Giovanna Tantini - Bardolino Doc 2013


di Lorenzo Colombo

C’è ancora chi sostiene che il Bardolino sia un vino da bersi unicamente giovane. 


Da tempo siamo convinti che questo sia un luogo comune, basta infatti approcciarsi ad un vino come quello prodotto da Giovanna Tantini che, dopo sei anni dalla vendemmia s’esprime con una succosità, un equilibrio, un’eleganza, ed una piacevolezza di beva, da far invidia a vini assai più blasonati.


Tenuta di Capezzana - Ghiaie della Furba e i suoi primi quaranta anni

di Lorenzo Colombo

Il 2019 segna il 40° compleanno del Ghiaie della Furba. Il vino infatti, uno dei primi Supertuscans, fu creato nel 1979 da Ugo Contini Bonaccossi, utilizzando in parti uguali, le uve tipiche del bordolese: Cabernet sauvignon, Cabernet franc e Merlot.
Il nome che gli fu dato deriva dal fatto che il vigneto si trovava nei pressi del torrente Furba, che scendendo dal Montalbano ha originato nel corso degli anni un suolo estremamente ciottoloso e sassoso.

Da qui Ghiaie della Furba.

Per festeggiarne il compleanno, durante lo scorso Vinitaly, l’azienda Tenuta di Capezzana ha previsto, su invito, una degustazione personalizzata (face to face) di sei annate del vino, dall’ultima in commercio, ovvero la 2015, risalendo fin quasi agli albori con l’annata 1981.
Noi abbiamo avuto la fortuna di potervi partecipare, ecco quindi le nostre impressioni sui vini, assaggiati dall’annata più recente sino alla più vetusta.
Per comodità nostra, nel redigere il pezzo anche da un punto di vista dell’evoluzione stilistica dei vini, abbiamo preferito elencarli partendo da più vecchio.
Prima però eccovi alcune informazioni relative all’azienda: un documento, ritrovato nell’archivio di Stato di Firenze e datato 804 dC, attesta che sin da quella data erano presenti, a Capezzana, vigneti ed oliveti, coi quali si produceva vino ed olio.

Tenuta di Capezzana - foto: MTV Toscana

Nel 1475 si trova citato per la prima volta il nome Bonaccossi, allorché Monna Nera Bonaccossi “costruiva la prima “casa da Signori” e nove case poderali con i relativi impianti viticoli”.
Nella storia della Tenuta ci sono molti passaggi di proprietà, sinché non fu acquistata, nel 1920, dal Conte Alessandro Contini Bonaccorsi.
Attualmente s’estende su una superficie di 670 ettari, di cui 104 a vigneto e 140 a oliveto.
I vitigni francesi, in particolar modo il Cabernet sauvignon, si trovano nel territorio di Carmignano da oltre cinque secoli, parrebbe infatti che ad introdurli in Toscana sia stata Caterina De’ Medici. Questo fa si che la zona di Carmignano possa essere considerata la zona d’origine di quelli che negli anni ’70 del secolo scorso furono denominati Supertuscans.

Ma eccoci ora ai vini degustati: un filo conduttore che abbiamo comunque trovato nel percorso di quarant’anni, seppur segnato da notevoli cambiamenti nella composizione del vino è data dalla nota un poco austera che si ritrova sia in quelli più giovani e che permane nei più vecchi, l’importante trama tannica, caratteristica che permette la longevità dei vini rimane importante anche col passare del tempo, inoltre le note terziarie compaiono abbastanza presto, soprattutto quelle legate ai sentori di cuoio.

1981: (⅓ Cabernet sauvignon, ⅓ Cabernet franc, ⅓ Merlot) - 12 mesi in barriques
La composizione del vino rispetta la formula iniziale, ovvero parti uguali di Cabernet franc, Cabernet sauvignon e Merlot. Già alla vista denota l’avanzata età, il colore infatti è mattonato-aranciato.Intenso al naso dove emergono i sentori terziari, si colgono note di fiori secchi. Asciutto al palato con bella vena acida e legno non ancora completamente digerito, leggeri accenni ossidativi su buona persistenza. 


