Quando il Chianti Classico era equiparato al grande Bordeaux o alla Borgogna e veniva venduto "en primeur"!

di Carlo Macchi

Quando parli con persone come Nanni Montorselli, vera e propria memoria storica del Chianti Classico, che al lavorato al Consorzio dal 1968 per ben 37 anni, scopri cose incredibili, storie meravigliose, aneddoti succosi. La storia della vendita en primeur del Chianti Classico non posso fare a meno di condividerla con tutti perché è troppo bella e fa pensare. 

Nanni Montorselli

Da un punto di vista enologico il 1970 è lontano secoli: Nel Chianti si stava uscendo definitivamente dalla mezzadria, le aziende che imbottigliavano non superavano la cinquantina ed erano per buona parte imbottigliatori, spesso di vini non certo irreprensibili in fiaschi. Le strade erano quasi tutte bianche e molte cantine avevano il pavimento in terra battuta e neanche la luce elettrica. Eppure, anche se lentamente le cose stavano cambiando, ma ben pochi avevano una visione che andava oltre le belle colline chiantigiane. Ma c’era qualcuno che cercava di andare oltre.

Nel Consorzio del Vino Chianti Classico, che aveva ottenuto la DOC da pochi anni (1967) si pensò di organizzare, addirittura, una vendita en primeur.

Nel 1970, per tre anni, il Consorzio del Chianti Classico organizzò al Castello di Spaltenna una vendita en primeur di Chianti Classico, strutturata più o meno come quella storica dell’Hospices de Beaune. 


Si battevano all’asta non pièces ma o botti da 30- 40-50 quintali o una parte di queste botti. La trance minima era di 1000 bottiglie da 0.75 cl, che venivano consegnate dopo 36 mesi. Il Consorzio garantiva le bottiglie e la loro tenuta fino al momento della consegna. Il primo anno vennero aggiudicate a 600/700 lire l’una mentre negli anni successivi si arrivò anche alle 1000 lire a bottiglia. Dopo tre anni la cosa finì, non certo per mancanza di acquirenti ma, afferma Nanni, per incomprensioni tra produttori e con il mondo politico locale che non dette certe una mano.


Pensate se più o meno un mese fa si fosse svolta la “Cinquantesima vendita en primeur del Chianti Classico” con il ricavato che magari sarebbe stato messo a disposizione per curare i malati di Covid. Non sarebbe stata una bella cosa? Nel tempo avrebbe certamente fatto parlare di questo territorio, e forse avrebbe anche influito sul modo di fare vino, perché vendere del sangiovese appena fatto, specie se con estrazioni accentuate, non è certo come proporre del pinot nero. Inoltre si sarebbe forse posta maggiore attenzione nella diversificazione per vigneti, proprio per proporre dei lotti con caratteristiche particolari e, last but not least, si sarebbe moderato, specie in certi periodi, l’uso del legno. 
Aldilà di questo sarebbe sicuramente servito per innalzare il prezzo del vino e dare maggiore consapevolezza ai produttori, specie nei periodi più critici. 

Purtroppo la cosa è morta sul nascere ed è inutile piangere sul vino versato.

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