InvecchiatIGP: Tenuta del Cavalier Pepe - Irpinia Coda di Volpe DOC "Bianco di Bellona" 2005


di Luciano Pignataro

“Ciao Milena, sto bevendo il tuo Coda di Volpe di vent’anni fa sulla cucina di mare di Alessandro Feo a Casal Velino nel Cilento. Perfetto!”. 

“Il 2005? E’ la mia prima vendemmia, sono contenta!!!".

Caspita, è il caso di dire, come vola il tempo. E il vino è uno dei suoi marcatori che possono declinarsi in presente, passato e trapassato remoto. Nel senso che bere i vini prodotti prima della tua nascita (ormai evento rarissimo) ti regala un senso di stupore e di immortalità. Bere i vini del passato da quando hai coscienza di cosa significa bere il vino matura un esercizio di memoria e di compiacimento tali da renderli contemporanei. Bere vini che misurano il tempo di un presente che ritenevi tali ma che è invece è misura del tempo che tu, oltre al vino, hai trascorso mette un po’ di ansia.


Sembra ieri, infatti, di quando scrivemmo di una giovane ragazza con l’accento francese declinato in musicalità irpina veniva mandata dal papà Angelo a creare l’azienda di famiglia. Sembra ieri quando Milena ci parlò del Coda di Volpe piantato in grande quantità perché bianco tipico del territorio taurasino (ricordiamo l’Alopegis di Molettieri) e invece, cacchio, sono passati venti anni, venti. E il bianco che avevamo conservato sta in una forma sicuramente migliore della nostra che lamentiamo i primi veri acciacchi della vecchiaia umana.

Milena Pepe

Invece questa cazzo di Coda di Volpe si, è uscita con un colore giallo paglierino carico, vivo ma non spenti, ma si è presentata all’appuntamento perfetta, integra, a cominciare dallo stappo, con ancora l’acidità vibrante che manteneva il ritmo del sorso, il naso ricco di idrocarburi come sempre avviene con i bianchi irpini che superano i dieci anni, in una cornice di cedro candido e di miele di castagno, la beva lunga, corposa, entusiasmante, piacevole.


Cosa dire? Certo non è la prima volta che parliamo di Coda di Volpe in grado di sfidare il tempo e di evolvere bene negli anni. Lo stesso Bianco di Bellona di cui parliamo lo avevamo degustato in una verticale del 2017 e già allora eravamo rimasti stupiti dalla tenuta magnifica. Immaginate allora la sorpresa dopo vent’anni.
Soprattutto in considerazione di due fattori: il primo è che avrebbe potuto sicuramente tenere botta per almeno quattro, cinque anni per quanto era vivo e vegeto nel bicchiere. Secondo, se pensiamo ai nostri primi passi nel mondo del vino quando questa uva era usata per abbassare l’acidità di fiano e greco, allora capiamo come sia evoluta la viticultura negli ultimi anni in grado di fare esprimere vitigni meno commerciali in un modo stupendo. 


C’è bisogno di raccontare le belle esperienze fatte con il Coda di Volpe di Perillo in Irpinia e di Fattoria La Rivolta nel Sannio? Che dire? Bisogna crederci fino in fondo, perché è un peccato usare il petrolio solo per accendere candele e non per far correre una Ferrari. Cazzo!

Tenuta Cobellis - Paestum Greco IGP Thumòs 2024


di Luciano Pignataro

Il Greco del Cilento non ha la mineralità esasperata di quello irpino ma non per questo ha meno carattere e potenzialità di abbinamento.


Coltivato su terreno argilloso a 300 metri alle falde del Monte Gelbison dall’azienda Cobellis, il 2024 si presenta energico, buon frutto al naso, beva lunga e gratificante.

Tenuta San Francesco - Costa d'Amalfi doc Rosato 2021


di Luciano Pignataro

Il tiepido solo primaverile accentua la tendenza degli appassionati verso i bianchi e i rosati. Purchè, aggiungo, abbiate dato il tempo a queste bottiglie di maturare e di riequilibrarsi. Oggi agli amici di questa rubrica storica ho deciso di proporre una delle mie ultime fisse: i rosati evoluti per qualche anno sul modello Lopez de Heredia che in Italia, almeno per quel che conosco, non esistono ancora. Ci sono però degli esperimenti, non so se voluti o casuali come avveniva sino a qualche anno fa con i bianchi che vanno in questa direzione.


