InvecchiatIGP: Monte del Frà - Custoza Superiore DOC "Cà del Magro" 2007


di Luciano Pignataro

Sulla cassetta di legno si era formata addirittura un po’ di muffa. Così, avendo in programma una cena di pesce ad Acciaroli, alla Tartana, ho pensato di prenderla: una magnum del 2007 di Ca’ del Magro che stava riposando da tempo immemore, dimenticata.
Parliamo di un Custoza Superiore: siamo appena a sud del Lago di Garda, in provincia di Verona. L’azienda Monte del Frà è di proprietà della famiglia Bonomi, insediata in questo territorio dalla fine degli anni ’50 e dedita all’imbottigliamento del vino dalla fine degli anni ’80. Oggi la proprietà conta circa 200 ettari vitati; la gamma dei vini è molto ampia, ma questo bianco — oggi lavorato in cemento da uve Garganega, Trebbiano Toscano, Cortese, Incrocio Manzoni — resta fra le proposte più importanti, a un prezzo decisamente favorevole per il consumatore: l’ultima magnum in commercio, per dire, non supera i 40 euro.


Quando si parla di bianchi invecchiati — la mia passione più profonda nel mondo del vino — penso di solito al Fiano di Avellino e al Verdicchio, oppure ai bianchi internazionali che, anche in alcune zone d’Italia, offrono spunti molto interessanti. Leggendo la presentazione aziendale, apprendo che questo vino viene indicato come adatto alla lunga conservazione.
La 2007, com’è noto, è stata una vendemmia perfetta per gli enologi: calda, ma ben equilibrata dalle piogge arrivate al momento giusto, con frutta sana e croccante praticamente da Nord a Sud. Insomma, le premesse per rischiare lo stappo in pubblico c’erano tutte. Del resto, ci attendeva una cucina di pesce classica del Tirreno: crudo di luvaro e di gamberi, ricciola al forno, polpi e frutti di mare presentati in modo semplice.


Il tappo ha sofferto un po’: longevità sicuramente, ma un bianco di quasi vent’anni è più che longevo. Alla fine ce l’hanno fatta ad aprirlo, io manco ci ho provato perché sono un disastro — e il vino lo abbiamo potuto provare. Il colore era un giallo paglierino carico, un segno inequivocabile dell’età. Ma quando si passa dalla vista al naso e al palato, possiamo parlare di un vino assolutamente straordinario. I profumi parlano di miele di acacia, pasticceria, piacevoli note mentolate e agrumate di cedro: un profilo olfattivo vivace, di carattere, assolutamente vivo ed energico. Nessun cenno ossidativo — che pure, quando è accennato, a me non dispiace. Il vino andava comunque aperto: lo si capisce dalla perfetta corrispondenza fra naso e palato. 


Al gusto, infatti, il sorso conferma le note descritte; il piacere è motivato da una freschezza marcata, che consente di affrontare anche un buon fritto di alici e totani non previsto. L’alcol, dichiarato a 13 gradi, non si avverte, ma contribuisce a un senso di benessere e di piacere intimo che solo i grandi vini riescono a darmi. Finale lungo, vivo, che lascia la bocca pulita e spinge a ripetere il sorso. Infatti, la magnum finisce subito, perché ha lo stesso effetto sia sugli appassionati sia su persone presenti non introdotte al linguaggio e ai misteri del mondo del vino.


Quando faccio questi incontri mi viene facile una riflessione: l’Italia, complessivamente parlando, tratta i vini bianchi alla stregua di chi usava il petrolio per accendere le candele. Il nostro patrimonio ampelografico ci regala un’infinità di sorprese — a tavola, per esempio, abbiamo parlato anche del Mantonico di Librandi, tanto per fare una citazione colta. Non solo vini da suoli vulcanici, dunque, ma anche queste colline moreniche possono regalare sensazioni uniche. Siamo stati bene, e questo alla fine è ciò che conta. E questo monumentale Custoza DOC Superiore, poco attenzionato dalla critica, conferma che bere il vino fra amici è uno dei piaceri più belli e intensi che la vita ci possa regalare.

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