Filippo Antonelli: "Da Montefalco a Torre in Pietra, ecco come il mio vino combatte il virus!!"


di Carlo Macchi

Questa è praticamente un’intervista doppia perché Filippo copre due-tre ruoli: il primo e il secondo sono quelli di produttore di Sagrantino e Presidente del Consorzio Montefalco, il terzo è di produttore/ proprietario del Castello di Torre in Pietra (Roma), che vende soprattutto sul mercato romano, certamente uno dei più colpiti dalla crisi del Covid.



Prima domanda: parliamo di Montefalco: che differenza hai avete visto, come vendite, tra la prima e la seconda ondata?

I mesi di aprile-maggio 2020 sono stati drammatici e sicuramente aprile è stato molto peggio di adesso. Allora avemmo un calo del 70% e a maggio del 50%. Qui mi riferisco ai miei dati, che però, parlando con cantine amiche e associate, hanno confermato praticamente le stesse cifre. Per quanto riguarda la seconda ondata proprio gennaio 2021 è un mese difficilissimo, molto più complicato di dicembre 2020. E’ comunque molto presto per fare un bilancio. Nel complesso l’annata 2020 non è stata così drammatica perché a gennaio era partita bene e in estate abbiamo recuperato molto. Sicuramente si sono vendute più bottiglie di fascia media e bassa che non di fascia alta, però la sensazione generale è che guardando all’anno intero non ci sia stato una drastica diminuzione. 

Mi pare di capire che anche la seconda ondata sia stata tremenda ma eravate comunque già più pronti e organizzati. 

Si, perché molti si sono fatti il proprio shop online e magari cercato e trovato qualche altro canale e sistema di vendita. 

A Montefalco sono tutti produttori piccoli o medi, quindi canale HORECA e poco più: hai visto cambiamenti nella commercializzazione?

Sono aumentate molto le vendite tramite internet e inoltre, anche se il nostro canale principale è l’Horeca molti di noi sono nella GDO umbra. Questo settore non è cresciuto moltissimo perché lavorava principalmente col turismo e con gli americani che si riempivano i carrelli, però è servito per diversificare. Ribadisco che sono cresciute molto le vendite online tramite i più grossi distributori nazionali. Inoltre la ristorazione quando ha riaperto a maggio ha funzionato molto bene: in Umbria non si è mai lavorato come l’estate scorsa, con le località più famose piene di turisti e i ristoranti tutti prenotati. In prevalenza erano turisti italiani che però hanno speso quasi come gli americani. Qualche giorno fa ho ricevuto i dati delle fascette e c’è stato un aumento importante delle vendite dei vini bianchi e una diminuzione nei vini rossi di quasi il 15% 

A proposito di rossi: il Sagrantino è vino importante, strutturato, alcolico. Come si vende un vino del genere adesso, covid o non covid , e come il Montefalco Rosso può sopperire e subentrare. 

Partiamo dai bianchi, cioè dal Trebbiano Spoletino e il Grechetto: entrambi mi hanno dato una grande mano, come il Montefalco Rosso, che oramai da tempo è il vino di Montefalco più venduto. Oramai siamo sui 2.5/3 milioni di bottiglie, mentre sul Sagrantino siamo sul 1./1.2 milione di bottiglie. 

Quale è il miglior pregio di un produttore di vino in epoca di covid? 

La diversificazione! Per noi, ad esempio, è stato basilare avere un database con gli indirizzi dei nostri clienti, a cui abbiamo telefonato, quasi coccolandoli. Poi avere clienti sia in Italia che all’estero e fondamentale. Non dobbiamo essere in un solo canale. Quindi essere diversificati come mercati e come clientela è la strada da seguire. 

E il peggior difetto? 

In epoca di Covid è fare vini non serbevoli. 

Quali tipologia di vini pensi potranno superare meglio la crisi del Covid e in quest’ottica come si può inserire Montefalco? 

Non saprei. In periodo di Covid mi viene da dire che si stappino meno bottiglie importanti perché non si possono condividere con gli amici. Per il futuro proprio non saprei. 

Come presidente di Consorzio hai potuto rapportarti direttamente con le autorità, come valuti il loro operato? 

Le misure prese non sono state niente di straordinario ma sono comprensibili. In generale non credo che abbiano agito male, anche il fatto di aver bloccato i mutui e poterli ricontrare con le banche non è stato molto ma a qualcosa è servito. 

Un tema che mi è particolarmente caro, quello delle bottiglie pesanti. Potrebbe il Consorzio di Montefalco, per dare l’esempio, proporre una bottiglia per Sagrantino leggera e poco inquinante? 

Il problema è la forma, cioè trovare bottiglie che all’aspetto sembrano importanti ma pesino poco. Metterla a livello di disciplinare si può fare ma nel contempo vedo non facile renderle obbligatorie. 

Si tratterebbe magari di proporle come opzione, non di renderle obbligatorie. 

Su questo hai ragione, si potrebbe lavorare con una vetreria per trovare una bottiglia importante ma leggera. Come presidente del Consorzio potrei proporre la cosa. 

Veniamo a Torre in Pietra. Come è cambiato il mercato a Roma col Covid? 

Roma ha risentito molto di più dell’Umbria, perché non ha avuto il turismo nazionale che quest’estate non ha frequentato le città d'arte. Per assurdo a Roma hanno funzionato più i locali nei quartieri periferici che quelli nella zona centrale. 

Cosa hai fatto per adattarti alla situazione? 

Per quanto riguarda Torre in Pietra, dato che i nostri clienti sono per il 50% in zona Roma, siamo andati a portargli il vino a casa, gli abbiamo fatto delle offerte interessanti e la cosa ha funzionato. 

Cosa prevedi per il futuro del vino su Roma 

Non lo vedo male! Per quanto riguardo Torre in Pietra in particolare lo vedo abbastanza roseo perché negli ultimi anni i vini del Lazio sono ritornati abbastanza appetibili. 

E sull’Italia? 

Cresceranno le vendite online e per questo i produttori dovranno monitorare i prezzi per evitare di vendere a prezzi troppo alti o troppo bassi rispetto alle vendite non online. Ormai questo è un lavoro nuovo che noi stiamo facendo e dovremo continuare a fare.

