Marlborough Sauvignon Blanc "Petit Clos" 2015 - Clos Henri è il Vino della settimana di Garantito IGP
Di Angelo Peretti
Dopo la Loira, e soprattutto Sancerre, la zona di cui bevo più Sauvignon è quella di Marlborough, in Nuova Zelanda. Ora, è evidente che se in un ristorante trovo un piacevole e strabevibile Sauvignon fatto nell’area di Marlborough da un grande nome di Sancerre come Henri Bourgeois, l’acquisto diventa compulsivo.
Le Vigne di Alice ovvero quando il Prosecco diventa essenziale - Garantito IGP
di Angelo Peretti
Credo che il più bello stand dell’ultimo Vinitaly sia stato quello di Cinzia Canzian e delle sue Vigne di Alice, interamente giocato sul bianco e sul nero, elegantemente essenziale.
Cinzia Canzian |
Ecco, direi che anche i vini di Cinzia si stanno facendo via via sempre più eleganti ed essenziali. Vini con le bolle, ché Le Vigne di Alice sono in terra di Prosecco, anzi, del Superiore di Valdobbiadene. Vini che, come si usa dire, sono esempio di quanto possa giovare il lavoro in sottrazione, e cioè lo scavare e il togliere nella trama, nel tessuto, mentre c’è chi si ostina tuttora ad aggiungere in quanto a grassezza enologica.
La perfetta esemplificazione di quanto affermo la propone il Doro Nature, un Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut che nell’annata 2016 ha espresso, a mio avviso, una performance d’assoluto rilievo in termini sia di definizione territoriale, sia di fedeltà all’animo conviviale e gaudente dell’identità prosecchista.
Fatto in autoclave, non ha aggiunte di zuccheri, bensì di mosto. “È stato un cambio importante che ha fatto la differenza” mi dice Cinzia, aggiungendo di averne tratta un’ottima risposta dalla clientela, e anch’io m’associo.
Il vino si strabeve, e la morbidezza è quella non già dei residui zuccherini, ma della maturità del frutto, e la mela croccante è la sotto a dirti dell’impronta locale.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Doro Nature 2016 le Vigne di Alice
(90/100)
Ma della produzione di Cinzia Canzian m’è di molto piaciuto anche il P.S. Integrale Brut, vendemmia del 2013, che è un “fermentato in bottiglia sui suoi lieviti senza sboccatura” da uve glera.
Appena l’ho assaggiato mi son detto: “Vedi come si fa a produrre un vino da merenda che sia però serio?”
Secco, secchissimo, ha una strepitosa abbinabilità gastronomica, che significa che ha la perfetta capacità di pulire il palato dal boccone che s’è appena masticato e di preparare la bocca al successivo assalto.
L’ho provato con del salmone affumicato con burro e salsa si rafano e, be’, non ha avuto alcun tentennamento.
P.S. Integrale Brut 2013 Le Vigne di Alice
(88/100)
Taste Alto Piemonte: piccola guida al mio nebbiolo preferito
La prima
edizione di Taste Alto Piemonte, l’anteprima del territorio dedicata ai vini
dell'Alto Piemonte organizzata dal Consorzio Tutela Nebbioli dell’AltoPiemonte, è stata un successo!
46
produttori, 38 giornalisti di settore provenienti da tutto il mondo, 60
rappresentanti della stampa nazionale e più di 1700 persone si sono ritrovate tra
i banchi d’assaggio al Castello Visconteo Sforzesco di Novara nella due giorni di sabato 1 e
domenica 2 aprile per scoprire le 10 denominazioni del territorio ovvero Boca DOC, Bramaterra DOC, Colline
Novaresi DOC, Coste della Sesia DOC, Fara DOC, Gattinara DOCG, Ghemme DOCG,
Lessona DOC, Sizzano DOC, Valli Ossolane DOC.
“Il nostro territorio è uno scrigno che
racchiude tanti tesori dai suoli vulcanici alle brezze del Monte Rosa, che ci
donano terroir incredibili e fortemente identitari, dall’antichissima
tradizione vinicola, alle nuove generazioni, che stanno riscoprendo e portando
avanti le nostre denominazioni, ed infine i vitigni autoctoni che ci permettono
di realizzare i grandi vini a cui abbiamo dedicato la manifestazione e che sono
evidenza del valore del nostro territorio - dichiara
Lorella Zoppis presidente del Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte - Taste Alto Piemonte nasce infatti dal
desiderio dei produttori di far conoscere questi tesori al pubblico agli
operatori ed alla stampa. Con una così grande ricchezza di territori e
denominazioni il nostro compito è quello di fare cultura diffondendone la
conoscenza assieme a quella delle altre eccellenze enogastronomiche locali per
promuovere uniti un intero territorio”.
