Un Morellino di Scansano da ricordare quello de I Botri di Giaccioforte!

Grazie ad un'altra bellissima serata dell'Enoclub Roma al wine bar "Il Pentagrappolo", due giorni fa ho potuto scoprire un Morellino di Scansano Riserva molto interessante prodotto dall'azienda agricola biologica I Botri di Ghiaccioforte che ha presentato le annate 2000, 2004 e 2005 in una imperdibile mini verticale.
L'odierna azienda agraria nasce nel maggio del 1989 quando Giancarlo Lanza, dottore in agraria ed enologo, e Giulia Andreozzi, sua moglie e sommelier, acquistano un vigneto in Toscana, nelle colline maremmane, e ne fanno un complesso agrario chiamato “I Botri”. I precedenti proprietari, forti di antiche tradizioni vitivinicole, avevano impiantato il vigneto nel 1970 servendosi delle migliori qualità di vitigni selezionate dalle loro vigne ubicate nel comune di Scansano.
Giulia e Giancarlo si mettono subito all’opera. Ammodernano l’azienda originaria, innovano i sistemi di produzione del vino mantenendone inalterati la tipicità e il gusto: in altre parole, le peculiarità del prodotto locale (Morellino di Scansano e Bianco di Pitigliano). Si orientano verso “Il biologico” come sintesi della loro attività, dimostrando in tale scelta notevole lungimiranza. Nel 1994 ottengono la certificazione di “Azienda Biologica” (reg. CEE legge 2092/91), primi a produrre in maremma Morellino di Scansano Biologico.
Il Morellino di Scansano Riserva da me degustato, e che nasce dalla vigna "I Botri", di circa sette ettari, che si estende su due poggi di fronte all'abitato Etrusco del Ghiaccio Forte, è un vino molto diverso da quelli che fino ad ora ho bevuto. In particolare, il 2005 mi è sembrato un vino estremamente fine, elegante ed soprattutto equilibrato, con una bella vena acida che rinfranca la beva e sostiene l' impalcatura contrapponendosi all'alcol pari a ben 14 gradi. Bella la persistenza per un vino che si lascia bere molto volentieri e che gli invitati hanno gradito moltissimo visto che le nostre scorte son finite in un baleno. Il 2004, rispetto al suo fratellino minore, al naso presenta sensazioni meno fruttate e più tendenti al terziario, la frutta croccante lascia spazio alla confettura e le note di cuoio e sottobosco iniziano lievemente a fare capolino. In bocca rimane la stessa eleganza e lo stesso equilibrio del 2005. Menzione a parte merita il 2000, vino per il quale è stata usata pochissima anidride solforosa e che, nonostante oggi abbia molti capelli bianchi, risulta di una bellissima complessità: nel bicchiere le sensazioni olfattive cambiavano di continuo, si sentiva il cuoio, il pomodoro secco, la salamoia, la confettura di prugne, il caffè, il cioccolato, la viola appassita. Peccato per qualche sentore di maderizzazione che ci fa pensare ad una vita residua abbastanza limitata.

Termino il post ricordando ai lettori che questi vini hanno uno strepitoso rapporto qualità/prezzo visto che il più caro, che è il Morellino Riserva 2000, viene venduto a circa 10 euro.

Grazie ad Andrea Andreozzi per la sua disponibilità e a presto con I Botri di Ghiaccioforte!

Mondial du Merlot: vincitori e vinti

Il Mondial du Merlot, concorso internazionale nato da un’idea di Alberto Rota e organizzato dalla ISICOM SA in collaborazione con VINEA i giorni 15 e 16 novembre nella magnifica cornice dell’hotel Villa Principe Leopoldo di Lugano, si è concluso con un grandissimo successo. Il concorso, patrocinato dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), dall’Union Suisse des OEnologues (USOE) e dall’Association Suisse des Sommeliers Professionnels (ASSP), ha visto la partecipazione di 24 nazioni con 278 vini, di cui il 62% provenienti dall’estero.

La giuria internazionale, composta da 20 esperti degustatori – professionisti del vino e enologi, sommeliers professionisti, giornalisti enogastronomici – ha assegnato 19 Medaglie d’Oro a Merlot provenienti da 7 nazioni e 70 Medaglie d’Argento da 16 diversi paesi. I Merlot svizzeri hanno conquistato undici Medaglie d’Oro (58%). La giuria ha anche attribuito 3 Medaglie d’Oro all’Italia e 1 rispettivamente ad Argentina, Australia, Austria, Francia e Stati Uniti.

Il titolo di miglior merlot del mondo (ed è tutto dire) è andato al merlot Hahn Estates 2006 dell'americana Hahn Family Wines.

E gli italiani?

Il migliori merlot d'Italia è il "La Macchia, Provincia di Pavia Rosso IGT, 2000" dell'Azienda Agricola Bellaria di Paolo Massone. Complimenti! Cercherò di degustare questo vino il prima possibile per verificare di persona se effettivamente siamo di fronte ad un grande merlot.

