Il Nizza DOCG è sinonimo di grande Barbera - Garantito IGP


I produttori del Nizza li conosco da molto tempo, assieme a Daniele Chiappone, Gianluca Morino e Gianni Bertolino, oggi attivo Presidente dell'Associazione Produttori del Nizza, ho degustato in tempi assolutamente non sospetti i loro vini che, lontani dal riconoscimento della DOCG, già svelavano un carattere unico ed indissolubile tra territorio di elezione, ovvero le colline attorno a Nizza Monferrato, e il vitigno principe di questi luoghi: il barbera. In tale ambito mi ricordo che, anni fa, uno dei principali problemi dei vignaioli era quello di far capire che quando si parlava di Nizza non si faceva riferimento alla bella città francese ma al comune, forse meno noto al grande pubblico, di Nizza Monferrato, delizioso paese dell’Astigiano al centro delle colline tra Asti, Alba, Alessandria e Acqui Terme il cui areale è talmente unico, sia per clima che per suolo, che l’Unesco non ha potuto non proclamarlo Patrimonio Mondiale dell’Umanità. 


In questo luogo unico al mondo vengono coltivate uve dolcetto, moscato, brachetto, cortese, freisa e grignolino ma è il barbera, più di tutti, ha rappresentare al meglio questo territorio esprimendo, come detto in precedenza, un vino dai caratteri inimitabili tanto che già dalla vendemmia 2000 venne riconosciuta Nizza come sottozona della Barbera d’Asti Superiore (D.M. 13/10/2000).


Sono dovuti passare 15 anni, periodo in cui i produttori hanno avuto modo di “autotestarsi” col nuovo disciplinare di produzione, per arrivare, finalmente, all’ottenimento della DOCG elevando così la sottozona della Barbera a denominazione vera e propria la cui zona di produzione è composta da 18 comuni intorno al comune di Nizza Monferrato per una superficie complessiva di oltre 160 ettari (sono 720 quelli potenziali, cioè vigneti di barbera iscrivibili alla nuova denominazione). 


Per capire davvero il Nizza DOCG bisogna conoscerne il disciplinare, studiato per essere molto più severo e restrittivo rispetto a quello del suo più prossimo parente: il Barbera d’Asti. La più grande differenza sta nell’uvaggio: se per ottenere il vino Barbera d'Asti è consentito utilizzare fino ad un 10% di altre uve rosse coltivate in Piemonte (come nebbiolo, cabernet sauvignon, freisa, dolcetto…), il Nizza prevede una vinificazione in purezza, ovvero 100% Barbera. Non è consentito, inoltre, l’arricchimento del grado alcolico nelle annate dichiarate sfavorevoli. Il nuovo disciplinare ha previsto la possibilità di dar vita fino a 4 diverse tipologie:

Nizza e Nizza Vigna (invecchiamento minimo 18 mesi di cui 6 mesi in legno)

Nizza Riserva e Nizza Vigna Riserva (invecchiamento minimo 30 mesi di cui 12 mesi in legno)

Da un punto di vista pedoclimatico, l’area di produzione del “Nizza DOCG” può considerarsi totalmente collinare, con pendenze delle colline che, in questa zona della provincia di Asti, risultano spesso molto rilevanti. La coltivazione è concentrata prevalentemente su una fascia altimetrica compresa tra i 150 e i 350 m s.l.m., anche se non sono da escludere alcuni vigneti posti ad altimetrie maggiori, nella fascia che va dai 350 ai 500 m s.l.m.
Il clima si può definire di tipologia temperato-continentale: caratterizzato prevalentemente da inverni freddi e poco piovosi (mentre non sono rare le precipitazioni nevose); da primavere e autunni ricchi di precipitazioni; estati calde e secche, con scarse piogge di breve durata (principalmente a carattere temporalesco). Queste caratteristiche sono però parzialmente mitigate dalle numerose colline presenti nell’area di produzione dove, salendo di quota, le minime invernali risultano essere meno rigide rispetto ai fondovalle, mentre l’afa e le temperature estive, grazie alla maggiore 6 ventilazione, sono sicuramente più miti