Tenuta di Carleone - Chianti Classico 2018

di Carlo Macchi

Solo un “semplice” Chianti Classico ma più complesso, sapido, armonico di una sfilza di Gran Selezione o Supertuscan! 


Frutta matura, spezie, freschezza con tannini misurati ma vivi al palato, giovinezza, spensieratezza, con notevoli possibilità d’invecchiamento. Se dovessi scegliere un aggettivo direi “succoso”.

Quando il Chianti Classico era equiparato al grande Bordeaux o alla Borgogna e veniva venduto "en primeur"!

di Carlo Macchi

Quando parli con persone come Nanni Montorselli, vera e propria memoria storica del Chianti Classico, che al lavorato al Consorzio dal 1968 per ben 37 anni, scopri cose incredibili, storie meravigliose, aneddoti succosi. La storia della vendita en primeur del Chianti Classico non posso fare a meno di condividerla con tutti perché è troppo bella e fa pensare. 

Nanni Montorselli

Da un punto di vista enologico il 1970 è lontano secoli: Nel Chianti si stava uscendo definitivamente dalla mezzadria, le aziende che imbottigliavano non superavano la cinquantina ed erano per buona parte imbottigliatori, spesso di vini non certo irreprensibili in fiaschi. Le strade erano quasi tutte bianche e molte cantine avevano il pavimento in terra battuta e neanche la luce elettrica. Eppure, anche se lentamente le cose stavano cambiando, ma ben pochi avevano una visione che andava oltre le belle colline chiantigiane. Ma c’era qualcuno che cercava di andare oltre.

Nel Consorzio del Vino Chianti Classico, che aveva ottenuto la DOC da pochi anni (1967) si pensò di organizzare, addirittura, una vendita en primeur.

Nel 1970, per tre anni, il Consorzio del Chianti Classico organizzò al Castello di Spaltenna una vendita en primeur di Chianti Classico, strutturata più o meno come quella storica dell’Hospices de Beaune. 


Si battevano all’asta non pièces ma o botti da 30- 40-50 quintali o una parte di queste botti. La trance minima era di 1000 bottiglie da 0.75 cl, che venivano consegnate dopo 36 mesi. Il Consorzio garantiva le bottiglie e la loro tenuta fino al momento della consegna. Il primo anno vennero aggiudicate a 600/700 lire l’una mentre negli anni successivi si arrivò anche alle 1000 lire a bottiglia. Dopo tre anni la cosa finì, non certo per mancanza di acquirenti ma, afferma Nanni, per incomprensioni tra produttori e con il mondo politico locale che non dette certe una mano.


Pensate se più o meno un mese fa si fosse svolta la “Cinquantesima vendita en primeur del Chianti Classico” con il ricavato che magari sarebbe stato messo a disposizione per curare i malati di Covid. Non sarebbe stata una bella cosa? Nel tempo avrebbe certamente fatto parlare di questo territorio, e forse avrebbe anche influito sul modo di fare vino, perché vendere del sangiovese appena fatto, specie se con estrazioni accentuate, non è certo come proporre del pinot nero. Inoltre si sarebbe forse posta maggiore attenzione nella diversificazione per vigneti, proprio per proporre dei lotti con caratteristiche particolari e, last but not least, si sarebbe moderato, specie in certi periodi, l’uso del legno. 
Aldilà di questo sarebbe sicuramente servito per innalzare il prezzo del vino e dare maggiore consapevolezza ai produttori, specie nei periodi più critici. 

Purtroppo la cosa è morta sul nascere ed è inutile piangere sul vino versato.

Monterotondo: nel Chianti Classico il Covid-19 si affronta così! - Delivery IGP


di Roberto Giuliani

Saverio Basagni è un piccolo produttore di Gaiole in Chianti, che con sua moglie Fabiana Giuliani porta avanti l’azienda vinicola e agrituristica Monterotondo. Come lui stesso ci racconta “l’azienda nasce nel 1959 per volere di mio nonno, rimanendo un hobby di mio padre fino al 1994. Da allora io e mia moglie abbiamo deciso di fare di Monterotondo la nostra vita. Abbiamo ricostruito tutti i vigneti oramai vecchi e non più adatti a produrre vino di qualità. Adesso abbiamo circa 4,5 ettari di Chianti Classico, di cui 3,2 a Sangiovese e la rimanente parte a Canaiolo, Malvasia nera, Colorino, Ciliegiolo, Mammolo e altre uve locali anche a bacca bianca. 

Saverio Basagni

La cantina è stata negli anni rinnovata completamente e attrezzata con vasche e un impianto di imbottigliamento e confezionamento tutto in acciaio inox. La stanza di invecchiamento è stata arredata di botti da 7,5 hl e 10 hl dove i vini trascorrono un periodo di 12 mesi. La nostra filosofia è quella di produrre un ottimo vino senza l’utilizzo di prodotti chimici, infatti la nostra azienda è biologica dal 2003.” 


Saverio, l’arrivo del Sars-cov-2 ha colto tutti di sorpresa, i provvedimenti presi dal governo sono stati subito drastici con il primo lockdown di questo millennio. Che conseguenze ha portato nella vostra azienda e cosa avete potuto fare per ridurre il danno? 

Il lockdown ha fatto chiudere enoteche e ristoranti, che sono il nostro lavoro principale quindi totale azzeramento delle vendite. La distribuzione che si occupa della commercializzazione dei nostri vini in pochi giorni ha annullato tutti gli ordini di Pasqua, facendoci piombare in smarrimento e preoccupazione. Nelle settimane successive sono comparse offerte di siti e-commerce, poteva sembrare una soluzione immediata e di basso costo per le aziende, ma invece quello è un settore molto complicato e che richiede molta competenza per non incorrere in sanzioni e soprattutto per non cadere “incasso subito-con sconto”. Noi non abbiamo ceduto a questa tentazione. Purtroppo non abbiamo potuto fare quasi niente, siamo stai contattati da clienti fedeli che si sono fatti spedire a casa il vino, una piccola cosa ma in quel momento molto importante.

Il periodo estivo sembrava consentisse una seppur lenta ripartenza delle attività, ma in autunno siamo precipitati in una seconda fase altrettanto difficile. Nel frattempo tu e Fabiana avete affrontato la nuova vendemmia. Siete riusciti a trovare gli spazi sufficienti per poter vinificare la nuova annata?

