Podere La Madia - Vigna Cafaggio Bianco Toscano 2019


di Stefano Tesi

E’ un lustro che assaggiai per la prima volta questo vino bio da Malvasia bianca lunga ritrovata in una vigna del 1945. Ed è passato un lustro da quando da Carlo Crocchini è mancato. 


Riassaggiarlo è stata un’emozione doppia. E una doppia conferma: da passarci ore, bicchiere in mano. Bravi Lucia e Giacomo.

Being Valdarno di Sopra DOC


di Stefano Tesi

Per una volta, anziché di vino, parliamo di produttori e del loro state of mind. Mi riferisco a quelli della Doc Valdarno di Sopra che lo scorso 16 maggio, al Borro dei Ferragamo, hanno dedicato una giornata a se stessi per spiegare al mondo e alla stampa, italiana e non, chi sono, che fanno e in che direzione vogliono andare. Oltre che, ovviamente, per far loro assaggiare i vini.


E’ stata una conferenza istruttiva, perché ha inaugurato una sorta di modo nuovo di fare non solo comunicazione, ma anche politica vinicola. O addirittura marketing politico, calibrato su una gittata esplicitamente ultranazionale. Forse un po’ autoreferenziale, come ha osservato qualcuno? Ma chi è che non è autoreferenziale, diciamo pure aziendalista, nel modo del vino? E i valdarnesi lo sono stati in maniera brillante.


Le strategie consortili - questo in sintesi il messaggio mandato all’uditorio dal presidente Luca Sanjust e dal direttore Ettore Ciancico nel passare la parola a un nutrito parterre di critici, enologi, meteorologi, funzionari, assessori, deputati europei, professori universitari e rappresentanti di Federbio, Slow Food e d.o. Cava - si muovono su quattro binari convergenti e coordinati tra loro, per trasmettere un segnale di massima coesione: l’esaltazione dell’identità territoriale, l’unicità anche climatica del comprensorio, la scelta dell’unità di vigna, con relativa dicitura in etichetta come strumento di valorizzazione dello stesso e, infine, la scelta di un biologico a 360°. Nel senso cioè di obbligatorio per tutte le aziende, erga omnes.


Un punto, quest’ultimo, talmente centrale nel progetto da essere pienamente condiviso, appunto, anche dalle imprese non consorziate. Ma finora respinto dal ministero, che ha negato la modifica del disciplinare. Questione che ha dato adito anche a qualche polemica. Chiamata in causa, la funzionaria del Mipaaf Roberta Cafiero ha sottolineato come, a livello normativo, nonostante il favorevole precedente del Cava spagnolo, la strada non è facile: “Non perché non sia virtuosa l’idea, che condividiamo, ma perché la Denominazione di Origine è una denominazione di prodotto, mentre quella del biologico è una certificazione di metodo e metterle entrambe come condizioni obbligatorie non è normativamente semplice”, ha detto. Nell’attesa, c’è stallo. Ma proprio a rimarcare la determinazione dei produttori a proseguire su questo indirizzo è stato presentato il logo della nuova associazione “Produttori VigneBio Valdarno”, che riunisce tutti i vignaioli già in regime bio: “Uno strumento di ulteriore rafforzamento per il nostro messaggio – ha affermato Sanjust – che siamo convinti ci aiuterà ad inserire il biologico in disciplinare, come desiderato e richiesto da tutti”.


Non secondario però, tra i messaggi lanciati dal Consorzio, nemmenoquello di non introdurre in etichetta sottozone tipo MGA o UGA, ma la sola indicazione “Vigna” con riferimento alle migliori vigne aziendali selezionate in base a clima, esposizione e qualità delle uve. “Il consumatore sta cambiando ed è diverso ad esempio in Usa e Asia, ma la voglia di conoscere da quale vigna viene una certa bottiglia, soprattutto per i più evoluti e che cercano vini di alto valore, sta diventando sempre più importante”, ha affermato Jeffrey Porter, responsabile per l’Italia di “Wine Enthusiast”.

Luca Sanjust - Presidente della DOC

Sia chiaro: non tutte le argomentazioni espresse al Borro mi sono parse sempre condivisibili, ma sono suonate senza dubbio coerenti con una strategia organica e ben concepita. Orientata esplicitamente anche sul versante ampelografico, considerata l’asserzione, certo non casuale, che proprio il Valdarno di Sopra sarebbe la zona di eccellenza, una sorta di sezione aurea per la produzione del vitigno toscano per eccellenza, il Sangiovese.