Il rosato che allunga il passo nel tempo diventa qualcosa di etereo, elegante, fine e al tempo stesso accentua la sua predisposizione ad abbinamenti molteplici e, anche, ad una accoglienza più ecumenica in una tavola dove non ci sono solo appassionati. Facevo queste riflessioni di fronte a questo bicchiere prodotto da Tenuta San Francesco, un piccola azienda di Tramonti, l’anima contadina della Costiera amalfitana dove sino agli anni ’70 la gente scappava per non morire di fame, che ha avuto il grande merito di recuperare una viticoltura eroica grazie alla testardaggine del suo fondatore, Gaetano Bove, medico veterinario e grande appassionato.


La sua collaborazione con Carmine Valentino, enologo irpino di grandissima esperienza e poco mediatico, ha regalato in questi anni una batterie di vin indimenticabili, da È iss, un tintore da viti giganti a piede franco, al Per Eva, una vigna di falanghina, pepella e ginestra a 600 metri che regala un bianco immortale. I suoi rosati per alcuni anni si sono adeguati allo storico delle aziende della Costiera Amalfitana, territorio che vantava una certa tradizione grazie ai Vini Gran Caruso degli anni ’60 adorati dal jet set che frequentava le rocce bagnate dal mare navigando sui Riva in legno.


Lo stile di questo rosato di quattro anni fa è diverso, il colore vira sul colore cipolla, il naso premia le note balsamiche e mediterranee lasciando il fruttato in sottofondo, ma soprattutto colpiscono l’eleganza al palato, la finezza, il tono sapido, senza concessioni piacione, con un finale amarognolo che ripulisce bene la bocca. Viene da uve tintore e piedirosso coltivate fra i 300 e i 600 metri di altezza vinificate in acciaio dove sostano circa otto mesi prima di essere messe in bottiglia altri due mesi.


La bevuta di questa bottiglia così gratificante dimostra una grande evoluzione e soprattutto un tono giovanile, vigoroso, che non ha alcun cedimento ossidativo e neanche segnala stanchezza sul colore. Il vino, così equilibrato dalla giusta quanto inaspettata attesa nella mia cantina, ha sposato una aragosta di Palinuro accompagnata da verdure dell’orto di Maria Rina, la patron del ristorate il Ghiottone, dal 1978 riferimento sicuro nel Golfo di Policastro, lì dove si incontrano l’ultima Campania, la Basilicata e la Calabria con montagne a picco sul mare.
C’è tanto da lavorare, ma siamo sicuri che i risultati saranno pazzeschi.

Origine Number 1: il primo cognac della collezione privata Maze Churchill è pura delizia per il palato


Nel panorama esclusivo dei distillati di pregio, poche storie catturano l'immaginazione con la forza e la singolarità di quella della famiglia Maze Churchill. Radicata nel cuore della regione di Borderies, l'area più piccola e considerata uno dei "cru" più pregiati di Cognac, la loro produzione di "eaux-de-vie" di alta qualità trascende la semplice tradizione; è la celebrazione di un incontro storico e di un'eredità tramandata con passione attraverso generazioni.


La narrazione si apre in un contesto inatteso e drammatico: le trincee della Prima Guerra Mondiale. Fu in questo periodo di sconvolgimenti e sofferenze indicibili che Paul Maze, figura di spicco della pittura post-impressionista, incontrò Winston Churchill. Le prime linee del fronte occidentale, teatro di orrori inimmaginabili, divennero così il luogo di nascita di un'amicizia, cementata dalla condivisione non solo delle difficoltà della guerra, ma anche di un amore profondo e condiviso per l'arte pittorica. 


Questo legame, forgiato nel fuoco della storia, era destinato a perdurare oltre il conflitto, unendo indissolubilmente le due famiglie che il destino volle far incontrare di nuovo anni dopo quando Robert, nipote di Charles Spencer-Churchill, nono Duca di Marlborough e cugino di Winston, incontrò Jeanne, nipote di Paul Maze, e figura di spicco della pittura post-impressionista. 


