Chi glielo dice a Jonathan Nossiter che il Domaine de Montille non è più quello di Mondovino?

Il tempo fugge e certe convinzioni, certe promesse, magari oggi si dimenticano o, semplicemente, vengono ridimensionate.

Il Domaine de Montille, sì proprio quello che Nossiter aveva inserito nel suo bel fil Mondovino come bandiera dei piccoli vignaioli tutto vino e terroir, cambia pelle e si espande diventando, forse, ciò a cui era contrapposto nel documentario del regista americano: una grande azienda.



Secondo Wine Spectator, Etienne De Montille, co-titolare del Domaine de Montille, ha acquistato lo scorso Giugno Château de Puligny-Montrachet, dove era stato amministratore delegato dal 2002, per oltre 20 milioni dollari acquisendo quasi 50 ettari di vigneti selezionati, tra cui parcelle di Chevalier-Montrachet, Bâtard-Montrachet e di Montrachet, il castello e alcuni stock di vino.

In una recente intervista Etienne ha spiegato che: "dopo la ristrutturazione, il Domaine de Montille avrà in dote oltre 86 ettari di vigneto di cui quasi 50 ettari sono Premier e Grands Crus. Questo farà diventare il Domaine de Montille una proprietà significative nella Côte de Beaune. Insieme con Alix, mia sorella, che si prenderà cura dei vini bianchi, vogliamo modificare e ridimensionare non solo il numero di etichette che si producono, ma anche il numero di bottiglie in modo che possiamo davvero concentrarsi sulla qualità".

L'obiettivo, dichiarato da Etienne, sarà quello di tagliare il numero di etichette di circa il 20 per cento, con una produzione totale che diminuisce da 20.800 casse a meno di 16.666 casse. Ci sono, attualmente, 60 diverse etichette tra le Domaine de Montille, Chateau de Puligny-Montrachet e l'etichetta négociant Deux Montille Soeur-Frère.

Il caro Hubert de Montille, star del film cult di Nossiter, cosa penserà di tutto questo? I suoi figli hanno davvero stravolto l'anima di quello che una volta era un "piccolo" Domaine della Borgogna? Oppure, sotto sotto....

Mah, intanto guardiamoci questo video di Francesca Ciancio e riflettiamo...
 

Un vino per il cane o un cane per il vino?

Comprereste mai questi vino per soli 30$?


Io, personalmente, no! Chi non ha senso estetico difficilmente potrà fare buon vino. 
Se, però, amate in maniera smisurata i cani, soprattutto i bulldog, e pensate di fare una puntata in Napa Valley (California) col vostro fido amico, allora potreste cominciare ad amare la Frenchie Winery.
Secondo quanto scrive Wine Spectator, la struttura prende il nome dal cane dei proprietari Jean-Charles Boisset e della moglie Gina Gallo (nipote di Julio Gallo) che hanno fatto del loro bulldog una sorta di superstar con tanto di canale Youtube dove poter visionare le avventure del loro quattro zampe preferito.

Entrata

Non è finita qua. I proprietari, con chiaro spirito animalista, nel loro sito internet invitano tutti gli enoturisti a portare il loro cane presso l'azienda visto che potrà godere di trattamenti di grande rispetto come botti dotate di cuscini per i riposini e strutture per il gioco dotate di telecamere per far sì che il padrone possa sempre controllare il suo animale. Jean-Charles Boisset, poi, donerà un dollaro all'Aspca per ogni bottiglia di vino comprata. 

La enocuccia - Fonte: Corriere.it

Se poi, cane o non cane, il vostro sogno è quello di degustare il Cabernet Sauvignon Louis XIV dotato di "aromi e sapori di more e cacao, con sentori di cassis e note sottili di vaniglia. Come Versailles, questo cabernet ha grande struttura, equilibrio e una bella, lunga persistenza. Un vino che vi farà sbavare"..............allora accomodatevi in Napa Valley!!



André e Jacques Beaufort e quel senso per lo Champagne d'autore

Ormai su di loro si è veramente scritto tutto, un misto tra realtà e leggenda che vede il 1969 come anno zero per Jacques Beaufort che, ammalatosi per i prodotti di sintesi che usava suo papà André sulle sue vigne e i suoi meleti, decise di convertirsi all'agricoltura biologica.
Da allora, i suoi sei ettari e mezzo di vigneto non ricevono alcun trattamento di sintesi perchè il terreno è lavorato solo con zappatura superficiale, impianti di compostaggio vegetali prodotti da loro stessi in azienda arricchiti con polvere di ossi di macelleria e farina di sangue. Il risultato è una Terra ricca di organismi viventi.

André Beaufort - Fonte: imperatrice.com.hk

"I miei vicini di casa mi accusano di mantenere i parassiti! Io rispondo che questi hanno la funzione di distruggere i predatori e bilanciare la vita nella mia vigna!", ama ripetere con ironia Beaufort che, inoltre, per limitare l’impatto ambientale dei funghicidi tollerati in agricoltura biologica (rame e zolfo), sperimenta da diversi anni l’omeopatia e l’aromaterapia, utilizzando soluzioni di piante e oli essenziali di produzione propria.