Nel 1992 entra in produzione la Vigna Sant’Alessandro, dove viene coltivato Cabernet sauvignon, vitigno che vedrà aumentata la sua percentuale nella composizione del vino. Nel 1998 la responsabilità enologica viene assunta da Benedetta Contini Bonaccossi che effettua il suo primo cambiamento, ovvero l’eliminazione del Cabernet franc dalla composizione del vino, sostituito, seppure ancora in percentuale modesta, con lo Syrah. 

1999: (60% Cabernet sauvignon, 30% Merlot, 10% Syrah) – 14 mesi in barriques
Color granato. Intenso al naso, note terziari di cuoio e fiori appassiti. Asciutto, sentori di cuoio, legno ancora percepibile, buona la persistenza. 



2004: (60% Cabernet sauvignon, 20% Merlot, 20% Syrah) - 14 mesi in barriques
Qui la percentuale di Syrah aumenta, a scapito del Merlot. Color granato di buona intensità. Intenso ed austero al naso, balsamico, con sentori di cuoio. Strutturato, succoso, asciutto, tornano le note di cuoio, lunga la persistenza. E’ l’annata che in assoluto abbiamo preferito. 


Nel 2009 inizia il percorso di avvicinamento al biologico

2010: (50% Cabernet sauvignon, 25% Merlot, 25% Syrah) - 15 mesi in barriques
Le percentuali di Merlot e Syrah salgono leggermente, a scapito del Cabernet sauvignon. Color granato. Intenso al naso, austero, sentori terziari di cuoio, accenni balsamici. Asciutto, tannico succoso, sentori di cuoio su lunga persistenza. 


2013: (50% Cabernet sauvignon, 25% Merlot, 25% Syrah) - 15 mesi in barriques
La composizione rimane la stessa del 2010. La maggior gioventù del vino si coglie già dal colore, rubino di buona profondità. Intenso al naso, austero, cuoio, frutto rosso speziato. Strutturato, asciutto, tannico, con legno ancora in evidenza, lunga la persistenza su note balsamiche. 


2015: (40% Cabernet sauvignon, 25% Merlot, 35% Syrah) - 24 mesi in barriques
Nuovo incremento della percentuale di Syrah e conseguente riduzione di Cabernet sauvignon. Molto bello il colore, rubino-purpureo, luminoso. Bel naso, intenso, un poco austero, sentori di spezie dolci. Di buona struttura, con tannini importanti ma ben integrati, note piccanti (spezie), legno ancora percepibile.



Corteaura - Franciacorta Docg Pas Dosé "Insé" 2012

I veneti sono tosti anche quando escono dal Veneto. Federico Fossati ha smesso di fare il commercialista a Padova ed è andato in Franciacorta a fare spumante. 


Questo gli è venuto assai bene: sei anni sui lieviti, un naso con qualche suadente nota verde, pieno di asciutta fragranza e in bocca corposo, deciso, lungo, da tutto pasto.

www.corteaura.it

Hans Barth, “Guida spirituale alle osterie italiane da Verona a Capri”, a cura di Enrico Di Carlo


di Stefano Tesi

Dirò subito una delle cose che chi recensisce un libro non dovrebbe mai confessare: non l’ho letto. Non l’ho letto tutto, diciamo.
Ho però tre ampie giustificazioni. Innanzitutto, per arrivare da Teramo a Siena il volume ci ha messo un mese (grazie Poste Italiane!). Poi quando è arrivato non stavo così nella pelle che ho subito saltabeccato qua e là tra le pagine, senza dare una lettura lineare. E infine, non si tratta di un tomo da leggere in senso tradizionale ma semmai da compulsare, consultare, spulciare alla ricerca di luoghi, nomi, piatti, situazioni, note, spigolature.


