Vuoi vedere che ora, per Franco Ricci, il vino senza solfiti diventerà buono?

Non è passato molto tempo da quando Franco Ricci, nell'editoriale del n°54 di Bibenda 7, scrive testualmente queste parole:
Lo vogliamo ribadire questo desiderio di far cessare il suono di certi tromboni che sull’altare del “puro e pulito” inventano la favola di un vino migliore confondendo una bio vigna con la cantina, fingendo di non sapere che per eliminare i solfiti dal vino, i diserbanti o i concimi chimici nel terreno non ci azzeccano niente.

Di sicuro, signori, secondo natura il vino è aceto. E, se non si trovano altri sistemi, senza la mano dell’uomo in cantina, proprio non possiamo farne a meno dei solfiti. E chi utilizza i solfiti non può scrivere “vino biologico” sulla bottiglia o sul suo biglietto da visita.

Sia come sia, noi siamo per la qualità. Punto e basta. La ricerca della qualità è il nostro obiettivo e se qualcuno un giorno ci proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar. Perché sarà allora una grande scoperta, da applaudire come abitanti di questa Terra. Però, dopo l’applauso, torneremo in silenzio a occuparci di vino.
Ovviamente le polemiche generate da questo scritto sono state tante visto un certo livello di approssimazione di certe idee che, lasciatemelo dire, non possono essere condivise.


La settimana dopo Franco Ricci, al quale riferiscono perchè non frequenta, puntualizza alcune considerazioni fatte nel precedente editoriale e scrive testuale:
A proposito di vino biologico. Per rispondere ad alcuni nostri cari lettori. Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi. Se ne siete a conoscenza fatecelo sapere. Con i solfiti il biologico è un falso.
Vabbè, è fatto così, insiste giustamente nella sua tesi, è una sorta di "talebano" del vino solfitato. 

Poi, un giorno, spulciando in internet vedo Francesco Vettori che tira fuori un link che mi ha fatto sobbalzare dalla sedia.



A Roma / Wine Research Team - I vini senza solfiti e non solo 
Giovedì 16 Maggio 2013

Sono 23 le aziende che si presentano in grande stile a Roma per sottoporre al nostro assaggio i risultati del Wine Research Team. Un processo assolutamente scientifico attraverso il quale si sono volute individuare tutte quelle procedure, da attuare nel vigneto e in cantina, finalizzate ad ottenere la migliore qualità del vino.
Un progetto rivoluzionario, supportato da otto anni di ricerca, studiato dal Dott. Riccardo Cotarella, enologo di chiara fama e coordinatore del progetto, assieme al Prof. Fabio Mencarelli, tecnico dell’alimentazioneal Prof.Riccardo Valentini, climatologo, tutti e tre del Dipartimento per l’innovazione dei sistemi biologici, agroalimentari e forestali dell’Università della Tuscia, e insieme al Dott. Cesare Catelli, biologo.
La sintesi dello spirito che accomuna le 23 aziende che seguono il processo del Wine Research Team è riportata su tutte le retroetichette dei vini prodotti seguendo tale processo:
“La vite ed il vino accompagnano l’uomo nel suo cammino di Civiltà. La passione e la ricerca scientifica contribuiscono a superare limiti a volte impensabili”.
A voi l’onere di valutare i risultati della ricerca attraverso l’assaggio dei vini senza solfiti aggiunti delle 23 aziende presenti (segnalandovi che nel frattempo altrettante aziende, sempre seguite dall’enologo Riccardo Cotarella, hanno iniziato a produrre vino secondo il processo del WRT):
Allegrini - Castello di Cigognola - Carvinea - Còlpetrone - Coppo - Di Majo Norante - Falesco - Fattoria del Cerro - Fattorie Greco - La Guardiense - La Madeleine - La Murola - Leone De Castris - San Patrignano - San Salvatore - Tenuta dell'Arbiola - Tenuta di Frassineto - Tenuta San Polo - Terre Cortesi Moncaro - Terre de la Custodia - Trequanda - Villa Matilde - Villa Medoro

Leggo, rileggo, mi alzo, faccio un giro, mi risiedo, penso che ho perso la capacità di lettura perchè ciò che vedo è incomprensibile. E' come se mi dicessero che Berlusconi, di notte, va a letto con il pigiama di Che Guevara mentre Rosy Bindi fa la cubista all'Alien di Roma.

23 aziende...Cotarella......ricerca scientifica.....VINI SENZA SOLFITI.....

Ma, Franco, non avevi detto, scritto, non ci avevi sfracassato le xxx sul fatto che questi vini non ti piacevano, che erano di scarsa qualità, poco longevi.....Franco, sei sicuro? Puoi, caro Franco, provare a farmi capire perché denigrare su Bibenda7, nel tuo editoriale, i vini senza solfiti e poi ospitare una degustazione all’AIS Roma che te stesso organizzi? Perché praticare bene e razzolare male? 
Un tarlo, però, comincia ad entrarmi nella mente, una ambiguità talmente oscena che, se confermata, sarebbe un colpo al cuore per noi romantici.