Solo il tempo potrà dire se tanta determinazione sarà sufficiente a portare l’immagine del Consorzio al livello considerato, ma l’unità di intenti non è da sottovalutare. Nelle more, parlano i vini. E la domanda sorge spontanea: sono loro che esprimono il territorio o è il territorio che esprime loro? Un quesito che gli assaggi delle etichette dei sedici produttori presenti in degustazione rende particolarmente vibrante.

De Zhuang e la scoperta dell'hotpot migliore di Roma


Frequentando spesso Quartino ed Astemio Wine & Food, due wine bar di Roma situati nel quartiere multietnico dell'Esquilino, Marco Wu, proprietario dei dei due locali e neo ambasciatore di Beviamoci Sud Roma, mi ha sempre spinto ad andare a trovare due suoi cari amici che da qualche tempo avevano aperto un fantastico hotpot a due passi da Piazza Vittorio. Alla sue perseveranza ho sempre bleffato facendo finta di sapere cosa sia un hotpot e la mia faccia tosta è andata avanti finchè, finalmente, non sono passato per la prima volta a visitare De Zhuang dove Giorgia Chen, figlia di ristoratori cinesi ma è cresciuta in Italia, è la grande padrona di casa.

Appena entrato la prima domanda che ho fatto alla giovane ristoratrice è stata proprio quella che tutti voi lettori vi aspettavate: "Giorgia, ma che cosa è l'hotpot?"

L’hotpot è una pentola di brodo bollente posta al centro del tavolo. Nasce come cucina povera dei marinai che nei porti trovavano ristoro con un buon piatto caldo, anche se questo significava riutilizzare gli scarti. Un concetto che oggi più che mai rientra nel tanto in voga ma soprattutto etico “no waste”. I pro dell’hotpot però a quanto pare si riversano anche nelle sue funzioni benefiche che, tramite i suoi brodi bollenti e talvolta piccanti, liberano il corpo dell’umidità trattenuta, soprattutto nelle stagioni calde.



Essenziale è però la pentola ed infatti nella piccola Cina di Via di San Vito a Roma è quella che va scelta per prima: con 1 o 2 gusti (piccante e/o dolce) o con 9 griglie che, realizzata nei tempi antichi, preservava in cottura la netta separazione dei sapori delle interiora degli animali. Si passa poi alla scelta del brodo: pomodoro e funghi porcini (ideale per un’esperienza orientale in pieno stile vegetariano), piccante e non.


Ed è questa la vera chicca dell’indirizzo romano: i 6 gradi di piccantezza fino ad un massimo di 75 gradi. Un’intensità di piccante data dall’olio del grasso animale, tutto fatto in casa, brevettato e registrato dalla casa madre come “Il grado di piccantezza del Signor Lu” - “Chi l’ha detto che il piccante si divide solo in basso, medio e alto?”.


Dopo questa spiegazione, Giorgia invita me e gli altri ospiti al tavolo perchè iniziamo a mangiare all'insegna della massima condivisione perchè cucinare e “pescare” dal piatto di qualcun altro, divertirsi, giocare con i sapori e scoprire, è il vero concept del locale.


A tavola la grande protagonista è la carne – sakura – di agnello o manzo e le interiora (coda e intestino di maiale, sanguinaccio) ma, per chi non gradisce, vi è anche una vasta proposta di pesce, verdura e pasta (spaghetti di soia, gnocchi con patate rosse cinesi) da accompagnare, se si vuole, a tante buonissime salse (satai, sesamo, ostrica, arachidi, soia, universale).


Il menù alla carta propone anche piatti già cotti (involtini, riso saltato con manzo o uova e ravioli) e dolci, a partire dalla gelatina con frutta cinese. Tante poi le bevande da accompagnare, birre e vino rosso ideali per contrastare il brodo caldo.


La sala, dagli spiccati arredi orientali e nei toni del rosso, ospita fino a 80 coperti distribuiti per 20 tavoli, tra i quali alcuni più riservati rappresentano la vera eccezione dello spirito dell’hotpot, nato invece, come già detto, per condividere.

Giorgia

Insomma da De Zhuang io mi sono davvero divertito e ho mangiato benissimo per cui il mio invito è quello di passare a trovare Giorgia il prima possibile perchè qua non c'è nulla di turistico e a Roma, credetemi, non è assolutamente scontato.