I vigneti del domaine, 75% a pinot nero ed il resto a chardonnay, sono collocati ad Ambonnay, classificato Grand Cru, e Polisy, nella Côte des Bars, dipartimento dell’Aube, 130 km più a sud. 

Anche per quanto riguarda la vinificazione e la gestione della cantina Beaufort non ha eguali: al vino base, fermentato con lieviti indigeni parte in botte e parte in acciaio, viene lasciata fare la malolattica al fine di evitare di aggiungere troppa solforosa. Il tirage, pertanto, avviene spesso a ridosso dell'estate. 
L'affinamento sui lieviti, inoltre, che per legge francese deve durare minimo 15 mesi per i sans année e 3 anni per i millesimati, viene protratto almeno a 18 mesi per gli champagne d'annata mentre i grandi millésimé possono restare sur lattes anche molti anni. 
Al termine, la sboccatura viene fatta rigorosamente à la volée mentre il dosaggio finale, che avviene grazie all'introduzione di zucchero d'uva concentrato, ha il solo scopo di creare le tre grandi tipologie di Champagne Beaufort: Brut, Demi-Sec e Doux.
 
La Cantina

Da Remigio, qualche calda serata fa, per combattere la sete e la voglia di buono, mi sono riunito con un gruppo di amici per bere un pò di Beaufort che Stefano custodisce gelosamente nella sua cantina. In pratica ci siamo sgargarozzati:

André et Jacques Beaufort Polisy Brut Réserve (80% pinot nero e 20% chardonnay): champagne che mi è sembrato opulento e cremoso, sa di frutta gialla ed erbe di campo. Bocca di grande finezza, morbido, lungo, un bell'inizio.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Réserve (80% pinot nero e 20% chardonnay): cambio di marcia rispetto al precedente, il vino è più complesso visto che riesco a percepire nettamente la mela cotogna, l'agrume, l'albicocca, la frutta candita, il tutto all'interno di uno scrigno minerale di grande compattezza. Bocca di grande struttura, fresca, equilibrata e di grande persistenza. 
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Rosé (100% pinot nero): il rosé per chi non ama bere in rosa. Così l'ho definito, subito dopo averlo golosamente terminato, questo champagne che si dimostra essere per nulla scontato: ok, c'è la frutta rossa, la fragolina e il ribes soprattutto, ma se qualcuno pensa che l'insieme sia caramelloso e stucchevole...beh...allora è fuori strada. La linea d'insieme è dura, netta, decisa, così come il sorso che è più maschile che femminile. Da provare per chi vuole emozioni forti e..maschie.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Millesimé 1996 (80% pinot nero e 20% chardonnay): una "snasata" e capisci. Un sorso e capisci. Capisci che certe vette sono irrangiungibili per molti, capisci che c'è una superiorità netta che deriva dal DNA e che nessun tipo di prodotto o pratica enologica di potrà mai dare. Capisci che questa profondità dà un'emozione simili ad una immersione nella fossa delle Marianne, capisci che da questo champagne Ron Howard ha preso spunto per girare Cocoon, capisci cosa vuol dire mineralità ed acidità, didattiche per quanto irragiungibili, insomma per circa 120 euro c'è il Nirvana a portata di mano.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Rosé Doux (100% pinot nero): prima di stappare tanti mi avevan detto che non lo prendevano perchè a loro i vini dolci non piacevano. Apri questo rosé, lo bevi, e ti si rivolta il mondo. "Non ci posso credere" è stato il commento più sobrio dato da una persona che, in preda ad un nuovo misticismo, ha cominciato a chiamare tutti i clienti di Remigio per annunciare la sua conversione alla nuova religione chiamata Doux di Beaufort. Questi sono champagne mostruosi dove assolutamente non riesci a sentire nulla di dolce, la struttura e l'acidità impertinente riescono a mascherare incredibilmente 50 g/l di zucchero residuo per offrire all'appassionato un vino dolce non dolce che come descrittore principale ha una mineralità rossa che non ascriveresti a nessun essere vivente. Se tanto mi dà tanto il Rosé Doux 1990 è un vino alieno...


Una questione naturalmente volatile

Roma, inaugurazione di un locale in pieno centro storico. Facciamo un giro tra le varie salette e ci accorgiamo che, tra le pareti colorate, svettano decine di bottiglie di vini "diversamente convenzionali". Non li chiamo naturali altrimenti mi arrivano i controlli.

Ottime etichette, pensiamo ad alta voce, ci sono tutti i produttori che ultimamente stanno dando grande soddisfazione a tutto il movimento.

Che fico, per almeno un paio d'ore ci sarà anche una sorta di open bar dove ci vengono serviti al calice i vini presenti in carta. 

Sì, sì, scegliamo quello, il produttore è una sicurezza e un bianco con questo caldo ci sta bene!

Prima "snasata" nel bicchiere. Il sorriso si spegne progressivamente.

Seconda "snasata". Divento serio. Passo il calice ad una amica di fianco (Stefania già mi aveva capito) e subito mi dice:"Oddio, sembra acetone, ma che qualcuno si sta togliendo lo smalto per le unghie?"

