Macerazione in tini aperti di legno per 1 giorno, torchiatura manuale, fermentazione con lieviti naturali ed affinamento sulle fecce fini per 2 anni in barriques di rovere francese di 3°passaggio. Nessuna chiarifica e filtrazione. 1100 bottiglie prodotte all’anno.
Quanto sareste curiosi di degustare un vino bianco con le seguenti caratteristiche?
La mia di curiosità finalmente si è placata quando durante la manifestazione “La Renaissance des A.O.C.” a Roma ho potuto incontrare, anche se per pochissimi istanti data la folla di persone che era presente al suo banco, Denis Montanar, piccolo grande vignaiolo friulano che del rispetto della natura ha fatto una propria filosofia di vita.
Denis Montanar proviene da una famiglia di agricoltori da tre generazioni. Il suo impegno in questo settore inizia nel 1989, quando comincia ad occuparsi dell’azienda del nonno, prendendo in affitto i suoi vigneti. Successivamente acquista 2 ettari di terreno impiantandoli a vigneto. Nel 1995, insieme alla moglie Alessia, decide di incrementare la loro proprietà, acquisendo 10,5 ettari di terreno e le case rurali annesse. Nasce così l’idea del progetto e del marchio derivanti dall’antico nome del borgo: Borc Dodon (in dialetto friulano). La coltivazione è a conduzione biologica da 8 anni per i vigneti e da 3 anni per il seminativo. Montanar produce nella sua azienda il Refosco dal peduncolo rosso, Uis Neris, Uis Blancis, Tocai, Merlot e Verduzzo friulano.
I suoi vini sono tutti “particolari”, unici, a partire dalla bottiglia il cui tappo di sughero viene “sigillato” attraverso una capsula in semplice cera d’api, materia che permette al vino di “respirare” pur mantenendo inalterate le sue caratteristiche organolettiche.
Venendo ora al suo Verduzzo Friulano Scodavacca 2002, questo vino proviene da un piccolo appezzamento di terra, meno di mezz’ettaro, caratterizzato da terreno prevalentemente argilloso e da vigne di otto anni di età piantate a guyot bilaterale che, grazie ad una densità per ettaro di circa 6.500 ceppi e ad una cura maniacale in vigna, permettono un resa di circa 25 q/ha (bassissima!).
Già al colore il vino si mostra “anticonvenzionale” con il suo colore a metà strada tra il rosa chiaretto e il giallo dorato intenso (mi ricorda la tonalità di alcuni vecchi rosati della zona francese del Bandol), ma è il naso quello che stupisce di più coi i suoi sentori di frutta secca, miele di castagno, cera d’api, camomilla e noce moscata. Bocca che non tradisce, ampia, complessa di sfumature gustative e dotata di un equilibrio da applausi in quanto la componente alcolica del vino, e parliamo di 14,5%, è supportata ottimamente dalla freschezza e dal tannino (!) tipico dell’uva Verduzzo. Finale di buona persistenza e personalità che lascia in bocca delicati aromi di frutta secca, miele e spezie dolci.
Quanto sareste curiosi di degustare un vino bianco con le seguenti caratteristiche?
La mia di curiosità finalmente si è placata quando durante la manifestazione “La Renaissance des A.O.C.” a Roma ho potuto incontrare, anche se per pochissimi istanti data la folla di persone che era presente al suo banco, Denis Montanar, piccolo grande vignaiolo friulano che del rispetto della natura ha fatto una propria filosofia di vita.
Denis Montanar proviene da una famiglia di agricoltori da tre generazioni. Il suo impegno in questo settore inizia nel 1989, quando comincia ad occuparsi dell’azienda del nonno, prendendo in affitto i suoi vigneti. Successivamente acquista 2 ettari di terreno impiantandoli a vigneto. Nel 1995, insieme alla moglie Alessia, decide di incrementare la loro proprietà, acquisendo 10,5 ettari di terreno e le case rurali annesse. Nasce così l’idea del progetto e del marchio derivanti dall’antico nome del borgo: Borc Dodon (in dialetto friulano). La coltivazione è a conduzione biologica da 8 anni per i vigneti e da 3 anni per il seminativo. Montanar produce nella sua azienda il Refosco dal peduncolo rosso, Uis Neris, Uis Blancis, Tocai, Merlot e Verduzzo friulano.
I suoi vini sono tutti “particolari”, unici, a partire dalla bottiglia il cui tappo di sughero viene “sigillato” attraverso una capsula in semplice cera d’api, materia che permette al vino di “respirare” pur mantenendo inalterate le sue caratteristiche organolettiche.
Venendo ora al suo Verduzzo Friulano Scodavacca 2002, questo vino proviene da un piccolo appezzamento di terra, meno di mezz’ettaro, caratterizzato da terreno prevalentemente argilloso e da vigne di otto anni di età piantate a guyot bilaterale che, grazie ad una densità per ettaro di circa 6.500 ceppi e ad una cura maniacale in vigna, permettono un resa di circa 25 q/ha (bassissima!).
Già al colore il vino si mostra “anticonvenzionale” con il suo colore a metà strada tra il rosa chiaretto e il giallo dorato intenso (mi ricorda la tonalità di alcuni vecchi rosati della zona francese del Bandol), ma è il naso quello che stupisce di più coi i suoi sentori di frutta secca, miele di castagno, cera d’api, camomilla e noce moscata. Bocca che non tradisce, ampia, complessa di sfumature gustative e dotata di un equilibrio da applausi in quanto la componente alcolica del vino, e parliamo di 14,5%, è supportata ottimamente dalla freschezza e dal tannino (!) tipico dell’uva Verduzzo. Finale di buona persistenza e personalità che lascia in bocca delicati aromi di frutta secca, miele e spezie dolci.
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