Il cattivo pensiero riguarda queste frasi:"La ricerca della qualità è il nostro obiettivo e se qualcuno un giorno ci proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar" e "Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi".

Vuoi vedere che il 16 Maggio cambi idea? In tal caso voglio le tue DIMISSIONI


Il Barolo di Giuseppe Rinaldi a confronto: Brunate Le Coste Vs Cannubi San Lorenzo Ravera

Giuseppe Rinaldi, per chi "mastica" di vino, non ha bisogno di presentazioni. E' una delle anime del Barolo e il suo vino, mai vicino alle mode,  è sempre buono, schietto, comunicativo.
Uno dei grandi pregi di questo uomo, che ancora non conosco personalmente, è quello di dar luce, nel suo nebbiolo,  ai vari caratteri e alle anime delle SUE Langhe divise in quattro territori di eccezione: Cannubi (frazione San Lorenzo), Brunate, Le Coste e Ravera.
Il suo Barolo, come vuole la tradizione, non è espressione di un singolo Cru ma, mi si perdoni il gioco di parole, è l'esaltazione della combinazione del nebbiolo di più zone la cui genesi fa riferimento a due semplici parole: prudenza contadina. Le carenze di una specifica zona, a seconda delle diverse annate, possono essere infatti colmate dalle "abbondanze qualitative" di un'altra, magari esposta diversamente, per cui il conseguente mix sarà sempre sinonimo di equilibrio ed armonia.
Un esempio per tutti? Il Barolo "Brunate-Le Coste", che mette assieme sapientemente l'anima calda della zona di Brunate con la verve fresca e guizzante del vigneto Le Coste che dona al vino una nota fruttata più croccante e viva.

Assieme ad un manipolo di amici abbiamo organizzato una doppia verticale di Barolo Rinaldi, stesse annate (1997,1998,1999,2000), con lo scopo di esaminare, se ci sono, le differenze tra le etichette "Cannubi S. Lorenzo-Ravera" e "Brunate-Le Coste".


La batteria del Cannubi S.Lorenzo-Ravera

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1997: proveniente da terreni sciolti ricchi di sabbia e marne bianche, al naso esprime grande complessità e terziarizzazione, forse un pò troppa per essere un '97 che, probabilmente, ha sofferto l'annata calda e avrà per questo un'aspettativa di vita minore. Al naso esprime sentori di scatola di sigari, orzo tostato, foglie secche. Bocca che tradisce un'evoluzione precoce e chiude un pò corto. Un nobile, fine, ma decaduto.

Barolo Brunate-Le Coste 1997rimane più chiuso del precedente, sia al naso che al palato è un Barolo più arcigno e mascolino che il tempo ha solo parzialmente scalfito. Anche il tannino, praticamente diluito nel precedente Barolo, è più graffiante e tutta la struttura sembra sorreggersi meglio grazie anche ad una maggiore vena acida. Un nebbiolo di corpo che rispetta il clima e il terreno prettamente argilloso da cui è nato.


Il Cannubi S.Lorenzo-Ravera 1997
Il Brunate-Le Coste 1997. Differenza di colore eh!

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1998: l'annata calda, forse ancora di più della '97, sembra aver scalfito di meno questo vino che si presenta succoso di arancia  amara, cola, genziana, menta. Bocca di grande personalità, finezza, ampiezza e progressione. Ricco e fine al punto giusto.

Barolo Brunate-Le Coste 1998: meno viscerale del precedente, mantiene grande compattezza con un naso di grande ampiezza dove le sensazioni gessose e balsamiche sembrano rincorrersi per tutto il tempo della degustazione. Ad alternarsi, gaudenti, spiccano gli aromi di prugna e fiori rossi. Al palato è cesellato, rigoroso, deciso, prepotente nella progressione. E' ancora giovane e potrà solo crescere ed emozionarci.

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1999: TAPPONE....AHHHHH

Barolo Brunate-Le Coste 1999: l'annata è di quelle generose anche se, a differenza della '98, abbiamo maggiore freschezza nei vini delle Langhe. Non fa eccezione questo nebbiolo che, rispetto al precedente, sembra avere, nei primi minuti, una maggiore dinamicità grazie a freschi sentori di arancia sanguinella e viola. Anche la bocca gode di una maggiore spina acida e di spinta. Questo, purtroppo, nei primi minuti. Col tempo, infatti, il vino sembra quasi suicidarsi virando su note terrene di fungo porcino che rimangono insolenti nel bicchiere spezzando il brio iniziale. Un incompiuto.