Letto così, lo ammetto, potrebbe risultare il solito, scontatissimo,
comunicato stampa post-evento pubblicato dall’organizzazione ma per chi come me
era presente a Novara questa
Anteprima, sinceramente, è risultata ancora più convincente rispetto a diffuso dal bravissimo e solerte ufficiostampa perché quelle righe di comunicato, forse volontariamente, celano tutto il faticosissimo lavoro, composto da ansie ed interrogativi, che il Consorzio ha dovuto
affrontare preliminarmente per dar vita ad un evento che fino allo scorso anno era
probabilmente considerato pura utopia.
I motivi sono semplici: per tanti,
troppi anni i vini dell’Alto Piemonte sono stati considerati un po’ dei brutti
anatroccoli rispetto ai “grandi” vini delle Langhe la cui fama e “nobiltà”, non
sempre meritata, era condizione necessaria e sufficiente per garantirgli l’esclusiva
di una Anteprima riservata alla stampa nazionale ed internazionale. E’ chiaro
che, viste le premesse, la domanda che tutti i produttori coinvolti è stata: ”Davvero siamo
all’altezza di Barolo e Barbaresco?”. Se a tutto questo, poi, ci aggiungiamo lo
sforzo economico richiesto ai vignaioli dell'Alto Piemonte che, tranne rari casi, hanno dimensioni
aziendali quasi hobbistiche, capirete bene che il Consorzio ha fatto quasi un
miracolo a tirar su in poco tempo una manifestazione del genere dove ciascuno
aveva poco da guadagnare e molto da perdere visto che, come sempre accade in
questi casi, chi non ci ha creduto, a torto o ragione, era già pronto col dito
puntato incluso sorrisetto ironico.
Dopo oltre cento vini degustati, sia in sala stampa che davanti al
banchetto col produttore, ciò che mi ha colpito è la qualità media altissima di
questi prodotti non solo all'interno delle denominazioni “blasonate” come Gattinara o
Ghemme ma anche, e soprattutto, nei piccoli territori come ad esempio quelli
del Fara o del Bramaterra DOC dove ci sono piccolissime realtà che tirano fuori
dei vini a base nebbiolo che spesso e volentieri sono scrigni preziosi ancora
da scoprire per buona parte della stampa specializzata così come per il
pubblico di curiosi ed appassionati.
Non me ne
vorranno perciò le sorelle Conti (Cantine del Castello), Silvia Barbaglia (Vini
Barbaglia), Lorella Zoppis (Antoniolo), Nervi e le Tenute Sella se in questo articolo tralascerò la descrizione del loro
splendidi vini ma, per una volta, vorrei dar spazio a chi solitamente ne ha
meno a livello mediatico e, per certo, ha fatto tanta fatica ad essere presente
a Taste Alto Piemonte superando i tanti dubbi e le timidezze che possono
attanagliare un vignaiolo che per la prima volta si imbatte nel grande circo delle
fiere vino.
Inizio con il Colline Novaresi DOC “Giulia” 2011 di Enrico Crola che nel 2006 crea la sua
piccola azienda vitivinicola investendo i risparmi di anni di lavoro come
consulente informatico acquisendo 2 ettari di vigneti in zona Mezzomerico
(Medio Novarese). Il Colline Novaresi DOC “Giulia” 2011 (dedicato a sua figlia)
è un nebbiolo in purezza dallo stile austero e rigoroso che sorprende al sorso
per il tannino setoso e per un allungo sapido di grande carattere. Costa più o
meno 12 euro e a questo prezzo vi portate a casa un nebbiolo di qualità superiore
che alla cieca…..
L’altro
vino da segnalare è il Coste della Sesia
Nebbiolo DOC “Montecavallo” 2011 di Castello di Montecavallo. Diretta da Maria Chiara Reda ed Andrea Manfrinati,
l’azienda si trova a Vigliano Biellese il cui territorio vanta una storia
vitivinicola centenaria visto che esistono documenti che testimoniano la
coltura della vite sulla collina di Vigliano, ricca di “ferretto”, già dal
1279. Oggi, dai tre ettari di proprietà piantati prevalentemente a nebbiolo,
nasce questo vino dotato di un naso pregiato di frutta rossa succosa e fiori,
tanti fiori. Si beve con gusto questo vino che, tra i vari, ha il pregio del finissimo tannino. Le grandi potenzialità di un Coste della
Sesia sono tutte racchiuse in questo piccolo gioiello del biellese.
Alzi la
mano chi sa dove sono le Valli Ossolane. Pochi eh? Anche il sottoscritto, prima
di Taste Alto Piemonte, non aveva un’idea chiarissima di questo territorio localizzato nella zona più nord del Piemonte dove si trovano vallate scavate dal
fiume Toce, che arriva fino al Lago Maggiore, e dai suoi affluenti. Da questi
parti la Cantina Garrone, da ormai
venti anni e assieme all’Associazione Produttori Agricoli Ossolani, sta cercando
di portare avanti una viticoltura di qualità e la testimonianza di questi
sforzi è data da questo interessantissimo Valli
Ossolane Nebbiolo Superiore DOC “Prünent” 2013 di leggiadra purezza e
intensità floreale. Da applausi la capacità di beva di questo nebbiolo in
purezza che stupisce e rapisce e i sensi.
