Mastroberardino, un nome che subito rievoca la cultura contadina, la terra irpina, la tradizione, l’identità culturale e la rivalutazione dei vitigni autoctoni campani, dal Fiano al Greco fino a giungere, ovviamente, all'Aglianico, l’uva del Taurasi, il vino delle ‘vigne opime’ dell’antica Taurasia di cui parla Tito Livio.
Il Taurasi di Mastroberardino è un vino mito, da oltre 130 anni entra nelle nostre cantine in maniera sommessa, mai gridato e fuori dalle mode del momento, rappresenta spesso la mia certezza enologica, una sicurezza che nasce da vigne poste a Montemarano e Mirabella Eclano, per il Radici e dai soli possedimenti di Montemarano per il Radici Riserva. Il vino, dopo una macerazione sulle bucce la cui durata in certe annate sfiora i trenta giorni, prima dell'immissione in commercio matura per almeno 4 anni di cui circa 30 mesi in barrique di rovere francese e rovere di Slavonia.
Con Piero Mastroberardino e Ian d’Agata abbiamo ripercorso 43 anni di Taurasi Riserva commentando così le varie annate:
Taurasi 2003 Riserva: l’Aglianico, varietà a maturazione tardiva, si è parzialmente salvato da tutte le brutture che ha portato questa annata calda. Il vino è ancora giovane, la frutta rossa matura, non cotta, è ben in evidenza, poi arrivano le spezie dolci e un po’ di tabacco da pipa. Bocca già abbastanza equilibrata, pulita, fresca, con tannini piuttosto ruggenti che segnano la gioventù del vino. Ottimo inizio direi.
Taurasi 2001 Riserva: amo quest’annata, fino ad ora ho bevuto grandi cose del 2001 e questo vino non è da meno. All’inizio parte con sfumature animali, cuoio, poi si apre su eleganti note floreali e speziate, di chiodo di garofano e pepe verde. Profondo e ampio anche al gusto dove risulta fine, graffiante al punto giusto e di grande persistenza. Sublime.
Taurasi 1999 Riserva: qua le cose si fanno ancora più interessanti, il vino cresce in eleganza, ampiezza e profondità regalando note di ciliegia, ribes, poi esce una bellissima nota fresca, balsamica, che farà da sfondo ad intriganti ed intensi aromi di rosa, tabacco, cuoio. Un vino alla sua massima maturità espressiva.
Taurasi 1999 “130” Riserva: questa esclusiva Riserva del Taurasi celebra il centotrentesimo anniversario dall’iscrizione dell’azienda Mastroberardino alla Camera di Commercio di Avellino. Era il 1878 quando il Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia Angelo Mastroberardino, bisnonno dell’attuale Presidente, professor Piero Mastroberardino,curava tale adempimento al fine di avviare leesportazioni dei suoi vini verso i paesi d’Europa e delle Americhe. Un’ulteriore selezione delle uve in vigna ha prodotto un vino che ha tutti i caratteri del precedente ma espressi all’ennesima potenza: struttura, potenza, eleganza, sono esaltati ulteriormente in un mix di esplosione sensoriale che darà vita ad un Taurasi dal lunghissimo invecchiamento.
Taurasi 1997 Riserva: quest’annata non mi convince e anche in questa declinazione irpina non è che mi faccia cambiare idea. Il vino parte un po’ chiuso, poi a poco a poco si apre su note mature di frutta e spezie ma il tutto avviene in maniera poca dinamica. In bocca ha un buon impatto, è caldo, di buona fattura anche se il tannino mi pare un po’ sgranato, sembra quasi scindersi dal resto del vino. Fino ad ora è la versione che mi ha convinto di meno, forse una bottiglia sfortunata.
Taurasi 1980: è l’anno del terremoto in Irpina, inizia un periodo difficilissimo per tutti, compreso Mastroberardino che proprio a Novembre ha iniziato la fermentazione dell’Aglianico che per i primi giorni, confessa lo stesso Piero, viene vinificato in condizione davvero selvagge, senza alcun controllo. Dopo il 23 Novembre 1980 tutto in questa Regione cambierà, compreso lo stesso nome del vino al quale, da quel momento in poi, verrà aggiunta la parola Radici, termine che sta ad indicare l’indissolubile attaccamento del vino e della cantina al suo territorio ora devastato.
Il vino ha sentori di frutti rossi disidratati, humus, foglie secche. In bocca è austero, monolitico, non si dona moltissimo e lo capisco, è come se in qualche maniera risentisse della tragedia e, giustamente, non vuole regalare troppo.
Taurasi 1977: l’annata è stata buona e si sente subito, rispetto al 1980 il vino ha un passo sia come materia sia come profondità di espressione. Color mattone, ha lo spettro aromatico che richiama i vecchi liquori alla ciliegia, poi escono rabarbaro, note medicinale, una sorta di amaro dei frati in rosso. Bocca di grande struttura, giovane col suo tannino ancora graffiante e l’acidità da barolo appena svinato. Buona la lunghezza finale su ritorni di frutta rossa disidratata, liquirizia e erbe medicinali.
Taurasi 1968: ve lo anticipo, siamo di fronte al capolavoro assoluto, ad un dei migliori vini rossi usciti in Italia. Sarà la grande annata, sarà per una serie di alchimie che stento a comprendere, ma il vino è ancora di color rosso granato intenso e presenta un’intensa e penetrante apertura olfattiva dove si riconoscono chiaramente gli aromi di ciliegia, mora, caffè, liquirizia, humus, erbe aromatiche, china, nocino, corteccia e via così all’infinito.
Bocca monumentale, tutto è perfettamente integrato, la freschezza è da lacrime così come la persistenza finale. Stento ancora a credere che sulla bottiglia ci sia l’etichetta 1968. Emozioni da grande Bordeaux. Una curiosità: all’epoca il vino costava 720 lire.
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