L'elenco di tutti i premi lo trovate qua: http://www.mondialdumerlot.com/default.asp

Il vino venuto dalle anfore: dalla Georgia a Josko Gravner

Personaggi eclettici, un pò controcorrente, sono questi i vignaioli "new age" che dai primi anni '90 stanno imperversando in tutto il mondo con la produzione di vini prodotti non all'interno di vasche d'acciaio o barrique ma bensì all'interno di grandi anfore. Qualcuno potrebbe pensare che sono i nuovi geni dell'enologia ma, se rileggiamo bene la storia del vino, notiamo che queste persone non hanno fatto altro che intraprendere una strada che i nostri antenati conoscevano già benissimo. Volete un esempio? Tutankhamun era solito bere vino prodotto in anfore. Fin dalla terza dinastia (2700 anni avanti Cristo), le tombe sono ricche di rilievi e pitture che raffigurano le diverse fasi della produzione del vino nei minimi dettagli: la raccolta nei vigneti dei Delta e delle Oasi, lo stivaggio dell'uva nei grandi tini di pietra, legno o argilla, che venivano tappati meticolosamente: nella prima fase della fermentazione si copriva il loro collo con dei fango, lasciando un piccolo foro per la fuoriuscita dei gas; si procedeva con l'immagazzinamento, lungo alcuni mesi, per la seconda fase della fermentazione. Le anfore avevano la base rastremata per raccogliere la posa. L'ultima fase della lavorazione era la chiusura ermetica dell'anfora, che riportava in cima i dati relativi al contenuto, l'anno di produzione, la zona di provenienza, il nome del vinaio, né più né meno come accade oggi con i vini di pregio. In base a tali dati venivano stabiliti la qualità del prodotto e il suo prezzo. Nel corredo funerario della tomba di Tutankhamun, morto nel 1323 a.C., sono state rinvenute una trentina di anfore. 26 di esse risalgono agli anni 4, 5, 9 del regno del faraone e ciò conferma che egli regnò circa 9 anni. Poiché le anfore non erano smaltate, all'interno, nei secoli il vino è evaporato e tutto ciò che oggi resta sono dei depositi appiccicosi sul fondo che però sono bastati per risalire alla composizione del vino. Ad averla decifrata a livello molecolare sono stati i ricercatori dell'Università di Barcellona. Le analisi, spettrografia di massa e cromatografia in fase liquida, hanno individuato la presenza di acido tartarico (l'impronta chimica del vino in sé) ma soprattutto l'acido siringico, in cui si decompone la sostanza che dà il colore rosso al vino, la malvidina-3-glucoside. II metodo ha fatto identificare anche la provenienza dell'uva, che coincide con quanto scritto sull'«etichetta»: un vino rosso e dei migliori vigneti egiziani.
Ma il vino in anfora è paternità degli egizi? Nemmeno per sogno, perché è storia che questi vennero a conoscenza della produzione della vite e del vino per il tramite dei fenici, quasi certamente dalla Colchide, la mitica terra del Vello d’Oro, una regione che corrisponde oggi grosso modo alla Georgia, quindi nel Caucaso tra il Mar Caspio ed il Mar Nero. Fu proprio lì che nacque molto verosimilmente il vino visto che sono stati fatti i ritrovamenti più antichi in assoluto attestanti una produzione vitivinicola: sono state, infatti, rinvenute tracce di contenitori che, da approfondito esame organolettico, attestano la presenza del vino, risalenti ad 8-9000 anni fa. In nessuna parte del mondo si sono trovati reperti così antichi.
I georgiani sono talmente orgogliosi di questa paternità che chiamano il loro paese la “Culla del Vino”, ricordando a tutti che sin dal neolitico tale bevanda veniva messa in grandissimi contenitori chiamati Kvevri posti sottoterra per una miglior conservazione e dove ancor oggi vengono gustate, sulla base di circa 600 tipi di uve, le tante qualità del nettare della vecchia Iberia (il nome di un tempo di quella regione) in un particolare calice a forma di corno, il kantsi.

CONTINUA.....

Fonte: Newton - Articolo di Ahmed Faraman del Dipartimento di Archeologia dell'università di Alessandrio d'Egitto;