barbera

Interessantissime, anche per l’influenza sul vino di provenienza, sono le caratteristiche dei terreni dell’area di produzione del “Nizza” che, in generale, hanno tutti elevato contenuto in carbonato di calcio, sostanza organica generalmente ridotta e sono tutti di origine marina anche se al loro interno, a seconda della zona, sono caratterizzati da forte eterogeneità tanto che si sono distinti in 4 diverse tipologie di terreno così come individuate da Alessandro Masnaghetti di Enogea 

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Suoli sabbiosi (settore centrale)
Suoli poco evoluti (Entisuoli) a tessitura sabbioso-franca o franco-sabbiosa (sabbie), da depositi marini molto grossolani debolmente consolidati o sciolti. Comprendono parte dei comuni di Vinchio, Cortiglione, Incisa, parte di Mombercelli, Mombaruzzo. Il terreno è costituito da sabbie sia fini che grossolane a permeabilità elevata; è una zona poco fertile, povera di sostanza organica.

Suoli limoso-marnosi (settore centrale e settore nord)
Suoli poco evoluti (Entisuoli) a tessitura franco-limosa o franco-sabbiosa, da depositi marini da fini a grossolani debolmente consolidati. Comprendono i comuni di Castelnuovo Calcea, parte di Agliano, Mombercelli, Belveglio, parte di Nizza M.to, Castelnuovo Belbo e parte di Mombaruzzo. Il terreno è costituito da sabbie e marne a permeabilità moderata che tendono al colore rosso man mano che ci si sposta ai margini orientali della denominazione.

Arenarie (settore sud)
Suoli Franco-Sabbiosi o Franco-Limosi da depositi marini grossolani consolidati.
Comprendono i comuni di Calamandrana, Castel Boglione e Rocchetta Palafea. Qui troviamo marne e arenarie a permeabilità moderatamente elevata.

Limo e Sabbie fini (settore est)
Suoli evoluti (Alfisuoli), a tessitura franco-argillosa o franco-limoso-argillosa da depositi alluvionali antichi fini non consolidati.
Nel corso di un evento romano sul Nizza tenutosi alla FIS ho avuto il piacere non solo di rincontrare vecchi e nuovi amici vignaioli ma, soprattutto, ho avuto modo di degustare una orizzontale di Barbera d’Asti Superiore DOCG “Nizza dell’annata 2011 che, come riportano le cronache, è stata un’annata calda, appena sotto la 2003, e ricca di precipitazioni soprattutto nei mesi di giugno e settembre.

Nove i vini in degustazione:

Bava – Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Piano Alto” 2011: naso regolare, didattico, giocato su sensazioni di ciliegia e fragoline macerate, per via di uno sbuffo alcolico sopra la media, assumono le sensazioni di frutta sotto spirito. Al sorso è rustico, la nota alcolica è ben equilibrata dall’acidità del barbera tende a impadronirsi della bocca lasciando il palato pulito e desideroso di un altro sorso.


Bersano - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “La Generala” 2011: rispetto al precedente il vino risulta decisamente più equilibrato, non ritrovo sbuffi alcoli ma, al contrario, tanta suadenza e rotondità soprattutto nella carica fruttata del barbera che, col passare del tempo, si arricchisce di richiami olfattivi di timo e rosmarino. Al sorso è coerente, di esemplare equilibrio, i vari elementi del vino sono così ben integrati chei 15° di alcol della barbera sono mascherati benissimo. Finale lungo e sapido.


Cascina Garitina - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “900” 2011: naso decisamente complesso, prepotente di ciliegia nera, mirtillo, ribes, a seguire, con l’ossigenazione del vino, si susseguono toni terziari di grande eleganza che prendono la forma del mallo di noce, della grafite, della terra bagnata. Il richiamo al territorio di Castel Boglione, dove le viti sono piantate su arenaria, si fa deciso soprattutto al gusto dove l’acidità sferzante della barbera solleva e dà slancio ad un sorso dal grande estratto secco ma da contorni precisi ed avvolgenti. Finale lunghissimo e ciliegioso.