Un’altra
piccolissima denominazione che vanta un manipolo di bravissimi vignaioli tutti
da scoprire è il Fara DOC i cui vini storicamente erano molto più famosi di
oggi tanto che abati, vescovi e signori, in età medievale, si dedicavano alla
coltura dei suoi vitigni non solo per fini liturgici ma anche, e soprattutto, per assicurarsi
una rendita indispensabile al sostentamento della comunità ecclesiastica
attraverso la vendita del prodotto. I produttori da seguire in questo ambito
sono: Francesca Castaldi che ha messo
in degustazione un Fara DOC 2012 che
sa di fragoline e rosa, Gilberto Boniperti che col suo Fara
DOC 2012 “Barton” aggiunge ciccia e profondità gustativa mentre Vigneti Valle Roncati col suo Fara DOC 2011 “Ciada” presenta un vino
la cui complessità e dimensione fa comprendere le grandi capacità di evoluzione
di un Fara prodotto con amore.
Del
Bramaterra di Colombera e Garella e Antoniotti, sempre splendidi, ho scritto in
passato su Percorsi di Vino per cui questa volta vorrei parlarvi di una vera
new entry nel mio cuore ovvero del Bramaterra
DOC 2013 de Le Pianelle che,
leggendo in giro, ha lasciato il segno anche nell’anima di Carlo Macchi e Fabio
Rizzari. Motivo? Semplice, la femminilità, l’equilibrio e l’allungo sapido di
questo nettare sono talmente coinvolgenti che è impossibile non amarlo.
Dei Lessona
DOC, tra i tanti, ottimi, degustati in sala stampa, menzione speciale per La Prevostura che ha presentato un 2013 di grandissima finezza e complessità aromatica e
dotato di un sorso coinvolgente corroborato da finale
salino ed agrumato (arancia amara) di grande personalità. Grande vino.
Dei Boca
DOC, oltre alle splendide realtà targate Castello Conti e Barbaglia, due righe
le vorrei spendere per Podere ai Valloni
che col suo Vigna Cristiana 2010 ha
fatto trasalire piacevolmente più di un giornalista ed appassionato grazie ad un naso
freschissimo e minerale ed ad un sorso appagante e tonico. Come scrive
Rizzari, l’unica pecca di questo vino è la sua variabilità tra una bottiglia e
l’altra.
Tiziano Mazzoni con i suoi Ghemme
DOCG meriterebbe una ribalta mediatica migliore visto il livello di costanza
qualitativa che hanno i suoi vini a partire da questo Ghemme dei Mazzoni 2013, il suo “base”, i cui profumi di frutta
rossa e sfumata mineralità si intersecano con una beva piacevole, equilibrata e
dal finale lungo e sapido. Da provare il suo “Ai Livelli” per capire su che
vette può arrivare il nebbiolo di questa denominazione storica!
Sempre in
tema Ghemme un altro vino interessante, stavolta 2010, è stato quello presentato da Ca’ Nova che ha portato in degustazione un nebbiolo sanguigno, a
tratti selvaggio, la cui tempra gustativa rappresentata da fittissimi tannini e
solida persistenza agrumata mi hanno decisamente convinto.
Sul
Gattinara, a parte un San Francesco di Antoniolo da pelle d’oca, il mio coup de cœur è stato per il Pietro 2012 di Paride Iaretti che si conferma uno dei vignaioli più convincenti ed in ascesa di
tutte l’areale grazie a vini sempre centrati, cesellati e profondamente
territoriali. Questo Gattinara, in particolare, sa di terra rossa e fruttini di
rovo e sublima il palato con una freschezza e una sapidità davvero allettanti.
IGT Toscana “La Regola” 2013 è il Vino della settimana di Garantito IGP
di Lorenzo Colombo
Conosciamo da anni l’azienda dei fratelli Nuti, situata a Riparbella e ci piace molto in genere il cabernet franc.
Questo “La Regola” 2013 ci è parso uno degli esempi migliori di quanto possa dare questo vitigno, coltivato in Toscana, non lontano dal mare.
Grande eleganza ed equilibrio, senza snaturare le caratteristiche intrinseche al vitigno.
Un grande vino!
BRUNELLO DI MONTALCINO: È MORTO NELLO BARICCI
A pochi giorni dalle celebrazioni dei
50 anni del Consorzio del Brunello di Montalcino, i produttori ilcinesi
piangono la scomparsa di uno dei fondatori.
È morto ieri a Siena (dove era stato
ricoverato) Nello Baricci, che insieme ad altri 24 produttori nel 1967,
all’indomani del riconoscimento al Brunello di una delle prime otto DOC in
Italia, fondò il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, fra le prime e più
importanti realtà in Italia per la tutela e promozione del vino.