Sì apparentemente c’era stata una timida ripresa con un po’ di lavoro di turismo tutto italiano, i ristoranti lavorando con meno della metà della capienza ci hanno fatto poco più del 20% del lavoro annuale. Purtroppo per poter arrivare alla vendemmia abbiamo dovuto con notevole sacrificio comprare un serbatoio grande per poter stoccare il vino non ancora imbottigliato. Comunque una vendemmia di qualità ma con grandi problemi. Certo è che un anno questa situazione la si può cercare di arginare, due no!

Da parte dello Stato che tipo di sostegno avete avuto? E il Consorzio del Chianti Classico quali azioni ha intrapreso per supportare i propri soci? 

Lo Stato ci ha dato due volte 300 euro. Purtroppo non siamo rientrati nel contributo a fondo perduto perché hanno calcolato il fatturato del solo mese di aprile dell’anno precedente; purtroppo questo calcolo è stato molto inadeguato per la situazione economica, le aziende agricola hanno sempre spese di gestione ogni mese, non si può fermarle come altre attività. Il Consorzio ci ha sostenuto nella prima fase con webinar su come lavorare sui social (quindi più una sponsorizzazione delle società di marketing! Perché sarebbe un investimento molto alto economicamente parlando) Successivamente ha reso operativo “il pegno rotativo”. Niente altro.

Ora siamo nel 2021, ma si da già per certa una terza fase con zone rosse, arancioni e gialle, sembra che il cappio continui a stringersi, pochi spiragli per essere ottimisti. Per voi che siete una piccola azienda a conduzione familiare e non potete contare sui grandi numeri, qual è l’impatto di un periodo così lungo di difficoltà e quali strategie pensate di adottare per portare avanti l’attività? 

Pregare!!!!! A parte gli scherzi, essere una piccola azienda da un lato in questo momento ci aiuta, parlando di non avere dipendenti e personale da stipendiare. Cerchiamo di fare tutto in casa senza aiuti esterni, limitando così le spese. Cerchiamo di mantenere i contatti con i nostri clienti e speriamo in una piccola ripartenza almeno in primavera. Fermo restando che nulla sarà come prima e nessuno può sapere come ripartiremo, sicuro che la strada è tutta in salita.

Casa Setaro - Vesuvio Caprettone "Aryete" 2019


di Roberto Giuliani

Uno dei vitigni a bacca bianca più interessanti della regione campana, concentrato in area vesuviana. 


L’Aryete 2019 proposto da Massimo Setaro è un eccellente esempio a piede franco, dai profumi intensi di ginestra, gelsomino, cedro e pesca; bocca sapidissima e succosa, minerale, da non perdere. 

www.casasetaro.it

La grandezza del Barolo Bussia 2016 di Giacomo Fenocchio

di Roberto Giuliani

Chi conosce Claudio Fenocchio sa bene che la sua azienda di Monforte d’Alba è sempre stata annoverata fra quelle fortemente legate alla tradizione. Questo fatto, però, non significa staticità, mancanza di visione, resistenza a qualsiasi cambiamento, che certamente non riguardano il noto produttore langhetto, che ha sempre cercato di migliorarsi e ha trovato un eccellente “consigliere” nell’enologo Emiliano Falsini, con il quale ha portato avanti un lavoro profondo di ricerca e sperimentazione, che ha portato ad esempio al fantastico Barolo Bussia 90 Dì, il cui numero rappresenta i giorni in cui il nebbiolo è rimasto a macerare con le bucce, frutto di anni di prove con lo scopo di ottenere la migliore estrazione possibile, senza componenti indesiderate, per un grande vino che ha rimpiazzato il Barolo Riserva. L’arrivo di questo cavallo di razza non deve farci però dimenticare l’importanza dei quattro cru aziendali Bussia, Villero, Cannubi e Castellero. 

Giacomo Fenocchio . Foto: James Magazine

Oggi ho scelto di raccontarvi del Barolo Bussia 2016, figlio di un’annata che è già stata considerata fra le migliori del terzo millennio, di quelle che saresti disposto a pagare oro per averne almeno una così ogni 4-5 anni. È andata alla grande un po’ in tutta la Langa, regalando un clima quasi sempre equilibrato, senza picchi caldi o freddi, piogge giuste nei momenti giusti, vendemmie perfette, con un’unica interruzione piovosa il 14 e 15 ottobre, ma senza conseguenze per la raccolta, che è ripresa subito nei giorni seguenti. 


Bussia è sicuramente la Menzione Geografica Aggiuntiva (MGA) più nota e desiderata, ma anche la più ampia ed eterogenea, i vigneti di proprietà di Fenocchio sono distribuiti nelle sottozone Munie e Sottana per un totale di circa 5 ettari. Il vino subisce una macerazione di 40 giorni e sosta per 30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 35 a 50 ettolitri. 


Il colore granata caldo è già un chiaro segnale dello stile rispettoso di Claudio; quando si ha a che fare con un Barolo, una volta versato nel calice, la fretta va accantonata, non ha alcun senso guardare l’orologio, tanto più il vino è grande, tanto più si aprirà con il passare dei minuti. 
Non si fatica comunque a percepire nei primi istanti un netto profumo di rosa e liquirizia, seguito da ciliegia matura, emergono spezie dolci e la sensazione generale è di una bella maturità, si coglie anche una curiosa sfumatura di lavanda, poi mentolo, terra umida e sottobosco. 


Al palato mostra tutto il suo carattere, tannino ben presente ma di grana finissima che si integra subito nella trama fruttata e speziata, si arricchisce poi di riflessi pepati; colpisce per l’ottima freschezza e per una notevole profondità nonostante la sua giovane età. Bevetene almeno una bottiglia ora, poi mettetelo in cantina senza paura di possibili cedimenti per un decennio, se avete tutta sta pazienza di aspettare… 

Il coraggio di cambiare per affrontare la crisi Covid - Intervista a Chiara Soldati per Delivery IGP

Per la rubrica Delivery IGP questa settimana intervistiamo Chiara Soldati, signora del Gavi alla guida de La Scolca, azienda piemontese che lo scorso anno ha festeggiato le 100 vendemmie.