Cantina Sociale di Vinchio Vaglio - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Laudana” 2011: probabilmente, durante la degustazione, ha pagato il confronto con il vino precedente ma, sinceramente, è un Nizza che non mi ha fatto impazzire per via di una personalità che riassume in tono minore, senza picchi qualitativi, i caratteri e le specificità dei Nizza finora degustati.

Dacapo - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Vigna Dacapo” 2011: naso compatto, concentrato, c’è tanta ricchezza di frutta nera a cui seguono spunti di cacao, grafite ed eucalipto. Bocca di grande morbidezza, precisa, ottima nello sviluppo, con corpo importante ma non invadente. Finale fruttato, ricco, che termina con una lunga scia sapida.


Erede di Chiappone Armando - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Ru” 2011: la possanza e l’esuberanza di questo vino è desumibile fin dalla prima olfazione che in maniera prepotente richiama un ventaglio di profumi di grande complessità articolati su toni di frutta nera, spezie indiane, terra, china ed erbe medicinali. Al palato è vigoroso, entra come un TIR che travolge ogni nostro senso senza però diventare sfacciato ed invadente. Vino di grandissimo equilibrio, grazie ad una dotazione acido-sapida imponente, tanto che gli oltre 16° alcolici della barbera risultano perfettamente oscurati.


La Gironda - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Le Nicchie” 2011: naso davvero coinvolgente, ridondante di sensazioni balsamiche che sembrano intrecciate con importanti richiami di erbe aromatiche dove timo e maggiorana la fanno da padrone. Poi, col tempo, escono delicate note terziare di humus e caffè. Al gusto è decisamente asciutto, inquadrato, austero, con tannino ben fuso e chiusura sapida e lunghissima senza eccessi.


Michele Chiarlo - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “La Court” 2011: nato da uno dei Cru più importanti del Monferrato, questo Nizza, per la prima volta durante la degustazione, gioca una partita tutta sua dove l’eleganza e la sobrietà giocano un ruolo fondamentale. Naso subito etereo, prosegue poi con una decisa nota di viola, rosa, frutta rossa croccante, anice e pepe rosa. Al gusto è assolutamente coerente, insiste con classe sulla freschezza, sulla leggerezza e sulla perfetta integrazione tra tutte le componenti del vino che donano una beva assolutamente da urlo.


Tenuta Olim Bauda - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza 2011: il vino di Gianni Bertolino, attuale Presidente dell’Associazione dei produttori del Nizza, chiude egregiamente la batteria di degustazione grazie ad un barbera di grande personalità aromatica dove crescono lentamente, ricchi ed articolati, eleganti profumi di rosa, violetta, lampone, pepe, grafite. Bocca che non molla: decisa, dinamica, dove alla grande potenza gustativa fa da contraltare l’inesauribile freschezza del barbera e la setosa tannicità. Ampio e persistente il finale dove le iniziali percezioni di dolcezza sono subito smussate da ritorni sapidi di grande eleganza ed integrità che invitano nuovamente alla beva che, in questi termini, diventa irrefrenabile.


Pfitscher - Alto Adige Lagrein DOC “Rivus” 2014 è il vino della settimana di Garantito IGP


Si cerca un vino buono buono ma non stressante per accompagnare un tubetto al ragù di moscardini, tipico piatto marinaro da barca. Scava e riscava e mi tocca questo Lagrein piovuto non so come nel mio cassetto dei sogni domenicali. 