Ecco qua. E ora? Il famoso vino prodotto in maniera artigianale e naturale ha una volatile totalmente fuori controllo, ogni aroma è coperto da una coltre acetica fastidiosa. 

Fonte: primobicchiere.wordpress.com

Non sappiamo che fare. Faccio sentire l'odore ad uno dei proprietari del locale che, sorridendo, mi dice che:"Vabbè, dai, si sa che questi vini possono avere questi problemi...".

Quindi devo accettare l'idea che se prendo un vino naturale, vabbè l'ho detto, posso incorrere in questo tipo di difetti? Perchè la volatile è un difetto eh!!! Soprattutto a questi livelli.

Il vino non l'ho pagato per cui stavolta la cosa passa ma, mi domando, se fossi un normale avventore del locale al quale viene servito un vino del genere? Cosa dovrei fare? Chiamare il cameriere e farmelo cambiare o "abbozzare" e tenermi sto vino naturale? E poi, siamo sicuri che me lo avrebbero cambiato visto che per loro è "normale" e "possibile" un difettuccio del genere?

Domande, domande, domande, alle quali forse troverò risposta.....


Il Barolo Vigneto Arborina 1996 di Elio Altare è un vino che non capisco


Non sono un grandissimo intenditore di Barolo, anzi, però alcuni punti fermi sul grande nebbiolo li conosco, soprattutto quando si parla di colore e profumi che forniscono a questo vitigno caratteristiche uniche al mondo (se coltivato in Piemonte....).
Capita, incontrando il Vigneto Arborina '96 di Elio Altare, che alcune certezze comincino a vacillare, analizzando quel Barolo è come si mi avessero detto che Bossi in realtà ha una laura in filosofia presa all'Università di Palermo.
Evito, almeno in questa sede, di ripercorrere le vicissitudini personali del produttore langarolo, la storia della motosega che rompe le grandi e vecchie botti per far posto alla barriques nuove ormai è diventata una leggenda sulla quale si poggia tutta l'immagine aziendale.

Il dilemma che mi lascia sveglio la notte (si fa per dire) riguarda il colore e le sensazioni di questo Barolo del 1996. La foto penso dica tutto.


Immaginatevi questo vino alla cieca così come l'ho bevuto io. A parte l'unghia di colore granato, il nebbiolo si presenta di un colore rubino intenso con tratti simili alla china. Impenetrabile.
Anche ai profumi non mi ritrovo. La classica viola, la scorza di arancia, il sottobosco e di tutti i profumi terziari che immagini fuoriescano da un nebbiolo del 1996 non c'è traccia. Nulla. Questo è un vino oscuro, chinoso, di frutta nera in macedonia, c'è chi dice austero. 
La bocca è quella che ritroverei in un vino giovane, è scalpitante, dura, sicuramente profonda ma assai lontana a quella che mi aspetteri da un Barolo del 1996, cioè da un vino che ha 15 anni.

Cosa è che non ho capito di questo vino?


Vino e Carne Umana per il sommelier zombie moderno....

Maynard James Keenan, leader e cantante dei Tool (vabbè non sono gli U2 come popolarità) è noto del mondo musicale metal per la sua passione per il vino tanto che ha prodotto un documentario intitolato "Blood into wine" interamente focalizzato sui vigneti che Keenan possiede in Arizona assieme al socio Eric Glomski col quale, dicono, sta cercando rivoluzionare l'industria della vinificazione negli Stati Uniti...


Nel frattempo, però, oltre che essere appassionato di vino, Keenan, visto anche il titolo del documentario, sembra essere un cultore del sangue e della carne umana visto che di recente ha rilasciato un'intervista all'interno della quale proponeva una serie di abbinamenti tra vino e....carne umana. 

Domanda: Che vino mi consiglia con il viso di una persona?
Keenan: Beh, per le guance, ovviamente, sarebbe meglio bere un pinot noir.

Domanda: E col naso?
Keenan: Questa è una zona piena di cartilagini per cui meglio una birra. Il gusto del naso è più simile ad un hotdog o ad un wurstel, e questo vale anche per le labbra..

Domanda: Con la lingua, invece, cosa consiglia?
Keenan: Se si vuole mangiare la lingua, che è carnosa, meglio scegliere uno shiraz con un pò di legno, ma anche il barolo andrebbe benissimo, se servita cruda. Sì, una lingua con l’olio di oliva ed erbe ha proprio bisogno di un bel barolo"




Dei vini naturali e delle denunce penali

Tutto parte da questo post di Marco Bolasco:

“Ciao Marco,
ti contatto per informarti di quanto mi è successo la scorsa settimana:
sono venuti 2 funzionari del ministero delle politiche agricole per contestarmi la vendita sugli scaffali dei vini “Naturali”.
Hanno redatto un verbale al quale seguirà una sanzione e forse una denuncia penale.
L’oggetto della vicenda è che non si possono  mettere in evidenza vini senza una certificazione. Solo quelli con i vari bollini di controllo si distinguono.
[...]
Un caro saluto  Alessandro”

Ovviamente, veder scritto che uno dei migliori e più onesti enotecari di Roma viene messo in mezzo ai guai, soprattutto in un periodo come questo, non solo non si può sentire ma è anche pericoloso perchè può far scattare meccanismi perversi dalle conseguenze nefaste a cui meglio non pensare.

