di Angelo Peretti
Non ci provo neppure a pronunciarlo. Troppo difficile.
Mi basta scriverlo, ed è difficile anche semplicemente scriverlo. Si scrive
così: smørrebrød, con quelle tipiche o barrate danesi che si pronunciano come
delle o dette a bocca stretta, grosso modo. È una parola danese, appunto.
No, meglio, è un simbolo della gastronomia della Danimarca. Viene da “smor og
brod”, che significa “burro e pane”. Ma il burro e il pane – che è
rigorosamente di segale, acido, marrone scuro, compatto e si serve affettato –
sono solo gli ingredienti base. Perché sopra alla fetta imburrata ci può andare
di tutto. L’aringa in primis, in tante varianti diverse e poi unita a senape,
capperi, cipolla, rafano, uovo, maionese, cetrioli in agrodolce e chissà che
altro, a seconda dello stile della famiglia o del ristorante. Ma poi c’è lo
smørrebrød al fegato di maiale, quello al salmone, quello al roast beef, alla
tartata di manzo e altri ancora.
Per i turisti, viene fatta una semplificazione
espositiva dicendo che è una specie di “open faced sandwich”, un panino aperto,
ma è riduttivo. È molto di meglio, è molto di più. In tavola arriva il pane con
sopra già i vari ingredienti, oppure arrivano gli ingredienti e bisogna
metterli sopra al pane nell’ordine preferito, dopo averlo imburrato. Poi lo
smørrebrød va tagliato a quadratini col coltello e si mangia così, a piccoli
bocconi, con la forchetta. Insieme ci si può bere la birra, e in Danimarca se
ne trova di buonissima, ma il massimo è accompagnarci bicchierini di snaps, un
distillato, un’acquavite aromatizzata, e ogni snaps ha il suo accostamento
ideale. Un rito, insomma, che induce alla lentezza, alla chiacchiera, alla
convivialità. Poi ci si domanda perché le statistiche affermino che la
Danimarca è il paese più felice al mondo. Se vi capita di essere da quelle
parti, entrate in un locale che faccia smørrebrød di qualità e capirete.
La scoperta la devo a un eccellente wine writer danese,
Ole Udsen. Trovandomi a Copenhagen gli ho chiesto consigli. “La cosa la più
importante che devi sapere – mi ha detto – è che l’unica cucina davvero e
unicamente danese è quella del smørrebrød. Su pane, normalmente di segale,
acido e molto-molto denso e succoso, posiamo tante cose, vegetali, di pesce o
di carne, con grande fantasia. È una cucina di pranzo, non di cena, e molto
buona. Ci sono tantissimi ristoranti che lo fanno, e sicuramente non tutti lo
fanno bene, ma quelli che fanno bene lo fanno con ingredienti freschi, scelti e
cucinati a casa”.
Ne ho
provati due, ad entrambi ho attribuito un applauso virtuale. Fantastici.
Il primo
è stato l’Aamanns Deli & Take Away. Posto piccolino, informale, con due
salette e due diversi ingressi. Ole l’ha definito “il re del smørrebrød nuovo”.
A colpirmi sono state la pulizia dei sapori e la perfetta definizione delle
materie prime. Ma anche la competenza del personale. E poi le snaps,
aromatizzate da loro, e in particolare quella al rafano e limone vorrei avercela
sempre nella mia dispensa, perché accidenti che buona che era, e come puliva
perfettamente il palato tra un boccone e l’altro. Indimenticabili
lo smørrebrød con aringhe marinate all’antica con formaggio, prugne in
salamoia, rafano e segale, quello con pâté di fegato caldo con funghi, pancetta
croccante, rape rosse in salamoia ed erbette fresche, quello con la mousse di
avocado, cipolla in agrodolce, crema di limone, cavolo e chips di pane di
segale e quello con il controfiletto grigliato con maionese affumicata, cipolle
rosse in agrodolce e nocciole. Impossibile fare una graduatoria, semplicemente
splendidi tutti.
Il
secondo locale è stato il Restaurant Palægade. A pranzo fa soprattutto
smørrebrød, la sera cucina. Ampio, elegante, leggermente formale, caldo,
accogliente. Grande gentilezza. Una scelta notevole di snaps e una bella lista
vini. Io sono andato sulle snaps e tra quelle bevute ne ho trovata un’altra che
vorrei avere in casa, quella al pepe lungo indonesiano fatta dalla Copenhagen
Distillery, di una classe cristallina. Ho voluto provare la degustazione di
quattro smørrebrød all’aringa. O meglio, si trattava di quattro varianti
dell’aringa (fritta, in salamoia, al curry, agrodolce) servite in quattro
ciotoline, con altre ciotoline di ingredienti da accompagnarci (capperi, frutti
di cappero, cipolla, senape, uovo in camicia, lardo con le noci) e, a parte, il
pane di segale affettato e il burro. Roba da divertirsi un mondo a far prove di
accostamento di sapori. Con la consulenza, tuttavia, dei camerieri, che sanno
consigliare il neofita. Poi, notevole anche anche il classico smørrebrød al
roast beef con la cipolla fritta. Posto fantastico.
Dettaglio
non irrilevante in termini di comodità: entrambi i locali permettono la
prenotazione on line tramite il loro sito, scegliendo l’ora della visita. In
genere, lasciano il tavolo a disposizione dell’ospite per tre quarti d’ora
circa. Però è fondamentale rispettare l’orario prenotato, altrimenti il posto
viene, giustamente, riassegnato.
Altra
cosa: grazie, Ole, grazie mille. Ricambierò.
Aamanns Deli & Take Away, Øster Farimagsgade 10, Copenhagen, internet aamanns.dk
Restaurant Palægade, Palægade 8, Copenhagen, internet palaegade.dk
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