La Porta di Vertine 2006, un grande Chianti Classico Riserva

Ieri sera ho iniziato all’AIS di Roma il corso sul Sangiovese curato e condotto da Armando Castagno, un uomo, e anche un amico, che trasuda passione per il vino da ogni poro della sua pelle.
Gaiole in Chianti e Castelnuovo Berardenga sono stati le prime zone che il docente ha preso in considerazione, si parla ci Chianti Classico, un vino che, come vedremo, è capace e sarà capace di darci emozioni uniche, da riscoprire.
Il vino del Gallo Nero lo troviamo ormai dappertutto, dal discount sotto casa al supermercato delle stazioni di servizio, troppa robaccia in giro, difficile ormai trovare qualcosa di decente se non si è consigliati da persone col pelo sullo stomaco. Ecco, il corso sul Sangiovese vuole insegnare proprio questo, vuole accompagnarci per mano alla ricerca del vero Sangiovese, quello territoriale, quello emozionante e che berremmo a tavola in un solo sorso, magari accanto ad una bistecca fiorentina.
Uno di questi piccoli grandi capolavori enologici porta la firma della Porta di Vertine, azienda nata solo nel 2006 quando Dan ed Ellen Lugosch acquistano un vigneto a forma di anfiteatro nel borgo di Vertine, a Gaiole, nella zona del Chianti Classico con l’obiettivo di nell’esplorare le caratteristiche del Sangiovese, selezionando vigneti e scegliendo i terreni che meglio ne fanno risaltare complessità e la sua attitudine all’invecchiamento. La Porta di Vertine deve moltissimo a tre uomini: Giacomo Mastretta, responsabile ed enologo, l’agronomo Ruggero Mazzilli, sotto la cui guida i vigneti sono stati convertiti al metodo biologico e, soprattutto, Giulio Gambelli, consulente enologo, maestro assaggiatore e una leggenda nel mondo del Sangiovese.
I vigneti sorgono su terrazze abbandonate nelle quali, grazie alla composizione del terreno ricco di galestro ed alberese che, essendo piuttosto povero, riduce naturalmente la vigoria della pianta, limitando la rese in modo naturale.
La vinificazione dei vini è naturale, a La Porta di Vertine si opera nella convinzione che, intervenendo il meno possibile durante la vinificazione, le caratteristiche dei vigneti traspaiano più chiaramente. In cantina i lieviti naturali e la temperatura ambiente la fanno da padrone. Il fatto che la cantina non abbia alcuno strumento di controllo della temperatura non è considerato un impedimento, ma parte della filosofia di non intervento.
Il Chianti Classico Riserva è il vino di punta dell’azienda ed è il frutto della selezione dei migliori grappoli della vigna della Conca d’Oro e del Campino dei Visconti a Vertine.
Alla metà di Ottobre i grappoli sono stati raccolti manualmente in piccole cassette. Non c’è aggiunta di solforosa in questo stadio. L’uva viene semplicemente disparata e messa in piccole vasche di accaio e cemento senza essere pigiata. La fermentazione si svolge ad opera dei lieviti indigeni, senza alcun controllo diretto della temperatura: la freschissima temperatura naturale della cantina ne facilita uno svolgimenti molto lento e regolare, preservando così il profumo elegante del Sangiovese. La durata e la cadenza dei rimontaggi dipendono dalla qualità dell’uva senza seguire uno schema prefissato. Alla fine dalla fermentazione alcolica, si effettua un solo delestage, durante il quale il vino è resta separato dalle bucce per una notte. Questo insolito metodo consente una maggiore estrazione in quanto, in assenza del vino, la temperatura delle bucce può salire notevolmente.
Dopo la fermentazione, il vino è stato lasciato sulle bucce per altre due settimane prima del travaso in barrique e doppia barrique. Qui il vino svolge la fermentazione malolattica alla fine della quale si valuta l’eventuale aggiunta di solforosa. Non viene poi sottoposto a ulteriori manipolazioni ad eccezione delle regolari colmature che servono a reintegrare il vino che naturalmente evapora attraverso le doghe del legno.
Il vino non viene sottoposto ad alcun travaso per i primi otto – dieci mesi, al fine di mantenerlo in contatto con le fecce fini che lo proteggono e gli conferiscono più ricchezza e complessità. L’affinamento in legno ha avuto una durata complessiva di circa sedici mesi.
Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno sei mesi prima di essere commercializzato.
Eccola qua questa Riserva, nel mio bicchiere, ho di fronte l’annata 2006 che si presenta di una straordinaria freschezza, esplode al naso la viola mammola e una leggera terrosità, poi frutta a buccia matura, liquirizia e chiodo di garofano. Un olfatto, rispetto ad altri Chianti Classico meno elaborato, monumentale ma più diretto, espressivo.
Bocca di grande corrispondenza col naso, la grande materia del vino, soprattutto il tannino, è ottimamente equilibrato dalla grande acidità del vino (i dati analitici ci dicono che siamo sui 7 g\l). Ritorna la frutta e la florealità. Un Chianti di grandissima beva, fresco e di grande pulizia, in stile Gambelli. Per una volta tanto 23 euro spese bene. Grazie Armando per avermi fatto scoprire questo vino anche se, lo so, non sarà l’unico……

A me dei tre bicchieri o dei cinque grappoli 2010...


o delle stelline non me ne può fregare di meno!!!

E che diamine, prima che uscissero le anticipazioni tutti a dire che le guide sono obsolete, che sono una cavolata, etc.

Ora, invece, ci sta gente che si sta scannando, giornalisti o blogger che cercano a tutti i costi lo scoop, gente che spara m***a sui direttori dandogli del venduti.

Un gioco al massacro.

Complimenti sicuramente a chi ha preso i premi però non facciamone una questione di vita o di morte e pensiamo sempre che c'è gente che lavora a queste guide con impegno e passione.

Poi se si hanno le prove di quello che si dice, degli impicci che ci sono, dei conflitti di interesse, allora mettiamole in campo, diciamo nome e cognomi altrimenti è tutto inutile.

I vini che acquisto e che bevo, fortunatamente, non li devo leggere su una guida, il mio palato magari non è il loro palato. Bisogna sempre bere, paragonare, valutare, alla fine vedrete che non ci sarà nessuno chi ci imporrà il gusto e il modo di bere.

Me so sfogato! :-)

Il segreto del successo dello Champagne?