E’ la ghiottissima – sotto tutti punti di vista – ristampa, con una ponderosa introduzione storico-critico-biografica del giornalista, scrittore e studioso dannunziano chietino Enrico Di Carlo, della “Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri” riedita nel 1921 (ma già pubblicata nel 1908 in Germania e nel 1910 in Italia) da Hans Barth (1862-1928). Opera che, come dimostrano le varie riedizioni succedutesi da allora e come sottolinea oggi anche Di Carlo, ebbe un grande successo e inaugurò, ben centodieci anni fa, quello che è ancora un filone lucroso dell’industria editoriale: la letteratura di viaggio enogastronomico.
Già questo renderebbe il libro (Verdone Editore, 365 pagine, 17 euro) interessante agli occhi di qualunque appassionato di bere, di mangiare, di viaggiare e di storia del costume.
Ma lo è ancora di più perché l’autore non è, nè era, un personaggio qualunque: giornalista, per quarant’anni corrispondente in Italia del Berliner Tageblatt, importante quotidiano politico liberale tedesco, amico di D’Annunzio, che non a caso gli scrisse la prefazione, Barth fu anche uomo di mondo, di cultura, d’ironia e di “pancia”, nel senso che non fece mai mistero della sua passione per la cucina. Passione che potè appunto assecondare visitando in lungo e in largo il nostro paese, da lui molto amato, e utilizzando la chiave di conoscenza più diretta, sicura, affidabile e ovunque socialmente esplicita: la visita alle osterie. Regalandoci così un prezioso, curiosissimo spaccato di storia minore, di vita quotidiana, di un’Italia popolare con le gambe sotto il tavolo e a cavalcioni della Grande Guerra.


Da Verona a Capri, sono oltre trecento i locali passati in rassegna dal nostro tra osterie, bar, taverne e birrerie, con una miniera di informazioni su cibi, vini (serviti quasi sempre in carducceschi “fiaschi paesani”), sughi, clienti, atmosfere, usi, costumi, mobili, apparecchiature, tintinnar di bicchieri e frequenti, perfino ammiccanti sguardi al gentil sesso, senza disparità classiste tra procaci ostesse o nobilissime contesse.
Più che una guida gastronomica, come la potremmo intendere oggi, ne esce quindi, e anzi appunto, una sorta di guida spirituale, un excursus letterario lungo e gaudente, un diario di viaggio nei luoghi di tutti i giorni da cui affiorano in continuazione, però, spunti per note erudite, citazioni latine, descrizioni di vedute e di passanti, aneddoti dei più vari. In poche parole una lettura godibilissima, a tratti esilarante, a tratti appassionante.


Inevitabilmente ho cominciato a scorrere l’indice partendo dalle osterie senesi, che Barth definisce “un buon campo per un viaggio d’esplorazione”, visto che egli stesso attribuisce alla città di allora “più di trecento dispense di vino”. Di queste, l’autore ne cita per nome tre, tra le quali la Trattoria del Sasso del sanguigno Ghigo Tozzi, il padre del grande Federigo. Considerato che la guida uscì per la prima volta nel 1908 e che Ghigo morì l’anno dopo, non è escluso che il gaudente tedesco possa dunque averlo incontrato tra i tavoli del locale. E che poi, a Roma, sua residenza abituale, abbia magari potuto conoscere, viste le comuni frequentazioni letterarie, anche Federigo. Perdonatemi questa suggestione a cui sono giunto senza peraltro neppure seguire uno dei più acuti consigli di Hans. Il quale, riferendosi al vino gustato della trattoria tozziana, riporta espressamente come vi sia “un Chianti così tollerabile che se ne può bere facilmente un fiasco e mezzo senza risentirne danno, visto che una leggera esaltazione dell’anima non è pena, ma premio”.
Il che equivale e dà forza alla celebre massima di Hemingway: “Scrivi da ubriaco e correggi da sobrio”. Probabilmente anche Barth fece così.

Tasca d'Almerita - Chardonnay "Vigna San Francesco" 2016


di Luciano Pignataro

Ecco uno dei pochi, direi pochissimi, Chardonnay italiani che mi soddisfano e che cerco. Secco, minerale, austero, una bandiera siciliana pianta nel lontano 1985 che non ha affatto perso d'attualità.