IL MAGICO CONNUBIO TRA TARTUFO SENESE E SIRAH ROSSO IGT LAZIO DONNARDEA

E' un sirah rosso Igt Lazio l'abbinamento vinicolo ideale del 2008 per il tartufo bianco delle Crete senesi. E' quanto ha stabilito la giuria del concorso culinario bandito durante la 23/ma Mostra di San Giovanni d'Asso, conclusasi domenica. Dopo la 'prima' dello scorso anno, si e' infatti rinnovato il connubio tra il Comune di San Giovanni e l'Associazione nazionale 'Donne del vino', presenti in questa occasione con una rappresentanza del Lazio e dell'Umbria. Otto le proposte vinicole in lizza per la qualifica di miglior abbinamento con dei medaglioni di chianina farciti con pecorino e tartufo. La giuria composta da giornalisti del settore enogastronomico ha indicato nel Sirah rosso Igt Lazio 'Donnardea', presentato da Veronica Trasmondi, l'accostamento ideale. Un giudizio ufficializzato dal sindaco di San Giovanni d'Asso, Michele Boscagli, presente la Vicepresidente della Camera dei Deputati Rosi Bindi. ''Per il secondo anno l'Associazione Donne del Vino ha voluto 'sposare' il tartufo bianco delle Crete senesi, e questo ci onora doppiamente'' ha affermato Michele Boscagli, sindaco di San Giovanni d'Asso, assicurando un impegno sempre piu' orientato alla valorizzazione delle nostre tipicita' aperto a tutte le possibili occasioni di approfondimento della cultura agroalimentare. ''A fine mese - ha annunciato Boscagli - parteciperemo all'asta mondiale del tartufo di Roma, ed in dicembre renderemo visita ai cittadini di Hautvilliers, la localita'-patria dello champagne con cui il tartufo delle Crete ha avuto un connubio due anni fa''. La presidente regionale per il Lazio dell'associazione Donne del Vino Patrizia Patini ha sottolineato come ''questo connubio con le Crete senesi, dopo due anni, si stia gia' rivelando ricco di soddisfazioni''. E a nome della presidente nazionale Pia Maria Berlucchi ha anticipato la volonta' di proseguire questa sperimentazione negli accostamenti tra i vini delle aziende vitivinicole a conduzione femminile e l'eccellente bianco delle Crete. Al concorso 2008 avevano preso parte anche l'Igt Lazio Le Vignole Colle Picchioni, presentato da Paola di Mauro; l'Atina Doc Cabernet Cominum di Maria Pinto; l'Igt rosso Lazio Castello di Torre in Pietra, di Elisabetta Angiuli; L'igt rosso Umbria Castello di Montoro Marchese Patrizi di Flaminia Marinaro; l'Igt Lazio MIsa Casale Mattia di Lucia De Sanctis; L'Aglianico Villa Sasso di Marisa Taffuri; l'Igt Lazio rosato Villa Santa di Pina Terenzi.

fonte ansa

Ed infine...WINE SPECTATOR'S TOP 100 WINES OF 2008..la chiusura del cerchio....

Rapida occhiata alla top 100 di Wine Spectator. Tra sgomenti e risate varie ecco cosa mi è venuto in mente:
- che se il Concha y Toro Cabernet Sauvignon Puente Alto Don Melchor 2005 è il 12° vino al mondo, allora Paris Hilton sarà il prossimo nobel per la fisica
- che se proprio un barolo 2004 doveva essere inserito, allora al posto di pio cesare era meglio il Barolo Vigneto La Villa 2004 dei fratelli Seghesio
- che se ti chiami Seghesio allora hai probabilità di diventare famoso (vedi posizione 10 e 14 della classifica)
- che Château L’Evangile 2005 ha preso 100 punti ed è arrivato 21° in classifica. Mistero parkeriano..
- che nella classifica sono stati messi a casaccio alcuni vini bianchi italiani che James Suckling (fido scudiero parkeriano che si “interessa” di Italia) aveva menzionato qualche tempo fa
http://www.terredora.net/public/italiano/Wine%20Spectator_August_08.PDF. Spiegatemi allora il motivo del perché il Terredora Falanghina Irpinia 2007 è arrivato 59° e l’Attems Pinot Grigio Collio 2007 70° pur avendo lo stesso punteggio (90) nella Top-Value Italian White. Mistero della fede?
- perché si premiano sempre gli stessi? Nell’Oreno della Tenuta Sette Ponti, Parker ci faccia il bagno? E in Italia perché non ce lo filiamo (o quasi) di pezza? Secondo stime ufficiose tale bottiglia vende qualche unità alla Festa del Carabiniere..Scherzo eh!!

Sono convinto, non potrò mai fare il sommelier in America! O forse devo cambiare mestiere?

Piccoli vignaioli laziali crescono: l'azienda agricola TreBotti

Indovinello. Se una famiglia fa di cognome Botti cosa può fare nella vita? E se i fratelli che vogliono produrre vino sono tre? Allora l'azienda vitivinicola non potrà che chiamarsi Trebotti!!
Nel Lazio non sono in pochi a puntare su questi giovani produttori di origine trevigiane che recentemente, nel 2003, hanno acquisito alcuni terreni collinari nella zona della Valle Teverina e sull’Oasi di Alviano, circa 18 ettari di terreni collinari, che offrono un perfetto laboratorio naturale ove sperimentare e creare vino di qualità, seguendo i dettami dell’agricoltura biologica.

La vendemmia 2005 è stata la prima della storia della TreBotti, le varietà di uve bianche sono le tipiche della DOC Orvieto, quali Grechetto, Trebbiano e Malvasia, cosí come le varietà rosse, quali Montepulciano e Sangiovese.I nuovi vigneti sono di Montepulciano, Grechetto e di Aleatico, vitigni autoctoni frutto di un progetto con la Facoltà di Agraria della Tuscia, dai quali è nato il Bludom, aleatico passito rosso, un vino davvero interessante e sul quale punterei per il futuro.

Con una produzione di 900 bottiglie l'anno, questo vino, che definirei da pura meditazione, si presenta con un bel colore rosso rosso rubino intenso e presenta al naso un complessi ed eleganti sentori di ciliegia, mirtillo, mora, confettura di fragole, rosa rossa, viola appassita e pepe rosa.

In bocca entra caldo, intenso, morbido, con un bell'equilibrio tra alcolicità e dolcezza su un leggerissimo sfondo tannico. Finale persistente con lunghi e piacevoli ricordi di frutta di rovo e fiori rossi passiti. Che bella sorpresa per un vino che al pubblico costa non più di 15 euro. Da provare con la pasticceria secca laziale o con una bella fetta di gorgonzola....mmm che gusto!!