In questo incontro, si riconobbe un'eco potente delle eredità dei loro nonni, un'affinità profonda che li unì in un nuovo, significativo percorso familiare e imprenditoriale. Oggi, Jeanne e Robert, insieme ai figli Jack e Ivor, custodiscono e perpetuano questo straordinario patrimonio nel Domaine de Montplaisir, situato proprio nel cuore della regione francese del Cognac dove, grazie ad un terreno argilloso-calcareo, si producono raffinati distillati di grande eleganza floreale.


È in questo contesto che nasce il progetto "Les Étapes de L'Esprit", l'esclusiva collezione di Cognac presentata nei giorni scorsi con orgoglio dalla famiglia Maze Churchill. Questa collezione, prodotta in edizione limitata, sarà composta da cinque bottiglie, una per ogni anno a partire dal 2025, ed ogni Cognac ha il compito di rappresentare una fase del ciclo vitale della vigna: germogliamento, fioritura, allegagione, invaiatura e, infine, vendemmia.


Il primo atto di questo percorso è rappresentato "Origine Number I", un Cognac di assoluto livello prodotto tramite un blend di due eaux-de-vie invecchiate in media 35 anni, che racchiudono gli aromi senza tempo caratteristici dei Cognac di altissima qualità prodotti nella zona delle Borderies a partire da uve Ugni Blanc.


La degustazione di "Origine" è un'esperienza che coinvolge tutti i sensi. Il colore ambrato con riflessi ramati anticipa un bouquet complesso, dove si intrecciano note di nocciola, caramello, noce moscata, cannella, vaniglia e un tocco di agrumi. Al palato, si rivela rotondo e ricco, con un complesso gioco di frutta candita e spezie. Il finale speziato, secco e deciso aggiunge vivacità e luminosità, rendendo questo Cognac adatto sia ai palati classici che a quelli più moderni.

InvecchiatIGP: Oddero Poderi e Cantine - Barolo Vigna Rionda 2005


di Carlo Macchi

Da pochi giorni è scomparso Giacomo Oddero. Aveva quasi 100 anni ed è stato uno dei personaggi che ha dato una grossissima mano a costruire la Langa che noi oggi conosciamo. Grazie a lui sono state realizzate molte opere, tra cui l’acquedotto che oggi porta l’acqua in Langa e che 50 anni fa era ancora un sogno. L’ho intervistato pochi anni fa, durante il periodo del Covid, e sicuramente è stata una delle più belle interviste che abbia mai fatto.


La mia storia nel vino si è incrociata molte volte con il dottor Oddero ma ricorderò sempre la prima, quando ebbi la fortuna di assaggiare uno dei vini che mi hanno fatto amare in maniera incondizionata il nebbiolo: sto parlando del Barolo Vigna Rionda 1990. Così per ricordarlo sono sceso in cantina alla ricerca di una sua bottiglia e mi sono imbattuto in un altro Vigna Rionda, quello del 2005.


La 2005 non è certo passata agli annali con la stesso curriculum della 1990: siamo di fronte ad un’annata difficile, con due settimane di pioggia all’inizio di settembre e una ad inizio ottobre. Da gennaio a ottobre a Serralunga ci furono 42 giornate di pioggia ma comunque una sommatoria termica gennaio-settembre poco inferiore a 2000 parla di una vendemmia difficile ma con buone possibilità per chi aveva saputo lavorare in vigna e intervenire nei momenti giusti. Per quanto riguarda Winesurf, dopo gli assaggi dei Barolo 2005 parlammo di annata equilibrata e abbastanza pronta, che avrebbe potuto dare in alcuni casi ottimi risultati in invecchiamento grazie ad un equilibrio che già si intravedeva al momento dell’entrata in commercio. Serralunga è considerata la terra del Barolo con più “tannoni”, ma sinceramente c’ho sempre trovato vini con un equilibrio invidiabile, specie quando si parla di Vigna Rionda e in particolare quando si affianca il Nnome Oddero (Oddero Poderi e cantine) a questo vigneto.


