InvecchiatIGP: La Guardiense – Sannio DOP Fiano “Janare” 2016


Nel mondo del vino italiano, spesso aleggia un pregiudizio difficile da estirpare: quello secondo cui le cooperative sarebbero sinonimo di produzione industriale e qualità mediocre. Una visione ormai superata dai fatti, soprattutto quando si osservano realtà come La Guardiense, che da oltre sessant’anni rappresenta una delle eccellenze più virtuose del Sud Italia. Fondata nel 1960 a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, grazie all’iniziativa di 33 viticoltori lungimiranti, La Guardiense è diventata oggi una delle cooperative vitivinicole più importanti del Paese, sia per dimensioni che per visione strategica. Conta circa 1000 soci che coltivano oltre 1500 ettari di vigneti, situati in una zona collinare dal grande valore ambientale e viticolo, incastonata tra i monti del Matese e il Taburno, nel cuore della Valle Telesina. Ogni anno produce 150.000 ettolitri di vino e circa 6 milioni di bottiglie, distribuite in Italia e nel mondo.


A fare la differenza, oltre ai numeri, è la scelta di puntare con forza sulla qualità, sulla sostenibilità e sull’innovazione, mantenendo però saldo il legame con la tradizione contadina del Sannio. Sotto la guida del presidente Domizio Pigna, e grazie anche alla collaborazione con Riccardo Cotarella, la cooperativa ha avviato un profondo processo di modernizzazione, investendo in tecnologie all’avanguardia, ricerca agronomica e valorizzazione delle varietà autoctone come la Falanghina, il Greco, il Fiano e l’Aglianico.

Domizio Pigna e Riccardo Cotarella - Ph: Matesenews.it

Questa cooperativa dimostra che fare vino in forma associativa non significa rinunciare all’eccellenza, anzi. Prova ne è questo Fiano 2016 che ho degustato recentemente facente parte del progetto Janare che rappresenta una scommessa nella sperimentazione di tecniche agronomiche, finalizzate a valorizzare i vitigni principi del territorio. Il nome del progetto è tutt’altro che casuale.


Le Janare, nella tradizione popolare sannita, erano le seguaci di Diana, dea della luna e degli incantesimi notturni, custode delle selve, dell’agricoltura e delle donne. Secondo il mito, queste donne del Sannio erano indomite al punto da essere ritenute streghe, le cui pratiche rituali erano legate ai cicli della natura e alla magia ancestrale del territorio. Il progetto Janare non è solo un tributo alla forza femminile e alla cultura contadina del luogo, ma anche una dichiarazione di intenti: fare vino che esprima l’anima più autentica e mistica del Sannio.


Tornando a questo Fiano, ciò che colpisce immediatamente — prima alla vista, poi al naso e al palato — è l’integrità sorprendente del vino, che conserva energia e vitalità nonostante siano trascorsi quasi dieci anni dalla vendemmia. Al naso non cede nulla alla stanchezza dell’evoluzione terziaria: si apre invece su note fresche e nitide di mela, pera, fiori di campo e fieno, in un bouquet ancora integro e vibrante. Al sorso è pieno, perfettamente equilibrato, con una struttura che unisce eleganza e spinta acido-sapida. Nessuna concessione alla morbidezza fine a sé stessa: qui è la grinta minerale a guidare la beva, rendendo questo Fiano non solo longevo, ma profondamente espressivo del territorio meraviglioso come il Sannio.

Castello di Torre In Pietra – Lazio Fiano IGT “Macchia Sacra” 2023


Versione mediterranea del Fiano laziale, il Macchia Sacra, che prende il nome dall’antico bosco mitologico che protegge il Castello, profuma di agrumi e timo, con tocchi salmastri. 


Al palato è ricco, con vertiginosi ritorni iodati che stanno a ricordare il vicino Mar Tirreno verso cui affacciano le viti.

Clos Regain e il Jurançon che non ti aspetti


Il Jurançon, situato nel sud-ovest della Francia, ai piedi dei Pirenei, nella regione della Nouvelle-Aquitaine, è una delle zone vinicole più suggestive e al tempo stesso meno conosciute del Paese. La coltivazione della vite risale all’epoca romana, ma fu nel Medioevo, grazie al lavoro dei monaci benedettini, che la produzione vinicola assunse maggiore rilevanza. La fama del Jurançon si consolidò nel 1553, quando il vino fu usato per bagnare le labbra del neonato Enrico di Navarra, futuro Enrico IV di Francia, durante il battesimo: un gesto simbolico che gli valse l’appellativo di “vin royal”. Da allora, il Jurançon divenne simbolo di prestigio, molto apprezzato nelle corti nobiliari francesi.


Oggi il Jurançon è una zona vinicola che continua a distinguersi per la qualità dei suoi vini, grazie all’unicità del suo territorio situato attorno alla città di Pau, favorito da un microclima ideale dovuto alla protezione dei Pirenei e all’influenza del fiume Gave de Pau. I suoli variegati — marne, argille e calcari — donano ai vini una marcata mineralità, mentre le forti escursioni termiche tra giorno e notte favoriscono una perfetta maturazione delle uve.