Chiara Soldati

Buongiorno Chiara, pensando al tuo mestiere di imprenditrice, la prima domanda che ti faccio è come sono cambiati, causa crisi pandemica, i mercati sia nazionali che internazionali del vino. 

Il mercato italiano ed estero sono cambiati tantissimo: non si viaggia più sui mercati, sono cambiate le modalità di contatto con i buyers ed i mercati sono presidiati prevalentemente con digital marketing. Le tecnologie digitali durante il periodo di lockdown sono diventate fondamentali per mantenere i rapporti con clienti e operatori del settore attraverso le degustazioni online ed i webinar abbiamo avuto la possibilità di collegarsi e parlare in contemporanea con molte più persone rispetto agli eventi del passato in presenza, ma questa modalità non sostituirà mai il rapporto umano che è meno allargato, ma più efficace sul singolo. Il mercato del vino italiano è molto concentrato su USA, UK, Germania, Svizzera e Canada i paesi dove c’è un retail sviluppato il quale porta a molte soddisfazioni. 
Occorre fermare subito la guerra dei dazi tra Unione Europea e Stati Uniti d’America che ha già colpito le esportazioni di cibo e bevande Made in Italy e ha messo a rischio prodotti simbolo del Made in Italy come il vino.
L'elezione del nuovo presidente Usa arriva a poco più di un anno dall’entrata in vigore, il 18 ottobre 2019, in Usa di una tariffa aggiuntiva del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’unione Europea, per iniziativa di Donald Trump nell’ambito della disputa nel settore aeronautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus. 
Ora l’elezione di Joe Biden apre nuove prospettive che l’Unione Europea deve essere in grado di cogliere per avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati in un momento drammatico per gli effetti della pandemia. 
Il settore agroalimentare non può continuare ad essere merce di scambio nei contenziosi politici ed economici anche in considerazione del pesante impatto che ciò comporta, soprattutto alla luce delle tensioni legate all’emergenza Covid. 

A livello internazionale il vino italiano dovrà affrontare anche il problema Brexit? 

Sul fronte UK e Brexit, per quanto riguarda la nuova normativa, la questione chiave è se tutto il vino importato nel Regno Unito dal 1° gennaio 2021 debba essere accompagnato dal “tristemente famoso” modulo VI-1, che richiede la obbliga alla divulgazione di una serie di informazioni relative al prodotto, inclusa la prova del contenuto confermato da test di laboratorio. Questo requisito è in vigore per il 45% del vino attualmente importato nel Regno Unito da paesi extracomunitari e l'attuale politica del governo prevede l'estensione di tale obbligo alle importazioni di origine comunitaria dopo la fine del periodo di transizione di Brexit. 
Il risultato sarà il raddoppio delle pratiche burocratiche per gli importatori con sede nel Regno Unito e nuovi oneri burocratici per chiunque cerchi di esportare nel Regno Unito da qualsiasi paese dell'UE. 
L'attuale politica del governo è quella di applicare ai vini dell'UE la stessa aliquota che l'UE applica attualmente al vino proveniente da paesi terzi. Ciò significa 10 sterline per ettolitro per il vino fermo (10 centesimi di sterlina per litro) che salgono a 26 sterline per ettolitro per i vini spumanti. Al momento non sembra esserci alcuna prospettiva di riduzione per questi dazi ma nulla è ancora definitivo. Dovrà essere messa in atto un’efficace politica europea e da parte dei singoli stati. 
Le vicende che hanno generato nel recente passato le tensioni politiche sul commercio internazionale vanno valutate con estrema attenzione, due partner commerciali fondamentali per l’Italia, come gli Usa e la Gran Bretagna, potrebbero introdurre nuovi dazi sui vini italiani, anche e soprattutto se le condizioni economiche interne dovessero risultare particolarmente deboli a causa della Covid-19. 

Come stai affrontando questa seconda, e speriamo ultima, ondata di epidemia? 

La pandemia e la seconda ondata sono stati un evento di portata mondiale che ha cambiato e cambierà gli equilibri economici, sociali e commerciali, compariranno più disuguaglianze sociali e la globalizzazione ridurrà la sua portata Il Covid-19 è alle spalle ma gli effetti che ha provocato li vedremo nei prossimi mesi. 
Questo evento straordinario che ha fermato il mondo ha permesso di fare una profonda analisi delle nostre abitudini sia professionali sia personali. Abbiamo rivalutato i piccoli lussi quotidiani, tra cui il cibo di qualità, il vino, l’autenticità non solo dei beni che acquistiamo, ma anche dei rapporti personali. Abbiamo compreso quanto sia importante comunicare con valore e contenuto, quanto i rapporti siano fondamentali e quali fossero veramente solidi. 
Per molti di noi vignaioli la prima fase di lockdown, seppure dolorosa da un punto di vista economico, ha rappresentato un momento utile per fermarci a riflettere sul nostro sistema di produzione. Abbiamo avuto il tempo di riappropriarci del nostro rapporto quotidiano con il lato più propriamente agricolo del nostro lavoro ma anche di riesaminare il nostro sistema impresa per capire quali cose si potevano cambiare. Nello stesso tempo abbiamo dovuto approntare delle strategie utili alla gestione degli stati di crisi, strategie che elaborano solitamente solo le grandi aziende strutturate ma che le PMI devono avere il coraggio di mettere in atto: apertura a modelli diversi di commercializzazione con ricerca ed esplorazione di nuovi segmenti, rapporto con la clientela con un’analisi più pronta e puntuale dei punti di forza e debolezza di ciascun cliente, rielaborazione di rapporti con i nostri dipendenti con la ricerca comune di una flessibilità nelle mansioni, attivando anche una serie di corsi legati alla conoscenza di strumenti informatici e di comunicazione. Detto questo, ci aspettavamo una risposta istituzionale più pronta ed efficace in questo secondo lockdown del settore. Chiudere indiscriminatamente tutti i locali senza il coraggio di dire che chi applicava i protocolli con criterio avrebbe potuto rimanere aperto, ha portato il settore della ristorazione in una situazione insostenibile economicamente e il vino italiano ne sta seguendo le sorti. Ma in futuro dovremo creare strategie sinergiche tra ristoratori e produttori, oltre all’intera filiera dell’indotto agroalimentare, per rinascere più forti di prima. Molti ora sono spaventati da una possibile terza ondata annunciata dai media e dai comitati scientifici. Questo è un dato di fatto ed un importante freno allo stato attuale dello sviluppo dell’economia, ma siamo chiamati a reagire con forza e determinazione per utilizzare questo momento per migliorare le nostre aziende, bisogna guardare la strada davanti a noi e non il dirupo in cui questa pandemia mondiale ha portato ciascun Paese.