La batteria del Brunate-Le Coste

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 2000: leggendo il sito del Consorzio si nota come questa annata, giudicata importante, caratterizzi un nebbiolo di grande struttura e ricchezza fenolica. Questo, probabilmente, spiega perchè questo S.Lorenzo-Ravera, normalmente giocato sulla finezza, esca fuori dai soliti canoni per diventare carnoso, polposo, umorale. Non so perchè ma il gioco gli riesce fino ad un certo punto, è un pò come i nostri politici che promettono e non mantengono in quanto non è nel loro DNA farlo. Resta, comunque, un Barolo di grande beva che oggi, penso, ha raggiunto il suo massimo.

Barolo Brunate-Le Coste 2000: inizialmente indecifrabile, sembra un codice crittografico di non facile soluzione. E' polveroso, al naso ed in bocca, autunnale nel suo respiro. Lo lascio da una parte, faccio l'offeso come un amante deluso. Col passare del tempo odo i miei vicini di banco parlarne bene. Sono entusiasti. Non è possibile. Lo annuso. Lo bevo. Non è più lui o, meglio, è il suo migliore alter ego che secondo dopo secondo, lettera per lettera, ha risolto il suo linguaggio cifrato per svelarsi fulgido, agrumato, solare, passionale. E' la bellezza del grande nebbiolo, baby!



Tirando le somme possiamo tranquillamente affermare che il Barolo di Giuseppe Rinaldi ha davvero due anime, quella fine, elegante e sussurrata del Cannubi S. Lorenzo-Ravera e quella decisa e "maschia" del Brunate-Le Coste forse il Barolo a cui Rinaldi tiene di più visto che è l'unica etichetta ad essere imbottigliata anche in magnum. Rimane, in tutto questo, un unico, grande, comune denominatore: un grande uomo di Langa chiamato Giuseppe Rinaldi.


Giuseppe Rinaldi e sua figlia Marta. Fonte: www.vinhulen.dk


Franco Ricci e il vino biologico: ma se prima di parlarne uno si informa?

E sì, Franco Ricci su Bibenda7 scrive: "A proposito di vino biologico. Per rispondere ad alcuni nostri cari lettori. Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi. Se ne siete a conoscenza fatecelo sapere. Con i solfiti il biologico è un falso"


Primo errore: non c'è vino senza solfiti, magari c'è quello senza solfiti aggiunti ma la fermentazione, se non erro, crea naturalmente la sostanza che è presente nel vino.


Secondo errore: cazzarola se ci sono vini buoni senza solfiti. Esempio: l'Esperienze di Gaspare Buscemi!

A corredo di tutto ciò copio ed incollo un intervento di Elisabetta Angiuli, bravissima enologa, che fa chiarezza sul tema: "Per mera curiosità, non solo è ammessa la solforosa nei vini bio, ma anche in quantitativi notevoli. Vini rossi:100 mg/l sotto i 2gr zucchero, 120 tra 2 e 5gr zucchero, 170 mg sopra i 5 gr zucchero residuo. Bianchi e rosati: 150 mg/l sotto i 2 gr/l zucchero, 170 mg tra 2 e 5 gr /l zucchero e ben 220 mg/l sopra i 5 gr di zucchero residuo!!! Il famoso regolamento bio è una mezza bufala frutto di contrattazione e sui limiti di solforosa l'hanno spuntata i fratelli d'oltralpe che ne hanno più bisogno! Mi permetto di aggiungere un'ultima cosa: gli stessi lieviti, maggiormente i selvaggi, producono solforosa, tanto è vero che anche lì dove effettivamente non venga aggiunta, quindi nei vini naturali, è possibile dichiararne l'assenza in etichetta solo se inferiore ai 10 mg/l.


Dimenticavo.... si potrebbe definire irrisoria la decurtazione dei contunuti di solforosa dei vini bio rispetto a quelli convenzionali, basta andare a guardare questi ultimi per rendersene conto. Un dato d'esempio: bianchi convenzionali sotto i 5 gr/l zucchero 200 mg/l ...170 in bio! Il vero spartiacque è sempre la bontà del vino e la cura del produttore, questo sì, può fare la differenza nei contenuti di solforosa a vantaggio della qualità del vino e della salute dei consumatori perchè, oggettivamente la solforosa non è benefica!!! Un'ultima chicca... signori miei la solforosa è praticamente in tutti gli alimenti conservati...prego guardare etichette".


Fonte: Winenews,it

Winesurf & Enoclub Siena in festa a Firenze questo sabato


Il Vino Mariani, la cocaina e la Coca Cola

Angelo Mariani, chi era costui?

Fino a poco tempo fa questo farmacista francese era ignoto anche a me ma, a volte, lo spam che ricevo in posta elettronica può aprirti strani mondi ancora sconosciuti.
Sta di fatto che aprendo una mail trovo la pubblicità di una società peruviana che mi offre, scontato, questo vino "stupefacente"...


E' chiaro, penso, che dopo il vino alla cannabis non poteva mancare questo alla....coca!