Cercavo freschezza, frutto di sottobosco croccante ma non dolce, finale corroborante, amaro al punto giusto. Un piccolo grande vino di una piccola grande cantina attenta all'ambiente come poche altre. Un sorso, un boccone: piatto e vino finiscono e anche domenica è andata.

www.pfitscher.it

Aglianico a Roma 2019



Domenica 3 Febbraio 2019, dalle ore 11 alle 19, ritorna a Roma, stavolta all’interno del prestigioso Centro Congressi Cavour, a due minuti dalla Stazione Termini, la manifestazione “Aglianico a Roma” dove, attraverso banchi di assaggio e seminari tematici, operatori e appassionati di tutto il mondo potranno scoprire e degustare questa importante eccellenza vinicola prodotta nel sud Italia dove storicamente il vitigno ha trovato i miglior terroir in cui esprimersi ovvero Campania, dove si producono due DOGG (Taurasi e Aglianico del Taburno), e Basilicata, sui terreni vulcanici del monte Vulture, dove viene prodotto l’Aglianico del Vulture DOCG. Non mancherà, come avvenuto lo scorso anno, la possibilità di degustare anche vini di territori meno conosciuti al grande pubblico come Taburno, Cilento, Terra di Lavoro e Puglia.
I seminari in programma saranno condotti da Luciano Pignataro con la partecipazione di Marco Cum (Riserva Grande) e Andrea Petrini (Percorsi di Vino).

Programma domenica 3 febbraio

Ore 11.00 - Apertura banchi di assaggio

Ore 14:00 – Seminario a cura di Luciano Pignataro e Marco Cum: i luoghi dell'Aglianico dal Taburno al Cilento
Sannio e Cilento sono territori estremamente vocati per la produzione di aglianico anche se, forse, ancora poco conosciuti al grande pubblico. Grazie alla collaborazione del Consorzio Vini Salerno e del Consorzio di Tutela dei Vino del Sannio cercheremo all’interno di questo seminario di fornire una panoramica delle principali tipologie di Aglianico prodotte anche, e soprattutto, in virtù dei diversi terroir di riferimento.

Prenotazione obbligatoria: eventi@riservagrande.com

Ore 17:00 – Seminario a cura di Luciano Pignataro e Andrea Petrini: Il tempo come valore assoluto del vino: verticale di Taurasi Mastroberardino 1997 – 2012
Mastroberardino rappresenta la storia di una famiglia e di una cantina, oggi guidata dal Prof. Piero Mastroberardino, che da oltre 10 generazioni, valorizza nel rispetto del proprio territorio i principali vitigni autoctoni campani tra cui l’aglianico, coltivato in Irpinia, dal quale produce il Taurasi Radici che, nella versione Riserva, deriva solo dai possedimenti di Montemarano.
Ad Aglianico a Roma proporremo una verticale storica 8 annate di Radici Taurasi Riserva dal 1997 al 2012 per comprendere come questo grande vino del Sud possa evolvere magnificamente in oltre venti anni di età.

Prenotazione obbligatoria: eventi@riservagrande.com

Ore 19:00 – Chiusura banchi di assaggio

Modalità di acquisto dei biglietti di entrata
Ingresso alla manifestazione (non occorre prenotazione): costo 20€ 
Cauzione bicchiere da degustazione: 5€
Convenzioni
Sommelier: 15€ (previa dimostrazione con tesserino valido anno corrente)
Soci Riserva Grande 15€
Soci EnoRoma 15€

Seminari (l’acquisto include il biglietto di entrata per i banchi di degustazione)
Seminario “I luoghi dell'Aglianico dal Taburno al Cilento”: 30€
Seminario “Verticale storica Taurasi Mastroberardino 1997 - 2012”: 40€

iscrizione obbligatoria: eventi@riservagrande.com

Aziende Presenti (lista ancora provvisoria)

Antico Castello - Campania
Boccella – Campania
Cantine Tora - Campania
Consorzio Tutela Vini - Campania