Il vino dell'anno per Wine Spectator è...and the winner is...........

E il vincitore è????? un Borgogna? un Bordeaux? Dai Andrea non tenermi sulle spine...un piemontese o un toscano? Magari un alsaziano? Al massimo per patriottismo potrei azzardare che hanno fatto vincere un californiano. No guarda, veramente ha vinto:

Casa Lapostolle Clos Apalta Colchagua Valley 2005


CHI???????????????????????

Un cileno caro amico mio, il vino dell'anno è un cileno, non sai che dal Cile vengono i migliori vini del mondo? E te che ancora vai in giro per la Borgogna o vai in Champagne o in Langa a cercare vino di bere. Là è il nuovo paradiso, al massimo col pinot nero o col nebbiolo taglieremo la prossima partita di Tavernello Riserva.
Beh Andrea vedi che questa rivista sta avanti coi tempi? Devi cambiare il tuo modo di pensare, siamo tutti globalizzati adesso, magari scopri che ti sbagli e hai di fronte un vino magnifico.
Hai ragione caro amico mio, forse sono un talebano del vino, però a me certe logiche, soprattutto commerciali, non le trovo in linea con la mia visione di vigna e vignaiolo.
Ma l'hai assaggiato il vino prima di giudicare? No caro amico però sto giudicando ora la rivista Wine Spectator......Andrea dove stai andando??? Scusa ma mi manca un pò di carta per la cuccia del gatto...

Wine Spectator's Top Ten Wine's of 2008: 4.......3........2!!!

Inseriti i vini alla posizione quattro, tre e due. Ancora tanta Francia (stavolta anche con un vino dolce) e, a sorpresa, un portoghese dalle grandi prospettive.
Torno supertelegattone e vi dico che al numero quattro troviamo:

Château Guiraud Sauternes 2005
97 points / $579,165 cases madeFrance

Bordeaux's sweet wines shared the limelight in the region's legendary 2005 vintage. Many châteaus, like Guiraud, long under the direction of Xavier Planty, produced their best wine ever. During the harvest, grape pickers passed painstakingly through the estate's 210 acres of 35-year-old Sémillon and Sauvignon Blanc vineyards, selecting only grapes affected by botrytis. By harvest's end, each acre yielded only enough grapes for 54 cases of wine, with about 20 percent of that set aside for the estate's second label.

Al numero tre un rosso portoghese che non conosco ma che, visto il mio amore per quella terra, mi riprometto di bere al più presto:

Quinta do Crasto Douro Reserva Old Vines 2005

95 points / $401,500 cases imported Portugal

This red from Portugal's Douro River Valley is at the crest of the new wave of high-quality table wines issuing from the historic heartland of Port. Up to 30 different grape varieties from old-vine vineyards compose this refined blend. Some of the grapes are foot-trodden in lagares during initial fermentation, and the wine is then aged 18 months in French (85 percent) and American oak. It is neither fined nor filtered before bottling. The winemaking team includes Manuel Lobo, Dominic Morris and Tomás Roquette.

Al numero due un'altra sorpresa con questo bordolese da 97 (!!) punti:

Château Rauzan-Ségla Margaux 2005

97 points / $10010,000 cases made France

Estate manager John Kolasa claims that nature did the lion's share of the work in 2005, leaving him and his team with a relatively simple job. Yet vast investment at the estate since the mid-1990s by the owners, who also control Chanel, enabled Rauzan to reap the benefits of a great growing season. The estate's grand vin, which reached a quality pinnacle in 2005, is 54.5 percent Cabernet Sauvignon, 39 percent Merlot, 5 percent Petit Verdot and 1.5 percent Cabernet Franc, selected from 74 of the 128.5 acres of vineyards.

Wine Spectator d'Italia la classifica s'è destaaaaaaaa!!

Finalmente, come si dice in gergo, la classifica si muove e al numero sei, qualcuno potrebbe dire anche finalmente, arriva il primo (e ultimo) italiano. Anche Wine Spectator, così come hanno fatto le principali guide del vino italiane, ha voluto rendere omaggio all'annata 2004 del Barolo premiando (attimo di suspance)...............Pio Cesare, azienda storica di Alba.
La scelta non è stata affatto condivisibile per vari motivi: anzitutto se devo premiare un Barolo 2004 la mia scelta personale cadrebbe su altre tipologie come ad esempio il Cascina Francia o il Falletto di Serralunga d’Alba di Bruno Giacosa. L'altra mia perplessità riguarda la descrizione del vino: si parla di un chewy wine, cioè di un vino masticabile, un attributo che non vorrei mai trovare in un grande Barolo che, per me, è sinonimo di eleganza (capisco ora dove si ispira Luca Maroni...). Questa, comunque, è la scheda ufficiale del vino:

Pio Cesare Barolo 2004
94 points / $627,000 cases made Italy

This big, juicy, chewy wine is one of Piedmont's most reliable and widely available quality blended Barolos. Pio Boffa represents the fourth generation to run this estate, located in the heart of Barolo's capital of Alba. He sources Nebbiolo grapes from the winery's own vineyards in the Serralunga d'Alba commune and supplements them with grapes from trusted suppliers in the region.