Voglio saperne di più, capire come sia possibile che venga commercializzato con tanta tranquillità e, gira che ti rigiro, arrivo a questo faccione che spunta dal link di wikipedia:


Signore e signori, ecco a voi il Dott. Angelo Mariani, chimico e farmacista francese che, a metà degli XIX sec. era diventato un mito in tutta Europa per l'invenzione di una bevanda rivoluzionaria, per certi versi tonica.

Di cosa si tratta? Ma del Vin Tonique Mariani ovvero di un vino rosso a base di Bordeaux nel quale venivano messe a macerare foglia di cocaina. In particolare si preparava macerando 60 gr. delle “migliori foglie di coca” per 10 ore in un litro di “fine Bordeaux”, poteva contenere da 150 a 300 mg/litro di cocaina, cosicché un bicchiere non ne poteva contenere più di 25-50 mg. 

L'inventore si era ispirato per la sua creazione ad un importante medicoantropologo e scienziato dell'epoca, il dottor Paolo Mantegazza di Monza, che nel 1859 aveva pubblicato un saggio “Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale”. Lo scienziato lombardo, nel corso d'una sua lunga permanenza in Perù, aveva infatti osservato (e sperimentato personalmente) l'ampio uso che gli indigeni facevano delle foglie di coca, «la magica pianta degli Incas», descrivendo in termini più che positivi gli effetti provocati dalla sostanza. In quello stesso periodo, in effetti, non pochi medici e scienziati proponevano di utilizzare la coca per fini terapeutici, soprattutto per la cura delle malattie mentali.

Il Vino Mariani ebbe talmente successo che divento in breve tempo la bevanda più importante d'Europa e, tra i clienti del farmacista, si annoverano personalità importanti come re, regine, zar e tantissime celebrità dell'epoca come Thomas A. Edison ed Émile Zola che così scriveva: « J'ai à vous adresser mille remerciements, cher Monsieur Mariani, pour ce vin de jeunesse qui fait de la vie, conserve la force à ceux qui la dépensent et la rend à ceux qui ne l'ont plus» (Vi mando mille ringraziamenti, caro signor Mariani, per questo vino di giovinezza che procura la vita, conserva la forza a coloro che la dispensano e la restituisce a quelli che non l'hanno più).
Addirittura il Papa del tempo, Leone XIII fu talmente entusiasta del vino, all'epoca visto come medicinale vero e proprio, che insignì Mariani della medaglia speciale accettando di comparire come testimonial in alcuni manifesti!!!


Il successo fu tale che, oltre alla sede di Parigi, Mariani aprì succursali a Londra e New York e, come spesso accade, fu anche imitato dai suoi concorrenti che, comunque, non riuscirono a spodestarlo dal trono a causa di un'altra trovata di marketing geniale. Il farmacista francese, infatti, cominciò a pubblicare le lettere di ringraziamento dei suoi clienti famosi all'interno dei c.d. "Album Mariani" che, supportati da cartoline e supplementi, in circa 20 anni furono stampati in oltre 65 milioni di copie. 
Non solo! Il 29 giugno 1892 fu rappresentata a Parigi per la prima ed ultima volta una pantomima intitolata La Fleur de Coca. Qui è riprodotta la brossura edita da Mariani a scopo pubblicitario  presso la tipografia del suo amico Silvestre. Genio!!


Personaggi: Colombina e Pierrot
Pierrot è così ispirato che si attacca direttamente alla bottiglia di Vin Mariani

Tutte le storie di successo, purtroppo, hanno anche una fine. In Italia, ad esempio, il Vino Mariani venne  vietato agli inizi del Novecento, in Francia, dove si trovava la sede principale, la ricetta originale fu autorizzata fino al 1910. Gli eredi di Mariani lo eliminarono infine negli anni 1930, creando una nuova bevanda chiamata “Mariani Tonico”, che restò in vendita nelle farmacie fino al 1963. 

La leggenda narra, inoltre, che il Vino Mariani fu anche la bevanda alla quale si ispirò il medico e farmacista John Stith Pemberton quando nel 1886 ad Atlanta creò la mitica Coca Cola che, fino al 1906 conteneva ufficialmente cocaina le cui tracce, infinitesimali, si troveranno fino al 1929.

Oggi, ovviamente, il vino alla coca è teoricamente fuori legge anche se sul web è possibile acquistarlo da fantomatiche aziende come la Vin Mariani Winery o come la peruviana Andante che, grazie al suo spam indicato ad all'inizio, ha ispirato questo post.

Ah, c'è anche un forum a sostegno di una campagna per la liberalizzazione del Vino Mariani. Peccato che non abbia lo stesso successo della famosa bevanda tonica.... 



L'omaggio grafico di Luc-Olivier Merson (1846-1920)

Il Bordeaux 2010 di Robert Parker

Robert Parker, sempre lui, molti lo davano finito dopo la cessione della maggioranza delle quote di "The Wine Advocate" ad importanti investitori asiatici ed invece......ZAC.....è ancora in pista e con i punteggi attribuiti ai Bordeaux 2010 cerca di smuovere un pò il mercato globale del fine wine attraverso alcuni colpi di scena. 