La maggiore particolarità del Jurançon è la sua capacità di produrre sia vini secchi che dolci, sebbene la denominazione sia maggiormente conosciuta per questi ultimi. Il segreto della sua unicità risiede nei vitigni impiegati, tra i quali spiccano senza dubbio il Petit Manseng e il Gros Manseng (in misura minore troviamo anche Courbu Blanc, Petit Courbu, Camaralet de Lasseube e Lauzet), tutti caratterizzati da una spiccata aromaticità e da un’acidità che dona freschezza al vino.

Petit Manseng

Il Petit Manseng, in particolare, è il vitigno che meglio rappresenta l’identità della denominazione, ed è utilizzato per la produzione di grandi vini da vendemmia tardiva grazie al suo grappolo spargolo e alle particolarissime condizioni climatiche della zona, che impediscono lo sviluppo di muffe sugli acini. I forti venti che soffiano dai Pirenei fino alla valle permettono infatti un lento appassimento in pianta (passerillage), un fenomeno raro in altre aree vitivinicole.

Michel Boutin

Qualche tempo fa ho scoperto, grazie all’enologo Julien Seigneurie e alle dritte del mitico Guido Invernizzi, i vini della cantina Clos Regain, fondata da Michel Boutin, un canadese originario del Quebec che, innamoratosi del territorio, decise di trasferirsi nel Jurançon con l’intenzione di creare una cantina capace di produrre vini tanto tradizionali quanto contemporanei.


Se da una parte sono rimasto sbalordito per l’equilibrio sopraffino dei vini dolci di Clos Regain – cosa tutt’altro che scontata quando c’è una bella percentuale di zucchero residuo in gioco – il mio coup de cœur è andato senza dubbio al Clos Regain Sec 2022, che, grazie a un sapiente assemblaggio tra Petit Manseng e Gros Manseng, dona al vino un sorprendente equilibrio di sapori e una personalità davvero travolgente. Il naso, infatti, è di straordinaria territorialità ed esprime una girandola di profumi che spaziano dal tiglio alla pesca percoca, fino ad arrivare alle erbe aromatiche, agli agrumi e alla pietra focaia, il tutto in un quadro di leggiadra armonia. 


Al sorso è sostanzioso ma, al tempo stesso, ha una trama perfettamente bilanciata, espressa da una pingue morbidezza sostenuta da un’acidità affilatissima. Chiude il quadro gustativo un finale minerale decisamente interessante, così come il rapporto qualità/prezzo di questo vino che, se riuscirete a trovarlo, vi lascerà senza parole.

Nota tecnica: vino vinificato in acciaio inox. Dopo la fermentazione, il vino viene lasciato a riposare sulle fecce fini per qualche mese e sottoposto a regolari bâtonnage.

InvecchiatIGP: – Henri Bourgeois - Sancerre “Etienne Henri” 2012


di Lorenzo Colombo

La famiglia Bourgeois pratica la viticoltura da dieci generazioni nel villaggio di Chavignol, nella Loira centrale, ma la svolta che ha portato al successo l’azienda è dovuta a Henri Bourgeois che, negli anni ’50 del secolo scorso, si concentrò nella produzione di Sancerre nei due ettari di vigna situati a Chavignol. Negli anni ’60 i figli di Henri, Jean-Marie e Rémi, si aggiunsero al padre e acquistarono altri vigneti portando l’azienda ad essere conosciuta dapprima in Francia ed in seguito in tutto il mondo.


Attualmente l’azienda che è gestita da Arnaud, Lionel e Jean-Christophe Bourgeois, dispone di 72 ettari, suddivisi in 120 parcelle tra le appellations Sancerre e Pouilly Fumé e si è espansa anche al di fuori della Francia, acquistando nel 2001 90 ettari di terreni, nella regione di Marlborough in Nuova Zelanda e fondando l’azienda Clos Henri produttrice di notevoli Pinot noie e, naturalmente, Sauvignon.

Il vino

I vigneti sono situati su suoli composti da argille silicee e calcare sulle colline dei villages di Chavignol e Sancerre, la densità d’impianto è molto alta e gli intefilari sono inerbiti. La vinificazione è molto semplice, ovvero pressatura soffice e fermentazione in vasche d’acciaio dove il vino s’affina sui lieviti per circa sei mesi prima d’essere imbottigliato.


Si presenta con un color oro. Media la sua intensità olfattiva, ampio e complesso al naso, affascinante, minerale, verticale, ricorda i sassi bagnati, frutta tropicale, frutta a pasta gialla, arancia candita, mandorle, crema pasticcera, note vanigliate, leggeri accenni d’idrocarburi.


Dotato di buona struttura e verticalità, sapido e fresco, spiccata note minerali, acidità pronunciata, leggeri accenni speziati, pesca gialla, agrume maturo, mandorle, lunga la persistenza.