Uno studio condotto da una università enologica ha "svelato" il segreto del successo della famosissima bevanda francese. Per quale motivo lo Champagne è così irresistibile? Beh, secondo Gerard Liger-Belair del Dipartimento di Enologia e Chimica Applicata della Faculte des Sciences di Reims in Francia il fascino di questo vino dipende dai composti aromatici compresi nel perlage. Gli esperti, per arrivare a questa tesi, hanno usato uno strumento molto sofisticato per tracciare l’impronta digitale chimica di una sostanza, cioè per scoprire tutte le particelle chimiche di cui essa è composta. Hanno usato la spettrometria di massa ad altissima risoluzione e studiato, una a una, tutte le particelle contenute nelle bollicine che ci solleticano il naso quando sorseggiamo un bicchiere di Champagne. È emerso che queste bollicine sono cariche di composti aromatici o di molecole precursori di altre molecole aromatiche che poi, subendo alcune modifiche chimiche, sprigionano aromi irresistibili.
Tali molecole aromatiche hanno la particolarità chimica di essere per metà attratte dall'acqua per metà idrofobe. Questo fa sì che, dopo aver versato lo champagne, esse rimangano intrappolate nelle bollicine in risalita nel calice. Una volta in superficie le bollicine scoppiettano e liberano gli inconfondibili aromi che fanno breccia nel cuore e nel naso del bevitore.

Ah, caso strano vuole che il Dipartimento fosse di Reims, se lo stesso esperimento fosse stato fatto in Franciacorta chissà cosa veniva fuori......

Piccoli appunti sulla verticale di Sagrantino di Montefalco Scacciadiavoli

La settimana enologica di Montefalco svoltasi la scorsa settimana prevedeva numerosi eventi tra cui visite in cantina e numerose degustazioni, tra cui questa mini verticale di Sagrantino Scacciadiavoli che prevedeva l’analisi delle annate 2006, 2005, 2004 e la 1998.
L’azienda Scacciadiavoli è una delle più antiche del territorio di Montefalco. Il nome Scacciadiavoli deriva dal nome di un antico borgo, che sorge in prossimità dell’azienda, in cui viveva un esorcista (scacciadiavoli). La cantina, costruita nella seconda metà dell’Ottocento e di recente restaurata, è razionale e dotata di moderni impianti. La dimensione aziendale è di 136 ettari, dei quali 28 ettari a vigneto in parte di nuovo impianto. I terreni, posti in comune di Montefalco ad una quota compresa tra i 300 ed i 350 metri, sono prevalentemente argilloso-sabbiosi, con una buona capacità di drenaggio. Il 50% della superficie vitata è piantata con il vitigno Sagrantino; il restante 50% è rappresentato da Sangiovese, Merlot e Cabernet.
La cantina di vinificazione e di stoccaggio , ricostruita recentemente, è stata costruita alla metà del 1800 su progetto francese del principe Ugo Boncompagni. La famiglia Pambuffetti ne ha acquisito la proprietà nel 1954; le monumentali dimensioni, quattro piani di cui uno completamente interrato, hanno dato il nome “Cantinone” alla località.
Fatta questa opportuna premessa, e tornando quindi alla verticale, abbiamo iniziato questa interessante degustazione con l’ultima annata in commercio, la 2006: le promesse e le potenzialità ci sono tutte ma non capisco però come si faccia ad uscire con un vino così ancora (troppo) giovane e scomposto, caratterizzato da una ingombrante presenza di legno ed alcol e con un tannino ancora troppo aggressivo. Le potenzialità (cercando bene) sono rappresentate da una grandissima struttura e un ventaglio aromatico giocato su note mentolate e di frutta sotto spirito. Si farà col tempo.
Il 2005, che ricordo esser considerata grande come annata a Montefalco, è più equilibrato, aggraziato, al naso la frutta rossa in confettura lascia quasi subito il posto ad un delicato floreale. Quadro aromatico più dolce, quasi femminile. In bocca però ecco uscire un omone che tira fuori tannini aggressivi ed un’acidità da misurare, forse il legno è maggiormente integrato ma anche questo Sagrantino è rimandato a data da destinarsi. Poco armonico.
Il 2004 è figlio dell’annata non certo calda a Montefalco, le abbondanti piogge che ci sono state e questo lo si intuisce già all’olfattiva dove c’è freschezza, non c’è molta frutta ed esce il lato erbaceo e floreale del vino, ci sento un pout pourri di fiori, il timo, l’alloro e un tocco di melograno. Bevendo sembra di esser di fronte ad un altro vino rispetto ai precedenti, è tutto più “soft”, struttura, tannini e acidità sono meno irruenti, possenti, complice l’annata che rende tutto più bevibile anche se c’è da aspettarsi che questo Sagrantino non viva ancora per moltissimo tempo.
Il 1998 per Scacciadiavoli è stato un anno di transizione, il vino viene ancora affinato in botte grande, solo dopo arriveranno in cantina di barriques e tonneaux. La differenza stilistica con le altre annate si sente, non tanto al naso dove escono belle note terziarie di ruggine, cuoio, goudron, prugna secca, ma soprattutto in bocca dove il vino si mantiene austero e, forse, un po’ slegato nella sua struttura visto che le parti dure e morbide del vino non erano perfettamente fuse. Nonostante ciò, con tutti i suoi piccoli difetti, rimane un vino piacevole, di grande beva e persistenza che si caratterizza per ritorni di cacao, frutta nera matura e spezie. Il miglior vino della batteria sicuramente.

Sulle tracce di "Terre del Cesanese"

Purtroppo si trovano poche notizie in giro di questa interessante realtà laziale, Terre del Cesanese non ha un sito internet, partecipa poco ad eventi e manifestazioni (sempre utili per parlare col produttore) e le uniche notizie in giro son sempre le stesse: tutto è iniziato nel 1999 quando Pierluca Proietti e soci hanno dato vita al loro progetto enologico con l'intento di esprimere al massimo le potenzialità della viticoltura e dell'olivicoltura del territorio.
La loro voglia di riscoperta delle antiche tradizioni locali, assieme alla consapevolezza che il territorio pigliese sia il fulcro non solo geografico dell'areale del Cesanese, ha portato l'azienda ad agire secondo due direttive principali:
- la selezione delle migliori piante madri di Cesanese per la loro moltiplicazione, svolta in collaborazione con importanti istituzioni regionali ed universitarie;
- la riconversione/rivalutazione dei migliori vigneti del luogo, avvalendosi delle testimonianze tramandate dalla plurisecolare cultura vitivinicola.

In cantina il lavoro è svolto direttamente da Pierluca Proietti, presidente dell'azienda, coadiuvato dall'enologo Domenico Tagliente con la sua pluridecennale esperienza.
La maturazione del vino avviene al Piglio, nella cantina dell'antico castello De Antiochia, dove la roccia crea condizioni ottimali di umidità e temperatura che non richiedono inteventi di condizionamento artificiale.
Il vino che ho degustato qualche tempo fa durante una serata AIS è il Cesanese Colle Vignali 2006, vino figlio di un Cru (non è una parolaccia eh) sito nel territorio dei Vignali, storica zona di coltivazione della vite nel comune di Piglio e posto a circa 350 m.s.l.m..
In questa splendida zona il Cesanese è sapientemente piantato su un terreno rossastro composto da tufi terrosi color ruggine derivanti da sedimentazioni del periodo Cretaceo-Quaternario, le viti hanno una densità di impianto che varia da 3300 a 4800 ceppi/Ha e sono allevate a cordo
ne speronato, con potatura a due gemme per sperone e diradamento dei grappoli.
Le uve ottenute vengono poi vinificate in acciaio (contenitori di 20 Q.li) con una macerazione della durata 21 giorni e il vino prodotto è successivamente affinato in botti grandi di rovere di Slavonia per 23 mesi subendo una decantazione naturale che permette di non filtrarlo.