Ecco a voi i 12 vini con il maggior punteggio!

Ausone 98-100
Beausejour Duffau Lagarosse 96-100
Haut Brion 98-100
L’Eglise Clinet 96-100
Lafite (98-100)
Latour (98-100)
Mouton Rothschild (97-100)
Petrus (98-100)
Pontet Canet (96-100)


Come è possibile notare Parker ha salutato il millesimo 2010 come una grande annata per cui, purtroppo, i prezzi resteranno elevati ancora per lungo tempo. 
Ciò che risalta all'occhio è l'attribuzione del massimo punteggio non solo agli Chateau più blasonati ma, anche e soprattutto, ad alcune aziende "nuove" per certe vette come Beausejour Duffau Lagarosse o l’Eglise Clinet che vedranno lievitare i prezzi del loro vino. 
Un esempio? Beausejour Duffau Lagarosse, che fino al 2008 vendeva il suo Bordeaux a circa 40 euro a bottiglia, ha visto impennare i prezzi del suo vino che grazie a Parker ha decuplicato il suo valore!!!

Poi dite che Robertone non è una potenza! Daje, voglio speculare pure io!!!


Vini da Vignaioli a Roma: piccoli appunti di degustazione

Da qualche mese la Città dell'Altra Economia - CAE- di Roma è rinata e, con essa, stanno ritornando tanti eventi interessanti che vedono la Natura al centro dell'attenzione.
Vini di Vignaioli a Roma, costola della celebratissima manifestazione di Fornovo, è un esempio di come nella mia città c'è una crescente voglia di bere sano riportando i vignaioli veri al centro dell'attenzione, il tutto lontano da fighettismi vari e dai palchi blasonati dell'AIS Roma che ultimamente, purtroppo, sta lasciando spazio a cantine dove il valore del marketing è superiore a quello della Terra.
Presso la CAE, invece, le cose cambiano: c'è più umanità, i discorsi che sento fanno riferimento a pratiche agricole gestite da vignaioli che con grande disponibilità accolgono al loro banchetto un pubblico eterogeneo senza fare distinzioni tra operatore del settore ed appassionato. Tutti sono importanti, tutti sono unici a Vini di Vignaioli.
Cercando di mettere ordine negli appunti di degustazione, mi è sembrato troppo scontato parlare ancora una volta di realtà che spesso ho elogiato in altri post come 'A Vita, La Stoppa (a breve posto resoconto sulla verticale di Ageno e Macchiona tenutasi a Roma), Cantina Giardino, La BusattinaGrifalco della LucaniaCascina I Carpini Gaspare Buscemi
No, stavolta voglio scrivere di vini ancora inesplorati e di realtà che, per loro timidezza e nostra pigrizia, meriterebbero ben altri spazi su web e carta stampata.


Gaspare Buscemi
Il primo esempio è rappresentato l'Azienda Agricola Santa Caterina, piccola realtà ligure a due passi da Sarzana che mi ha piacevolmente emozionato col suo Colli di Luni Vermentino 2011, un vino dall'apparenza semplice che, invece, ingloba ed incarna tutto il territorio da cui nasce. Si caratterizza per una grande sapidità e mineralità e, cosa più importante, va giù che è un piacere nonostante mi sia stato servito a temperature africane. Il Poggi Alti, il Cru del loro vermentino, pur essendo deciso e complesso grazie ad una maggiore macerazione sulle bucce, non raggiunge per me quelle vette di bevibilità e accompagnamento a tavola del suo fratello minore.



Ci spostiamo verso sud ed arriviamo in Campania dove Luigi Sarno di Cantina del Barone mi propone il Fiano di Avellino "Particella 928" 2011, Cru aziendale il cui nome si ispira chiaramente all'accatastamento del vigneto che, reimpiantato di recente, vanta oggi una bellissima esposizione nord-sud. Il vino degustato è di rara bellezza, ha un profilo fumè, tostato, alleggerito da sentori di fiori gialli e fieno. Bocca ampia, definita, materica, lunga. 



Accanto a Luigi c'è il suo amico e collega Angelo Muto di Cantine dell'Angelo, piccola realtà di Tufo che, pensate un pò, dopo anni mi ha fatto fare pace col Greco. Le vigne di Angelo sono piantate sopra una parte delle antiche miniere di zolfo della zona e il suo vino non è che l'espressione di quella realtà operaia fatta di durezze e respiri minerali. 



Anche per i vini rossi tre segnalazioni!

La prima porta in Abruzzo, terra di Montepulciano che l'azienda agricola De Fermo vinifica in maniera magistrale all'interno del suo unico vino rosso che porta il nome di Prologo 2010. Sapido, vigoroso ma non rustico, mi ha incantato perchè bevendolo senti in bocca ancora il sapore dell'uva. E' un vino frutto che poco ha a che fare con quanto previsto da Maroni. Ah, l'azienda è di Loreto Aprutino e Stefano Papetti è un caro amico di un certo Valentini...