Hai parlato in precedenza di risposte istituzionali. Secondo te il nostro Governo sta facendo tutto il possibile per contrastare, almeno nel mondo del vino, questa crisi? 

C’è ancora tanto da fare. A mio giudizio è necessario un piano di rilancio del nostro settore attraverso misure efficaci e tempestive. Le Aziende hanno bisogno di avere un sostegno efficace per poter continuare ad essere competitive nello scenario mondiale. Oggi più che mai deve essere tracciato un progetto concreto per il futuro del vino italiano, un futuro che preveda tutte le realtà in gioco dai piccoli produttori alle realtà industriali, le PMI rappresentano per il nostro sistema vitivinicolo una grande risorsa anche sul fronte del presidio territoriale e dell’indotto economico che determinano. 
Pertanto, è il momento che le piccole e medie imprese del vino italiano vengano ascoltate e soprattutto riconosciute nel loro valore. Sono consapevole di quanto sia difficile mettere insieme una realtà così eterogenea come quella del sistema delle PMI del vino italiane, ma questa diversità è anche un nostro grande punto di forza come già Mario Soldati presentava negli anni ’70 nel volume “Vino al Vino”. Bisogna puntare a fare una politica di brand efficace, non solo all’interno delle singole aziende, ma è necessario rilanciare il brand MADE IN ITALY nel suo complesso come garanzia di eccellenza, come testimonianza del nostro background culturale e storico, il modello del lifestyle che tutto il mondo per anni ha invidiato. E’ necessario creare un sistema Paese che possa sostenere non solo il comparto vitivinicolo, ma l’intero comparto manifatturiero di eccellenza. Necessario immaginare sostegni alle imprese per permettere investimenti mirati all’innovazione, alla promozione e comunicazione. Necessario creare incentivi per assunzioni di giovani. Questo è il momento per stimolare un confronto tra le diverse parti della filiera per far compiere al nostro sistema vitivinicolo quelle indispensabili trasformazioni. E sì, perché a mio parere, come ho spesso sottolineato in questi difficili mesi, non si può considerare Covid-19 la causa di tutti i mali del nostro settore. In tempi di crisi come questi ritenere i “nemici” delle nostre imprese, dei mercati, solo i fattori “esterni” sarebbe un errore imperdonabile. La pandemia ha messo in luce non solo le singole fragilità, ma anche le fragilità del mondo vino, portando ad un necessario cambiamento. Abbiamo assistito ad un’accelerazione di nuovi marketplace che sono diventati in poco tempo strategici come l’e-commerce oppure nuove modalità di consumo come il delivery. Dato il clima attuale, molti brand stanno facendo fronte a budget limitati in questo momento e la spesa in attività di comunicazione e innovazione ne risente ed in questo momento l’investimento dovrebbe essere più strategico che mai. Per questo sono necessari interventi tempestivi da parte del Governo al fine di assicurare che lo standard qualitativo non ne risenta e molte aziende altrimenti rischino di abbassare per necessità gli investimenti rischiando di ritrovarsi all’indomani della crisi pandemica poco competitivi ed aggravare la loro situazione. 

La Pandemia come ha cambiato o cambierà nel mondo del vino?

Le ripercussioni vedranno una selezione degli operatori sui mercati ed una revisione profonda dell’offerta. Saranno necessarie politiche nazionali forti mirate allo sviluppo, alla promozione e all’innovazione delle aziende. Dovremo affrontare nuove sfide economiche, ambientali, sociali, dovremo riconcettualizzare l’offerta ed i canali di vendita in base alle mutate abitudini di consumo dei consumatori. Il vino durante il lockdown da prodotto di consumo tipicamente conviviale è tornato ad essere un protagonista del consumo domestico durante il pasto. Le parole chiave per la ripartenza saranno: autenticità, identità, innovazione, ecosostenibilità, 
Il mondo del vino lavorerà sempre più in uno scenario binario con le cantine sociali e le cooperative da un lato e le aziende con produzioni premium dall’altro. Le prime lavoreranno su livelli di vino commodities e sostegno della loro mission sociale le seconde lavoreranno per continuare il lavoro fondamentale di branding dei territori, rivalutazione culturale delle denominazioni, innovazione qualitativa. Dovremmo difendere le nostre origini, tradizioni guardando al futuro con scelte coraggiose senza snaturare la nostra identità produttiva e culturale e fare squadra. 
Il lockdown ha colpito maggiormente le grandi città ed i mercati più importanti per il consumo del vino come Europa e Stati Uniti oltre ovviamente la Cina.
Il cambio di abitudini di consumo ha creato un profondo danno del settore Horeca e di tutto il comparto legato al turismo “leisure e business”.
L’Asia sarà il mercato di riferimento più importante per il futuro, in occasione dell’Esposizione Universale 2025, di scena ad Osaka e contiamo in una ripresa negli USA più veloce che in Europa. Al momento ci sono più domande che risposte sul futuro post-pandemico del mercato globale del vino. I dati dimostrano come la maggior parte dei consumatori ha acquistato ed acquisterà ciò che conosce, ciò che trova rassicurante. I consumatori in questo momento, pariteticamente al 2000 o al 2008, non vogliono sperimentare, ma piuttosto bere qualcosa che li fa sentire a proprio agio e a cui sono legati da ricordi positivi, dai viaggi fatti in Italia o semplicemente i prodotti che da lungo tempo godono di una buona fama o reputazione sul mercato. Anche da parte dei buyers si assiste ad una razionalizzazione delle carte vini e delle scelte di ciò che viene acquistato. Molti buyers e retailers si stanno concentrando su un assortimento principalmente indirizzato a brand storici o particolarmente conosciuti. 
Il segmento on-premise è stato quello principalmente colpito dal lockdown, prima, e dalle rigide misure di distanziamento. I costi di gestione sono molto elevati soprattutto nelle grandi città e necessitano di coprire almeno l’80/85% della capienza massima solo per raggiungere il pareggio. Anche i grandi nomi della ristorazione sono stati colpiti e stanno riprendendo posizione i ristoranti indipendenti. Durante i mesi di chiusura abbiamo assistito ad una percentuale importante di vendite di vini premium da parte di collezionisti ed appassionati. Si immagina che questa nicchia possa mantenere questa percentuale e possa aumentare la domanda di vini di valore che porterebbe ad una maggiore domanda di prodotti d’alta gamma in futuro. La volatilità che assistiamo sui mercati finanziari si riscontrerà anche sul mercato reale, vino incluso. Saranno mesi impegnativi, di ricostruzione e rinascita, mesi di nuovi progetti e nuove strategie, ma saranno mesi di opportunità sia di crescita sia di miglioramento. 

Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il prossimo futuro? 

Il consiglio che mi sento di dare è quello di perseverare con determinazione e non abbandonare gli obbiettivi. La tempesta finirà e noi dovremo farci trovare preparati e competitivi. 
Nei momenti di difficoltà bisogna fare strategie comuni efficaci, lasciare da parte le sterili divisioni e fare lavoro di squadra tra produttori, operatori di settore, istituzioni, dovremo essere vicini al canale Horeca, sostenere il team degli agenti, creare nuove sinergie con le enoteche ed i distributori, creando un nuovo modello di commercializzazione complementare e non conflittuale. La comunicazione sarà fondamentale. Una comunicazione di valore e contenuti. Avremo bisogno di proseguire l’attività di diffusione di cultura enogastronomica per creare maggiore consapevolezza nel consumatore. Bisognerà far crescere la professionalità a tutti i livelli. 
Dovremo ascoltare il mercato, dare le risposte adeguate alle esigenze che si presenteranno. Ormai a tutti è chiaro che è in atto una vera e propria rivoluzione delle nostre abitudini sociali e lavorative. La più importante conseguenza è la necessità di modificare il proprio modo di comunicare, di adeguarlo ai nuovi canali da usare per creare, mantenere e aumentare i propri rapporti commerciali. 
Sempre più, infatti, si ricorre e si dovrà ricorrere anche ai "canali Web". Di per sé tanti di questi esistono da tempo, ma sono stati finora inesplorati, o comunque non visti come indispensabili, in particolare nel mondo del vino. 
La necessità di riprendere la promozione e la presentazione dei vini è indubbiamente una necessità nel rispetto delle linee guida di sicurezza per la prevenzione. Indubbio che le nuove forme di comunicazione digitale sono e rimarranno fondamentali, ma gradualmente si dovrà tornare anche al rapporto “one to one”.

Usciamo un attimo dal discorso pandemia e veniamo a cose più piacevoli. La Scolca ha compiuto 100 anni ed è ormai una delle imprese vinicole più importanti di Italia. Che obiettivi ti dai per il 2021? 

Le linee messe in atto all’indomani del lockdown prevedono una mirata politica di impresa dal punto di vista finanziario senza interrompere i progetti di investimento mirati al rinnovamento aziendale sia in termini di innovazione tecnologica, ambientale e di risorse umane. Fondamentale la formazione, l’attenzione per le nuove sfide ecosostenibili, la digitalizzazione. Lavorare per crescere, per migliorare il livello produttivo per guardare al futuro con scelte solide. Non è nel dna de La Scolca e della famiglia Soldati l’immobilismo e la paura del cambiamento, quello che da 100 anni contraddistingue la storia aziendale è il coraggio, l’innovazione ed il dinamismo. Si continua ad investire e rafforzare la propria identità, autenticità in un importante impegno a mantenere una forte riconoscibilità in un mercato sempre più grande e sempre più affollato da molteplici proposte enologiche. Fondamentale l’impegno volto a comunicare avvalendosi di figure altamente qualificate professionalmente. Nulla viene lasciato al caso, convinti che in ogni dettaglio dalla cura dei vigneti alla scelta delle politiche commerciali o semplicemente il wording scelto per comunicare siano parte di un mosaico che deve rappresentare un’identità valoriale cominciata 100 anni fa e che ora guarda al futuro con una quinta generazione, mio figlio Ferdinando, che proprio quest’anno ha cominciato il primo stage di avvicinamento all’Azienda. Ogni percorso comincia con un primo passo, ma ogni passo deve rappresentare un punto fondamentale del percorso ed ogni percorso deve avere ben preciso l’obbiettivo da raggiungere, senza dimenticare il passato per costruire un nuovo futuro. 
In estate abbiamo cominciato ad accogliere i nostri winelovers in cantina con nuovi programmi. Vediamo un futuro positivo rappresentato dal turismo di prossimità, un turismo che auspichiamo possa abbracciare anche il patrimonio culturale dei nostri territori, i luoghi d’arte, un turismo che possa apprezzare i paesaggi e le attività sportive che ciascun territorio può offrire con grande varietà. In questo momento il turismo enogastronomico rappresenta una fuga dalla città, esercita un’offerta ricca di fascino, rappresentano un’attrattiva le cantine immerse nella natura, dove anche lo spazio è un dono, le distanze sono naturali e garantite. L’emergenza sanitaria ha insegnato quanto siano importanti il benessere, il lusso delle esperienze di momenti semplici, l’importanza delle piccole cose, il valore delle esperienze. 

Ultima domanda: il Gavi ha un grande passato ma sembra uscito leggermente dai radar della comunicazione del vino italiana anche se, a mio parere, è un bianco che nella massima espressione non è secondo a nessuno. Sei d’accordo e quali sono i motivi di questa poca comunicazione?

Sicuramente il Gavi come denominazione ha meno visibilità rispetto ad altre realtà di produzione di vini bianchi, penso ad esempio al Soave oppure alla Lugana o al Prosecco, ma non aderendo da anni al Consorzio, preferisco non dare giudizi sul lavoro altrui non conoscendone nel merito le attività di promozione svolte.

Casavyc – Toscana Sangiovese IGT “Lo Cavalcone” 2013


Casavyc è la Maremma che non ti aspetti, una piccola perla a due passi da Scansano che produce vini dai lunghi affinamenti. 


