Memorie di un cameriere ligure. Gianni Ruggiero scrive per Percorsi di Vino

Gianni Ruggiero, oggi, potremmo definirlo un vero e proprio manager della ristorazione essendo una di quelle poche persone alle quali puoi affidare tranquillamente le chiavi del tuo locale che, stai sicuro, verrà gestito nel migliore dei modi.Gianni, invece, si definisce semplicemente un cameriere. Non per falsa modestia, chiariamoci, ma perchè semplicemente è legato ad una visione lavorativa che oggi scarseggia ovvero quella di una figura professionale preparata a 360° che vede la sala come il suo regno e i clienti come amici da coccolare e viziare.Gianni lavora al Simposio di Costantini a Piazza Cavour (Roma) e lo potrete riconoscere perchè è l'unico che, contemporaneamente, può preparare al volo una tartare di fassona, consigliare il cliente sul migliore vino in abbinamento e, perchè no, sorridere ed essere il miglior confidente degli altri clienti che si rilassano nel locale.A Gianni ho chiesto di scrivermi alcune sue memorie, frammenti di un passato che difficilmente ritroveremo. Per me è un piacere condividerle sul blog.....

Bisogna essere ristoratore, di quelli veri, oppure un semplice "cameriere di esperienza", come mi piace considerarmi, per apprezzare fino in fondo quel momento intenso e pieno di poesia che vede l'ultimo cliente andarsene dal tuo locale. 
La porta si chiude e si spalanca l'ultima luce della notte, appena prima del giorno che arriva. La frenesia della prestazione, la noia che a volte arriva con la ripetizione, lo stupore di emozionarsi ancora davanti a un cliente che "ne capisce" e ti racconta un suo pezzo d'infanzia, commosso da un piatto di funghi e patate fatto con amore, si sciolgono in questo momento magico in cui si può vagare sul palcoscenico, finalmente vuoto, dove passi tutti i giorni della tua vita di lavoro. In questa solitudine impregnata di fantasmi la testa vaga e tutto si accelera e rallenta col ritmo del tuo cuore. 


Gianni Ruggiero al suo Simposio

E' in una notte così, nel disordine delle bottiglie accatastate, delle tovaglie macchiate di presenze appena partite, nel colpo d'occhio della cucina ancora da rigovernare, dei bicchieri un poco tristi con qualche rimasuglio di Nebbiolo, che penso a mio padre che ordinava vino sfuso dall'azienda piemontese di turno ed in omaggio riceveva 6 Barolo e 6 Moscato d'Asti imbottigliato. Si, perché la bottiglia voleva dire festa e "loro" venivano stappate nei giorni più felici dell'anno. Certo, è un passato che forse non c'è più ma se oggi il Piemonte vanta 16 DOCG e 42 DOC, non scordiamocelo, lo si deve al vino in damigiana comprato da mio padre, ai commercianti dell'epoca e, perchè no, ai tanti contadini che si improvvisavano anche trasportatori di vino.

Già, il Nebbiolo, un vino capace di esprimere come nessun altro tutte le sfumature dell'eleganza e della complessità che può prendere varie sfaccetttature: la freschezza nervosa del Lessona, la femminilità e la seduzione del Fara, l'asciutta compostezza del Barbaresco, la pienezza e la ricchezza del grande Barolo. É questo spirito, lo spirito di uomini dalle mani callose e l'animo candido, che ha reso grande questo paese, non dimentichiamolo mai.

Panorama delle Langhe. Foto:www.piemonte-landofperfection.org

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