Nel web la risposta del popolo "naturale" si è fatta sentire immediatamente e, accanto a riflessioni posate e condivisibili, c'è anche chi grida al complotto della grande industria del vino che, secondo alcuni, sta passando al contrattacco visto che si sente sempre più minacciata dall'avanzata c.d. naturali.

La cosa, personalmente, non mi convince. No, per niente. Anzi, andrei oltre improbabili dietrologie per capire se questo spiacevolissimo episodio, lo ribadirò fino alla morte, non nasconda invece la necessità, ormai urgente, di dare una definizione chiara e una legalizzazione alla parola "vino naturale". 

Fonte: http://www.civiltadelbere.com

Affermo questo perchè oggi tutti i vignaioli che non fanno parte di un certo movimento sono considerati convenzionali. In base a cosa? Lo dicono i naturali. Ok, perfetto. Ma chi sono i naturali? Bella domanda, ci sono almeno tre movimenti che hanno un loro manifesto con molti punti in comune e, purtroppo, qualche divergenza di troppo. Non c'è, pertanto, una definizione unica di produttore e vino naturale e, soprattutto, le regole stabiliscono che si entri nel movimento per autocertificazione (!!) anche se poi vengono fatti dei controlli ex post che, comunque, non offrono garanzie assolute. 
Siamo sicuri poi che i "non naturali", categoria che può comprendere anche il piccolo vignaiolo buono, pulito ed indipendente, siano così tremendi da avere un vino "innaturale" tale da essere spesso additati come gli untori del terzo millennio? 

Fonte: greenplanet.net

Tutta questa riflessione per dire, sostanzialmente, che quanto accaduto a Bulzoni DEVE sicuramente rappresentare un segnale importante per i "naturali" i quali hanno l'obbligo, se non ora quando, di metteri a tavolino ed arrivare ad una definizione univoca e legale, se c'è, di tale vino. Sul biologico, con tante lacune, è arrivato almeno un chiarimento.


Io, in tutto questo bailamme, mi accontenterei di rendere obbligatoria l'etichetta nel vino così come avviene oggi per gli alimenti. Magari fatta anche meglio. Vorrei capire cosa mi bevo a prescindere da mode, movimenti e filosofie varie.

Cavit: chi ha paura dei grandi numeri?

Ultimamente, in  maniera casuale, nel mio "percorso di vino" ho incrociato alcune storiche cooperative sociali italiane come Dolianova, Colonnara e Cavit, una realtà, quest'ultima, da oltre 60 milioni di bottiglie, cifre che solo a pensarci fanno girare la testa e, a chi come me è amante del piccolo ed artigianale, pone le basi a più di un pregiudizio e qualche domanda. Questo post, simile ad una pagina di diario di una sera, vuole essere testimone di un cambiamento nel mio modo di vedere certe realtà perchè, alla fine, i numeri, i grandi numeri, non sono il male del vino italiano soprattutto se alla base ci sono persone che percepiscono la qualità come mezzo per rispettare territorio e consumatori.

Roma - Vinofòrum - ore 20.30
Sono entrato da pochi minuti e già vorrei andare via da questa manifestazione che non aggiunge nulla alla cultura del vino. Anzi. 
In lontananza scorgo lo stand della Cavit, c'è molta gente in fila per un bicchiere di quelle che, a distanza, sembrano bollicine. Malcelando una certa ritrosia mi son detto:"Ok, andiamo a testare, male che vada un Altemasi Trentodoc mi rinfrescherà in questa giornata di caldo romano".

Roma - Vinofòrum - ore 20.45

Col bicchiere in mano cerco qualcuno che mi spieghi il vino. Il sommelier è troppo occupato con le persone che gridano:"damme un bianco e un rosso!". 
Si avvicina amichevolmente Domenico Jacobone, uno dei responsabili dell'azienda presenti a Roma. Iniziamo a parlare, mi spiega la filosofia di Cavit,  il rapporto stretto e diretto con gli oltre 4.500 viticoltori associati a 11 cantine che rappresentanto il 60% della produzione vinicola trentina (circa 5.500 ha). Nelle sue parole non c'è volontà di vendermi bugie, non sono un grande cliente e non sa che sono blogger (per quello che conta). Cavit, nonostante le apparenze, è una famiglia allargata dove tutto sta cambiando o, forse, non è cambiato mai.