Questo sangiovese in purezza, da vigne a 500 metri s.l.m, ha grazia e leggerezza e pura lussuria gustativa senza ricorrere ad inutili orpelli. Sei anni di affinamento in botte. Una chicca da trovare.

www.casavyc.com

Riecine ha cinquanta anni e noi a Roma li festeggiamo così! - Garantito IGP


Quando il tuo amico Carlo Macchi ti chiama per festeggiare a Roma i (quasi) 50 anni di Riecine, azienda storica del Chianti Classico, posso solo esclamare una parola: obbedisco.

Tavolata prima della degustazione

L’appuntamento, con un’altra piccola schiera di amici giornalisti e comunicatori del vino, è stato fissato il 15 ottobre all’interno del bellissimo Hotel de Russie dove oltre al Macchi, in prima linea anche perché incaricato di scrivere un libro sull’azienda, erano presenti anche Alessandro Campatelli, enologo e direttore generale dal 2015, e Carlo Ferrini che è stato consulente dell’azienda negli anni ’80 e all’inizio dell’ultimo decennio dello scorso secolo 

Il team Riecine oggi!

In realtà i festeggiamenti andranno avanti anche per tutto il prossimo anno (spero migliore di questo funesto 2020) perché in realtà oggi Riecine ha ancora 49 anni in quanto il fondatore della Riecine contemporanea, l’inglese John Dunkley assieme a suo moglie Palmina Abbagnano, acquisirono gli originali 1,5 ettari di terra nel dicembre del 1971. Insieme iniziarono a ristrutturare l’antica villa in pietra, per poi ridare vita alle vecchie piante e ad impiantare nuove viti. La prima annata di Chianti Classico, il 1972, messa in commercio qualche anno dopo. Da quel momento Riecine, anno dopo anno, si è fatta apprezzare per la qualità dei suoi vini e, come facile immaginare in quasi 50 anni di attività, molti sono stati i cambiamenti che sono avvenuti all’interno dell’azienda sia a livello tecnico-produttivo, sia a livello di gestione. 

Carlo Ferrini

Ferrini, infatti, è rimasto in veste di consulente fino al 1996 affiancando, già a partire dal 1991 quando era stato assunto Sean O’Callaghan, che iniziò a far parte del team di Riecine come enologo interno, per poi diventare successivamente il vero simbolo dello stile Riecine. 

Sean O’Callaghan

Come sappiamo dal 2016 Sean ha lasciato l’azienda lasciando il testimone al bravissimo Alessandro Campatelli, che ancora oggi si occupa di tenere vivo il sogno di John e Palmina, assieme ai nuovi proprietari russi. Questo ha permesso a Riecine di mantenere intatto lo status di “faro enologico” del Chianti Classico. 

Carlo Macchi presenta la degustazione

Alessandro Campatelli

Tornado alla degustazione organizzata, il duo Macchi-Campatelli ha deciso di dividere i festeggiamenti in tre eventi, il primo già tenuto in cantina ad Agosto, in ciascuno dei quali si affronta la storia di Riecine dividendo i vini in tre fasce temporali: dal 1971 al 1985, dal 1986 al 2000 e, la terza, dal 2001 fino ad oggi. 


A noi “Romani de Roma” è toccato la seconda degustazione che vado a raccontarvi con le mie note di degustazione che, spero, riescano a farvi vivere anche in parte l’emozione di alcuni assaggi superlativi. 


Riecine – VDT La Gioia 1986: il Supertuscan di casa Riecine, fortemente voluto da Palmina e che ha visto il suo esordio nel mercato dal 1982, è un sangiovese in purezza che in questa annata, che possiamo definire abbastanza regolare, regala solamente emozioni. Chi pensava di trovarsi davanti ad un vino ad un passo dal cimitero ha dovuto ricredersi fortemente causa impianto olfattivo che, alla cieca, può ricordare un grande e. soprattutto, giovane rosso di latitudini decisamente più a nord della Toscana. Il naso è un susseguirsi di sensazioni intensissime di arancia sanguinella, fragolina di bosco, spezie rosse, erbe di campo fino a virare su aromi più virili di ghisa e ruggine. Il sorso, spogliato di ogni orpello, rappresenta un’esplosione verticale di freschezza e sapidità la cui leggerezza e soavità sono l’imprinting assoluto di questo vino arioso che dopo 34 anni sembra ancora danzare sulle punte. 


Riecine – VDT La Gioia 1987: l’annata, decisamente calda anche se “rovinata” in vendemmia da piogge persistenti, regala un vino rispetto al precedente più avvolgente e fruttato con questa nota di ciliegia, succosissima, che subito rapisce e nasconde, per un attimo, un caleidoscopio di profumi intensi che vanno dalla viola appassita alle spezie nere fino ad arrivare alle erbe aromatiche e alla già nota sensazione di ghisa che troveremo, ve lo anticipo, anche in altre annate. All’assaggio è capace di una accelerazione gustativa potentissima fino a metà sviluppo quando poi, con nonchalance, sembra quasi fermarsi per foderare il cavo orale di mille deliziosi sapori per interi minuti. Finale intenso e sapidissimo. 


Riecine – VDT La Gioia 1988
: l’annata, decisamente equilibrata e che per qualcuno è superiore alle 1985 in Toscana, non può che sfoderare un vino carismatico caratterizzato da un naso rintronante di erbe officinali, marasca, mora di rovo, agrume, chiodi di garofano e l’immancabile nota ferrosa che rimanda alla ghisa. Assaggio altrettanto autorevole dove la fine eleganza e una armonica integrità gustativa fanno da degni apripista ad un finale che è assolutamente una girandola di sapori di sbalorditiva bellezza. Un vino assolutamente strepitoso. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1990: questo sangiovese in purezza, sicuramente il vino “bandiera” per l’azienda, in questa annata, decisamente buona in Toscana, rilascia all’olfatto luminose note territoriali che virano verso un affascinante mix che si compone di agrumi, violette, toni di sottobosco, spezie nere e ferro fuso. Al sorso ha coesione e sostanza, sfodera a metà sviluppo una bella acidità anche se il tannino, leggermente polveroso, spezza leggermente una progressione gustativa che rimane, comunque, di assoluto valore considerando l’età del vino. 



