di Stefano Tesi
La storia geologica d’Italia è anche un po’ la storia del vino e delle sue regioni d’elezione. Nello specifico del Roero, l’enclave più settentrionale di quello che si potrebbe chiamare (con Barolo e Barbaresco) il trittico piemontese del Nebbiolo, la “colpa” della sua nascita – se non tutta, buona parte – fu di quando, sei milioni di anni fa, il Po arrivava fino in Calabria e si gettava nello Ionio. E poi del Tanaro che, 250mila anni fa, invece di svoltare a est subito oltre l’odierna Alba, puntava dritto verso dove sarebbe sorta Torino.
La domanda è sorta allora spontanea: il rapporto tra le superfici di
Nebbiolo e Arneis è di 1:4, non è che del secondo se ne produce un po’ troppo?
Mappa Geologica |
Francesco Monchiero non ci ha girato intorno: “Si tratta della coda dell’effetto emulativo conseguente alla riscoperta dell’Arneis”, ha detto. ”Il vitigno era attestato dalle nostre parti già dai documenti della fine del ‘400, ma negli anni ’70 del Novecento era a un passo dalla scomparsa. La sua rinascita, che ha anche coinciso con l’avvio della produzione secca, ha spinto i viticoltori a piantarne parecchio ed un po’ ovunque, spesso in zone meno vocate visto che le aree migliori erano riservate al Nebbiolo. Da qui una certa proliferazione che tuttavia, fin dalla sua nascita, il consorzio sta cercando di governare”.
MGA del Roero |
Un percorso evolutivo che è anche alla radice dei molti stili dei Roero Bianco (cioè Arneis), dimostrata dai sei campioni propostici in degustazione: “L’identità del nostro vino sta cambiando ed aprendosi a ventaglio per tutta una serie di ragioni: già il disciplinare ne prevede tre tipologie (Bianco, Bianco con Menzioni Geografiche Aggiuntive e Bianco Riserva), comincia poi a pesare anche l’età delle vigne, visto che ormai ne abbiamo alcune di oltre trent’anni – spiega Monchiero – e il fatto che stanno mutando pure le tecniche di vinificazione. Difficile quindi codificare una fisionomia precisa per questo vino”.
Grappolo di Arneis |
Per non parlare del quid pluris dato dalle ben 135 GMA riconosciute dal disciplinare: “Solo il 25% del nostro territorio fa parte di una di esse e solo il 50% della superficie vitata è all’interno di una MGA”, chiarisce il presidente, “mentre nel 2017 il 10% del Roero Bianco e il 40% del Roero Rosso risultavano rivendicati con MGA”.
Grappolo di Nebbiolo |
Conquistati nel panorama vinicolo nazionale un’identità commerciale e uno spazio proprio tra le pur ingombranti DCOG vicine, la scommessa per la denominazione è ora duplice: da un lato assecondare anche sotto il profilo agronomico un filone “green” che sembra sempre più ineludibile (“abbiamo approvato l’idea di una progressiva abolizione dei diserbi chimici”, dice Monchiero” e stiamo cominciando ad applicarla”) e dall’altro sviluppare il territorio in chiave di più marcata destinazione enoturistica.
Ecco l’elenco dei vini assaggiati, sul dettaglio dei quali scenderanno i colleghi IGP:
- Ridaroca, Roero Bianco 2020
- De Stefanis, Roero Bianco 2020 “Radius”
- Casetta, Roero Bianco 2020 “Raiz”
- Montaribaldi, Roero Bianco 2020 “Capural”
- Cauda, Roero Bianco 2019
- Paitin, Roero Bianco 2019 “Elisa”
- Battaglino, Roero 2018 “Colla”
- Careglio, Roero Rosso 2011
- Cascina Chicco, Roero Rosso Riserva 2012 “Valmaggiore”
- Antica Cascina dei Conti di Roero, Roero Rosso Riserva 2015
- Almondo, Roero Rosso 2016 “Bric Valdiana”
- Ca’ Rossa, Roero Rosso Riserva 2017 “Mompissano”
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