Alessio Brandolini - Provincia di Pavia Igt Bianco “Il Bardughino” 2023


di Lorenzo Colombo

Dapprima colpisce l’etichetta, opera del poliedrico artista Beppe Pasciutti, poi nel bicchiere si coglie la delicatezza del vino, frutto di uve Malvasia provenienti da San Damiano al Colle.


Fresco, sapido, asciutto, leggermente aromatico con note floreali, di frutta a polpa bianca e d’erbe officinali.

La Val di Cembra e il Müller Thurgau


di Lorenzo Colombo

Era da qualche anno che non salivamo nella valle del porfido, l’occasione di è presentata nella seconda metà del mese giugno quando Stefania Casagranda - conosciuta qualche mese addietro durante un evento a Milano - che si occupa tra altre mille cose dell’Ufficio stampa dell’Ufficio stampa Müller Thurgau: Vino di montagna, ci ha invitati a partecipare come commissari della 22ª edizione del Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau che si è tenuta lo scorso 19 giugno a Cembra. Ma il concorso, che metteva in competizione 64 vini di diversa provenienza (45 trentini, 8 altoatesini, 1 proveniente dalla Valle d’Aosta e 10 dalla Germania) e che vedeva la partecipazione di 18 degustatori (19 in realtà), suddivisi in 3 commissioni, è stato solo l’inizio di questo interessantissimo viaggio in Val di Cembra, iniziato per l'appunto giovedì 19 con una serata nella Risto-Pizzeria Durer, a Segonzago, locale decisamente consigliato e che vede una clientela proveniente anche dalla città di Trento per la varietà e l’originalità delle sue pizze. Per il pernotto eravamo ospitati presso l’Agriturismo Maso Valfraja, un’oasi di pace a pochi minuti dal centro di Cembra, circondato da boschi e vigneti, dove al mattino Andrea ci preparava la colazione con le uova delle sue galline.


Detto del concorso, tenutosi il 20 giugno mattino e dopo il pranzo presso l’Agritur Le Cavade, con salumi, tortel de patate e smacafam, nel pomeriggio ci aspettava un tour panoramico in e-Bike tra i vigneti terrazzati, con partenza da Villa Corniole dove Maddalena Nardin si ha proposto alcuni dei suoi vini, il Trento Doc Salísa Zero Riserva del millesimo 2018, e il Dolomiti Igt Kròz Bianco 2020, frutto di un blend in parti uguali tra Chardonnay e Müller Thurgau. Dopo un paio d’ore di pedalata tra le vigne siamo infine giunti presso Cembra Cantina di Montagna dove, ovviamente, ci attendeva un’altra degustazione con il Trento Doc Riserva Oro Rosso ed un paio di Trentino Doc Riesling di diverse annata.


Dopo un’intensa giornata è infine giunta l’ora di cena tenutasi presso la Distilleria Pilzer, con le specialità di carne della Macelleria Palazzi che ci ha proposto tre costate di diversa provenienza e frollatura, oltre allo Speck dell’Imperatore, di loro invenzione. Durante e dopo la cena Bruno Pilzer ci ha a lungo intrattenuti raccontandoci il suo percorso di distillatore e le prossime novità in cantiere, non poteva naturalmente mancare la visita al reparto degli alambicchi.


Il sabato mattina è riservato alla visita all’interessantissimo Museo del Porfido di Albiano, peccato sia aperto unicamente su prenotazione e per gruppi di almeno 15 persone; una piacevole, inaspettata ed emozionante sorpresa è stata quella di vedere tra le numerose foto esposte di città più o meno importanti con strade e piazze pavimentate con porfido estratto dalle cave di Albiano, la piazza del mio paese di nascita, Vedano al Lambro. Ci ha guidati alla scoperta del museo Maurzio Gilli, sindaco di Albiano, che ci ha quindi condotti con una breve ma piacevolissima passeggiata tra boschi e castagneti sino al Parco faunistico per vedere i cervi, sempre con lui siamo poi stati a pranzo presso il Ristorante Borgo Antico, hotel e ristorante inaugurati nel novembre dello scorso anno. Nel pomeriggio abbiamo partecipato al Trekking enogastronomico Baiti en festa (vedi), organizzato dall’associazione Cembrani Doc, altra piacevole passeggiata inframmezzata purtroppo da un acquazzone che ci ha colti in campo aperto tra due tappe del percorso.


Nella mattinata di domenica 22 abbiamo effettuato la visita guidata alla Chiesa di San Pietro con le pareti (ed i soffitti) completamente ricoperti da affreschi di diverse epoche e quindi ci siamo trasferiti al grazioso Lago Santo dove abbiamo pranzato presso l’omonimo Rifugio prima d’intraprendere il viaggio verso casa. Parte delle esperienze da noi vissute -che avranno creato un poco d’invidia-possono essere godute partecipando alla 38ª edizione della rassegna “Müller Thurgau: Vino di Montagna” in programma dal 4 al 6 luglio prossimi.