Consorzio Vini Salerno - Campania

Donnachiara - Campania 
Fattoria La Rivolta - Campania
Fattoria Pagano - Campania
Il Colle del Corsicano – Campania
La Guardiense - Campania
Mustilli - Campania
Orneta Campania - Campania
Podere San Giovanni / Cantine Mediterrane - Campania
Rocca del Principe - Campania
Tenuta Fonzone - Campania
Tenuta Pietrelcina - Campania
Tenuta Scuotto - Campania
Verrone Viticoltori - Campania
Villa Raiano - Campania
Viticoltori Lenza - Campania

Cantina di Venosa - Basilicata
Cantine Del Notaio - Basilicata
Grifalco, Vulture - Basilicata
Tenuta I Gelsi - Basilicata
Tenuta Le Querce - Basilicata
Vigne Mastrodomenico – Basilicata

Conti Zecca, Puglia
Cantine Volpone, Puglia
Tormaresca, Puglia

Dieci vini da abbinare alla pasta alla carbonara senza scomodare Spumanti o Champagne - Garantito IGP


di Luciano Pignataro

Come tutte le ricette tradizionali italiane, la carbonara non solo è un evergreen, ma è protagonista di un vero e proprio rilancio grazie alle interpretazioni di giovani cuochi come Luciano Monosilio, Alba Esteve Ruiz, Sarah Cicolini che, pur rispettando la tradizione, l'hanno usata come trampolino di lancio per estrarre più sapore e ottenere più pulizia gustativa grazie alle tecniche di cucina. 

Già, ma cosa bere su un piatto così semplice e complesso allo stesso tempo


Non ci bacchetteranno i sommelier che cambiano il bicchiere appena arriva una portata con l'uovo a tavola? Il nostro è ovviamente un gioco, pensiamo che un buon Bicchiere di vino completi il piatto e del resto noi italiani sempre così abbiamo bevuto nell'era pre-Parker, quando i vini sono stati misurati e quotati a prescindere dal cibo. Ecco allora qualche timido suggerimento, ben sapendo che tracciamo solo un sentiero personale in una prateria, del resto ancora inesplorata. Vi promettiamo però che non faremo abbinamenti fighetti aderendo alla filosofia di un piatto popolare e che dunque esige un vino altrettanto pop, o comunque non inaccessibile. Rimandiamo ad altro capitolo il rapporto con le bollicine sgrassanti. L'idea che ci siamo fatti dopo una quarantina di anni fra prove e riprove è che servono acidità ma al tempo stesso anche complessità per affrontare un piatto sapido, grasso e ricco come la carbonara. Dunque bianchi non troppo beverini e, al limite, un buon rosato o qualche rosso fresco.

1- Castel de Paolis, Frascati Superiore DOCG 2016 
Abbinamento di territorio quasi obbligato. Scegliamo allora l'azienda di Santarelli che ha sempre creduto in questa tipologia: malvasia di Candia 70%, trebbiano toscano e bombino 30% sono i vitigni di questo bianco ormai ricco di storia e di cui scegliamo la penultima annata di uscita per dare tempo al vino di trovare il giusto equilibrio. Un bel sorso e la bocca esce pulita e perfetta.


2 -Tenuta di Fiorano, Fiorano bianco 2016
Un bianco importante, grechetto e viognier, ben maturato in botti grandi e piccole dopo la fermentazione in acciaio. Un vino di grande complessità, ricco al naso e di gran carattere al palato che sulla carbonara va speso nella sua immediata bevibilità senza andare troppo per le lunghe.

3- Emiliano Fini, Cleto 2017 
La sosta per sette mesi del bianco (100% grechetto) di questa giovane azienda riesce ad dare il giusto corpo oltre la complessità che cerchiamo in questi abbinamento con la carbonara. Grande freschezza nonostante l'annata calda, beva sapida, nessuna dolce. Un matrimonio perfetto.

Emiliano Fini. Foto: www.vinointorno.it

4- Valle Reale, Vigneto di Popoli 2016
Passiamo nel vicino Abruzzo dove preferiamo questa versione del Trebbiano, un bianco di montagna a fermentazione spontanea che dopo due anni tocca un equilibrio perfetto a noi molto caro. Fresco e sapido, chiusura decisamente lunga e piacevole. Una scelta da spendere soprattutto sulle versioni un po' più grasse della carbonara in cui prevale la dolcezza.