Roma - Vinofòrum - ore 21.15
 
Chiaccherando con Domenico, a cui si aggiunge dopo Stefano Pallaver (wine ambassador) emerge chiaramente la voglia di Cavit di andare oltre le produzioni di massa agganciate alla grande distribuzione che spesso e volentieri, numeri alla mano, servono a scardinare i mercati esteri sempre più competitivi. Oggi, i consorzi di "nuova generazione" come Cavit devono guardare anche oltre cercando di "orientare" una buona percentuale di produzione verso quei concetti di artigianalità e sostenibilità che fino a poco tempo fa erano ritenuti impossibili per queste realtà.
Cavit, infatti, aderisce da oltre venti anni al “Protocollo per una produzione viticola di qualità in Trentino” e sta investendo molto nel fotovoltaico e nel risparmio idrico ma, a prescindere da tutto, sta cercando di dare valore alla produzione enologica di qualità attraverso i suoi spumanti metodo classico linea Altemasi e, soprattutto, attraverso la progetto Masi Trentini in collaborazione con l'Istituto Enologico di S. Michele all'Adige.

Maso Toresella - Fonte:blog.enotourtrento.it

Roma - Vinofòrum - ore 22.00

Sono abbastanza confortato dalle parole di Domenico e Stefano ma, come San Tommaso, se non vedo (degusto) non credo. Inizia la batteria degli spumanti metodo classico.

Buon inizio con l'Altemasi Brut (100% chardonnay) che, con i suoi 15 mesi di affinamento sui lieviti ed un prezzo assolutamente concorrenziale, rappresenta un buon approccio al metodo classico italiano. 

Ovviamente, l'Altemasi Brut Millesimato 2008 (100% chardonnay) è di un altro livello, la maggiore complessità fornita dalla permanenza sui lieviti per 36-48 mesi, fa di questo Trentodoc uno spumante fragrante di crosta di pane con tocchi di cera d'api e soffi minerali. In bocca è beverino, sapido, intenso e per nulla banale. In enoteca costa 11 euro, molto meno rispetto a certi Charmat. Tanto per dire.

L'Altemasi Riserva Graal 2004 (70% chardonnay e 30% pinot nero) non lo scopro certo io, è la perla enologica Cavit premiata dalle migliori guide. Eì un metodo classico che non ha nulla da invidiare a marche e territori più blasonati, è un piccolo capolavoro di artigianale pazienza (per questa annata è rimasto sui lieviti 72 mesi) che mostra un profilo olfattivo che va dalla mela gialla alla susina per poi passare al miele, allo zenzero, all'agrume candito fino ad arrivare ad un minerale di rara eleganza. Bocca complessa, sapida, di grande freschezza e persistenza. Per 30 euro circa in enoteca è una bottiglia dall'ottimo rapporto q/p.



Roma - Vinofòrum - ore 22.30 

Appagato ma non sazio chiedo di degustare qualche vino della linea "I Masi Trentini" che, nelle parole dell'azienda, rappresentano veri e propri "cru" legati ad un territorio ben definito e particolarmente vocato alla produzione di specifici vitigni. Ecco la vera realtà di nicchia dell'azienda, poche migliaia di bottiglie che, nelle aspettative di tutti, dovrebbero rappresentare il meglio della produzione enologica Cavit.

Ho provato, in questo ambito, due vini particolarmente significativi: il Maso Toresella Cuvée e il Maso Cervara Teroldego Rotaliano

Il primo vino è un assemblaggio di uve sauvignon blanc, chardonnay, gewürztraminer e riesling provenienti da Maso Toresella, lago di Toblino, sede dell'azienda e del vigneto sperimentale. Naso molto sensuale di frutta, fiori e spezie dove, col tempo, è possibile capire nitidamente l'apporto che ciascun vitigno offre alla complessità del vino che, al sorso, risulta decisamente più "maschio" e sapido con bella persistenza nel finale.

Il Maso Cervara Teroldego Rotaliano rappresenta invece la massima espressione che il Teroldego può avere in Cavit, c'è molta polpa e sostanza in questo vino che non ha nulla da invidiare ad espressioni di altri celebrei vignaioli territoriali. Alla cieca farebbe la sua porca figura, credetemi.

Fonte: appuntidigola.it

Roma - Vinofòrum - ore 23.15

Esco da Vinofòrum diverso da quello che ero tre ore fa. Le dimensioni non mi fanno più paura, non devono...

Il Prosecco in una mappa. Quella giusta.



Anche io, come hanno fatto già illustri colleghi in internet, non voglio sottrarmi a pubblicare la mappa reale del Prosecco che, come spiega Luca di Bele Casel, troppo spesso è carente dell'area di produzione Asolo Prosecco Superiore DOCG. Innalziamo la cultura del vino cominciando dalle basi....geografiche!


Ubriacarsi con uno spray? Ora si può!

La notizia non è recentissima, avevo dei ritagli di giornale sparsi sulla scrivania da qualche tempo, però l'annuncio fatto dall'inventore franco-americano David Edwards e dal designer francese Philippe Starck è troppo goloso per farlo passare inosservato.
Pare, infatti, che questi due personaggi abbiamo inventato uno spray che fa sperimentare la «sensazione di ebbrezza nel giro di pochi secondi» senza effetti collaterali. Questo significa, sempre secondo loro, che sarete perfettamente "puliti" all'etilometro e non avrete il classico mal di testa il giorno dopo.

