di Stefano Tesi
Ci sono ristoranti – soprattutto i cosiddetti gourmet, o peggio ancora stellati – dei quali è più difficile dire se, a causa della loro smania di voler essere originali a tutti i costi o di pretendersi “esperienziali”, sia più noioso mangiarci o recensirli. Posso dire con sollievo che il San Martino 26, nella pur turisticissima San Gimignano, non appartiene a nessuna delle due categorie. Ed è anzi un locale in cui, nonostante tutte le premesse e i possibili pregiudizi, mi sono divertito. Cosa che in questi tempi di tavole "inteccherite" e di cuochi saputelli, oppure di mense becere e di chef troppo rumorosi, non è cosa da poco.
Elvis e Ardit |
Mi sono divertito perché, primo, la cucina del giovane albanese Elvis Dedil, che da poco più di un anno ha rilevato i mestoli del fondatore e conterraneo Ardit Curri, ora passato in sala e in direzione, è brillante, vivace, scanzonata, sfrontata al punto da saper sorridere di sè e di non prendersi troppo sul serio, sebbene sia serissima e attenta, almeno quanto è schivo chi sta ai fornelli. E, secondo, i piatti del menu non si nascondono dietro a parole tonitruanti ma riservano la sorpresa alla sostanza.
Pasta semi di mela |
Sorpresa vera, di sapori precisi, a volte intensi, altre delicati e però solari, diretti, mai sbiaditi o troppo melange. Anche quando, ossia praticamente sempre, non cercano di ostentare il glamour, ma lo propongono. L’idea del ristorante infatti è quella – pericolosissima, se affidata a mani non più che abili – della contaminazione e dell’inventiva, a volte con qualche appiglio, ma solo formale, alla tradizione. Niente paraventi, insomma, davanti alla mano felice di Elvis (omen nomen: una cucina raffinata, ma rock and roll?), che senza troppe remore inventa ed esperimenta: buonissimo, per fare degli esempi, il lampredotto di calamari col loro garum, la salsa verde e l’obbligatorio panino di contorno, assai godibile la pasta “semi di mela” (un formato abbastanza inusuale) con la salsa di baccalà in pastella e il suo latte aromatizzato alle erbette, equilibrato, ma vivo e compatto, il gusto del rombo in salsa marinaiole e verza.
Lampredotto di Calamari |
La toscanità, assicura Ardit, anziché simulata nelle portate è riservata alle materie prime, tutte provenienti dalla regione. Il menu è stagionale, ovviamente, e prevede la scelta alla carta o due formule di degustazione (pardòn, non ce la faccio a chiamarli percorsi, termine che riservo al trekking e al cicloturismo) da cinque o sette portate, rispettivamente a 95 e 115 euro.
L’ambiente è intimo e sobrio, appena venti coperti, nessuna atmosfera chiassosa. Servizio sorridente ma riservato, il che non guasta.
Interno |
Merita una nota la cantina: oltre 700 etichette di mezza Europa, compresi quasi 200 Champagne e parecchie bottiglie fuori passo, che accrescono il divertimento.
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