CONTATTI
Via di San Vito 15/16 Roma
TEL. 06 57297420
Aperto tutti i giorni a pranzo e a cena, tranne il martedì

InvecchiatIGP: La Scolca - Gavi Dei Gavi DOCG Riserva 'D'Antan' 2009


di Luciano Pignataro

Pregi e difetti di un paese anarcoide come il nostro: tutti a fare bollicine dalle Alpi alla Sicilia, dal Tirreno alla Ionio, con tutti i vitigni possibili e immaginabili. Siamo ben lontani dall’ordine cartesiano gallico anche se poi ritorna sempre nei nostri discorsi come esempio inimitabile, diciamo pure onirico. Intendiamoci, anche in Italia alcuni territori hanno raggiunto traguardi straordinari, ma l’aspetto più interessante per gli appassionati è anche scoprire le potenzialità che ciascun vitigno autoctono riesce poi ad esprimere con la spumantizzazione, meglio se con il metodo classico.


La Scolca percorre una strada autonoma da cento anni, dal 1919 per la precisione, molto prima che le bollicine e i vitigni autoctoni diventassero una moda o una tendenza dalla quale non si può prescindere. E diciamo la verità, se il Cortese ha raggiunto alti livelli espressivi è anche grazie alla perizia con cui Giorgio Soldati è riuscito, anno dopo anno, a dare valore a questo vitigno nel cuore di Gavi.


Parliamo della Gavi Dei Gavi DOCG Riserva 'D'Antan' 2009, provato di recente, ottenuto da uve selezionate con lieviti indigeni, lavorate in acciaio e messo in commercio in genere solo dopo dieci anni di affinamento (l’ultimo è il 2010). Colpisce in primo luogo la spettacolare complessità olfattiva che varia dalla dolcezza dei frutti esotici all’agrumato (cedro), in una piacevole cornice di note balsamiche e di leggere affumicature, ancora tostatura e zafferano, note di pasticceria. Perfetta la corrispondenza fra naso e palato dove prevalgono la sapidità (nessuna concessione alla dolcezza) e una freschezza incredibile e inaspettata che gratifica la beve e invoglia al sorso successivo. Stupendo il finale, preciso e pulito. Il vino è di buon corpo, il perlage fine e suadente, inarrestabile.


Una bellissima bottiglia che sintetizza bene l’incontro fra padronanza tecnica e le potenzialità di questi vigneti collinari, coltivati seguendo i principi della biodinamica, che rendono stupendo e ordinato il paesaggio.

Valdibella - Nero d'Avola "Respiro" DOC Sicilia 2020


di Luciano Pignataro

Libero dagli eccessi di legno, dalle surmaturazioni, da trucide estrazioni, il Nero d’Avola torna a respirare. I mezzi giustificano il fine? 


Era tempo che non bevevo questo rosso siciliano finalmente fresco con avidità senza stancarmi, la bottiglia finisce subito. Uno dei bei progetti della cooperativa che rispetta l’ambiente.

Elena Fucci e il suo Titolo alla prova del tempo


di Luciano Pignataro

Abbiamo seguito sin dalla nascita questa azienda del Vulture che ha segnato una svolta decisa nel territorio imponendo uno stile vincente, leggibile all’esterno e distensivo. In effetti, la maggior parte dei produttori di Aglianico chiede sempre un impegno mentale e uno sforzo palatale quando si approccia a questo vitigno austero che domina l’Appennino Meridionale e che ormai si affaccia sul Tirreno, sullo Ionio e sull’Adriatico con sempre maggiore insistenza.
Avete presente il senso di libertà quando si procede in controesodo, quando hai la strada vuota e di fianco ci sono lunghe file di persone che hanno deciso di fare tutti la stessa cosa allo stesso momento? Bene questa è la metafora che ben raffigura i vini di Elena Fucci.


Il padre insegnante era indeciso se vendere o meno la bella proprietà, si era in una fase di crisi nella quale non si vedevano prospettive, fu allora, siamo ai primi anni di questo millennio, che Elena decise di studiare Enologia a Pisa.  
Sin dalla 2004 il suo vino inizia a distinguersi subito dagli altri per la bevibilità, la capacità di risolvere i tannini, riuscire ad estrarre un buon frutto e regalare una piacevolezza immediatamente leggibile al vino. Una inversione di tendenza rispetto al modello imperante nel Vulture, e che sino a pochi anni prima era stato tale anche in Campania, di procedere a lunghe estrazioni, magari puntare anche su surmaturazioni, caricando oltre modo un vitigno che ha già tanto di suo.


Il Global Warming di questo ventennio ha poi favorito le aree più fredde, dove l’uva aveva difficoltà a raggiugere la piena maturazione e bisognava aspettare sino a novembre per la vendemmia esponendo il raccolto a gravi rischi.
Trentamila bottiglie da un vigneto complessivo di nove ettari a circa 500 metri su livello del mare, proprio alle falde del Vulcani che eruttò da sette bocche in maniera spaventosa circa 700mila anni fa lasciando tracce ben visibili di quel frullato geologico.