Il prodotto, che ha la forma di un inalatore per l'asma, si chiama Wahh Quantum Sensations, costa circa 20 euro e contiene circa una ventina di spruzzi da 0,075 millilitri di alcol in forma liquida, quantità minima perché le microparticelle stimolino il cervello e offrano delle reali sensazioni al palato. A confronto le altre bevande alcoliche contengono circa tra i 20 e 60 millilitri di alcool.

Fonte:http://www.blippitt.com
Io, che sono fatto all'antica, preferisco sempre bermi un buon bicchiere di vino e godere della vita senza ubriacarmi per cui, se fosse per me, questi non farebbero un centesimo.

Ah, i tizi sono gli stessi inventori del c.d. cioccolato spray, un prodotto che, a detta dello stesso inventore, può essere inalato senza ingrassare...

Cioccolato spray

Ameranno anche il sesso virtuale?

La ribolla di Kramar e i profumi di Slovenia

La cosa più bella ed affascinante nel girare per degustazioni è senza dubbio quella di conoscere nuove persone che hanno la tua stessa passione per il vino. 
Un pò di tempo fa, ospite di Davide Canina per il premio Marengo Doc, ho potuto fare la conoscenza di Valter Kramar, maitre e sommelier sloveno che con sua moglia, Ana Roš, gestiscono a Caporetto Casa Franco, ritrovo gourmet per degustare l'alta cucina slovena ed essere coccolati all'interno di un elegante resort.

Valter e tutta la sua famiglia, oltre ad essere grandi selezionatori di vini sloveni, hanno delle vigne di proprietà dalle quali producono due tipologie di vino: un merlot e una ribolla gialla. 
Valter, quando l'ho incontrato ad Alessandria, aveva con sè il vino di suo fratello Matjaž e, tra una chiacchera e l'altra, mi ha chiesto:"Tieni, bevitelo e poi mi fai sapere!"


Vedendo la foto in alto si può ben capire che lo stile di vinificazione sono quelli "classici" sloveni, cioè lunghe maturazioni sulle bucce che danno al vino colori e profumi non convenzionali o, per dirla in altri termini, "naturali".

Il naso nel calice non lascia dubbi al corredo aromatico che spazia tra la frutta gialla polposa, il curry, la ginestra,  il miele di acacia ed erbe aromatiche disidratate.

La sorpresa di questa ribolla, però, è al sorso visto che con i suoi 11,5% questo vino non ha assolutamente una struttura pesante e di difficile abbinamento a tavola come spesso, invece, accade per gli altri suoi colleghi macerati e naturali.


E' un vino snello, dinamico, bevibile quasi quanto una birra ghiacciata d'estate e, cosa importante, mantiene al palato tutta la complessità e l'eleganza del naso senza cedere nulla. Il fatto che sia un 2007 non fa che aumentare ulteriormente i suoi punti.

Sono curioso di degustare il Merlot 2004 di Kramar. E' appena uscito in commercio. Sì, avete capito bene!

Il Morellino di Scansano, in tempo di crisi, diventa "social"

Bella iniziativa della Cantina del Morellino di Scansano che pochi giorni fa ha fatto apparire sul sul blog questo accorato appello:"Hai uve di qualità, provenienti da vigneti di Morellino di Scansano DOCG? Non svenderle!"

In tempo di crisi, infatti, è possibile che molti piccoli agricoltori impauriti possano essere presi per il collo da imbottigliatori senza scrupoli che se ne fregano del duro lavoro di campagna e della conseguente congrua remunerazione.
Al fine di evitare tutto questo la Cantina del Morellino di Scansano ha deciso di dare valore al lavoro dei vari produttori che operano nel territorio impegnandosi a  pagare l’uva 100 euro (più iva) contro una media di circa 70 euro/q.le dell’anno passato. 

Fonte: Vignaioli Morellino di Scansano

Si è posta, giustamente, una sola condizione: il viticoltore che decida di aderire a questo progetto si deve impegnare a coltivare secondo le indicazioni date dall'agronomo aziendale al fine di mantenere la qualità pari a quella dei soci della cantina
Ad oggi quindici aziende hanno aderito ma, sono sicuro, che il passaparola farà sì che altri piccoli vignaioli aderiscano a questo importante progetto di valenza sociale.

Nel mio piccolo non posso che fare a tutti i miei più sinceri complimenti.

Colonnara e il Cuprese nel tempo e nell'anima


Era il 1959 quando un pugno di viticoltori marchigiani fondano la cantina sociale di Cupramontana che solo nel 1985, dopo una rapida fase di crescita ed ampliamento commerciale, cambia ragione sociale per diventare “Colonnara, società cooperativa agricola a responsabilità limitata”, nome già da tempo utilizzato come marchio per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc classico e per lo spumante brut.
Oggi, Colonnara è una grande azienda di territorio che vanta circa 110 soci conferitori con circa 120 ettari di vigneto che, gradualmente, si sta riconvertendo al biologico. Piccolissimi appezzamenti, caratterizzati da diverse esposizioni e terroir, che rappresentano un grande patrimonio per la cooperativa.