Al quinto posto troviamo un altro (grande) vino francese, figlio di un prezioso terroir che il Domaine Vieux Télégraphe, situato nell'area di Châteauneuf-du-Pape, ha saputo gestire e valorizzare nel tempo. Il risultato è il seguente:

Domaine du Vieux Télégraphe Châteauneuf-du-Pape La Crau 2005
95 points / $5515,830 cases made France

Brothers Daniel and Frédéric Brunier represent the third generation of Bruniers to run this famed estate. With a large (173 acre) contiguous vineyard, a rarity in the appellation, the Bruniers rely heavily on Grenache, Mourvèdre and Syrah to produce their top red cuvée. Tight and almost gravelly in feel when young, the wine has a proven ability to reward cellaring. The 2005 is a blue-chip bottling from a structure-driven vintage.

Wine Spectator's Top Ten Wine's of 2008: continua il countdown enologico....

Ecco di nuovo il vostro supertelegattone...cioè il vostro supertelevinone....cioè insomma il vostro blogger di fiducia (spero) che vi aggiorna sulle posizioni otto e sette della speciale classifica di Wine Spectator.
Questa volta due bottiglie francesi. Ma quando arrivano i nostri? Qualcuno vuole azzardare qualche nome di produttore italiano premiato?

Nel frattempo che pensiamo al numero otto abbiamo:

Château de Beaucastel Châteauneuf-du-Pape 2005

96 points $95 15,000 cases made France

One of the largest estates in the Châteauneuf-du-Pape appellation, this property is owned and run by the Perrin family. In 2005, they produced their best regular cuvée since 1989 (Wine Spectator's Wine of the Year in 1991). The Beaucastel vineyard produces dense and explosive wines from a collage of 13 different grapes, most notably Grenache and Mourvèdre. Each is fermented separately in concrete or wooden vats. The third year of drought, 2005 only intensified the concentration and structure of this ageworthy red.

Al numero sette invece:

Château Pontet-Canet Pauillac 2005

96 points $100 20,830 cases made France

Owner Alfred Tesseron has masterminded one of the most remarkable turnarounds on Bordeaux's Left Bank in the past decade, elevating the quality of Pontet-Canet's wines beyond that of fifth-growth. While Pauillacs such as Château Mouton-Rothschild and Château Latour draw much higher prices, Pontet-Canet too crafts powerful wines, built for aging, that express its vineyards planted on poor, gravel soils half a mile from the Gironde River.

La rivista di vino più importante al mondo inizia il conto alla rovescia: Wine Spectator's Top Ten Wine's of 2008

Non so quanti di voi diano credito a Wine Spectator e alle sue valutazioni, però è un dato di fatto che per moltissimi la rivista viene considerata una sorta di Bibbia enologica e un 100/100 attribuito ad un vino può spostare grandissimi interessi economici.

Seguite con me il countdown per scoprire la bottiglia dell'anno

Al numerto dieci (vorrei avere la voce del supertelegattone) abbiamo:

Seghesio Zinfandel Sonoma County 2007

93 points / $2468,000 cases made California

The Seghesio family has been making wine for a century in northern Sonoma County and farms more than 400 acres of Zinfandel in Alexander and Dry Creek valleys. They make a range of vineyard-designated Zinfandels, such as Home Ranch and Cortina, and a bottling from the oldest vines. But for this Sonoma County 2007, winemaker Ted Seghesio tapped his diverse grape sources for a more widely available, well-priced wine. Aged 11 months in 75 percent American oak, it's complex, with a supple texture and a spicy finish.

Mentre al numero nove....suspance:

Mollydooker Shiraz McLaren Vale Carnival of Love 2007 (terribile etichetta!!!!!!)

95 points / $902,596 cases made Australia

Carnival of Love is one of the few great Aussie Shirazes priced less than $100. Mollydooker owners Sarah and Sparky Marquis buy the grapes from the Gateway Vineyard, a property planted in 2000. They aim for 4 tons per acre from the site, but severe drought in 2007 reduced yields by nearly half. The wine finished primary fermentation in barrel to better integrate the flavors and tannins of the 100 percent new American oak.

Luca Zaia, un cyber ministro alla corte dei blogger

Grande interesse e curiosità ha destato qualche giorno fa l'avvento mediatico del Ministro Luca Zaia all'interno di alcuni social network enogastronomici come ad esempio Vinix (http://www.vinix.it/myDocDetail.php?ID=2112). A ben vedere non è che il "nostro" onorevole abbia detto qualcosa di interessante, anzi ha fatto un semplice rimando al suo blog istituzionale senza aggiungere altro se non che ci aspetta numerosi. Eh no caro Ministro, non mi dica che lei va in giro per internet a fare solo pubblicità (o spam?) al suo sito?
La risposta che mi sono dato è più che mai affermativa visto che ad oggi non ci sono altri suoi commenti. Le uniche persone in fermento all'interno del suo post sono gli esperti del settore e i semplici appassionati che sperano che il tentativo di comunicazione del "nostro" onorevole blogger non rimanga un semplice gesto incompiuto ma un vero e proprio inizio di interazione tra utenti accomunati dal medesimo interesse. Se solo trovasse un pò di tempo per leggere alcuni argomenti dibattuti sui principali forum di carattere enogastronomico, sono certo che avrebbe tantissimi spunti su cui lavorare non solo lui ma tutto il Governo.
Incuriosito da tutta la questione vado comunque a visitare il blog del ministro rimanendo, purtroppo, alquanto deluso. Motivo? A parte le tante foto di carattere autoreferenziale (demenziale per me quella dove regge in mano due grappoli di uva), trovo i contenuti del sito molto scarsi dal punto di vista della quantità e della qualità dei contenuti. Da settembre 2008 sono solo cinque gli argomenti trattati e, per quel poco, anche trattati male. Che senso ha porre in un blog istituzionale una domanda del tipo:"Come selezionate i ristoranti per le vostre cene e pranzi? e vi siete mai recati a ristoranti cinesi o di altre origini etniche?" Ministrooooooooooooooooo siamo noi che facciamo le domande e aspettiamo le risposte!! Non sono mai andato in un ristorante cinese a mangiare code di pescecane alla soia, però vorrei tanto sapere come lei e il governo che rappresenta state cercando di aiutare i vignaioli di Italia oppure quali interventi si stanno ponendo in essere per ridurre il prezzo dei beni agricoli che soffrono di una filiera inefficiente.