Da bere più vecchio, molto più vecchio di quanto non abbia fatto io con questo splendido 2016

Antonino Caravaglio - Chianu Cruci Salina IGP 2018

di Luciano Pignataro

Capperi o malvasia? Questo è il dilemma che si vive a Salina dove entrambi danno molta soddisfazione a chi li produce.Antonino Caravaglio, quest’anno benemerito per la viticultura al Vinitaly, ha risolto piantando capperi e viti negli ultimi vent’anni passando da cinque a tredici vitati per la precisione.

Antonino Caravaglio

Questo vino nasce a Piano Croce, un piccolo territorio pianeggiante chiamato Valdichiesa che unisce i due vulcani dell’isola, sempre carezzato dal vento, una caratteristica che rende più facile la gestione biologica dell’agricoltura e non a caso Antonino Caravaglio ha subito imboccato questa strada. Anno dopo anno ha comprato i terreni, si è ingrandito e conduce la sua giornata da una parte all’altra dell’Isola di Salina dopo aver acquistato anche a Lipari e adesso a Stromboli con l’ex direttore del TG1 Andrea Montanari dove riporta la vite dopo alcuni decenni di assenza.

vigneti a Valdichiesa

Per il cappero ha una idea tutta sua: meglio una dop Eolie che una solo Salina e sul piano della comunicazione è impossibile dargli torto vista la dimensione così piccola dell’Arcipelago.Dalla sua caverna delle meraviglie, parliamo della cantina dello stellato Signum, Luca Caruso decide di iniziare a farci bere il territorio partendo proprio da questo bianco, ottenuto da malvasia delle Lipari all’80 per cento con un saldo di vitigni autoctoni tra cui prevale il Catarratto.


La tecnica è quella di una macerazione prolungata sulle bucce per poi tenerlo in sosta in vasca d’acciaio fino al momento dell’imbottigliamento. Malvasia e Moscato vinificati in secco da sempre sono la mia passione e questo bicchiere mi colpisce non solo per i profumi esuberanti tipici del vitigno, ma soprattutto per la sostanza, il corpo, la complessità. Presentato come vino da aperitivo, secondo me ha molto da raccontare nei prossimi due tre anni, quando avrà raggiunto la maturità necessaria e al naso si comincerà a sentire il tipico effetto dei suoli vulcanici che arricchiscono il vino con il passare del tempo.
Al palato è amaro, fresco, ampio. Un esempio concreto di cosa voglia dire biodiversità quando stappiamo una bottiglia di vino. Non è importante che sia la più buona del mondo quanto, piuttosto, che sia una chiave d’ingresso nel territorio che viviamo e ci faccia conoscere le bellezze le persone che ci vivono.


Le Battistelle - Soave Classico DOC 2014


di Carlo Macchi

Uno pensa al Soave, vino da bersi giovane, gli mette accanto la difficile vendemmia 2014 e… rimane stupito! Un vino complesso, anche con fini sentori di botryte, ampio al naso, fresco, armonico e avvolgente al palato. 


Una dimostrazione di come il Soave Classico sappia invecchiare e dare incredibili soddisfazioni.

Vinix e Filippo Ronco sbarcano a Roma sabato 11 Maggio 2019


Vinix farà tappa a Roma per la presentazione del suo catalogo sabato 11 maggio 2019 presso l'hotel Radisson Blu (Via Filippo Turati, 171) dalle ore 11 alle 19.30 circa. Seguirà cena con capicordata, compratori e appassionati in compagnia dei produttori presso il ristorante Tram Tram in via dei Reti, 44. L'evento è aperto a tutti, si consiglia l'iscrizione a Vinix da qui: https://www.vinix.com per essere aggiornati su tutto.