Solo da poco la produzione è stata diversificata, con un Aglianico lavorato in anfora e lo Sceg da vigne ultra settantenni salvate dall’abbandono proprio grazie a questo progetto. Sceg è una parola di derivazione albanese che indica il frutto del melograno, simbolo di fortuna e di speranza sin dall’antichità. Non dimentichiamo infatti che Barile è uno dei tre paesi (gli altri sono Ginestra e Maschito) nati con gli insediamenti degli albanesi in fuga dall’avanzata degli Ottomani. Tra gli ultimi nati, merita una citazione anche Titolo Pink.


L’occasione per tornare sulle storie di questa terra onirica e ancora tutta da scoprire è stata la degustazione organizzata al Maschio Angioino nel corso dell’ultima edizione di Vitigno Italia nel corso della quale Elena ha portato cinque annate più una.


TITOLO 2005

Procediamo dalla più antica che conferma quanto scritto sopra e, in genere, la forza dell’Aglianico che resta impassibile di fronte allo scorrere del tempo. Ancora fresco, di buon frutto croccante, lungo e piacevole nel finale

TITOLO 2006

Annata equilibrata e matura, il frutto si presenta integro, appena un po’ più maturo rispetto all’annata precedente. Il sorso è lunghissimo, la chiusura precisa e pulita.

TITOLO 2013

Facciamo un salto indietro di appena dieci anni e troviamo questo campioncino in ottima forma, pimpante, ricco di energia, con una buona acidità. Colpisce la sua grande bevibilità, Elena spiega che nel frattempo hanno leggermente cambiato il protocollo usando botti leggermente più piccole delle barrique. Sempre, comunque, in questo vino, legno e fritto sono perfettamente integrati.

TITOLO 2015

Bellissima annata che regala un vino integro, puro, leggero, equilibrato, dotato di grande verve, assolutamente al passo con i tempi. Anche in questo caso finale lungo e piacevole che invoglia a ripetere il sorso.

TITOLO 2020

Il vino prodotto durante i momenti difficili del Covid e delle chiusure, quando si viveva l’incertezza per il futuro. Anche questo, come i precedenti, coperto dai punteggi alti da parte di tutte le guide, un rating che porta Titolo sempre nella top 50 dei rossi più premiati d’Italia.

TITOLO 2017 in Magnum

Fuori degustazione, una magnum della 2017, annata sicuramente complicata e non facile da gestire, che però si presenta in ottima forma, con note di frutta fresca, rimandi basamici, buccia di arancia, appena un po’ di fumè. Al palato tannini setosi, buona acidità, chiusura lunga e piacevole.

CONCLUSIONE

Oggi Titolo è la risposta moderna agli eterni problemi dell’Aglianico: vini che vanno messi in cura dimagranti e lavorati acino su acido per cacciare vi le note verdi e amare sempre in agguato e pronte a guastare la festa. Un vino che può permettersi il lusso di costare un po’ di più per dare il giusto valore ad un lavoro interamente artigianale che oggi trova la sua celebrazione in una cantina perfettamente eco-compatibile che è diventata tappa obbligata per gli appassionati.

InvecchiatIGP: Collemattoni - Rosso di Montalcino 2013


di Carlo Macchi

Oramai il Rosso di Montalcino è un vino di cui si parla molto e su cui i produttori ilcinesi, con il consorzio in testa, stanno puntando.


L’idea è quella di un vino rosso giovane ma gagliardo, che presenti anche buone capacità di invecchiamento. Questa “versione” del Rosso di Montalcino sembra accettata da tutti ma in passato non è stato certo così. Si andava da rossi abbastanza leggeri e freschi a dei veri e propri Brunello travestiti da Rosso.
Questo Rosso di Montalcino 2013 fa sicuramente parte della seconda tendenza o forse (sto scherzando) è un Brunello che è stato etichettato come Rosso di Montalcino.


Certo è che dalla potenza olfattiva, dove ancora del buon legno deve essere completamente armonizzato e la nota balsamica e officinale è imperante ma mediata da fini note fruttate, ci si aspetta qualcosa di diverso e “di più” da un Rosso di Montalcino. Forse sarà merito anche dell’annata 2013, una delle poche fresche degli ultimi 10 anni, che mantiene in perfetta giovinezza la parte aromatica.


Al palato ritroviamo non solo freschezza ma una potenza importante con tannini adesso dolci ma presenti. Devo ammettere che in generale i vini di Collemattoni si esprimono meglio col tempo ma questo Rosso di Montalcino è ancora giovane e promette di rimanerlo per diversi anni. Se ne avete qualche bottiglia in cantina provate a stapparla tra cinque/sei anni e sono convinto che direte “Ma che bel Brunello!”