Cantina Margò, invece, è una bella realtà umbra gestita da Carlo Tabarrini, classe '76, che a due passi da Perugia ha deciso di vinificare una bestiaccia di vitigno come il sangiovese. Il risultato? Il Margò Rosso 2010 mi ha colpito veramente!! Mi aspettavo, infatti, qualcosa di poco aggraziato lontano mille miglia dal sangiovese di razza ed invece, sorpresa delle sorprese, il Margò Rosso è risultato leggiadro, fresco e di grandissima bevibilità. Decisamente schietto e verticale ha un solo problema: la bottiglia finisce subito...



Della Cooperativa Voltumna, giovane realtà biodinamica dell'appennino toscano, in Rete c'è poco e nulla. Girando per la fiera li ho trovati da una parte, a lato dell'entrata. Avevano tre vini con loro. Il primo me lo hanno offerto alla cieca. Colore rosso rubino scarico, naso di fruttini e fiori rossi, tocco balsamico. Bocca piacevole, fresca, misurata, tannino elegante. "Cavolo, cos'è?" chiedo subito. "E' il nostro pinot nero, è la prima annata!", mi risponde Marzio con aria fiera. 
Dopo il Gattaia di Michele Lorenzetti, che è anche il loro enologo, un'altra espressione appenninica di pinot nero che si impone prepotentemente nel panorama enologico italiano dove l'Alto Adige, fortunatamente, non è più solo.



Prima di concludere un piccolo gioco: se mi indovinate cos'è questo disegno avrete in premio un bacio da Davide Tanganelli o Pasquale Pace. Loro sono fuori gioco perchè già sanno...




Vino naturale e vino biologico. La FederBio tira l'acqua al suo mulino?


Il vino biologico è sottoposto a una normativa di riferimento e viene certificato da organismi di controllo espressamente autorizzati dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Quali sono i criteri oggettivi e le caratteristiche produttive e di qualità per definire un vino come “naturale”, “libero”?
“La differenza sostanziale tra “vino naturale” e “vino biologico” sta nel fatto che il “vino biologico” è codificato secondo una normativa di riferimento, il vino naturale no. Cosa significa vino naturale? Al momento “vino naturale” è un semplice claim, che non identifica le caratteristiche produttive e la qualità del prodotto. Attenzione, quindi, perché ciascuno può avere il proprio concetto di “naturale”, che differisce da quello di altri. E’ come doversi basare sulla dichiarazione di ciascuna cantina, è come chiedere all’oste se ha il vino buono. Nel biologico, invece, tale dichiarazione è confermata dalla certificazione di un organismo di controllo terzo, espressamente autorizzato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che ispeziona vigneto e cantina, anche prelevando campioni da sottoporre ad analisi”. Interviene Paolo Carnemolla, presidente di FederBio per fare in modo che la polemica attuale non crei confusione soprattutto nel consumatore.

E per tutelare il consumatore è bene ricordare che è certo un bene la scelta di non utilizzare diserbanti e fertilizzanti chimici di sintesi, ma sarebbe necessario non tacere che nel “vino libero” – si ricorre a insetticidi e anticrittogamici, la cui entità, per frequenza di trattamenti, impatto ambientale e residui sul vino è di gran lunga più significativa di diserbanti e fertilizzanti.L’agricoltura biologica non usa OGM, non usa fertilizzanti e diserbanti chimici di sintesi e nemmeno gli insetticidi e gli anticrittogamici. E’ dettagliatamente codificata da norme europee e nazionali, sottoposta a un sistema di controllo europeo, con regolari ispezioni nelle aziende e prelievo di campioni per escludere contaminazioni anche accidentali da sostanze non ammesse.
Oltre alle regole citate ricordiamo che l’agricoltura biologica prevede la rotazione delle colture e la piantumazione di siepi, la salvaguardia di boschetti e stagni per dare ospitalità alla fauna utile che naturalmente contrasta quella nociva. Ma non solo: è un’agricoltura che ha massima cura del benessere degli animali, la cui alimentazione si basa sul pascolo e su foraggi biologici senza l’uso preventivo di farmaci e antibiotici; che nelle fasi di trasformazione ripudia coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità e ogni altro inutile additivo, insieme alle tecniche che snaturano la qualità degli ingredienti.
E i solfiti? Il progetto di ricerca OrWine (2006 – 2009), finanziato dalla Commissione europea, ha rilevato – già prima dell’entrata in vigore del regolamento sul vino bio – che quasi il 20% delle cantine biologiche europee conteneva i solfiti sotto i 30 mg/l, un altro 30% stava sotto i 60 mg/l, altrettanti non superavano i 90 mg/l. In Italia, poi, il 98% delle cantine non superava i 90 mg/l e il 77% lavorava sotto i 60 mg/l. Da alcuni anni molte cantine italiane produttrici di vini bio lavorano in assenza di solfiti, con risultati qualitativi interessanti e riscontri commerciali significativi. Questo a dimostrazione della capacità imprenditoriale del comparto del biologico, che grazie alle elevate competenze tecniche dei suoi operatori, alla riconosciuta tutela dell’ambiente, alla particolare attenzione al benessere dell’uomo e a una esperienza di decenni è apprezzato e riconosciuto dai consumatori.


