo, magari non ha neanche il problema di dover far capire ai clienti che il cibo di qualità, una tavola ben apparecchiata, una sala curata, un personale all’altezza, hanno dei costi e non puoi pretendere di mangiare un antipasto, un primo e un secondo, magari anche il dolce, più acqua, caffè, amaro con 25 euro.


Purtroppo c’è una notevole differenza se il tuo ristorante si trova in una città come Roma rispetto ai paesi fuori porta, anche dal punto di vista dell’attenzione. Se nasce una nuova realtà nella capitale si fa presto a darne notizia, prima o poi qualche giornalista, qualche critico esperto ci va e la racconta. Diverso è andare a cercare un locale nei tanti paesi che circondano Roma, diversa è la gente che li abita, quasi sempre chi fa qualità non viene compreso, perché alla fine vince sempre il teorema “mangio tanto e spendo poco”, non solo, ma se si fanno piatti che non rispecchiano le abitudini del posto, nessuno avrà la curiosità di provarli. L’ho verificato personalmente un sacco di volte, sono rarissimi coloro che sanno apprezzare la cucina di livello, non parlo di stellati ma semplicemente di ristoranti che hanno qualcosa da raccontare, persino di pizzerie (Amalia Costantini con il suo Mater a Fiano Romano ne è un perfetto esempio). Non mi stupisce, quindi, sentire da più locali che la clientela faticosamente conquistata non è del posto.


Essenza Trattoria Moderna
si trova a Monterotondo, da Roma ci si arriva in meno di mezz’ora facendo la Salaria, o l’autostrada e prendendo la prima uscita per Castelnuovo di Porto. Monterotondo è ormai una piccola città, con i suoi oltre 40mila abitanti, eppure trovare un locale che metta al centro la qualità è tutt'altro che semplice. Anche qui, dove opera Simone Salamone ormai da tre anni, non è stato facile farsi una clientela, e anche in questo caso è quasi tutta “forestiera”, perché? La sua non è una cucina complessa, incomprensibile, ci sono indubbiamente piatti originali, ma dai sapori chiari, equilibrati, senza inutili eccessi, pochi ingredienti ma centrati.


Simone ha fatto esperienza da Aroma con lo chef Giuseppe Di Iorio, una stella Michelin, ha lavorato con Carlo Cracco, Daniel Canzian, in ristoranti a Bruxelles, Formentera e in Svizzera. Oggi ha un suo stile, mette sempre al centro la materia prima, che sia pesce o carne, ha una carta dei vini ragionata e frutto della sua passione, etichette che abbracciano varie regioni d’Italia, piccole realtà dalla Francia e non solo, con un occhio a chi sa lavorare nel rispetto dell’ambiente. 


Fuori Roma è forse l’unico che ha in carta i vini di Patrick Uccelli, alias Tenuta Dornach, di Quintarelli o di Andrea Pilar, oltre ad avere un’ampia selezione di vini naturali, per un totale che ormai supera le 300 etichette, molte delle quali non mette neanche in carta ma riserva a quei clienti che manifestano un chiaro interesse per il buon vino.
Ci sono stato la settimana scorsa e ho intenzione di tornare per approfondire i piatti di carne, avendo scelto la cucina a base di pesce, che ho decisamente apprezzato.


La prima cosa che ho notato era la qualità dei prodotti ittici, non è mia abitudine prendere crudo di pesce, ma quel sashimi di ricciola frollata lamponi abbattuti olio al lemon grass andava provato, un piatto con pochi ingredienti ma ben abbinati, che non hanno coperto il sapore della ricciola ma l’hanno accompagnata restituendo sensazioni molto fresche e salmastre. Come andavano provate le alici marinate, passion fruit e olio aromatizzato, un piatto che quando è in carta difficilmente rinuncio a provare, trovo che le alici marinate siano immortali, l’accostamento con il passion fruit era decisamente riuscito.

Polpo Croccante

Ottimo anche il Polpo croccante, funghi alla piastra e crema di patate, tentacoli veraci e carnosi con la parte esterna croccante, funghi saporiti che con la crema di patate lo accompagnavano perfettamente. La Spigola al forno con verdure di stagione è un piatto semplice che gioca su pochi elementi, ciascuno cotto alla perfezione, il tutto in ottimo equilibrio.

Spigola al forno con verdure

Infine il dolce, che non viene messo in carta poiché cambia molto spesso: il tortino con cuore caldo di cioccolato fondente, vicino il gelato alla vaniglia, un mio punto debole, molti preferiscono il classico Tiramisù (che prima o poi proverò), ma per me il tortino con il cioccolato fondente è pura goduria e il gelato alla vaniglia esalta il contrasto caldo-freddo in un'atmosfera delicatamente dolce.

Tortino

Per me che abito a meno di 20 minuti sarà molto probabile un mio ritorno, anche perché devo provare i piatti a base di carne…

ESSENZA TRATTORIA MODERNA

Via Giuseppe Mazzini, 29 Monterotondo (RM)

Tel. 348-5860818