Per informazioni: shop@vinix.com | +39 347 211 9450

DETTAGLI, ESPOSITORI E CENA

Degustazione libera per tutta la giornata dalle ore 11 alle ore 19.30 circa, con orario continuato in compagnia di un nutrito manipolo di produttori del catalogo Vinix, piccoli assaggi gastronomici per tutti i partecipanti nel corso della giornata ad accompagnare le degustazioni. Qui di seguito la lista degli espositori di questa giornata in ordine di conferma:

01) Cascina i Carpini, Pozzol Groppo (AL)
02) Cà Richeta, Castiglione Tinella (CN)
03) Tenuta La Torretta, Trevozzo Val Tidone (PC)
04) Vigneti Vallorani, Colli del Tronto (AP)
05) Calvi, Castana (PV)
06) Levii, Bleggio Superiore (TN)
07) Colleluce, Serrapetrona (MC)
08) Cascina Clarabella, Iseo (BS)
09) Maltus Faber, Genova (GE)
10) Vini Maraviglia, Matelica (MC)
11) I Stefanini, Monteforte d'Alpone (VR)
12) Poggio delle Grazie, Sommacampagna (VR)
13) Cantine del Notaio, Rionero in Vulture (PZ)
14) Cantine Viola, Saracena (CZ)
15) Pietro Beconcini, San Miniato (PI)
16) Poggio Lucina, Montalcino (SI)
17) Daniele Saccoletto (AL)

Subito dopo l'evento, intorno alle 20.30 e previa prenotazione con un commento a questo annuncio, ci troveremo a cena presso il ristorante Tram Tram in Via dei Reti, 44 a Roma, comodo da raggiungere anche a piedi dal Radisson Blu, il costo è di 38,00 euro a persona da versare direttamente al ristorante la sera stessa.

Antipasto: Alici fritte, fave e cicoria e vignarola;
Due Primi: Gricia "sbagliata" e Pappardelle al ragù bianco di agnello e carciofi croccanti;
Secondo: Coda alla Vaccinara;
Dolce: Zabaione al cucchiaio
Acqua e caffè
Vini dei produttori Vinix in abbinamento alla cena
Costo: 38,00 euro a persona

Evento Facebook:

Gasthaus Torgglhof: a Penon c'è tanto gusto!


E’ stato amore al primo canederlo. Anche perché contornato da un ragù di agnello da leccarsi i baffi. Non credendo al mio palato ho cercato la conferma in una finissima e saporita crema di asparagi e ancora incredulo e sicuramente non sazio ho rilanciato gustandomi un brasato di manzo morbido e succoso con una polenta veramente eccellente. Naturalmente non mi sono perso l’insalata di cavolo cappuccio con speck, perfetta nel dosaggio tra senape e olio extravergine.

Foto: www.suedtirol.info

Il bello è che tutto questo l’ho gustato senza avere la minima idea di chi l’avesse preparato!
Ma andiamo con calma: ero a Penon, un piccolo borgo sopra a Cortaccia, per Sauvignon Experience, la manifestazione altoatesina che oltre ad organizzare il primo Concorso nazionale per il Sauvignon, prevedeva anche altre incontri incentrati su questo vitigno.
Avevamo terminato la sessione mattutina di degustazione per il concorso e ci viene annunciato che dalle 12 (orario altoatesino) il catering servirà il pranzo. Avendo terminato un po’ prima sono uscito in tempo per veder arrivare “il catering”, cioè una macchina piuttosto piccola dalla cui bauliera sono uscite fuori quattro pentole di formato quasi casalingo.
Registro mentalmente la cosa senza dargli troppa importanza e aspetto le 12. Dalle 12.01 è successo quello che ho scritto all’inizio. Quattro preparazioni perfette e buonissime in un “catering” non le avevo mangiate da quando Annibale valicò le Alpi e quindi mi avvicino al tavolo di servizio per chiedere ad una signora che presumo essere la cuoca dove si trovi il suo ristorante. Lei mi guarda un po’ stupita e mi dice “Guardi che il cuoco è lui!”
Il lui è un giovanissimo ragazzo biondo che, un po’ imbarazzato, mi dice che il suo locale si trova in paese.
Gli faccio i complimenti e gli chiedo un biglietto da visita. Lui mi guarda e confessa di non averne nemmeno uno. Ci viene in aiuto il suo grembiule azzurro con il nome del locale, che io fotografo e la cosa finisce lì.
In realtà non finisce per niente lì! Nei due giorni seguenti sono andato ben due volte a mangiare al Torgglhof e così ho avuto modo di testare con attenzione la cucina del giovanissimo (25 anni!) Alex Kaspareth, che per ben otto anni si è fatto le ossa in un ristorante a Cortaccia e da poco tempo è tornato nella Gasthaus di famiglia.