Ogni appassionato di buon vino, così come ho fatto io, dovrebbe passare almeno una giornata in Colonnara perché solo in quel modo si è in grado di capire come una società dai grandi numeri possa avere un carattere così familiare e, per certi versi, artigianale.
Le grandi dimensioni e la conseguente tecnologia, infatti, da queste parti non sono caratteri in antitesi al concetto di territorialità, tradizione e manualità, termini che ritrovo ogni qual volta giro per la cantina di invecchiamento dove, tra barrique e pupitre con spumanti che effettuano ancora il remuage a mano, si possono ancora scovare in qualche angolo buio vecchie annate di Ubaldo Rosi, straordinario metodo classico a base verdicchio e, soprattutto, del vino che ha fatto e farà la storia dell’enologia italiana: il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore CUPRESE.

Spumante in affinamento

Questo grande bianco italiano proviene da una selezione di uve dei migliori vigneti dei soci dei territori di Cupramontana, Maiolati Spontini e Staffolo, posti su terreni composti da marne argillose e, subordinatamente, di marne e calcari marnosi biancastri finemente detritici. 
Una vinificazione senza troppi fronzoli, in acciaio, e un imbottigliamento la primavera successiva la vendemmia, tranne eccezioni, concludono il processo di produzione del “nostro” verdicchio del quale voglio conoscere storia, anima e potenzialità. Sono a Cupramontana essenzialmente per questo.

Con Massimiliano Latini, giovane e dinamico presidente della cooperativa, Daniela Sorana, responsabile vendite e l’agronomo Agostino Pisani, che ringrazio per il tour tra i vigneti dei soci, approntiamo una mini verticale di Cuprese, quattro annate. Da queste parti mi dicono che non servono molte bottiglie per capire di che stoffa è fatto.

Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 2011: giovanissimo, appena versato si presenta con note molto acerbe di frutta a polpa bianca come la mela e la pera, agrumi, mandorla, mineralità gessosa. In bocca è coerente col naso, ampio, tipico e senza alcun eccesso di struttura. Finale amarognolo anch’esso coerente con la tipologia. Promette benissimo.


Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 2001: torniamo indietro di dieci anni. Il colore del verdicchio diventa leggermente più dorato, gli aromi mutano, si arrichiscono di sfumature, diventano aristocratici. Inizialmente il Cuprese sfoggia un corredo aromatico salmastro, salino, per poi mutare in note più armoniose di miele di acacia, mela cotogna, biancospino. Lasciato respirare il Verdicchio cambia ancora, diventa minerale, sa di pietra focaia, agrumi canditi. In bocca, poi, è uno spettacolo, la solare morbidezza del vino arriva fino a centro bocca per poi modificarsi e diventare inaspettatamente acido, minerale, salato e progressivo. Una PAI interminabile.  


Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 1991: la macchina del tempo capitanata dallo staff di Colonnara ci porta indietro di un’altra decade…ma non sembra. Questo ’91, rispetto al 2001, ha un colore meno evoluto e, appena messo il naso nel bicchiere, direi non solo il colore. Ancora una volta, inizialmente, il vino si apre su note salmastre, saline, per poi aprirsi su intensi effluvi di polline, cera, mallo di noce a cui seguono, col tempo e l’ossigenazione, sentori di spiccata mineralità ed erbe. Alla gustativa il vino è incredibilmente fresco, giovane, non c’è la morbidezza del 2001 ma solo progressione salina che attraversa struttura che, come un mosaico, piazza i suoi tasselli a 360° all’interno del palato. Un vino immenso, un capolavoro di cui non solo Colonnara ma tutta l’Italia dovrebbe essere fiera. Francesi? Prrrrrrrrrrrr

Il New York Times celebra il vino della Valle d'Aosta

Forse in Italia non tutti lo sanno ma è proprio in Valle d’Aosta, al di là dei ghiacciai e sulla cime più alte d’Europa, che si produce uno dei più spettacolari vini alpini del mondo: Il Blanc de Morgex e de La Salle. Se n’è accorto invece, eccome, l’autorevole quotidiano americano New York Times che dedica uno ampio speciale firmato da Eric Pfanner ai fantastici vigneti di montagna della regione amministrata da Augusto Rollandin. “Sul Monte Bianco si trova il villaggio vinicolo di Morgex che ospita il vigneto più alto d’Europa a 1.050 metri.
Ad altezze così elevate – sottolinea il New York Times – l’aria è asciutta, il clima soleggiato e ventilato con pendii scoscesi che consentono una maggiore esposizione al sole e aiutano le viti a maturare senza l’uso di pesticidi chimici. Inoltre, le variazioni di temperatura tra il giorno e la notte contribuiscono ad aumentare l’acidità, dando ai vini un sapore più fresco. La tradizione vinicola di questa regione – continua  Pfanner – è molto antica e risalente ai tempi dei romani.
Le terrazze, sostenute da muri a secco, ne sono una testimonianza e presenza intrinseca a un magnifico paesaggio. A Morgex i viticoltori che riforniscono la Cave du Vin Blanc coltivano una sola varietà chiamata Prié Blanc, sopravvissuta alla fillossera che nel 19esimo secolo cancellò molte viti europee. Di conseguenza – conclude il New York Times – alcune viti risalgono al 1850 e sono apprezzate per la ricchezza e il carattere che danno al vino. Ma la Valle d’Aosta è anche un luogo di infinite bellezze che si possono apprezzare meglio assaporando un bicchiere del caratteristico La Piagne del 2010 o il più generoso Fumin Vigne La Tour del 2009” 
Fonte: Iris Press