Nato a Montalcino nel 1921 da una
famiglia di vignaioli mezzadri, sposato
con Ada, nel 1955 creò l’azienda agricola Colombaio di Montosoli ed è stato uno
degli artefici che hanno contribuito alla crescita e successo internazionale
del grande rosso toscano.
Il Presidente del Consorzio del
Brunello di Montalcino Patrizio Cencioni ha voluto ricordarlo con queste
parole: “oggi è scomparso un grande uomo,
un grande amico ed un eccellete produttore cui saremo sempre grati per tutto
ciò che ha fatto. Lo onoreremo fra pochi giorni, quando era già previsto per
lui un giusto e doveroso tributo in occasione dei 50 anni del Consorzio.
Insieme ad un gruppo di coraggiose e lungimiranti personalità, creando il
Consorzio, pose le basi di tutto ciò che oggi noi siamo e del successo
internazionale della denominazione. Sempre con lo stesso coraggio e orgoglio,
insieme a tutta la famiglia, ha condotto la sua azienda a Montosoli,
faticosamente costruita nel 1955, portandola a diventare una delle migliori
espressioni del nostro territorio. Il suo impegno, i suoi consigli, la sua
disponibilità sono sempre stati per tutti noi una risorsa preziosa, così come
la qualità e l’eccellenza dei suoi vini lo sono stati per l’enologia italiana.
Lo ricorderemo portando avanti i valori e la saggezza che hanno sempre
caratterizzato il suo lavoro e la sua persona, valori che ha saputo trasmettere
alla famiglia e ai suoi nipoti Federico e Francesco, oggi alla guida
dell’azienda, a cui siamo tutti vicini”.
Fonte: Consorzio del Vino Brunello di Montalcino
Mazzon e il suo Pinot nero - Garantito IGP
di Lorenzo Colombo
Nel 2009, Peter Dipoli e Michela Carlotto, pubblicarono un volumetto dedicato a Mazzon ed al suo Pinot nero.
In un’ottantina di pagine veniva descritto il percorso cha ha portato, quasi due secoli fa, questo vitigno in Alto Adige, se ne evidenziava l’incremento della superficie vitata provinciale nel corso degli anni e quindi si andava ad analizzare lo stretto rapporto che lega questo vitigno con la località Mazzon.
Pochi giorni fa siamo venuti in possesso della nuova edizione, riveduta ed aggiornata, di questo prezioso documento.
Nessuno stravolgimento rispetto a quanto già pubblicato, a partire dalla prefazione, che rimane quella allora scritta da Attilio Scienza, unicamente un ampliamento –sono una decina le pagine aggiunte- ed un aggiornamento riguardante ciò che è avvenuto durante quest’ultimi otto anni
Ma vediamo in dettaglio cosa può trovare un appassionato di Pinot nero in queste pagine.
Il libro è suddiviso in due parti, la prima tratta dell’arrivo del Pinot nero in Alto Adige, delle sue prime coltivazioni a Castel Rametz, dell’evoluzione della superficie vitata dai 199 ettari del 1970 ai 427 del 2015 (8% del vigneto Altoatesino) e delle scelte clonali, sino ai dati analitici delle uve nella varie annate.
Nella seconda parte si entra nello specifico del territorio di Mazzon con l’incremento negli anni della superficie vitata a Pinot nero, dai 20,60 ettari del 1975 ai 51,60 del 2015, ne vengono analizzati clima e suolo evidenziandone le caratteristiche che fanno unici i Pinot nero ivi prodotti; si viene inoltre a conoscere la prima citazione riguardante un Pinot nero prodotto a Mazzon (4 febbraio 1869).
Il libro è corredato di numerose fotografie, riportanti documenti storici, le prime etichette che riportano il nome di Mazzon legato al Pinot nero e di diverse e dettagliate mappe riguardanti le varie proprietà dei vigneti, i loro nomi storici e le diverse zone di maturazione.
Non manca infine l’elenco di tutti i produttori che menzionano Mazzon sull’etichetta del loro Pinot nero, con la relativa estensione vitata ed il numero di bottiglie prodotte.
Nelle ultime pagine troviamo una breve storia di Mazzon con il nome dei dodici masi di origine medioevale i cui nomi sono rimasti in buona parte invariati e con la descrizione dei principali edifici storici del paese.
In conclusione si tratta di un ottimo strumento per coloro che amano questo vitigno e vogliono conoscere maggiormente la sua storia, rapportata all’Alto Adige e nello specifico a Mazzon.
Mazzon e il suo Pinot nero
ISBN 978-88-99834-05-0
Antico Podere Casanova - Chianti Classico 2012 è il Vino della settimana di Garantito IGP
di Stefano Tesi
Devo al collega Walter Peruzzi la scoperta di questo Chianti Classico di grande levità e nerbo, bevibilissimo e profondo, niente affatto ingombrante, con un bel frutto fragrante e una bocca pulita, quasi croccante, dissetante. E’ biologico e, ci crediate o meno, costa 12 (dodici) euro.