Nel mio bicchiere il vino ha un intenso colore rubino, quasi violaceo, impatto olfattivo che rimanda subito alle note fruttate, alla ciliegia in tutte le sue declinazioni, nelle quali si insinuano sommessamente intriganti note di rosa, viola mammola e spezie (netta la nota di chiodo di garofano). In bocca questo Colle Vignali entra in punta di piedi, man mano però di apre, si espande in bocca, inesorabile e potente con le sue sensazioni di frutta sotto spirito e spezie dolci, graffia con i suoi tannini ancora scalcianti, giovani. Un Cesanese da tenere in cantina per alcuni anni ancora, l’affinamento non può che fargli bene, Coletti Conti è ancora lontano a mio modo di vedere, però la passione e la competenza di Pierluca Proietti lo faranno arrivare ben presto tra i primi produttori del Lazio, basta aspettarlo, come il suo Colle Vignali.

A Montefalco va in scena la verticale di Sagrantino Caprai 25 anni

Montefalco e il “suo” Sagrantino sono tornati nuovamente di scena lo scorso fine settimana con la Trentesima Edizione della Settimana Enologica, appuntamento importante per tutte le aziende coinvolte che hanno permesso ai visitatori dell’evento di immergersi per qualche giorno nella realtà vitivinicola del territorio umbro. Durante la manifestazione l’AIS ha organizzato un’interessante verticale di Sagrantino 25 anni di Caprai, produttore che, nel bene o nel male, ha dato una seconda vita e ha rilanciato in tutto il mondo il Sagrantino di Montefalco. La verticale, presentata dal bravissimo Daniele Maestri, prevedeva i millesimi 2005, 2003, 2001, 2000 e 1998. Arriviamo subito al sodo.
Iniziamo col 2005, annata cinque stelle secondo gli “esperti” del Consorzio, si presenta di grande estrazione antocianica, quasi un rubino impenetrabile che, con i suoi riflessi violacei, dimostra la giovanissima età del vino. Naso subito intenso, irruento come deve essere un bambino, ampio con i suoi richiami di mora di rovo, mirtillo, cassis, gelso, visciola, rosa, violetta, accompagnati tutti da tocchi balsamici. In bocca entra con una potenza mediata da una grande morbidezza, una rotondità che mette a tacere l’alcol, siamo sui 15°, e la sferzante acidità. Grande persistenza finale. Vino ottimo, da aspettare ma c’è Lui...
L’annata 2003 è stata difficile, lo sappiamo, il caldo non ha dato tregua e solo chi ha lavorato bene in vigna ha tirato fuori prodotti bevibili. Questo 25 anni è sicuramente figlio dell’annata, rubino carico e col naso che, rispetto al 2005, è più speziato, ci trovo il pepe nero, il chiodo di garofano e il cardamomo, poi esce la frutta rossa, in confettura, tutto è più evoluto e pronto. Bocca potente ma meno fresca del precedente vino e con i tannini ruvidi, un po’ slegati dalla struttura. Difficile da bere se non accompagnato da un cibo che riequilibri il gusto. E poi Lui…sempre Lui…
Il 2001, di colore supremo, impenetrabile, all’olfatto si presenta etereo, variegato, con sensazioni di dolcezza di frutto veramente notevoli: ciliegia matura, boero al cioccolato, mirto, alloro e ginepro, lavanda, humus, sono tutte sensazioni che si fondono amabilmente tra loro e che danno ampiezza al vino. In bocca la sensazione di rotondità del fruttato va a braccetto ed equilibra la parte dura del vino che è sempre netta e ben definibile. Una rotondità amplificata anche dalla “dolcezza” vanigliata data da Lui…
Il 2000, anch’esso figlio di un’annata relativamente calda, si presenta con un colore rosso rubino con unghia granata, segno di una terziarizzazione che inizia a farsi sentire soprattutto al naso dove il naso, pur ricco, è meno esplicito, più austero con le note di fungo, humus, spezie scure, fiori secchi e frutta ormai quasi appassita. Alla gustativa il vino si apre con prudenza, equilibrato, fino ad un’apice di esplosione di frutto speziato che va avanti per minuti. Anche qui, nonostante tutto, Lui era presente, ci guardava da lontano….
L’annata 1998 è stata davvero grande a Montefalco e dopo dieci anni sicuramente si può esprimere un giudizio serio e quasi oggettivo. Il risultato è nel nostro bicchiere, un vino compatto, vivo, lucente, dai profumi (ancora) intensi e stratificati: pepe nero e bianco, chiodi di garofano, cannella, macis, liquirizia, amarasca, sandalo, grafite, humus, Lui, sono tutti riconoscimenti che non facciamo fatica a riconoscere all’olfattiva. L’assaggio ci conferma la grandezza dell’annata con un vino che, pur mascherando la sua potenza, si espande gradualmente, inesorabilmente, fornendo una lunghezza gustativa che dura minuti, tanti minuti, dopo predominano le note di goudron e spezie nere. Sicuramente il miglior vino della batteria, forse il Sagrantino comincia a diventare “potabile” dai dieci anni in poi?
E Lui? Come si fa a sconfiggere?

Finalmente...Slowine!

Ce l'hanno fatta i miei amici di Slow Food, finalmente quel progetto di cui mi si parlava da mese, anche se tra mille difficoltà, è diventato realtà. C'era bisogno di loro perchè possono davvero portare una ventata nuova nel mondo del vino, conosco personalmente Giancarlo Gariglio e altri ragazzi del suo staff, ho lavorato con loro qualche mese fa e posso assicurarvi che sono dei ragazzi stupendi, appassionati e che, soprattutto, lavorano con grande precisione ed autonomia. Purtroppo non ho potuto partecipare alla presentazione del nuovo sito però, dandogli un'occhiata, ho potuto apprezzarne la semplicità d'uso e i contenuti, interessanti e quanto mai banali.

Slowine conterrà una corposa sezione dedicata a degustazioni tematiche (si comincia con 150 etichette di Barolo) i cui contenuti saranno aggiornati ogni 15 giorni. Queste pagine saranno arricchite da notazioni storiche e geografiche, consigli su dove mangiare, dormire, acquistare prodotti tipici in zona. Un’altra parte del sito sarà dedicata alle degustazioni di soci e fiduciari, mentre la sezione Argomenti, inaugurata da un editoriale del presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese, occuperà metà dei contenuti del sito e affronterà di volta in volta discussioni sulle tematiche di più stretta attualità riguardanti il mondo del vino.