Caro Ministro Zaia, se proprio deve scendere in piazza, lo faccia veramente discutendo e confrontandosi realmente con noi che siamo stufi dell'ennesima foto che promette e non mantiene, soprattutto se l'immagine ha come sfondo un filare e un bel bicchiere di vino. Grazie.

Walter Massa: riflessioni sulla "Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti"

Percorsi Di Vino appoggia pienamente la preghiera del mio amico Paolo di Cascina Carpini di divulgare questa lettera aperta di Walter Massa, membro del consiglio nazionale della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, affinchè tutti i vignaioli che si riconoscono nel significato dell'appellativo stesso di vignaiolo, possano leggerla e meditarvici sopra attentamente, per poi, però AGIRE !!


Questo è il testo:


Non troppo per caso il 29 luglio a Colorno (PR) con oltre 500 vignaioli d’Italia abbiamo costituito la “Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (F.I.V.I.), o meglio vignaioli indipendenti.


Sono stato eletto membro del consiglio nazionale con altri 14 Vignaioli; tra questi abbiamo individuato il Presidente, Costantino Charrère di “Les Cretès” dalla val D’Aosta, e due vicepresidenti: Peter Dipoli dall’Alto Adige e Saverio Petrilli “Tenuta diValgiano” dalla Toscana.


Per completezza d’informazione occorre dire che un nucleo di Vignaioli di diverse regioni ha voluto uno statuto serio e rigoroso per ufficializzare la federazione. In questo modo, con autorevolezza e credibilità, ci si può relazionare per vie ufficiali con le istituzioni, dialogare con gli altri comparti vitivinicoli, con il mondo imprenditoriale e con la classe politica.


Gli omologhi della federazione francese (oltre 11.000 soci con il 55% della superficie vitata francese) hanno spronato la nostra fondazione in modo da poter costituire con essi ed altre federazioni nazionali, una fortissima struttura europea in grado di essere un interlocutore forte, dove il baricentro è nel vigneto, per interfacciarsi con i commissari UE preposti.


Non siamo alternativi ad alcun organismo che fino ad ora si è occupato di vino sia sotto il profilo produttivo sia burocratico e legislativo in Italia.


Noi, vignaioli italiani, fino ad oggi, abbiamo marciato solidali esclusivamente con la nostra bottiglia di vino prodotta con naturale intelletto.


Pur non mettendo in discussione l’indipendenza intellettuale, di coltivazione, produttiva, di stile e di mercato oggi risulta indispensabile un referente forte e preparato che faccia da collettore a tutti i problemi che nascono nella vigna e durante tutto il percorso fino al consumatore finale.
Le V.Q.P.R.D, in Italia, non hanno quasi mai dato la precedenza all’origine e alla specificità; i regolamenti UE considerano troppo poco i 4000 anni di civiltà del vino. Le leggi proibizionistiche mettono vino e alcol sullo stesso piano criminale, le ore ed ore da dedicare alla burocrazia vanno a scapito del più piacevole ed utile (anche per il P.I.L) tempo impiegabile altrimenti in vigna . Con questo semplice ragionamento pensavo di trovare a Colorno i rappresentanti di tutte le 20 regioni italiane: così non è stato.


Penso che i viticoltori di successo, soprattutto quelli delle zone più conosciute (Valpolicella, Collio,Langhe, tanta Toscana ecc.) avendo avuto, grazie al vino, notorietà in tutto il mondo siano quasi obbligati a marciare solidali con produttori di aree viticole meno fortunate e quindi a prendere in considerazione il fatto di aderire alla neonata Federazione.
Ho alcuni dubbi:
  • nel nostro mondo si vive con troppa sufficienza;

  • la comunicazione della volontà di costituire la FIVI non è stata adeguata;

  • il vignaiolo verace, viste precedenti e negative esperienze , non vuol più sentir parlare di associazioni..

Con molta perplessità guardo al futuro economico ed imprenditoriale e rifletto su possibili momenti di mercato poco favorevoli per un bene sicuramente voluttuario che nella storia ha sempre avuto felici sbocchi economici.

Con le nostre capacità contribuiamo anche a contenerne i costi ma il prezzo finale non può far a meno di riportare il vino(inteso come espressione del territorio) tra i beni di lusso, se non nel prezzo almeno nel sentimento.