Trattoria Dalla Rosa Alda, a prova di Vinitaly - Garantito IGP
Lancio una pubblica domanda, che poi potrebbe essere anche una pubblica scommessa, a tutti i vinitalisti: quanti di voi, al termine di una giornata di fiera trascorsa tra copiosi vini e sovrabbondanti spuntini, sognano un bel letto accogliente e quanti, invece, una tavola ulteriormente imbandita?
Credo che il 95 per cento propenda per la prima ipotesi, il quattro per cento per la seconda e l'uno per cento (quorum ego) o forse meno per la terza.
Quale? Quella in cui la gustosa cena e la confortevole dormita coincidono nel medesimo luogo.
Obbiettivo difficilissimo però da raggiungere, ve ne do atto, nel rapace contesto veronese.
Eppure esiste. E io lo frequento da anni.
E' un posto defilato, in un borgo bellissimo e dal nome un po' surreale: San Giorgio Ingannapoltron, un'altura rocciosa sulla Valpolicella. Vista e atmosfera da urlo. Come da urlo è la chiesa romanica di San Giorgio, giustamente celebre per la sua architettura, le vestigia romane e il fatto di sembrare, se guardata da fondovalle, proprio lì a due passi: inducendo così il baldanzoso viandante appiedato ad affrontare con leggerezza quelle due rampe in collina necessarie per raggiungerla. Cascavano in tal modo il viaggiatore e probabilmente pure l'asino, perchè l'erta si rivelava invece ripida e lunga assai, cosa fatale (donde il folcroristico nome, mi assicurano fonti locali) per i più "sedentari".
Bene, è qui che si trova la trattoria Dalla Rosa Alda. Anche se forse bisognerebbe chiamarla locanda, visto che a fianco di una decina di tavoli ha pure altrettante confortevolissime camere. E' un locale storico di una famiglia storica di osti (i Dalla Rosa lo sono dal 1850, scusate se è poco), dove tutto odora di quel tipo di professionalità solida ma rassicurante che solo chi riceve in casa propria e pensa di persona a mandare avanti la baracca con passione e lungimiranza sa offrire: babbo, mamma e due figli, sempre educati e disponibili, sobriamente sorridenti come sobrio è il tutto contesto. La cura si nota dai dettagli. Insomma non aspettatevi fanfare, ma molta educata, veneta riservatezza.
Il punto di forza è ovviamente la cucina, molto tradizionale di gran gusto e sostanza, servita però soavemente, senza caricature o pericolose inclinazioni vernacolari, con piatti classici locali tramandati in famiglia che ruotano attorno ad altre portate che classiche non sono, ma risultano comunque vincenti per la qualità delle materie prime utilizzate, la mancanza di orpelli e soprattutto la mano felice di chi sta ai fornelli.
Insomma, la trattoria (ben nota invero ai veronesi, assai meno ai forestieri) è uno dei classici esempi da citare per dare un volto al cosiddetto "piacere della tavola" dove gola e relax si incontrano. Tanto per citarne qualcuno, di questi volti: le tagliatelle fatte in casa "enbogonè" (cioè condite con sugo di fagioli e olio del Garda), i bigoli con le sardele, il brasato all'Amarone, la pastisada di cavallo con la polenta. Tanta sostanza ma, attenzione, niente pesantezza. Belle porzioni con ottimo servizio e cura dei particolari. La cantina rivela ottime sorprese e bottiglie tanto importanti quanto antiche (venete e non). Se poi uno, nonostante il Vinitaly o magari in periodi diversi da quello fieristico, ha ancora voglia di divertirsi e la forza di assaggiare qualche variegato bicchiere, proprio di fronte alla trattoria la famiglia ha aperto "En Tinel", microenoliteca dove sbizzarrirsi con le etichette.
Suggerimento finale per chi progetta scampagnate primaverili: da maggio a luglio la trattoria propone un menu interamente a base della famosa ciliegia Mora di Verona e visto che ormai a San Giorgio non ci si va più a piedi, ma in macchina, non c'è ormai "poltron" che possa non farsi ingannare...
Trattoria e Locanda Dalla Rosa Alda
Strada Garibaldi, 4
Loc. San Giorgio di Valpolicella 37015 - Sant'Ambrogio di Valpolicella (VR)
Tel. +39 045 7701018
Chiuso domenica sera e lunedì
www.dallarosalda.it
Verticale storica di Pergole Torte a Pigneto 1870
LE PERGOLE TORTE A PIGNETO 1870
Verticale d'autore: 8 annate storiche, 3 magnum, 16
bottiglie.