Alla presetazione ufficiale avvenuta nella sede storica di Brà erano presenti alcuni giornalisti e blogger del settore tra cui l’ideatore di Winesurf.it Carlo Macchi, l’autore del blog Vinoalvino.org Franco Ziliani, la responsabile di Wein-plus.de Katrin Walter, e l’agronomo Maurizio Gily; coordinava l’incontro Sergio Miravalle, giornalista de La Stampa e autore del blog Giro di vite su www.lastampa.it.

Secondo quanto riportato dal sito La Voce, Franco Ziliani, che ha ringraziato Slow Food per l’invito nonostante qualche posizione divergente negli anni passati, ha raccontato l’esperienza del suo blog definendola “una donchisciottata”, un modo per scrivere quello che sui giornali, condizionati dagli introiti pubblicitari, non sarebbe possibile pubblicare. «Il blog, inoltre», sostiene Ziliani, "permette un confronto immediato tra autore e lettori attraverso i commenti. Lettori che sono più numerosi quando si affrontano le problematiche dell’enologia di quando si pubblicano semplici degustazioni".

Maurizio Gily ha puntato l’attenzione sulla difficoltà, per i giornalisti, di trovare dati certi relativi alla diffusione e commercializzazione del vino nei siti istituzionali, contrariamente a quanto avviene in Francia o in Spagna. «Ci si trova poi» ha continuato Gily "alle prese con siti bellissimi dal punto di vista formale, ma poveri di contenuti e spesso non indicizzati. La verità è che si conosce ancora poco il mezzo e si punta a investimenti sbagliati. Con le prossime generazioni, il discorso cambierà".

Per Carlo Macchi, internet sarebbe il campo ideale per le inchieste, ma finché la gente non capirà che è giusto pagare per ricevere le notizie esattamente come quando acquista un quotidiano, sarà difficile per chi gestisce un sito avere i mezzi per realizzarle. Un problema tutto italiano, a sentire Katrin Walter che gestisce un sito tedesco il cui accesso è riservato agli abbonati e che, nonostante questo, riscuote un grosso successo.

Avanti così ragazzi e chissà se su Slowine, prima o poi, leggerete anche una mia recensione?!?!?

L'Open Baladin sbarca a Roma. Oggi si parla di birra artigianale!

Ieri sera in Via degli Specchi a Roma è andata in scena l'inaugurazione della nuova creatura firmata dalla premiata ditta Musso, Farinetti, Di Vincenzo. "Open", all'inizio era solo un nome, quello di una birra nata dall'idea di realizzarne una con una forte personalità. Passa il tempo e nella testa di Teo quel nome diventa sinonimo di condivisione, viene pubblicata sul web la ricetta in modo che ognuno possa svilupparla in tutto il mondo. Nasce, pian piano, un vero e proprio progetto "Open" che si articola per svilupparsi con modalità "aperta" come una sorta di passaggio rivolto a chiunque sia interessato all'argomento birra. E' così che questa birra "open source" ha fatto e sta tutt'ora facendo da apripista alla fase due del progetto, ovvero l'apertura di alcuni locali che ne portano il nome "Open Baladin". Dopo l'apertura del locale "zero" a Cinzano, in Piemonte, da ieri anche Roma ha avuto il suo "Open" che si caratterizza per ospitare circa 100 birre in etichetta e ben 40 birre alla spina che cercheranno di rappresentare in un unico contesto quanto di meglio gli artigiani birrai italiani sanno fare. Dal punto di vista gastronomico tutta la banda "Open" sarà supportata e sfamata da Gabriele Bonci e Andrea De Bellis che proporranno all'interno del locale una cucina da loro definita "al volo", quella che una volta si snocciolava in un "...mamma mi fai qualcosa in fretta che devo uscire?". Così, tra i vari tavoli del locale (interessante quello dove erano seduti Bolasco e Bonilli), ieri si sono potuti mangiare con gusto vari sfizi come polpettine al forno, fritti, mezze rosette ripiene al sugo di coda alla vaccinara, insalate "miste", etc...
Sicuramente le premesse sono buone, il locale è bellissimo e arriccohito da alcune stanze in stile folk dove bere una buona birra senza troppo caos attorno.
Dal 23 Settembre il locale sarà aperto al pubblico, speriamo abbia il meritato successo anche se vorrei ricordare che a Roma la grande birra artigianale non si beve solo qua ma potete trovarla anche da Colonna al “Ma che siete venuti a fa”, al “Bir&Fud” e da Alex al 4:20.

Tutti nudi in Borgogna per salvare il vino francese

Tutti nudi nel cuore della Borgogna per salvare il vino. E' l'idea dell’artista americano Spencer Tunick che torna a collaborare con Greenpeace. Questa volta sarà in Francia per allestire una delle sue installazioni 'senza veli' per mobilitare l’opinione pubblica sulla gravità dei cambiamenti climatici. L’evento, cui si può partecipare ovviamente solo nudi, si svolgerà il 3 e 4 ottobre 2009 presso una casa vinicola nel sud della Borgogna, dove l'impatto del riscaldamento globale sta mettendo in pericolo la produzione dei prestigiosi vini francesi. Il recente rapporto di Greenpeace 'Impacts of Climate Change on Wine in France' denuncia infatti come, con un aumento delle temperature oltre i due gradi centigradi, la Francia dovrà affrontare un drastico spostamento verso nord di numerosi ecosistemi, con gravi effetti per la produzione vinicola. Entro il 2100 si stima infatti che le aree vinicole si sposteranno a nord di mille chilometri. "Dobbiamo lasciar 'parlare' il nostro corpo - dice Francesco Tedesco, responsabile della campagna clima di Greenpeace Italia - per spronare i leader del mondo a salvarci dagli impatti del clima".

Da oltre quindici anni le opere di Tunick simboleggiano la relazione tra il genere umano e la natura:"Spero che il mio lavoro porti l’attenzione sulla vulnerabilità della nostra esistenza”. In tutto il mondo l’artista ha realizzato oltre 75 'body landscape' nel cuore di aree urbane o naturali , utilizzando centinaia di modelli, sempre completamente nudi. Modelli, ma anche gente comune. Greenpeace e Tunick invitano quindi a registrarsi e partecipare all’evento. L'unico requisito richiesto è 'lasciare a casa per due giorni i vestiti' www.greenpeace.fr/tunick.

(fonte Adnkronos)

Chissà se in Italia si potrebbe fare una cosa del genere magari per salvaguardare il nostro Brunello di Montalcino? Voglio Biondi Santi e Ziliani nudi per la causa!!

Ma davvero siamo tutti così enosboroni?