Consideriamo anche il fatto che tra gli addetti ai lavori esiste anche una serie di detrattori. Alcuni di questi mostrando la faccia, altri in maniera subdola, sostengono che la FIVI risulterà solo l’ennesimo fuoco di paglia.

Ora, per rispetto al vino, approfitto degli spazi telematici che mi vengono concessi da tutti coloro che riconoscono la centralità nello stesso per sostenere che i 15 consiglieri FIVI hanno volti noti, sono rintracciabili sia telefonicamente sia in via telematica ed inoltre si possono anche valutare e giudicare degustandone i vini prodotti.

Rammento Erasmo da Rotterdam: “il vino è il riflesso della mente….”
Mi voglio ripetere, il vino merita sacrifici e fiducia da parte di tutti coloro che lo amano:
Pretende l’adesione di tutte le aziende agricole italiane, che grazie ad esso, hanno avuto un palcoscenico mondiale e redditi impensabili semplicemente applicando l’arte (artigianato) all’agricoltura.

Pretende l’adesione di tutte le aziende agricole italiane che coltivano la vigna, ne trasformano le uve e affrontano i mercati con l’obiettivo di una crescita contribuendo a migliorare l’immagine del vino italiano e arrecando grandi benefici al paesaggio, alla cultura ed al turismo.
Evito di fare nomi, ma le aziende che hanno un piccolo debito di riconoscenza, come quelle che credono nel “Vino e nel suo mondo” lo debbono aiutare anche nei fatti sostenendo la FIVI.
Faccio appello inoltre agli scettici, solitamente abituati a fare la punta agli spilli, in quanto portando il loro pensiero in Federazione e credendo nel percorso terra- uomo- bicchiere aiuterebbero questo mondo a percorrere la propria strada prendendo le distanze da chi, al contrario, prende le scorciatoie.

Nel 1958 C. De Gaulle, allora presidente francese, sapendo che il passo stradale più alto d’Europa era il Colle dell’Agnello con i suoi 2744 metri, ritenne di asfaltare la mulattiera del Col De La Bonette rendendola percorribile dalle autovetture e permettendo il transito fino a 2802 metri, valico che ancora oggi rimane il più alto d’Europa.

Ciò significa che, avendo punti di riferimento, le imprese sono facilitate nella loro opera.
Noi vignaioli indipendenti italiani mantenendo i rapporti d’amicizia con i cugini francesi che sono più di 11.000 e mantenendo la nostra identità abbiamo tutte le carte in regola per passare dagli attuali 506 a oltre 12.000 associati.

Cominciando ad abbinare alla nostra produzione anche il nostro pensiero e valorizzando ciò che sta alla sorgente, ovvero il paesaggio e la gente, il percorso del vino come ambasciatore delle nostre terre sarà facilitato in tutto il mondo.Daremo dignità a chi popola e vive le colline d’Italia e magari spunti positivi per la crescita anche ai politici,così magari potranno elaborare nuove idee finalmente costruttive e vincenti ed abbandoneranno quelle un po’ imbalsamate che hanno portato avanti negli ultimi anni.

Walter Massa

Sergio Mottura e il suo Latour a Civitella 2005: emozioni da Grechetto

Sergio Mottura è indiscutibilmente il re del Grechetto o, come lo definisce la Guida del Gambero Rosso 2008, “il più grande interprete del Grechetto al mondo”. Simbolo della vitivinicoltura di qualità del Lazio, la tenuta Mottura, appartenente alla famiglia dal 1933, si estende su 130 ettari in un territorio ricco di risorse naturali, delimitata ad ovest dalle colline e dai calanchi argillosi di Civitella d'Agliano e ad est dalla pianura umbra bagnata dal Tevere.
La trasformazione e la modernizzazione dell'azienda iniziò negli anni '60: dalla conduzione a mezzadria si passò a quella diretta; si intensificò la ricerca per un utilizzo ottimale dei terreni coltivabili dove la vite ha ritrovato il proprio habitat.

E' proprio in questo periodo che Sergio Mottura inizia la sua "storia d'amore" con il Grechetto.

In tale ambito, nella scelta delle varietà da impiantare, quelle indigene, presenti nella zona da tempi immemorabili, sono state privilegiate selezionando costantemente, anche attraverso l'aiuto di ex mezzadri e vivaisti del posto, i cloni dalle caratteristiche più adatte alla vinificazione.

Accompagnato da numerosi requisiti, tra i quali la maturazione precoce e il grappolo spargolo che lo rende resistente alle malattie della vite, il Grechetto ha il suo tallone d’achille nella forte vena tannica dei vini ai quali dà origine. Un aspetto che, grazie ad un attento lavoro nei vigneti (coltivati secondo le normative dell'Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica, caratterizzati da densità di 5.000 ceppi per ettaro e bassissime rese), e in cantina, Mottura è riuscito a valorizzare ottenendo dei vini davvero interessanti come ad esempio il Poggio alla Costa, 100% grechetto dall'omonimo vigneto che, a detta del produttore, genera un vino con un inconfondibile intenso aroma che non si riscontrava nei vini prodotti dagli altri grechetti.