5- Benito Ferrara, Greco di Tufo 2017
Un bianco "spazzacibo" per eccellenza, un rosso travestito. Il Greco è da sempre un vino rustico e di potenza e per l'occasione scegliamo una azienda che è diventata simbolo di questa piccola DOCG, di grande affidabilità e coerenza stilistica. I sentori minerali tufacei ben si addicono a questo piatto forte e robusto.

6- Poggio al Tesoro, Solosole 2016
Il bianco di punta del gruppo Allegrini merita certamente una presenza in questa particolare classifica. Vermentino lavorato solo in acciaio con ottima propensione all'invecchiamento. Scegliamo la versione 2016 per lo stesso motivo dei precedenti: quando il vino esce dalla pubertà e inizia a trovare il giusto equilibrio. Tanta sapidità e giusto carattere.


7- Stefano Antonucci, Verdicchio Castello di Jesi DOC Classico Superiore "Santa Barbara" 2016
Per il Verdicchio c'è l'imbarazzo della scelta. Scegliamo una delle nostre versioni preferite che riteniamo più adatte a questo piatto grazie alla complessità che sviluppa questo bianco che diventa immenso con il passare degli anni. Noi ci fermiamo comunque al 2016 perché la freschezza resta sempre e comunque l'arma segreta di questo abbinamento.

8- Velenosi, Reve 2016
Ci piace segnalare questo pecorino, interessante vitigno dell'Italia centrale, in questa versione in cui metà massa è lavorata in acciaio e metà in legno. Il risultato è un bianco decisamente complesso al naso con rimandi di macchia mediterranea, ma soprattutto decisamente agile e svelto al palato.

9- Severino Garofano, Giroflé 2017 Negroamaro rosato
Proviamo anche con un rosato. Ma che rosato! Quello pensato da Severino garofano per il negroamaro, l'uva con la quale ha realizzato la maggior parte dei suoi capolavori. Stefano e Renata mantengono la barra nella direzione indicata dal padre, il rosato di questa annata è strepitoso per il frutto, la sapidità e l'incisiva freschezza.

Credit: callmewine.com

10- Contrada Salandra, Piedirosso dei Campi Flegrei 2016,
Il vino rosso campano per eccellenza perché non è coltivato fuori regione. Tannini setosi sin dal primo momento, fresco, sapido e amaro, viene coltivato nei suoli vulcanici e predilige il caldo. Un vino che non ambisce ad avere complessità, ma assolutamente efficace negli abbinamenti, gastronomico come si dice adesso.

Brezza - Nebbiolo d'Alba "Vigna Santa Rosalia" 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP


di Carlo Macchi

Fresco, profumatissimo, tannini vivi ma dolci, equilibrato, persistente, godibile. Un nebbiolo giovane che dimostra la versatilità del vitigno. Un vino che non può invecchiare, perché finisce prima.


Talmente buono che abbiamo bevuto anche mezza bottiglia di una che sapeva di tappo,fate voi…

Il Chianti Rufina tra vino ed olio - Garantito IGP


di Carlo Macchi

Una giornata sicuramente molto particolare, perché la degustazione di mercoledì 5 dicembre a Selvapiana, una delle cantine storiche della Rufina, non può essere passata agli atti come una “normale degustazione”. Abbiamo assaggiato uno di fila all’altro i tre capisaldi della denominazione, olio, vinsanto e vino, facendoci un’idea veramente chiara e assolutamente positiva di questo piccolo e vocato territorio, alle porte di Firenze, con tanta storia alle spalle.