Fonte: FederBio

Wine Blogger...quando vi pare...

Non farò nomi e cognomi perchè, più che fare facile polemica, vorrei capire se sono io strano/permaloso oppure se davvero c'è qualcosa che non quadra nella vicenda.

Di che si tratta? Dell'annosa diatriba tra blogger e giornalisti istituzionali e, in particolare, su come il mondo del vino, o parte di esso, qualifica le due "categorie".


Tutto nasce da una semplice mail che invio ad una manifestazione enologica che si terrà a Roma dove, con garbo, chiedo se sono previsti accrediti per il mio wine blog. Chiedo, non pretendo, ci mancherebbe altro.

La risposta, che tra l'altro è pervenuta anche da una persona che conosco bene (ma sarà lui davvero che hai risposto?), mi arriva abbastanza rapidamente e, sintetizzando, mi si dice che per i blog non sono previsti accrediti. Gli accrediti stampa sono previsti solo per un certo giorno e solo per le TESTATE GIORNALISTICHE.
Giustamente, mi viene fatto notare, il prezzo di ingresso di 10,00 è abbastanza popolare da permettere a chiunque di partecipare.

Per l'amor di Dio, ci mancherebbe altro, no problem per me che parteciperò con immutato entusiasmo alla manifestazione.

Subito dopo aver pensato queste parole, il miei occhi scorrono ancora la mail e, stupito, leggo il seguente post scriptum: "Vi saremmo grati se il vostro blog segnalasse la manifestazione".

MMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Cioè? Non mi riconosci assolutamente titolo di comunicatore del vino, perchè quello ce l'hanno  solo i giornalisti col tesserino, ma dovrei usare il mio blog per farti pubblicità?

Di istinto avrei voluto rispondere che la pubblicità all'evento, a questo punto, la dovrebbero pretendere dalle varie, e per loro importanti, testate giornalistiche. Poi, pensandoci bene, ho rinunciato all'intento, ci mancherebbe pure che passo per quello che si impunta per un accredito negato....

La sostanza, comunque, rimane: ci sono persone competenti, che organizzano interessanti manifestazioni sul vino, le quali non capiscono ancora l'importanza del web o, peggio, che fanno finta di non saperlo. In questo il Vinitaly è maestro. Diciamolo!


In tutto questo, della manifestazione e dei suoi vini scriverò lo stesso con piacere vigilando su quanti articoli giornalistici usciranno in proposito. Vediamo il web è così scroccone e scarsamente significativo come pensano...

P.s: la pubblicità non te la faccio!

Vini dal mondo: il Vietnam e il suo Ruou Ran

Bisogna allargare i nostri orizzonti enologici, non si possono sempre bere sempre i soliti vini francesi ed italiani. 
Dobbiamo guardare oltre, le nostre papille gustative sono stufe di esaminare sempre sangiovese o chardonnay.
Io, da oggi, voglio, pretendo, di bere diversamente, magari organizzando una bella verticale di Ruou Ran, il famoso vino di riso del Vietnam al serpente....


Farlo sembrerebbe molto semplice: prendi un serpente VIVO e VELENOSO, mettilo in bottiglia e ricopri tutto con vino di riso. Il veleno del serpente, dicono, non sarà un problema perchè le proteine di cui è composto saranno dissolte dall'etanolo. 
Il particolare colore del vino è dato dal sangue e dal veleno dell'animale che si discioglie col passare del tempo...


A questa tradizionale bevanda esistono due alternative: la prima consiste nell'inserire nella bottiglia anche un simpatico scorpione, mentre la seconda prevede la c.d. preparazione del vino di sangue di serpente. Quest'ultimo, dicono, è preparato sventrando un serpente e versando il sangue fresco direttamente nel vino di riso e bevendo il tutto rapidamente. Un pò come l'ovetto fresco che ci faceva mamma....


Se per un regalo ad un amico volete ordinare questa....prelibatezze, non esitate ad andare su questo sito che spedisce la merce in tutto il mondo. Un esempio: due grandi bottiglie di vino di serpente a soli 199 euro più spese di spedizione. 

La metà di un Masseto, che volete di più??!!!

Il vino del Lazio tra passato, presente e futuro. Seconda parte

Se vi siete persi la prima parte cliccate qua!