Il vino più rappresentativo dell'azienda è sicuramente il Latour a Civitella, grechetto in purezza proveniente dai cinque migliori vigneti aziendali e affinato in barrique, il cui nome è un omaggio a Louis-Fabrice Latour, autorevole commerciante di vini della Borgogna ed appartenente ad una delle più famose Maison produttrici di botti, dal quale è stato acquistato il primo set di cinque “fûts”, unitamente ad un invidiabile bagaglio di esperienza sull’uso del legno per la maturazione dei vini.

Il Latour a Civitella 2005, di un bel giallo dorato, si presenta al naso con le classiche note fruttate di pera, susina, melone bianco e agrumi avvolte in un manto di nocciola e burro fuso creato dal sapiente uso della barrique. Al palato il vino ha buona corrispondeza e si rivela in tutte le caratteristiche che lo hanno reso famoso: corpo, equilibrio, freschezza e persistenza aromatica.

Da abbinare a tutti i piatti sapidi e con gusti decisi, perfetto con zuppa di cipolle, minestra di farro e ceci, baccalà alla livornese, oca al forno alla contadina, pappardelle al cinghiale.


Un consiglio? Tenetelo in cantina per qualche anno perchè questo grechetto è uno dei pochi vini in Italia a giovarsi di un lungo invecchiamento.

E all'uscita dei Tre Bicchieri 2009 Toscana sul forum del Gambero Rosso...

...scoppia la solita polemica che, almeno quest'anno, si rivela molto più dura e complessa perchè siamo di fronte ad un Cernilli, neo direttore del Gambero Rosso, veramente inviperito contro chi contesta i premi attribuiti.

Tra i vari interventi di dissenso che si sono manifestati sul forum, due sono stati quelli che, secondo me, hanno scatenato le furie del barbuto Direttore.

Il primo riguarda l'utente Kira che scrive: "Questo ve lo raccomando, Rocca di Frassinello 2006 Rocca di Frassinello. Non dico mamma mia, dico che pena, come sono caduti in basso i degustatori che assaggiano i vini Toscani, quasi quasi rivaluto Riccardo Viscardi, mi manchi veramente Riccardo"
Il secondo riguarda Gianluca 1975 che, a proposito dei due bicchieri al Chianti Classico Bellavista 2004 di Castello di Ama, scrive: "A tutto c'è un limite, che il Bellavista 2004 sia inferiore ai 2005 premiati, non ci sta, non ci sta ed ancora non ci sta... Ed il problema è che queste valutazioni sono state fatte dalla commissione centrale, quella che assegna i tre bicchieri e non da commissioni sparse qua e là sul territorio... Poi i gusti sono gusti, però alcuni giudizi faccio veramente fatica a capirli, anzi non li capisco proprio".

E' troppo per Cernilli che, per difendere la competenza e la professionalità del lavoro suo e dei suoi collaboratori, esplode dando ai forumisti "dissenzienti" dei patetici valutatori di etichette. Finita qua? Ma nemmeno per sogno visto che rincara la dose scrivendo: "Alcuni di voi o sono agenti di commercio con precisi interessi nel settore, oppure sono collaboratori o fiancheggiatori di altre guide. Pochi esprimono giudizi sereni e frutto di un analogo sistema di assaggio. Perciò ritengo i giudizi della guida come minimo altrettanto attendibili di quelli di alcuni di voi, di altri no per evidente deficit di esperienza. E non consento a nessuno di essere sarcastico o di fare illazioni non pertinenti".

Tradotto: zitti tutti perchè siete o in mala fede o degli incompetenti in tema di vino.....

Chiaramente le reazioni non si fanno attendere e i forumisti, palesemente offesi, restituiscono pan per focaccia tacciando il Direttore di essere offensivo e arrogante.

Ora, a prescindere da come si è andati avanti con questa querelle (conclusa comunque in modo decisamente più civile), la polemica che ne è scaturita pone al centro dell'attenzione la figura del critico enogastronomico e della possibilità, anzi del diritto di criticare le sue scelte.

Entrando nel merito, è chiaro che nessuna critica è condivisibile se non costruttiva o, peggio, fatta strumentalmente e con un pizzico di invidia. E su questo Cernilli ha ragione. Al tempo stesso, però, bisogna anche che i critici facciano un bagno di umiltà perchè se nella vita ci si espone, anche mediaticamente, dando giudizi (e Dio solo sa quanto questi possano fare la fortuna o meno di un produttore di vino), allora gli stessi devono avere anche le spalle larghe per riceverli. Nessun processo sommario, non sarebbe giusto, ma a volte c'è la volontà di tutti noi di voler capire, imparare, da chi presumibilmente ne sa di più senza esser tacciati di incompetenza e, pertanto, non meritevoli di risposta. Non voglio cattivi maestri ma persone che mi sappiamo accrescere culturalmente, siano essi critici, produttori, enologi o semplici amici appassionati come me. Ripensando al ruolo del critico enogastronomico, soprattutto quando accadono questi fatti, spesso penso al borioso Anton Ego del film d'animazione Ratatouille. Miei cari critici, vi riconoscete in quel personaggio? Evviva, allora c'è ancora speranza che possiate cambiare visto che nelle ultime scene del film il buon Ego, in un rarissimo bagno di umiltà, pensa che:

“Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà, cui ci dobbiamo rassegnare, è che nel grande disegno delle cose, anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cucina, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull’alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau “Chiunque può cucinare!”, ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. E’ difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau’s e che secondo l’opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau’s, di cui non sarò mai sazio!”