I vini monodose. Origine e sviluppo di un prodotto di (in)successo?


Oneglass non è altro che l’ultimo tentativo di introdurre sul mercato vino in confezione monodose.   

L’idea originale di chiudere il vino in buste di vario materiale forse è nata nel 2006 con “PocketWine”, progetto di Sara Lavagnoli, che si proponeva sul mercato con una confezione a forma di calice, con un apribottiglie posto nella parte superiore che sta a indicare il punto di apertura, che avviene a strozzo. 

Una confezione di PocketWine

Le differenze rispetto a Oneglass? PocketWine fornisce informazioni anche sulla cantina di produzione e viene (veniva?) venduto su scaffale o banco in confezioni di cartone contenenti 36 monodose da soli 5 cc (bicchiere scarso di vino).
Non ho trovato il prezzo per singola confezione ma è facile immaginare che sia più economico di Oneglass. 

Poi venne il Gruppo Coltiva con il suo QB, Quanto Basta, una minibottiglia di vetro che contiene l’esatta quantità di vino consentita per non incorrere in contravvenzioni per eccessivo uso di alcol. 
Il packaging, non certo esaltante, ricorda la caraffa delle osterie, a forma di clessidra, con tappo comodamente richiudibile (bonus). Sono previsti formati da 20 cc, per i vini frizzanti come Lambrusco e Prosecco, e da 25 cc per i vini fermi come Sangiovese di Romagna o Nero d’Avola. 

Quanto Basta

A prescindere dalla qualità del vino, l’unica differenza rispetto a Oneglass riguarda la confezione, in vetro, adatta a soddisfare anche le esigenze di due persone sedute a tavola.
Il vero concorrente di Oneglass però arriva dall’estero e si chiama Al Fresco Wine che, nel 2007 il Tulipak, un bicchiere in plastica resistente sigillato con un tappo in alluminio simile a quello dello yogurt riempito con Chardonnay e Shiraz australiano e  un rosè californiano sotto l’etichetta della Trencherman. 

Il Tulipak

Tappandomi per un minuto il naso vediamo di trovare qualche vantaggio: velocità di servizio, peso ridotto, riciclabilità totale del contenitore, uso in luoghi affollati (centro di Roma) dove il vetro non è consentito, possibilità di fuoriuscita del liquido e di rottura del bicchiere ridotte al minimo. 
Svantaggi? Bere un vino in un bicchiere di plastica preconfezionato rappresenta per me la morte civile della bevanda. Ma si sa, io non faccio parte del loro target…
Voi che ne dite? Quale idea vi stuzzica di più?

5 commenti:

Davide Cocco ha detto...

Bella e utile ricerca, Andrea.
Ciao.davide

Andrea Petrini ha detto...

Una ricerca tanto per farsi del male.. :-))

Filippo Ronco ha detto...

Bella Andrea, grazie.

Fil.

Alessandro ha detto...

Ciao Andrea, ti stai appassionando al mondo dei formati alternativi eh? :)
Se vuoi una mia studentessa ha fatto una tesi di laurea a riguardo, c'è un mondo enorme e interessante dietro, al quale i produttori di vino di tutto il mondo guardano con interesse e speranze...

Andrea Petrini ha detto...

@Alessandro: sto solo cercando di capire cosa vi gira nella testa di chi lavora nel marketing del vino. :-)
Prossima settimana esce un altro articolo sui vini da passeggio, non perdertelo. Ah, se vuoi qualche dritta su dove prendere vino sfuso di altissima qualità fai un fischio così lasci perdere quel Vermentino :-)