Lo scorso venerdì, mentre prendevo un aperitivo da Settembrini a Roma, accanto al mio tavolo si sono seduti alcuni dei più importanti sommelier dell'AIS Roma, tra cui spiccava Alessandro Scorsone, sempre più pettinato e patinato e per l'occasione orfano della giunica Antonella Clerici.
Pochi minuti, il tempo di leggere la carta dei vini, e dietro le mie spalle si è scatenato un vero e proprio "inferno" dialettico fatto di boria e ostentazione, tutti che cercavano di dimostrare la loro bravura, la loro preparazione, esaltandosi di aver bevuto vini epici in annate introvabili.
Mi è venuta in mente l'immagine dei pescatori che con i loro amici si vantano, senza dimostrarlo, di aver pescato pesci giganteschi, lunghi e pesanti come balene.
Alsazia, Borgogna, Bordeaux, Barolo, Sassicaia, Toscana, spezie impossibili, odore di cuoio russo, enogossip, tutti a gonfiarsi il petto con paroloni e teorie che, sono sicuro, nemmeno loro capivano.
Ho vissuto un'ora di puro fanatismo enologico e ho pensato se, anche io con i miei amici, sono così o, per dirla meglio, se col passare del tempo, affinando le mie capacità enologiche, diventerò così come loro.
Non voglio fare questa fine, il vino non si ostenta perchè è cultura, e tutto questo non aiuta chi , anche solo per gioco, vuole iniziare ad entrare nel "nostro" mondo, fatto di terra, sole, lavoro e tanta passione. Il vino di qualità non è e non deve diventare un prodotto elitario, deve rimanere popolare.
Ah, solo per informazione, da Settembrini ho bevuto un interessate Riesling Brut Spumante "La Palazzola" 2003 un metodo classico caratterizzato da note minerali, di frutta tropicale e fiori di acacia. In bocca è ampio, di carattere, tornano le note olfattive e, cosa che mi ha lasciato favorevolmente impressionato, lo spumante è dotato di bella persistenza lasciando la bocca fresca e gradevolmente sapida.
L'ho provato abbinandolo ad un Grana Padano di media stagionatura e devo dire che il matrimonio era più che discreto. Voglio riprovarlo più attentamente perchè, secondo me, ha potenzialità ancora inespresse.
Chi glielo diceora a quelli seduti vicino a me che non c'è solo il Krug?

Nel mondo del vino, oltre le etichette, ci sono anche i Tappi Parlanti.....

"A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?"

Questa non è l'ultima critica a Berlusconi ma semplicemente quello che potreste trovare scritto sul tappo della vostra bottiglia preferita.
L'idea è tutta italiana e nasce in Sicilia dove l'azienda Tenuta dei Fossi in provincia di Siracusa, produce vino nei cui tappi vengono incisi famosi aforismi, perchè anche un oggetto spesso considerato secondario può invece avere un ruolo importante nella scelta di un vino.

Angelo Paternò, fondatore della casa vinicola ed enologo da oltre 25 anni, spiega così questa originale scelta di marketing: "abbiamo fatto incidere nei nostri tappi questi aforismi, per coniugare il vino alla cultura, un'idea per fare riflettere mentre beviamo un sorso di vino". Dopo l'iniziativa del Vino Parlante - etichette staccabili poste sul retro della bottiglia contenenti tutte le informazioni sul prodotto ed i giusti abbinamenti con il cibo - l'iniziativa siciliana punta sul tappo come strumento di comunicazione per rendere speciale l'esperienza della scelta del vino e della sua degustazione.

Che dire, un'altra operazione di marketing che potrà avere successo ma che non mi farà cambiare idea sulla questione principale: fate del grande, grandissimo vino e non avrete bisogno d'altro. Che ne dite?

Ah, la frase iniziale era del grande Totò.

(fonte: http://abagnomaria.blogosfere.it)

Grandi vini da piccole vigne - seconda parte del resoconto

Eccoci alla seconda parte del resoconto della manifestazione Grandi Vini da Piccole Vigne.
Durante il mio tour tra i banchi di assaggio sono stato piacevolmente stupito dal Ragis 200 dell’azienda “Le Vigne di Raito”. Situata a pochi chilometri da Salerno, nel territorio di Vietri sul Mare, l’azienda, in conversione biologica dal gennaio 2008, coltiva le viti sui tipici terrazzamenti dove la pendenza è tale da costringere il produttore a lavorazioni esclusivamente manuali. Il suo unico vino, il Ragis Rosso, è prodotto da uve Aglianico e Piedirosso che, sapientemente vinificate, danno vita ad un prodotto dalle suadenti note mediterranee, nette e profonde come la vegetazione che avvolge le viti a picco sul mare.
Il vino offre maggiori complessità aromatiche grazie anche alle sensazioni di marasca, liquirizia e china. La grande struttura data dall’Aglianico e l’equilibrio del Piedirosso ne fanno un vino molto interessante e dalla facile beva. Ancora non lo trovate in commercio però, qua a Castelvenere c’è stata una vera e propria di anteprima.

Il nostro giro enologico ci conduce ora a Ponza, nell’azienda agricola di Marisa Taffuri e Maurizio Pouchain che, per primi, hanno impiantato sull’isola dopo quaranta anni vigneti fitti e bassi, di moderna concezione, ed hanno realizzato una piccola cantina d’avanguardia che, ad oggi, produce circa 4000 bottiglie. In questo luogo incantato in mezzo al mare nasce il Don Ferdinando, spumante brut metodo classico, prodotto da uve Chardonnay e Malvasia, che riposa sui lieviti per circa 12 mesi. Mi sento di segnalare il Don Ferdinando non tanto per la sua qualità, ottima se consideriamo che si tratta quasi di uno spumante quasi artigianale, ma quanto per il coraggio di una produttrice che, in un piccolissimo fazzoletto di terra strappato al mare, cerca di portare avanti la sua passione nonostante il mercato forse richieda altro. Complimenti.

Altra segnalazione sicuramente per l’azienda Eleano, situata nel Vulture, i cui vigneti si trovano nel territorio di “Pian dell’Altare”, una delle zone maggiormente vocate per la produzione di Aglianico di qualità. Durante la manifestazione ho potuto degustare il loro Eleano, un vino che ha nell’equilibrio e nella morbidezza i suoi caratteri principali, di bella beva sicuramente anche se qualcuno potrebbe obiettare sulla classicità del vino.

Il mio ultimo consiglio, ma non per questo meno importante, riguarda l’Antica Masseria Venditti, un’azienda vitivinicola che risiede a Castelvenere da tempo immemore. Nicola Venditti, proprietario ed enologo, con amore e passione produce vini nel rispetto della Natura come il Vàndari, falanghina in purezza, che profuma di mela stark, biancospino ed erba tagliata e che al gusto si presenta bilanciata e vigorosa allo stesso tempo. Altro grande vino da piccola vigna della Masseria Venditti è sicuramente il Barbetta rosso, 100% Barbera, il cui clone autoctono, denominato in azienda Barbetta, è stato salvato negli anni ’30 dalla fillossera. Naso fruttato e una bocca di grande personalità per un vino che, seppur poco complesso, rientra tra i migliori assaggi a Castelvenere.
Grazie ancora a Luciano Pignataro e Mauro Erro per aver organizzato il tutto e alla prossima edizione!