Questo 2005 mi ha confermato al colore che siamo ancora in piena giovinezza, dimostrandolo anche al naso dove accanto a note di china e rabarbaro troviamo ancora frutto rosso e un alcol indubbiamente importante ma ben bilanciato. In bocca i tannini sono fitti e ancora in parte da domare, ma accanto a una incredibile freschezza la beva è sostenuta, piacevolissima e di notevole persistenza. Il corpo non è certo imponente ma nel complesso il vino si dimostra dinamico e ancora giovanissimo.

Caro dottor Oddero, non dico che questo 2005 arriverà alla veneranda età in cui ha deciso di lasciarci, ma sono convinto che darà grandi soddisfazioni per almeno altri 20-25 anni.

Galliussi - Friuli Colli Orientali Sauvignon Portis, 2021


di Carlo Macchi

Ennesima dimostrazione lampante che nei Colli Orientali si producono grandi Sauvignon! 


Naso praticamente perfetto con gli aromi classici del vitigno, ben maturi e complessi. Bocca fresca, ampia, profonda. Una goduria assoluta che viene da una nuovissima azienda partita con “entrambi i piedi giusti”.

Il Belvedere a Montegrotto Terme è una piccola perla enogastronomica sulla strada dei Colli Euganei


di Carlo Macchi

A prima vista sembra il classico locale da banchetti: posto panoramico, grande parcheggio, sala molto grande ben apparecchiata ma senza sfarzi inutili, grande terrazza panoramica per il periodo estivo. In effetti il Belvedere a Montegrotto Terme E’ (anche) un locale da banchetti, ma con una sorprendente anima gourmet che dal 1962, anno della sua nascita, è rimasta praticamente intatta. Lo si capisce strada facendo, anzi “pranzo facendo”, ma la dimostrazione arriva alla fine, quando ordini il dolce e ti arriva un millefoglie con una crema pasticcera da urlo, a cui anche Iginio Massari avrebbe fatto l’applauso. Chiedi quale pasticceria faccia quella bontà e ti rispondono che la fanno loro da sempre, è un dei vanti del locale.


Siamo sulle colline di Montegrotto Terme, nei Colli Euganei, e dal belvedere del Belvedere si può spingere l’occhio fino al mare, oppure spingere il naso verso la cucina per capire cosa “bolle in pentola”. Dal 1962 la famiglia Fornasiero si occupa, con successo, di quello che “bolle in pentola” e il menù è improntato a piatti classici del territorio con due piccoli segreti, l’ottima materia prima e una mano ormai abituata a trattarla nel migliore dei modi. In più su alcune preparazioni si sente il piglio delle ruspanti osterie venete. 

Antipasti

Tra i classicissimi antipasti, che vanno dalla soppressa veneta con polenta ad un più ricercato tortino alle verdure su fonduta di parmigiano mi sono buttato su un mix di polentina morbida, funghi e soppressa. La cosa che mi ha stupito di più è stata la qualità veramente alta della soppressa, morbida, saporita ma equilibrata. Fermi tutti! A questo punto potreste dire “Ma checcefrega di un posto dove si mangiano cose così semplici e scontate”. Prima di essere tacciati di snobismo gastronomico voglio dirvi che fare bene piatti semplici, anche per numeri importanti è una delle cose più difficili in ristorazione, specie se, come vedremo alla fine, il prezzo del pranzo o della cena è veramente corretto.

Tagliolini al sugo d'anatra

Tra i primi vi consiglio, in stagione, il risotto al radicchio trevigiano o il risotto di zucchine e miele mantecato al moscato mentre tutto l’anno troverete i bigoli o i tagliolini al sugo d’anatra. Tra i secondi molto equilibrata e saporita la faraona ripiena e si può andare sul sicuro anche sul baccalà alla vicentina. Del dolce vi ho già detto ma ve lo riconfermo perché un millefoglie così buono non lo mangiavo da decenni.

Millefoglie

Tutto questo con un servizio corretto, preciso, amicale ma non appiccicoso. La carta dei vini non è certamente vasta ma comprende interessanti etichette del territorio e alcuni “fuori regione” di buon livello.


Per un pranzo completo, dall’antipasto al dolce, arriverete al massimo a spendere 50 Euro più i vini, ma con un menù di tre portate non supererete i 40 Euro. Una cifra più che adeguata per un buon pranzo sui Colli Euganei.

Ristorante Belvedere
Via Montenero, 1 Montegrotto Terme (PD)
Tel. 049793423