Tavole Romane e Cristina Bowerman: binomio vincente

Mi fa sempre piacere pubblicizzare le iniziative dei ragazzi di Tavole Romane che da un pò di tempo si occupano a Roma di Tour enogastronomici.
Sabato 23 hanno previsto un evento da non perdere: Metti un sabato mattina con Raffaello e Cristina Bowerman.


In pratica ci si vede la mattina di sabato 23 a Trastevere, si va a fare un giro a Villa Farnesina per ammirare gli affreschi di Raffaello, con tanto di guida turistica professionista, ed  infine ci si tuffa all'interno di Glass Hostaria dove degusteremo le creazioni dello chef stellato Cristina Bowerman coccolati, inutile dirlo, da Fabio Spada e tutto il suo staff.

Tutte le info dettagliate, compreso menù, le trovate a questo link.

Brave Tavole Romane!

Vincenzo Mercurio e i suoi vini: appunti disordinati di degustazione

Vincenzo Mercurio è un giovane e bravo enologo, candidato anche all'Oscar 2012, che sta facendo la fortuna di molte aziende italiane, principalmente campane.
Pochi giorni fa il frutto del suo lavoro, i "suoi" vini, sono stati presentati all'interno di un evento AIS Roma che, come al solito, ha visto la partecipazioni di molte persone visto anche lo splendido banchetto di prodotti tipici dove spiccava il sempre ottimo Conciato Romano di Manuel Lombardi.

Non potevo degustare tutte le tipologie di vino presenti, pena lo strappo della patente in caso di posto di blocco, per cui mi sono limitato a degustare poche cose. Ciò che segue è la trasposizione disordinata dei miei appunti, soprattutto di bianchi (visto il caldo) con un intruso finale...

Vincenzo Mercurio. Fonte:irpiniadabere.it



Biancolella di Ponza 2011 (da vigne vecchie), IGT Lazio bianco: fresco, sapido, beverino, un vino apparentemente facile che regala il meglio a tavola.

Cantine I Favati (Cesinali – Avellino)

Pietramara etichetta bianca, Fiano di Avellino DOCG 2010: piace molto questo Fiano che sa di agrume, frutta gialla acerba, erbe e soffi minerali. Bocca tipica, fresca, giovane.


Terrantica etichetta bianca, Greco di Tufo DOCG 2010: grande struttura che viene rimarcata da un impianto olfattivo che sa di miele, frutta gialla matura, ginestra, erba aromatica. Bocca armonica, elegante, di spessore.

SanPaolo (Tufo – Avellino)

Fiano di Avellino DOCG Lapio 2011: tanta frutta e struttura, in linea con i caratteri della zona. Giovane e ancora da "curare".

Fiano di Avellino DOCG Montefredane 2011: un Fiano minerale e fruttato che deve ancora crescere per essere equiparato ai più grandi della zona.

Greco di Tufo DOCG Montefusco 2011: diverso dal Greco precedente. Questo è più fresco e dinamico, grande agrume finale.

La sala. Fonte: Luciano Pignataro Wine blog


Grecomusc’ Campania IGT bianco 2010: questa è stata un pò la delusione della serata. Il Grecomusc’ è un vino che amo e che seguo da tanto e questa annata mi è sembrata più mansueta ed addomesticata delle altre. Non dico che il vino non c'è ma, rispetto al suo carattere "selvatico", questo bicchiere mi è sembrato troppo lineare, standardizzato e poco complesso. Ok, c'è sempre la bella vena minerale a condire tutto però... Spero solo che sia troppo giovane e che debba evolvere come sa.

Luigi Tecce (Paternopoli – Avellino)

Anfora 2009, vino da tavola da uve aglianico: quando da lontano ho visto Tecce col suo cappello radical-chic avrei voluto chiedergli il perchè di questo vino ma, visto il drappello di gente attorno, ho desistito. Sottolineando che amo Tecce e il suo Poliphemo, non comprendo le motivazioni che hanno spinto il bravo vignaiolo a vinificare un aglianico in anfora soprattutto in un periodo dove la terracotta è abbastanza inflazionata. L'aglianico di Tecce è troppo immaturo per poterlo giudicare, sa di DAS e terra e in bocca è tutto un mosaico da definire. Guardo il bicchiere e rimango dubbioso. Troppo. Magari me lo spiegherà Vincenzo la genesi di questo vino. Spero.

E' ora di andare via, il tempo è tiranno e le chiacchere certo non aiutano. Troppo i vini che non ho avuto il piacere di bere. Per chi volesse approfondire, però, c'è questo bell'articolo di Mimmo Gagliardi tutto da leggere.