In enoteca a Pietrasanta, un'esperienza high-cost!

Leggo su molti blog pagine e pagine di post e commenti sempre sul solito argomento: i ricarichi sul vino che effettuano enoteche e ristoranti. Si scrive ormai di tutto e di più, enotecari che cercano di far capire a noi poveri mortali che la loro percentuale applicata è tale da garantire loro la sopravvivenza, ristoratori che giustificano i loro ricarichi sulla base delle molte (?) spese di gestione e servizio. In tutto questo marasma, a volte, si insinuano anche i produttori di vino che lanciano anatemi sui ristoratori, rei di guadagnare col loro prodotto più di loro. Chi ha ragione? Boh non so, dovrei lavorare in una enoteca o in un ristorante di livello per capire certi meccanismi però una cosa è certa….a volte si esagera. E’ il caso dell’enoteca Marcucci di Pietrasanta la cui carta dei vini, purtroppo, mi si è rivelata davanti dopo aver visitato il loro sito. Di Marcucci ne ho sentito parlare molto bene, soprattutto da Daniele Cernilli che, visitando l’enoteca qualche giorno fa, ha espresso giudizi notevoli riguardo la lista dei vini del locale. La curiosità, così, mi ha spinto a verificare la carta dei vini, dell'enoteca che, dopo una prima lettura, sicuramente ha davvero pochi rivali in Italia, sia per la sua ampiezza, sia per i prezzi proposti, dal mio punto di vista davvero eccessivi e senza scusanti.
Un esempio? Cliccate qua e cercate, tanto per fare un esempio, Le Macchiole.
Tutto normale? Oppure comprate e bevete sempre lo Scrio 2005 a 250 euro? Calcolando che è un vino che in enoteca a Roma trovo al massimo a 90 euro (su internet si trova anche a 50/60 euro), calcolando che l’enoteca romana applica alla bottiglia un margine del 30-40% (per cui acquista dal distributore 50 euro), mi spiegate voi come si fa a vendere, anche fosse al tavolo, una bottiglia così a cinque volte il prezzo di acquisto (500% di margine)? Vogliamo parlare del Paleo 1995? Venduto a 1000 euro? A quel prezzo ci compro La Tache al ristorante.
Ho fatto notare la cosa a Cernilli sul forum del Gambero Rosso e, fortunatamente, anche lui è rimasto basito, ha scritto che forse l’enoteca non vuole vendere Le Macchiole.
Allora non sono proprio matto, chissà cosa ne pensa di tutto questo Cinzia Merli.....

I piccoli grandi vignaioli di Castelvenere - prima parte

Come detto nel precedente post, Grandi vini da piccole vigne è stata una rassegna che mi ha sopreso per l'elevata qualità dei prodotti offerti, vini fatti da vignaioli veri che per tre giorni sono stati portati alla ribalta mediatica da Luciano Pignataro e Mauro Erro. Tante le cantine di cui vorrei poter parlare, cercherò di dare una visione di insieme sottolineando che ognuno dei produttori presenti meriterebbe una visita approfondita in cantina.

La prima sorpresa della serata è stata sicuramente Cantina Giardino, azienda di Ariano Irpino che si propone l'obiettivo di valorizzare i vitigni autoctoni, in particolare i vini ottenuti da viti di età oltre i 30 anni al fine di salvaguardare l'originaria varietà biologica nel vigneto ed incentivare i vignaioli ad evitare gli espianti delle vecchie viti. Tra i loro vini una menzione speciale merita il T'ara ra' 2007, greco in purezza da vigneti di oltre 40 anni, che prende tutto il suo fascino organolettico da una macerazione e fermentazione sulle bucce per 7 giorni, da una fermentazione con lieviti naturali in tino aperto evitando, al momento dell'imbottigliamento, chiarifiche e filtrazioni. Un altro vino di Cantina Giardino che mi ha colpito è stato il Sophia 2007, uvaggio di Greco, Fiano e Coda di volpe, fermentato e macerato in orci di terracotta da 200 litri con lieviti naturali per 180 giorni e affinato in legno esausto scolmo. Un vino che, a detta di Mauro Erro, sembra al palato un piccolo Borgogna bianco. Ah, Cantina Giardino non fa solo grandi bianchi, provate anche i loro rossi, in particolare il Nude, Aglianico di Irpinia 100%, vi regalerà grosse sorprese.

Altra segnalazione importante è Monte di Grazia, azienda agricola biologica che risiede a Tramonti, uno dei tredici comuni del comprensorio amalfitano. Tutti i vigneti, tra cui spicca il Monte di Grazia (550 metri s.l.m.), sorgono a ridosso della Costiera Amalfitana e risentono non solo dell'influsso del libeccio e della brezza periodica proveniente dal mare che mitiga in estate ed in inverno il clima collinare, ma anche dal vento del Nord.
Monte di Grazia ha una grande patrimonio: molto dei suoi vigneti sono di notevole dimensione e pluricentenari, a piede franco come ad esempio il Tintore e il Piedirosso, antichi vitigni che Alfonso Arpino, il proprietario dell'azienda, coltiva alacremente e da cui nasce il Monte di Grazia Rosso Campania IGT che, durante la manifestazione ho degustato nell'annata 2006. Un vino che mi ha piacevolmente spiazzato in quanto aveva un olfatto unico, mai percepito in altri vini, dove tutte le componenti aromatiche,dalla frutta alle spezie, dalla china al caffè (tanto per citarni alcuni) si rincorrevano a ritmi così serrati che, ad ogni olfazione, mi pareva di esser di fronte a un altro vino. Un grande vino sotto i dieci euro che comprerei a bancali.
Come al solito mi sono dilungato per cui dovrò scrivere un altro post per concluedere l'argomento. Alla prossima settimana per le altre segnalazioni!