Alex Kaspareth

Un luogo e un locale come siamo abituati a vedere in Alto Adige: uno spazio esterno con tavoloni e panche in legno e con un panorama notevole sul mondo, all’interno tre piccole sale in stile spartano ma efficace e una cucina forse ancor più piccola.
Qui Alex riesce comunque a gestire un menù che parte dai tipici piatti altoatesini, non cucinati però con la vena rustica che spesso contraddistingue questi luoghi ma figli di una mano attenta non solo alle ottime materie prime e ad una attenta presentazione. Vi faccio un esempio: pranzo per 15 persone e nel menù troviamo un semplicissimo Filetto di manzo con burro alle erbe, patate al forno e verdure”.  La carne era buonissima ma la cosa più buona era il sughetto che la carne aveva fatto. Questo vuol dire grande materia prima e mano sicura e precisa per una perfetta cottura, considerando che tutti e 15 i commensali sono stati serviti contemporaneamente

Cannellone ripieno

Mano precisa e voglia di fare qualcosa di nuovo anche nel cannellone ripieno d’asparagi verdi con pesto di crescione o nei canerderli al dente di leone su insalata con asparagi e speck croccante. Anche col pesce, in particolare col filetto di salmerino su insalata con erbe selvatiche e condimento al sesamo si nota la voglia di proporsi ad un livello più alto.
Alex, aiutato dalla mamma che gestisce la sala e dal padre che aiuta in cucina e al bar, affianca un menù stagionale al classico altoatesino, inserendo anche altri piatti concreti, come quelli citati all’inizio o come l’arrosto di manzo alla cipolla.
Sui dolci, oltre al classico strudel di mele chi era con me (io sono allergico alle fragole) mi ha garantito che i canederli di ricotta con fragole, rabarbaro e salsa alla vaniglia erano veramente buoni.

Filetto di manzo

La carta dei vini è purtroppo ristretta all’Alto Adige ma tutti i vini in carta (non sono moltissimi) sono proposti anche al calice con ricarichi veramente bassi.
Chi mi conosce sa che difficilmente mi sbilancio  ma per Alex voglio fare un eccezione: se avrà la forza e la volontà di andare avanti, senza però perdere le radici gastronomiche altoatesine, credo che tra qualche anno questo ragazzo sarà veramente molto conosciuto e apprezzato. Nel frattempo, consiglio a Slow Food di prenderlo in considerazione  per la Guida Osterie d’Italia.


A questo punto la parola tocca a voi: in auto, moto o (se ve la sentite) bici salite a Penon: un pranzo o una cena alla Gasthaus Torgglhof  sarà sicuramente una bella esperienza a prezzi molto corretti, perché dall’antipasto al dolce spenderete sui 40 euro, vini esclusi.

Gasthaus Torgglhof 
Via Kauderle, 6, Penon, Bolzano
Telefono: 0471 880021

Giuseppe Rinaldi - Dolcetto d’Alba 2017


di Roberto Giuliani

Beppe non c’è più, ma per fortuna i suoi vini, grazie alla figlia Marta, ci sono ancora. 


E questo è semplicemente buonissimo, un esempio di quanto questa tipologia sia ancora troppo sottovalutata e meriterebbe più attenzione: profuma di ciliegia e lampone, succoso e avvolgente, profondo, puro piacere.