Per prima cosa abbiamo assaggiato in maniera bendata ben 13 oli del 2018 di altrettanti produttori della Rufina. Il risultato dell’assaggio è stato positivo: l’annata non è certo eccezionale, gli oli hanno buoni profumi ma non molto intensi, che puntano molto meno di altri anni verso la foglia di carciofo e si dipanano su note più dolci, mentre il corpo è equilibrato ma non ha la potenza che molti chiedono all’olio toscano. La media qualitativa si è comunque dimostrata alta e comunque senza confronto con oli da supermercato.


Come vedete dalle foto erano tutti oli imbottigliati e questo ci porta a parlare dei costi di un buon extravergine che, alla produzione, per un serio produttore toscano non può essere inferiore agli 8-10 euro al litro. Questo anche perché, come ci dice Federico Giuntini di Selvapiana “La resa non è uguale tutti gli anni ma purtroppo i costi si. Inoltre la Rufina è al limite della zona di coltivazione dell’olivo, con note positive per gli oli ma negative per le rese e le difficoltà di lavorazione”. Quindi se ad un produttore costa 8-10 euro a quanto lo dovrebbe rivendere per guadagnarci qualcosa?  Per fortuna la raccolta 2018 è stata alla Rufina e in quasi tutta la Toscana abbondante, anche se è durata molto più a lungo che in altri anni, con rese che, sempre alla Rufina sono arrivate al massimo al 12-13%.
Praticamente tutti gli oli che vedete nella foto sono di ottima qualità ma se volete sapere quello che mi è piaciuto di più vi dirò che, a fine giornata, mi sono comprato 5 litri dell’extravergine di Selvapiana.


Dopo gli oli siamo passati ai vinsanto e, ve lo dico senza peli sulla lingua, abbiamo goduto di brutto. Il Vinsanto è un vino passito particolare: ha grande acidità, spesso coperta da alti residui zuccherini ma che viene sempre fuori, dando nerbo e vitalità al prodotto. Al naso, specie se matura per almeno 6-7 anni, ha gamme aromatiche che partono dalla frutta matura e passano a quella secca, passita e candita, arrivando a gamme terziarie che portano verso sentori di fungo e tartufo, il tutto con un sottofondo di miele.


I Vinsanto che abbiamo degustato e di cui troverete qui le schede di degustazione, ci hanno impressionato per qualità e per assoluta classicità. Sono vini che in qualche caso rischiano di non piacere perché incarnano la burbera e spigolosa anima toscana. Questi della Rufina hanno mostrato anche delle notevoli diversità olfattive, tutte però di assoluta pulizia, profondità, complessità e soprattutto piacevolezza. Ho già detto in altra sede che sono vini che non andrebbero bevuti ma santificati, perché rappresentano al meglio una tipologia sempre meno consumata e stimata, quando invece è la quintessenza della sapienza, pazienza e bravura che ci vuole per fare un grande vino.

Vi ho dato il link dove potrete vedere i risultatiti degli assaggi ma due-tre chicche ve le passo subito: Il Vinsanto del Chianti Rufina Occhio di Pernice (cioè da uve rosse) 2008, I Veroni, il Vinsanto del Chianti Rufina Riserva 2011 di Lavacchio e il Vinsanto del Chianti Rufina 2001 (non è un errore, c’è questo in commercio) di Frascole rappresentano le varie e meravigliose anime di un unico corpo.


Un vecchio detto recita che “Tutti i salmi finiscono in gloria” e così la nostra giornata di assaggi non poteva che concludersi a tavola. Ma attenzione, una tavolata particolare perché la terza degustazione era dedicata alle eccezionali possibilità di invecchiamento del Chianti Rufina attraverso una serie di vecchie annate, una per cantina.
Il bello era che la degustazione si è svolta a tavola, pranzando, proprio per capire se oltre alle possibilità di invecchiamento questi grandi rossi hanno anche la giusta elasticità, freschezza, adattabilità gastronomica oppure se sono solo dei bei monoliti da gustare ma da non portare in tavola. Inoltre, last but not least, la degustazione non solo non era bendata ma a tavola c’erano anche i produttori, con cui abbiamo scambiato pareri su ogni vino che veniva degustato.