Primo resoconto su Grandi vini da piccole vigne: la verticale di Taurasi delle Cantine Lonardo - Contrade di Taurasi

Grandi vini da piccole vigne, primo festival meridionale delle piccole vigne, è stato sicuramente un evento che mi ha lasciato bellissimi ricordi e, dal punto di vista enologico, l’ho trovato sorprendente e alternativo. Sorprendente perché onestamente non pensavo di trovarmi di fronte a così tanti prodotti di grande qualità (plauso a Luciano Pignataro ed Mauro Erro per la scelta delle cantine), alternativo perché nei giorni passati, a Castelvenere, si era di fronte ad un bere differente, lontani dalle mode e dai richiami del successo, c’erano solo loro, una manica di umili vignaioli che col sudore producono poche bottiglie e che si imbarazzano se gli fai un complimento sul vino che versano nel bicchiere. Andare ai loro banchi di assaggio è come entrare un po’ a casa loro, ti aprono il loro mondo di cui ancora sono un po’ gelosi, non c’è ostentazione ma solo tanto lavoro contadino. Uno di questi grandi piccoli vignaioli è Alessandro Lonardo che con la moglie Enza e le figlie, più un ristretto numero di validissimi collaboratori tra cui l’enologo Maurizio De Simone, porta avanti dal 1998 il marchio “Contrade di Taurasi”, la cui filosofia aziendale si basa su principi chiari e imprescindibili: • Uso di materie prime provenienti solo dai vigneti aziendali; • Sperimentare nuove tecniche agronomiche ed enologiche nel rispetto della tradizione; • Ottimizzare i processi di produzione al fine di raggiungere un giusto rapporto q/p; • Uso di lieviti autoctoni per esaltare le caratteristiche organolettiche tipiche del vino. Prologo della manifestazione, ed interessante occasione per conoscere ed apprezzare questa importante cantina, è stata la verticale del Taurasi Docg delle Cantine Lonardo – Contrade di Taurasi nelle annate: 2005 – 2004 – 2001 – 2000 – 1999 – 1998.

2005: questa è stata la prima annata dove si sono utilizzati lieviti autoctoni selezionati dopo che, nel 2001, è stato avviato il progetto con il Prof. Giancarlo Moschetti dell’Università di Palermo. Ultimo millesimo in commercio, è ancora un bimbo in fasce e lo si capisce dal fatto che il timbro fruttato è ancora quasi preminente su tutti gli altri riconoscimenti olfattivo. Frutta rossa, croccante, ben definita accompagnata da una nota di vinosità. In bocca si conferma giovane ma potente, compatto, con un tannino tutto da smussare ed una bella vena acida che permetterà a questo vino di evolversi per ancora tanto, tantissimo tempo.

2004: figlio di una annata che definiscono ottima, presenta un quadro aromatico già più complesso ed elegante del 2005: la frutta è più evoluta, strutturata, escono tono floreali e un lieve minerale. La bocca è molto più aggraziata, se vogliamo più esile della precedente annata, ma l’equilibrio raggiunto è gia stupefacente e fa sì che questo Taurasi sia di grande bevibilità ora e di grande futuro tra pochi anni. Ottimo.

2001: andiamo indietro nel tempo e subito il naso lo riconosce, il vino è più profondo, cupo, complesso, sa di chiodi di garofano, marasca, erbe aromatiche. Un Taurasi che esprime in questa annata un’anima mediterranea e che in bocca, nonostante gli otto anni di età, è ancora ricco, equilibrato e di bella persistenza su ritorni speziati. Piccola curiosità: per fare questo vino le uve sono state vendemmiate in cinque passaggi.

2000: è un vino figlio di un’annata calda, un vino che esprime comunque al meglio tutti i caratteri del millesimo senza risultare “cotto”. Il naso è più immediato, diretto, l’esuberante nota alcolica fa da volano alle sensazioni di frutta in confettura, spezie, fiori rossi macerati. In bocca è chiaramente caldo, la nota alcolica è un po’ bruciante e per questo risulta meno elegante dei suoi fratelli minori. Sicuramente il peggiore della batteria ma, se adeguatamente abbinato a tavola, darà grandi risultati.

1999: entriamo con questo vino in una dimensione più eterea, forse la quintessenza del Taurasi che con questa annata si fa accattivante, di rara complessità con un’impronta aromatica di frutta rossa matura impreziosita da eleganti spunti di grafite, goudron, radici, polvere di caffè, humus, fiori rossi essiccati. Bocca di grande carattere ed eleganza, di ottima finezza e raro equilibrio. Forse manca un pò nella persistenza finale. Rimane un grande vino, uno dei migliori della batteria per integrità, grazia e complessità.

1998: è il primo anno di produzione del Taurasi, i protagonisti ci raccontano di un vino fatto quasi in garage, estremamente artigianale, dove la voglia di fare in qualche modo sopperiva un’esperienza ancora da sviluppare. Il vino sia al naso che in bocca denota non è integro come l’annata precedente, i capelli bianchi ci sono e si fanno notare soprattutto per quanto riguarda l’equilibrio generale che denota una iniziale scissione tra parti dure e morbide del vino(soprattutto l’acidità). Nonostante questo siamo di fronte ad un bel Taurasi che, sorso dopo sorso, si lascia bere alla grande e che, nonostante questi piccoli difetti, farebbe le scarpe a molti vini che ancora oggi troviamo in commercio. La classe c’è e non è acqua…è vino!

Cosa lega Paris Hilton e l'Ornellaia 1998?

Vabbè lo so, qualcuno la notizia potrebbe già saperla ma io sono stato fuori Italia per venti giorni e certe notizie le ho perse. Come posso non commentare questa?
Ma lo sapevate che, secondo l'ereditiera più tr... del mondo, c'è un famoso vino italiano che pare avere poteri opposti al Viagra?
Infatti, Paris Hilton sostiene che per alleviare i suoi (frequenti) ardori sessuali è solita riempire di purissimo vino Ornellaia la sua vasca idromassaggio provvista di cascate artificiali e giochi di luce. Attenzione all'annata però, la signorina preferisce solo il 1998, per cui se avete quel millesimo in cantina sappiate che c'è una ricca donna in giro per il mondo che potrebbe strapagare la vostra bottiglia col solo fine di permettere alle paperelle da vasca di galleggiare in maniera migliore. Quanto spresco, ma il Tavernello proprio non gli piace? Pare di noi visto che la Hilton sostiene di custodire 0 bottiglie nella cantina della villa californiana di Sherman Oaks, a nordovest di Los Angeles. Morale della favola? Non bevete più Ornellaia visto che è peggio del bromuro e se proprio lo dovete dar via perchè vi ammoscia.....datelo a me che sta robaccia la bevo molto volentieri....

Grandi Vini da Piccole Vigne!


Oggi andrò a questa bella manifestazione ideata da Luciano Pignataro e diretta tecnicamente da Mauro Erro. Sono tutte cantine che non conosco per cui sarà un'occasione di crescita culturale per me. Due i produttori che sono curioso di visitare: Cantina Giardino con i suoi vini estremi e Taffuri Pouchain che si trova nella piccola isola di Ponza e che produce uno spumante davvero di nicchia.
A presto per un completo resoconto.

Cinqualino Beach, Petrus e Russi coi soldi....

Scusate qualcuno potrebbe dare il mio numero di telefono a quei simpatici russi che ieri sera al Cinqualino Beach hanno pagato per due Krug e due Petrus, annate 1992 e 1996, la bellezza di ben 10.000 euro???? Se me li contattate potete dirgli che le annate che hanno bevuto non valgono quei soldi e che se proprio vogliono comprarsi due Petrus glieli vendo io a 2500 euro senza pretendere la mancia di 4200 euro che hanno lasciato ai camerieri? A proposito, Sergio Moresco, proprietario del ristorante, ha affermato che il vino gli è stato servito come accompagnamento a due granchi alla catalana con aragoste e gamberi. Secondo voi è l'abbinamento ideale? Ma che abbinamento è??????????? E il Krug con che l'hanno abbinato? Coi salatini e le olive di Gaeta??????Ma non è che il cameriere si è sbagliato e i russi avevano chiesto questo di Petrus?