Non ci spostiamo di molto, sia temporalmente che geograficamente dal Torre Ercolana, quando davanti a tutti gli invitati viene versato un altro vino storico del territorio, il Cesanese del Piglio di Manfredi Berucci (Azienda Vitivinicola Emme) che durante l’incontro viene declinato in tre millesimi: 1987, 2001 e 2010. Il primo vino è un vero e proprio gesto di amore della famiglia Berucci nei confronti del cesanese, un vitigno e un vino che all’epoca era ampiamente sottovalutato e che solo pochi pionieri potevano guardare con ottimismo. Nel mio bicchiere ho un cesanese che, nonostante tutti i limiti tecnologici e strutturali che si porta dietro, è dotato di ottima materia e progressione. Con l’annata 2010, tralasciando il millesimo 2001 che attualmente pare interlocutorio, la famiglia Berucci sembra cambiare strada offrendo un cesanese molto pronto, fresco e beverino con evidenti note di frutta dolce in evidenza. Sarà cambiato lo stile ma la stoffa è sempre quella.


 

La carrellata sulla zona del Cesanese del Piglio termina con l’azienda Coletti Conti che propone in degustazione due millesimi del Romanico, l’annata 2007 e la 2010. La prima, oggi, sembra avere una marcia in più perché il vino è dotato di grande complessità e profondità con chiare e nitide note di marasca scura, china, noce di cola, liquirizia ed incenso. Al sorso offre grande personalità e poderosità, due marchi di fabbrica che ritrovo anche nel giovanissimo Romanico 2010 che, sicuramente, ha più materia del fratello maggiore anche se, come un puzzle in movimento, attendo che tutti gli elementi strutturali si incastrino per bene al fine di poterlo apprezzare al 100%.

I due Romanico

E’ ora dell’azienda Falesco che in degustazione ha offerto l’annata 2001 2009 del suo Montiano. I due vini, pur rispettando le differenze dell’annata, sono risultati come mi aspettavo: puliti, stilisticamente perfetti e con un equilibrio da giocoliere ma, e lo sottolineo, non mi hanno emozionato come il Torre Ercolana, il Cabernet di Atina o il Cesanese di Berucci che reputo vini fatti più con la pancia che con la testa.

Ci spostiamo nei pressi di Latina dove Antonio Santarelliproprietario di Casale del Giglio, ci ha presentato due annate del Mater Matuta, la 2006 e la 2009. Purtroppo la poca differenza di età tra i due non ci ha permesso di giudicare completamente l’evoluzione di questo vino che, per certi versi, ricalca sensorialmente le caratteristiche del Montiano, ovvero di un vino fatto per piacere e per piacersi. Il Mater Matura rimane comunque un vino mito per il territorio con il quale molti di noi sono cresciuti. Santarelli ci ha promesso per la prossima volta qualche annata storica del vino. Le sorprese potrebbero essere dietro l'angolo...


Il finale, dolce, prende la forma dello Stillato, la splendida malvasia passita di Principe Pallavicini che da anni rappresenta uno dei vini di punta del Lazio. Due annate in degustazione: 2006 2011. Il primo vino ha tutta la complessità di un grande vino dolce invecchiato, sa di miele, dattero, albicocca disidratata e fiori gialli appassiti. Il sorso è splendido, di grande equilibrio e persistenza. L’annata 2011, giovanissima, gioca le sue carte sulla vena fresca del vino che rimane al palato leggero come una piuma. Attenzione: beva compulsiva e appagante.


Chiudo questo lungo post esortando Ciminelli, che ringrazio ancora per l’invito, a riproporre l’evento anche in futuro perché la voglia di scoprire certe perle della nostra Regione è sempre alta e, come la nostra passione per il vino, non passerà mai. 



Il Brunello di Montalcino 2012 è a cinque stelle ma non vota Beppe Grillo

Senza offesa per il Consorzio che, giustamente, deve salvaguardare gli interessi di tutte le aziende appartenenti ma, dal mio punto di vista, dare CINQUE STELLE all'annata 2012 è davvero grottesco.

Il millesimo, ce lo ricordiamo tutti, è stato caldo, troppo caldo, per cui non si capisce perchè se alla 2003 dai quattro stelle, alla 2012 ne dai ben cinque. Per me, ripeto, assurdo.
Ovviamente i risultati non saranno tutti uniformi, ci sarà chi avrà lavorato bene nonostante tutto e chi, magari avendo vigne a sud, avrà limitato il disastro.

Vi ricordo, intanto, le valutazioni stellate degli ultimi venti anni, è interessante per capire e paragonare i giudizi....

5 stelle
1995, 1997, 2004, 2006, 2007, 2010, 2012
4 stelle
1993, 1994, 1998, 1999, 2001, 2003, 2005, 2008, 2009, 2011
3 stelle
1996, 2000
2 stelle
1992, 2002

In questi giorni, pur non potendo andare a Montalcino, cercherò di avere delle dichiarazioni da alcuni produttori per capire se anche loro votano le Cinque Stelle. 

Oh, Beppe Grillo non c'entra nulla però!!

La piastrella Cruciani a suggello dell'annata