Eccovi, prima di tutto la lista dei vini, tanto per farvi sbavare un po’, nell’ordine praticamente casuale in cui sono stati serviti.

Marchese Gondi Villa Bossi Riserva 2001
Castello di Nipozzano Chianti Rufina Riserva Montesodi 1999
Fattoria il Capitano, Chianti Rufina Riserva 2013
Frascole, Chianti Rufina Riserva 2006
Colognole Chianti Rufina Riserva del Don 2006
Travignoli Toscana IGT Tegolaia 2005
Fattoria di Grignano Chianti Rufina RiservaPoggio Gualtieri 2000
Fattoria di Lavacchio Chianti Rufina Riserva Ludii 2007
I Veroni Chianti Rufina Riserva 2010
Castello del Trebbio, Chianti Rufina Riserva Lastricato 2004
Il Pozzo Chianti Rufina Riserva 2004
Selvapiana, Chianti Rufina Riserva Bucerchiale 1995

Niente male, non trovate?

Ma veniamo ai risultati di questa particolare e gustosissima degustazione.
La prima nota riguarda la qualità dei vini: tutti quelli degustati erano in condizioni perfette (due tappi a parte) e, a detta degli stessi produttori, hanno mostrato le loro reali caratteristiche. Chi pensa che una vecchia annata della Rufina sia un vino comunque in declino, doveva essere a tavola con noi! Ognuno metteva in tavola la sua giovinezza, sia con una freschezza acida brillante e patinata, sia con una tannicità viva ma elegante, sia con complessità aromatiche non soltanto legate al mondo degli aromi terziari.
Una continua sorpresa, pensando che avevamo a tavola anche vini di 23 anni e che comunque la media era nettamente superiore ai 10.


Personalmente ho nuovamente constatato che i grandi sangiovese invecchiando raggiungono finezze che li avvicinano ai migliori Pinot Nero: hanno una setosità al palato ed un mix di gioventù ed esperienza al naso che non può non farti innamorare. Poi magari si declinano in maniera diversa: con la grande potenza espressiva della Riserva del Don 2006 di Colognole o con la suadente freschezza della Riserva di Frascole 2006 o con la ancor monolitica presenza del Lastricato del Castello del Trebbio 2004 o con il regale aplomb del Bucerchiale 1995 di Selvapiana, però tutti hanno quella matrice, quella madre generosa chiamata sangiovese, che li accomuna e li accompagna nel tempo.
Devo ammettere che qualche produttore avrebbe potuto odiarmi, visto che alcuni di questi vini sono stati abbinati a tortini di verdura o comunque a piatti non certo adatti alla loro nobiltà, ma alla fine siamo riusciti a dimostrare che le vecchie annate della Rufina sono perfettamente godibili a tavola, anche su piatti non proprio studiati a tavolino.
Scommetto che a questo punto volete sapere quelli che mi sono piaciuti di più: vi garantisco che non è stato facile scegliere, ma se dovessi fare un podio metterei al terzo posto il Ludii 2007 di Lavacchio, al secondo la Riserva del Don 2006 di Colognole e al primo sua maestà Bucerchiale 1995 di Selvapiana.


Tutti gli altri però restano a pari (e alto) merito alla base di questo podio ipotetico.
A fine pranzo, vista la bontà dei vini e in molti casi la disponibilità ancora discreta di bottiglie, è nata l’idea di esportare, in ristoranti o enoteche amiche di altre zone d’Italia, l’opportunità di conoscere, degustare e apprezzare le grandi possibilità delle vecchie annate della Rufina, magari assaggiando a fine pasto un grande Vinsanto della Rufina e naturalmente preparando piatti con l’extravergine locale.

Insomma, chi se la sente di godere come abbiamo fatto noi il 5 dicembre, alzi la mano, anzi, alzi il telefono e chiami il Consorzio del Chianti Rufina.