Coletti Conti e quell'emozione chiamata Romanico

Non leggete le righe seguenti perché sarò parziale, ma come fare a non essere di parte e un po’ campanilistico quando si scrive un articolo su uno dei migliori vignaioli italiani che, scusate se è poco, è anche della mia Regione?
Anton Maria Coletti Conti (Antonello per tutti i suoi amici) da Anagni discende dalla famiglia Conti, un antico casato che ha dato ben quattro Pontefici alla storia della Chiesa: Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Innocenzo XIII. Cosa ti aspetti da una persona con una storia così? Che faccia come minimo il mestiere il notaio. Antonello questa strada la stava intraprendendo ma, qualcosa, nel suo destino l’ha spinto altrove: “La Caetanella”, il podere di proprietà della famiglia, dato che il padre non poteva più gestirlo, aveva bisogno delle sue cure, non poteva disperdersi così un patrimonio che gli apparteneva da tempo immemorabile. Da quel momento in poi Antonello si è tolto la giacca e la cravatta da aspirante pubblico ufficiale e ha cominciato a diventare quello che è oggi, il deus ex machina della sua azienda vitivinicola: agronomo, enologo e proprietario al tempo stesso di quelle viti, soprattutto di Cesanese, che lui oggi considera delle vere e proprie figlie. Il 2003 per Anton Maria Coletti Conti rappresenta l’anno di svolta, l’anno in cui costruisce la sua cantina e, invece che produrre uve da portare in cantina sociale, inizia a vinificare in proprio senza compromessi, vuole fare il Suo vino. Nasce così il Romanico, frutto della vinificazione in purezza dei migliori Cru di “Cesanese di Affile”, che nel millesimo 2006 si conferma all’altezza delle aspettative anche se siamo tutti coscienti che, una volta aperta la bottiglia, si sia commesso un infanticidio.
Di un colore rubino quasi impenetrabile, il Romanico 2006 si conferma estremamente complesso all’olfatto con il suo ricco ed ampio bouquet a
romatico che spazia dalla marasca al ribes, dalla mora di rovo al corbezzolo, poi man mano che si apre emergono note più ammalianti di gelso, viola, liquirizia, cioccolato e spezie dolci. Un naso estremamente variegato ed elegante nonostante il grado alcolico che, in stile Coletti Conti, supera abbondantemente i 15°. Questo però non deve ingannare chi degusta il vino, il Romanico, come gli altri vini aziendali, è tutt’altro che una marmellatona di frutta e ciò si può capire tranquillamente alla gustativa dove il vino si presenta sicuramente di grande estrazione e di estremo, vellutatissimo equilibrio. Grandissima persistenza, chiude con bei richiami di frutta rossa matura, liquirizia e caffè. Un vino da bere a sorsate ora ma che, se adeguatamente atteso, darà grandi emozioni.

Ritorno dalle vacanze con una certezza: la Manzanilla de "La Cigarrera"

Torno dopo venti giorni passati nelle calde terre spagnole dell’Andalusia. Un viaggio che mi ha permesso di conoscere vini interessanti, sicuramente fuori dalle rotte dei grandi mercati ma che, forse per questo, sono dotati di grande originalità e fascino.
Passando per Sanlúcar de Barrameda non potevo esimermi dal visitare “La Cigarrera”, una Bodegas storica di questo territorio che, per le sue caratteristiche pedoclimatiche (qua il fiume Guadalaquivir sfocia nell’Oceano Atlantico), da vita al Jerez (meglio conosciuto col termine inglese Sherry) di intrigante impronta salina.
“La Cigarrera” è una cantina fondata nel 1758 da Don José Colóm Darbo che, pian pianino, iniziò a comprare terreni in città per cominciare a produrre jerez. L’attività è andata sicuramente bene visto che oggi siamo alla nona generazione e, nonostante i suoi piccoli numeri, “La Cigarrera” rimane una realtà molto importante nel settore soprattutto perché tutto è rimasto a livelli artigianali e i vini, soprattutto la Manzanilla, rimangono di grande spessore qualitativo.
Jerez e Manzanilla, che rapporto c’è tra loro? Il Jerez è stato il primo vino della Spagna al quale fu conferita la Denominación de Origen (DO) la cui area è delimitata dai territori dei comuni di Jerez de la Frontera, Sanlúcar de Barrameda e El Puerto de Santa María. Le uve utilizzate per la produzione del Jerez sono tre e precisamente Palomino, Pedro Ximénez e Muscatel.
Il Jerez viene classificato secondo cinque stili specifici (per approfondimenti vedere qua)
  • Fino
  • Amontillado
  • Palo Cortado
  • Oloroso
  • Cream
  • Pedro Ximénez
E la Manzanilla dove è? In quale stile la possiamo ricondurre? Questa tipologia di vino fa parte della categoria Fino ma si diversifica dallo stesso perché, in qualche modo, entra in gioco in questo caso il concetto di “terror”. Infatti solo a Sanlúcar de Barrameda può essere prodotta la Manzanilla che, grazie allo sviluppo e alla protezione del flor, lo strato di lieviti superficiali che si sviluppa all’interno della botte sopra la superficie del vino, mantiene caratteristiche uniche ed inimitabili.
Durante la visita alla Bodegas, che costa circa 3 euro a persona, abbiamo visitato tutta la cantina colma di botti di rovere americano accatastate secondo il metodo soleras y criaderas e abbiamo degustato, alla fine del tour, parte dei loro vini.
Curioso come una scimmia non ho potuto non degustare la loro Manzanilla che ho trovato di un gradevole impatto olfattivo giocato su sensazioni di miele, fiori bianchi e melone. Al palato esce tutto il “terroir” di Sanlúcar de Barrameda visto che il palato diventa gradevolmente salino e ricco di spunti di frutta fresca estiva, mandorla e vaniglia (il legno purtroppo in un vino così giovane è difficile da debellare).
Passando per gli altri stili sono arrivato al capo opposto, al Pedro Ximénez, un vino prodotto al 100% da uva omonima e che trasmette intensi effluvi di prugna, caramello, uva passa, fichi secchi, chiodi di garafano, mallo di noce, ciliegia matura. Un gran vino dolce, certamente non indimenticabile in questa versione, ma che porta con se un finale interminabile e di grande carattere. Col cioccolato poi è il massimo!

Percorsi di Vino va in vacanza.....

...............e torna il 20 Agosto!
Ragazzi godetevi queste vacanze e cercate di bere poco ma bene.
Ah se lo incontrate in spiaggia......non sono io....