Cascina Castlet - Monferrato Rosso Uceline 2012


di Roberto Giuliani

Che l’Italia sia un Paese con una ricca quantità di vitigni autoctoni è cosa risaputa, meno facile è conoscere quelle varietà che appartengono ad aree molto ristrette, la cui esigua produzione non consente a tutti di poterne apprezzare i vini ottenuti. Mariuccia Borio di Cascina Castlet, rappresentativa azienda di Costigliole d’Asti, ha da sempre un amore profondo per la ricerca di uve rare e dimenticate del suo territorio come l’Uvalino; un lavoro iniziato più di 30 anni fa, con passione e tenacia, frutto anche delle sue esperienze di vita. Infatti, come racconta lei stessa “Questo vitigno ha sempre fatto parte della mia vita. Per noi bambini, la vendemmia di quest’uva, che avveniva nell’estate di San Martino, era una festa”.
In passato l’Uvalino veniva appassito e utilizzato per dare maggiore carattere ad altri vini, oppure, vinificato in purezza, veniva regalato alle principali personalità del paese, come il medico, il farmacista o il parroco, ma anche proposto per le grandi occasioni come matrimoni e battesimi.


Nel 1992 Mariuccia piantò il suo primo filare, oggi dispone di un ettaro e mezzo di questa particolare varietà. Dalla vendemmia 1995 si è avvalsa della collaborazione dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, con cui ha portato avanti un progetto presentato nel giugno 2003, in occasione del VII International Symposium of Oenology di Arcachon, organizzato dall’Università di Bordeaux, dove vennero presentate le più importanti ricerche europee in campo vitivinicolo.


Dopo alcuni anni di inevitabile iter burocratico per ottenere il riconoscimento del vitigno, il 16 luglio 2002 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto n.32011 del 6 dicembre 2000 che sancisce l’ingresso dell’Uvalino fra le varietà di vite riconosciute e inserite nel Registro Nazionale, con codice n. 370.
Grazie a questo, l’Uvalino è entrato a pieno diritto fra le uve consentite per la produzione del vino DOC Monferrato Rosso.
Nel 2009 esce finalmente in commercio la prima annata di Uvalino, 2006, oggi Mariuccia Borio ha raggiunto quota 5.000 esemplari annui.


Il vino è stato battezzato con il nome “Uceline”, la scritta serigrafata sulla bottiglia è stata ideata per rappresentare simbolicamente un volo di uccelli, il colore vuole richiamare la terra sabbiosa dove cresce questa varietà. Il nome ha origini antiche, infatti nell’Astesana già nel Seicento venivano chiamate così le uve rosse di quello che probabilmente era l’antenato dell’attuale Uvalino; essendo le uve raccolte più tardi di tutte le altre, diventavano una ghiotta attrazione per gli uccelli.
Le uve dell’Uceline sono state raccolte a fine ottobre, a piena maturazione, trasferite in fruttaio ventilato e a temperatura controllata, dove sono rimaste per più di un mese a subire un leggero appassimento.
Dopo la pigiatura e una parziale diraspatura, si è avviata la fermentazione, durata circa 3 settimane a 22-25 °C con frequenti rimontaggi. La fermentazione malolattica e la successiva maturazione si sono svolte in tonneaux di rovere da 5 hl.
Dopo un anno di affinamento in bottiglia eccolo nel calice, con un colore rubino intenso e profondo venato di riflessi porpora; al naso si coglie facilmente l’effetto dell’appassimento in un frutto ampio che richiama la confettura, ma solo a tratti, nulla di eccessivo bensì aspetti di maggiore complessità, privi di stucchevolezze. La mora, la visciola, l’amarena, sono affiancate da sfumature vegetali mature e delicati rintocchi speziati, dalla cannella al ginepro, dal cacao alla liquirizia.
La bocca si offre avvolgente, succosa, con un tannino molto levigato, la freschezza compensa molto bene il frutto in confettura e confina in buona parte gli effetti dati dalla forza alcolica (15,5 gradi).
Un vino che, nonostante la significativa gradazione e le note di appassimento, si distingue per una materia equilibrata e non pesante, sebbene richieda inevitabilmente piatti di carattere, ideali quelli di carne, con sughi lungamente cotti e speziati.