Giovedì 20
aprile 2017, Ore 20.30
Degustazione
e Cena
Pigneto 1870
Via del
Pigneto, 25 - Roma
Pigneto 1870, bistrot romano con una cucina fatta di
scorribande fra tradizioni regionali e internazionali nato dalla passione dello
chef Andrea Dolciotti e dell'imprenditore Massimo Gabriele, ospita giovedì 20
aprile 2017 un nuovo appuntamento con il mondo del vino.
Una verticale
d'autore dedicata a Le Pergole Torte
in abbinamento ai piatti dello chef
Andrea Dolciotti: tartare di manzo con scaglie di tartufo, carbonara, costine
di maiale in salsa barbecue.
8 annate storiche, 3 magnum, 16
bottiglie. Questi i numeri dell’appuntamento con
Le Pergole Torte di Montevertine, la prima realtà nel cuore del Chianti
Classico a rompere gli schemi. Sangiovese al 100% per un vino che ha scritto la
storia della viticoltura italiana.
Il vino è un
ingrediente fondamentale per Pigneto 1870. La carta dei vini è una piccola ma
ricercata collezione alla quale Massimo Gabriele e Andrea Dolciotti sono particolarmente
affezionati. Il loro impegno sta nel mantenere sempre al centro del bistrot i
fondamentali della cucina e dello stare in compagnia.
In degustazione:
Le Pergole Torte 1990 Riserva (magnum)
Le Pergole Torte 1994
Le Pergole Torte 1997 (magnum)
Le Pergole Torte 2001
Le Pergole Torte 2007
Le Pergole Torte 2008
Le Pergole Torte 2009 (magnum)
Le Pergole Torte 2010
Giorno: giovedì 20 aprile 2017 | Ore: 20.30
Costo: 180 euro a
persona (verticale Le Pergole Torte e cena)
Prenotazioni: +39 06 7021
401 | +39 340 3420205
Quali sono i vini che generano più lavoro? Ce lo svela uno studio Coldiretti per Vinitaly 2017
Con un totale di 19,4 milioni di ore impiegate all'anno in
provincia di Chieti è il Montepulciano d’Abruzzo Doc il vino italiano a dare
maggiore lavoro a livello locale, davanti al Puglia Igt con 16,5 milioni nella
provincia di Foggia e alla Doc Sicilia con 16 milioni di giornate in quella di
Trapani. Questo il terzetto che risulta dalla prima analisi sui vini Doc e
impatto occupazionale a livello provinciale diffusa dalla Coldiretti in
occasione del Vinitaly, il salone internazionali dei vini e distillati, che si
tiene a Verona fino al 12 aprile.
Nella top ten stilata dall'associazione quarto
posto per il lombardo Oltrepò Pavese Doc (14,2 milioni di ore di lavoro)
davanti a un “collega” del Piemonte l’Asti Docg per produrre il quale ne servono
“solo” 13,4 milioni insieme al Barbera d’Asti. Al sesto posto l'Amarone della
Valpolicella Docg con 13,1 milioni di ore a Verona dove pesa anche il Soave
Docg seguiti da un altro gioiello della regione che ospita il Vinitaly, il
Prosecco Docg con 12,9 milioni di ore a Treviso. Ci sono poi i piemontesi
Barolo Docg, Barbaresco Docg, Langhe Doc e Roero Docg a Cuneo (12,4 milioni di
ore), il Gavi Docg ad Alessandria (10,9 milioni di ore), mentre a chiudere è il
Castel Del Monte Doc pugliese, con 9,4 milioni di ore lavorate nella provincia
di Bari dove di rilievo c’è anche il Puglia Igt.
Secondo l'analisi di Coldiretti, nel 2016 il
vino ha offerto opportunità di lavoro ad un milione e trecentomila persone tra
quanti sono impegnati direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione
commerciale, ma anche in attività connesse, di servizio e nell'indotto che si
sono estese negli ambiti più diversi: dall'industria vetraria a quella dei
tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi
e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla
divulgazione, dall'enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere,
dall'editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie
ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione.
Il Boca DOC 2011 di Vini Barbaglia è il Vino della settimana di Garantito IGP
Di Luciano Pignataro
Una azienda, la bellezza di un rosso che si esprime con assoluta finezza nel blend di nebbiolo e vespolina, quattro anni di affinamento prima di lasciare la cantina.
E tanti anni da raccontare a chi saprà aspettarlo, anche se è difficile non berlo subito. Efficace sui piatti di tradizione, rinfrescante. Ma soprattutto elegante.
Salviamo l'Asprinio d'Aversa - Garantito IGP
di Luciano Pignataro
La Campania del vino vive un paradosso assurdo: l’Asprinio d’Aversa, il grande bianco celebrato da Soldati e Veronelli è di fatto a rischio di estinzione. Meno di centomila bottiglie tra pochissimi produttori: Magliulo, Masseria Campito, I Borboni, Salvatore Martusciello, Vestini Campagnano e Caputo.