Riecine – VDT La Gioia 1991: un’annata senza infamia e senza lode ed un vino, il primo degli anni ‘90 degustati, che rimane con un approccio gustativo abbastanza timido che regala sensazioni olfattive fresche ma poco complesse, a mio giudizio, dove ritrovo l’agrume i frutti di bosco. Il sorso è esile, verticale, ma si perde leggermente dal centro bocca in bocca regalando un finale sì sapido e fruttato ma poco dinamico nella chiusura. 


Riecine – VDT La Gioia 1993: amo le annate regolari e fresche come questa perché, almeno a Gaiole in Chianti e, in generale, in Chianti Classico, regalano vini leggiadri, armonici, quasi primaverili negli accenni floreali di violetta e peonia a cui si aggiungono respiri intensi di mora di gelso, arancia amara, ferro sciolto. Sorso pieno, modulato da una verticalità di beva davvero entusiasmante che mi ha ricordato la ‘86. Bellissima la persistenza finale capace di rilanci aromatici continui. Gran vino! 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1995: non so se è colpa di questa annata irregolare, prima fresca e piovosa e poi, in vendemmia, decisamente calda, ma ho trovato questo vino molto stanco, soprattutto se confrontato col La Gioia 1993. Il naso, infatti, è un continuo richiamo alla frutta nera matura, all’humus ed ad una fosca mineralità. Con tempo, poi, esce anche una sensazione poco gradevole di dado da brodo. Al gusto è contratto, poco dinamico, caratterizzato da un tannino ancora vivo e graffiante che però pare giocare un ruolo solitario all’interno di una struttura complessiva del vino che appare traballante e leggermente scissa. Finale sapido, poco persistente.


Riecine – VDT La Gioia 1996: una buona annata questa ‘96 e, come spesso è capitato in degustazione, questo vino riesce ad interpretarla nel migliore dei modi. Il naso, inizialmente anarchico e dotato di aromi selvatici, via via si è pulito regalando un bouquet fresco e pungente dotato di nettissime sensazioni di ciliegia nera, chiodi di garofano, tabacco da pipa, erbe officinali e sbuffi salmastri. Bocca didattica, schiettamente chiantigiana grazie ad una carnosità e ad un sorso fresco ed equilibrato da tannini vivi ma ben integrati. La bistecca alla fiorentina sarebbe la morte sua! 



Riecine – Chianti Classico 1997: non ce la fa, questa annata, tanto decantata in passato da schiere di giornalisti italiani e non, anche in questo caso mostra i limiti di un millesimo, sostanzialmente caldo, che a distanza di ventitré anni mostra tutti i suoi limiti. L’olfatto è stanco, sa di frutta matura, quasi marmellatoso, a cui seguono sensazioni di erbe amare, scura mineralità e glutammato. Al sorso è leggermente meglio, mostra una certa personalità e una struttura solida caratterizzata da tannini compatti e fervida sapidità. Chiusura austera e tutt’altro che dinamica. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1999: altra annata calda e altro sangiovese in purezza che, rispetto agli anni ‘80, sembra segnare il passo soprattutto nel contesto delle sue fragranze odorose che rimandano alla confettura di more ed amarene, al tabacco Kentucky, alle spezie rose, alle erbe medicinali e al sottobosco autunnale. In bocca è congruente, con notevole nota sapida che addomestica la verve alcolica del vino donando agilità ed equilibrio. Finale salmastro con una persistenza però non da numeri uno. 


Riecine – IGT Toscana La Gioia 1999: rispetto al precedente vino, pari annata, La Gioia regala una maggiore vivacità all’olfattiva grazie ad una componente floreale ed agrumata sicuramente maggiore del Chianti Classico Riserva. Anche al sorso il vino rispetta le previsioni: è agile è misurato, ampio e dal tannino vivace ma ben fuso nel contesto strutturale del vino. Finale speziato che, come il precedente, tende però a rimanere contratto a non ingranare la marcia giusta per correre. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 2000: l’ultimo vino in degustazione ci fa entrare negli anni duemila con un sangiovese che sembra avere un carattere più moderno ed estroverso. Ha un naso intenso ed espressivo di confettura di frutti di bosco e pot-pourri, prugna matura, chiodi di garofano, corteccia, sottobosco avvolte tutte da una sensazione di mineralità delicatamente scura. Al sorso è ricco, succoso, grintoso grazie ad una marcata acidità e tannini maturi. Lungo e vigoroso il finale su note fruttate e vagamente floreali. 

La Fine....


Parmoleto - Montecucco Sangiovese Riserva 2015

Nel mio viaggio di approfondimento dell'areale del Montecucco, bellissimo territorio situato in Toscana, nell'Alta Maremma, a due passi dal Monte Amiata e dalla sua influenza, mi sono imbattuto in un sangiovese di una realtà poca nota all'interno della comunicazione enologica italiana: Parmoleto


Andando a cercare un po' di informazioni ho scoperto che l'azienda agricola, gestita dalla famiglia Sodi da oltre un secolo, produce principalmente cereali, coltivando circa 75 ettari di grano duro, orzo e avena, e solo dal 1990 ha deciso di avventurarsi nella produzione di vino ed olio. 
Dal 2002 la famiglia ha ulteriormente arricchito l’azienda con l’attività di Agriturismo ed è in grado di ospitare la propria clientela in una casa colonica a pochi passi dal centro aziendale.


All'interno dei sette ettari vitati, gestiti tutti in maniera sostenibile, sono coltivati sangiovese, il vitigno più importante, poi montepulciano, cabernet sauvignon, syrah, trebbiano toscano, malvasia bianca e chardonnay (spero che almeno queste info sia aggiornate sul loro sito..)


Tornando al vino in questione, questo sangiovese in purezza, il top della gamma di Parmoleto, è una Riserva estremamente intensa e profonda a partire dal naso che sprigiona suadenti aromi di mora di gelso, amarena, mirto, cassis, violetta e toni di legni pregiati. 


In bocca è compatto, strutturato, sorretto da vigorosa verve acida e da tannini raffinati. Lunga la scia sapida del vino che chiude con un leggera sensazione amaricante sintomo che il legno dove ha affinato il vino non è ancora stato completamente digerito. E forse non lo sarà mai, chissà.
Nota tecnica: il vino è vinificato in acciaio e riposa due anni in barrique di rovere prima di essere messo in commercio.