Non è la prima volta che solleviamo il problema ma da allora la situazione non è migliorata, anzi, se possibile, è peggiorata dopo la vicenda della Terra dei Fuochi.
Il paradosso dell’Asprinio di Aversa, un bianco acido, fresco, alla base dell’unica tradizione spumantistica in Regione, è che stava decisamente in vantaggio rispetto agli altri bianchi campani. Un vino di territorio, profondamente legato all’Aversano, il volto bianco che faceva da contraltare a quello rosso del Falerno.
da sinistra) Gianfranco Iervolino, Peppe Guida, Alfonso Pepe |
Eppure questo vantaggio è stato progressivamente perso a partire dalla metà degli anni 90 perchè l’Asprinio è stato cannibalizzato dalla Falanghina per quanto riguarda la fascia medio bassa di consumo (pizzerie e trattorie), dal Fiano e dal Greco per quanto riguarda il consumo in ristoranti importanti. Addirittura, nella stessa provincia di Caserta, dal Pallagrello Bianco. Insomma la stranezza di questa situazione è che nella grande cavalcata delle uve bianche che alla fine hanno caratterizzato la Campania vitivinicola nell’ultimo quarto di secolo, proprio l’Asprinio è rimasto indietro. E questo nonostante il fatto che ci siano aziende che ci credono con forza puntando esclusivamente su questo vitigno a bacca bianca. Un paio di estati fa Slow Food ha lanciato l’appello alla salvaguardia dell’alberata, il tipico sistema di allevamento della vite maritata ai pioppi. Un metodo ancestrale, che richiede una buona specializzazione da parte di chi lo porta avanti.
Per tutti l’Asprinio è sempre stato l’abbinamento ideale con la mozzarella di bufala, un riferimento territoriale obbligato come si insegna ai corsi per diventare sommelier. A maggior ragione, adesso che questo latticino ha di fatto scalzato il fiordilatte dalle pizze, l’abbinamento viene spontaneo.
Sostenere e riscoprire l’Asprinio d’Aversa, il bianco campano doc di grande tradizione che rischia l’estinzione: è stato questo dunque l’obiettivo della serata organizzata ad Aversa da Morsi & Rimorsi che ha visto insieme tre grandi maestri del gusto (il pizza-chef Gianfranco Iervolino, lo stellato Peppe Guida di Nonna Rosa – Vico Equense e il noto pasticciere Alfonso Pepe) per sostenere le ragioni dei produttori del grande bianco campano.
Otto le aziende vitivinicole presenti al focus che rappresentano tutta la produzione: Benito Di Costanzo, Caputo, Magliulo, Masseria Campito, Numeroso, Salvatore Martusciello, Tenuta Fontana, Vestini Campagnano.
“Riteniamo doveroso – ha affermato Gianfranco Iervolino – che l’alta cucina vada in soccorso delle produzioni autoctone del territorio. Del resto, aggiunge, l’abbinamento ideale per piatti a base di mozzarella, che è uno dei prodotti più tipici di queste zone, è proprio l’Asprinio di Aversa che in molti realizzano nella versioni spumante”.
Perfetto si è infatti rivelato l’abbinamento con le creazioni esclusive dei tre maestri del gusto per la serata da Morsi & Rimorsi e, in particolare, con la frittatina di Peppe Guida realizzato con bucatini del pastificio Dei Campi, friarielli, salsiccia e nduja e con la pizza “Nonna Rosa” che il padrone di casa, Gianfranco Iervolino ha voluto dedicare proprio allo chef stellato riportando sul top della pizza gli ingredienti di un celebre piatto di Guida: crema di patate, baccalà, scarola riccia, zeste di limone, polvere di camomilla e peperone crusco.
La versione spumante ha accompagnato lo straordinario babà di Pepe e l’anteprima della sua Colomba. La serata, organizzata dalla Event Planet, è stata divisa in tre momenti: la presentazione dei produttori di Asprinio, la degustazione e, infine, la solidarietà: i titolari di Morsi & Rimorsi (insieme a Iervolino fanno parte della compagine societaria i fratelli Capece e Gianni Malinconico) hanno simbolicamente consegnato a don Ernesto Rascato della Diocesi di Aversa l’assegno da 2500 euro, pari al ricavato della vendita della pizza Aversana, che servirà a finanziare il restauro del mosaico del Cardinale Innico Caracciolo – Secolo XVII, opera di Pietro Bracci, sito nella Cappella del Sacramento della Cattedrale di Aversa.
Moser, una vita tra bicicletta e vino. Ah, il suo Trentodoc Brut Nature 2011 è molto buono!
Anche se avevo 10 anni ed ero un bambino me lo ricordo bene quel gennaio del 1984 perchè per due volte, tra il 19 e e il 23 gennaio, tutta l'Italia si era fermata col fiato sospeso per tifare ed esultare dopo l'impresa di Francesco Moser che, nell'arco di pochi giorni, a Città del Messico aveva battuto prima Eddy Merckx e poi se stesso stabilendo il nuovo record dell'ora a 51,151 km con l'ausilio dell'innovativa bicicletta on le ruote lenticolari
Foto: Sky Sport |
Mi ricordo bene il volto stralunato di Moser al termine di quella battaglia vinta a 33 anni pedalando ad 50 km/h di media, sento ancora nella mia testa le urla di gioia di Adriano De Zan e quello speaker che nell'area rarefatta della capitale messicana gridava incredulo "Va por la hora! Va por la hora!".
Foto: Ville&Casali |
Capirete, cari amici, che per uno come me cresciuto col mito di Francesco Moser non è stato facile trattenere un filo di emozione quando pochi giorni fa da Pipero a Roma me lo sono trovato vicino, assieme ai suoi figli Carlo, Ignazio e al nipote
Matteo, per la presentazione del Moser Brut Nature, ultimo nato della gamma aziendale assieme al Moser Rosé e al Moser 51,151.
I Moser al completo. Foto: Trentodoc |
Già, cari amici, avete capito bene, i Moser producono anche ottimo vino e la tradizione vinicola di famiglia risale agli anni '50 quando in Val di Cembra, alle porte di Trento, Ignazio Moser inizia a coltivare la vigna cedendo poi le uve bianche, soprattutto Mueller Thurgau, alle varie cantine della zona. La vera svolta arriva negli anni '70 quando i figli Francesco e Diego cominciano ad imbottigliare il proprio vino, soprattutto Teroldego, Chardonnay e Mueller Thurgau, per soddisfare le esigenze dell'agriturismo di famiglia. Col tempo, e il successo dell'iniziativa, arrivano i primi importanti investimenti che si concretizzano della realizzazione delle prime bottiglie di Trentodoc e il trasferimento nella nuova e moderna sede localizzata nella tenuta di Maso Villa Warth, un antico podere vescovile di origine seicentesca che dai suoi 350 metri s.l.m. si affaccia sulla città di Trento.
Maso Villa Warth |
Oggi, grazie alla freschezza e all'energia di Carlo, Francesca, Ignazio e Matteo, Cantine Moser gestisce circa 16 ettari
di vigneto suddiviso in tre aeree trentine dalla particolare vocazione
produttiva: il Müller Thurgau e lo Chardonnay crescono sui terrazzamenti di
Giovo, in Val di Cembra, mentre sono terreni ideali per rossi corposi quali
Cabernet Sauvignon, Merlot e Teroldego quelli di Sorni in prossimità di Lavis.
La maggior parte delle vigne si trova nell’anfiteatro di Maso Villa Warth che accoglie
Chardonnay, Moscato Giallo, Gewürztraminer e Riesling Renano quanto alle uve
bianche, Pinot Nero e Lagrein per quelle rosse. L’identità produttiva di Cantine Moser è
dichiaratamente trentina, ad iniziare da vini bianchi quali il Moscato Giallo,
il Riesling, il Gewürztraminer, il Muller Thurgau o i rossi che propongono
Teroldego e Lagrein. Ma è al Trentodoc che Cantine Moser guarda con particolare attenzione sopratutto oggi che è stato lanciato sul mercato il Moser Brut Nature, millesimo 2011, che nelle intenzioni dell'azienda va a posizionarsi al vertice della gamma.
Moser Brut Nature è un Blanc de Blanc da uve chardonnay
prodotte in due diverse aree vitate della proprietà, posizionate in situazioni
molto diverse tra loro: la prima a Maso Warth, che è anche sede dell’azienda, un anfiteatro di vigne ad
un’altitudine di 350 metri di quota che si affaccia sul comune di Trento; la
seconda in Valle di Cembra dove le altitudini sono molto più importanti, tra i
500 ed i 650 metri s.l.m. Si tratta di due bacini produttivi che consentono di
unire il carattere e la pienezza delle uve coltivate a minor altitudine all’eleganza
e ai profumi di quelle “di montagna”.
Le uve delle singole parcelle vengono vinificate
separatamente con pressatura soffice, selezione del mosto fiore, fermentazione
e affinamento in vasche di acciaio a temperatura controllata. Una volta
individuate le microvinificazioni da destinare al Brut Nature si procede
all’imbottigliamento e all’aggiunta del liquido di tiraggio. Inizia così il lungo periodo – minimo cinque
anni - della maturazione in bottiglia.
Degustandolo si capisce immediatamente che questo Trentodoc è ancora giovanissimo e gioca tutte le sue carte non sulla complessità, che arriverà in futuro, ma sulla sua sfrenata bevibilità amplificata dalla gradevole secchezza del vino il cui sorso, tagliente come una lama, è nettamente proporzionato in tutte le sue dimensioni. Il finale, nitido e decisamente minerale, è un plus da non sottovalutare.
Buona la prima ragazzi e, per il futuro, gambe in spalla e pedalare. E' il caso di dirlo, no?!
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